La villa, edificata intorno alla celebre fonte, sorge lungo un'insenatura al confine orientale del Comune di Torno. La facciata è scandita da quattro ordini di finestre; quelle del piano nobile sono sormontate da timpani spezzati, quelle dell'ultimo piano da eleganti lesene quadrate.
Il piano nobile, con affaccio sul lago, è articolato in due corpi, con grandiosi saloni separati da una loggia dorica a tre arcate sostenute da colonne binate. Sul lato orientale di questa loggia trova posto una lapide con il testo latino della lettera di Plinio a Licinio, dove è descritta la celebre fonte; sul lato opposto un'altra lapide ne riporta la traduzione in italiano. I quattro timpani spezzati che sormontano le porte d'accesso alla loggia, contenevano in origine i busti di Carlo V, di Filippo II, dell'Anguissola e della sua terza moglie, Delia Spinola.
Al centro della loggia, nel mezzo di un'aiuola, si erge la statua di Nettuno col tridente affiancato da un delfino. Poco sopra il livello del lago si apre un lungo corridoio, illuminato e arieggiato da aperture quadrate senza vetri, da cui si accede agli scantinati dove si possono ancora osservare le strutture portanti del fabbricato le cui fondamenta poggiano direttamente sulla roccia; subito al di sotto di questo primo piano un'apertura ad arco consente lo sbocco delle acque che scaturiscono dalla fonte pliniana. Alle spalle della loggia, oltre la corte, la fonte intermittente si fa strada attraverso una nicchia in tufo che copre la parete a monte della villa; subito al di sopra si estende un verde pianoro cui si può comodamente accedere dai saloni. Da qui la strada si inerpica nel bosco dove sorge un piccolo eremo.
Dopo il trasferimento degli arredi a Masino, nel 1983, la villa è rimasta completamente vuota, ma le testimonianze fotografiche antecedenti a quella data ci mostrano di quale sfarzo e ricchezza fosse adorna. Nel primo salone del piano nobile uno splendido soffitto a cassettoni è tutto ciò che rimane dell'originale decorazione; lungo i bordi delle pareti una fascia dipinta con quattordici ritratti di foggia seicentesca ricorda i primi proprietari della villa mentre in fondo al salone è scomparsa ogni traccia dell'antico marmo di scuola canoviana raffigurante Giotto pastorello nell'atto di ritrarre una pecora. Qui era anche conservato il celebre piccolo stipo che Napoleone nel 1797, aveva regalato ai suoi ospiti, per ringraziarli della loro accoglienza; qui trovava posto il pianoforte su cui Rossini, in tre giorni, aveva composto la sua opera Tancredi.
Nel secondo salone le venature cromatiche blu del soffitto a cassettoni si accompagnano ad una fascia dipinta su cui spiccano sedici stucchi ovali raffiguranti scene mitologiche. Sui pavimenti a mosaico si possono ancora ammirare gli emblemi araldici delle antiche famiglie proprietarie.
Tutta l'area della villa è circondata da una fitta vegetazione di alberi secolari in mezzo ai quali, in primavera, occhieggiano i rododendri in fiore.
A breve distanza dal palazzo sorge la cappella i cui arredamenti sono oggi nella chiesa di S. Giovanni. All'interno sono ancora visibili quattro lapidi a ricordo dei defunti della famiglia Canarisi.
Nel cortile interno dell'edificio si trova una fonte intermittente di natura carsica, descritta da Plinio il Giovane in una lettera indirizzata a Lucio Licinio Sura. Un estratto della lettera recita:
« Ti ho portato in luogo di un piccolo dono dal mio paese natale un problema degno di codesta tua scienza profondissima. Nasce dalla montagna una sorgente, discende attraverso le rocce, si raccoglie in un piccolo vano atto a pranzavi, tagliato a mano dall'uomo. Dopo essersi un po' trattenuta cade nel lago Lario. Ha una strana natura: tre volte al giorno si innalza e si abbassa per determinati crescimenti e diminuzioni. Forse che una corrente d'aria più nascosta ora apre l'apertura e i canali della sorgente e ora li chiude »
La fonte fu visitata anche da Leonardo da Vinci pochi anni prima che venisse eretto il palazzo, descrivendo il fenomeno nel Codice Leicester.
La villa, tutt’ora disabitata e situata in un’insenatura boscosa del lago, appartiene dal 1983 alla Società Immobiliare Pliniana, che ne ha iniziato un lento lavoro di restauro storico. La sua destinazione è incerta: scartata l’idea di trasformarla in convento, si pensa di adibirla ad un centro studi o ad un centro benessere. Attualmente il complesso vive esclusivamente di ricordi culturali legati al periodo del Romanticismo e del Decadentismo europeo, non esclusa l’aura leggendaria dovuta a cinque secoli di storia e alla sua posizione geografica di difficile accesso.
Nel Medioevo gli abitanti di Torno insediarono nel sito originario alcuni mulini e impianti per la lavorazione della lana. Nel 1573 il conte Giovanni Anguissola - governatore di Como dopo aver capeggiato nel 1547 la congiura nella quale aveva trovato la morte Pier Luigi Farnese, duca di Parma e Piacenza - decise di costruirsi una villa-fortezza fuori città. La villa prese il nome da Plinio il Giovane, che descrisse per primo la fonte intermittente poi racchiusa nel cortile interno dell'edificio. Sorge direttamente sul lago, a ridosso della montagna e dominata da una cascata alta circa 80 metri. Attribuita all'architetto Giovanni Antonio Piotti, la costruzione venne terminata nel 1577. Gli eredi la vendettero nel 1590 a Pirro Visconti Borromeo, che la completò e fece terrazzare i terreni circostanti per adibirli alla coltivazione della vite e del castagno. Nel 1676 fu nuovamente venduta a Francesco Canarisi di Torno, che fece affrescare gli ambienti e vi aggiunse ritratti dei propri antenati e dei Plinii. Fu inoltre costruita una piccola cappella dedicata a San Francesco.
Agli inizi dell'Ottocento la Pliniana passò per diversi proprietari, finché nel 1840 fu acquistata dal principe Emilio Barbiano di Belgiojoso d'Este, che ideò un completo rifacimento delle decorazioni. Dopo una rocambolesca fuga da Parigi che suscitò uno scandalo a corte, tra il 1843 e il 1851 Emilio visse nella villa in compagnia della sua amante Anne-Marie Berthier, principessa di Wagram e moglie del duca di Plaisance. Così viene ricordato l'arrivo della coppia:
« La Pliniana aprì loro il suo alto cancello e lo scroscio della cascata coprì le esclamazioni di gioia della contessa colpita da tanta bellezza. Nel salone, Anna si trattenne muta per l’emozione davanti ad un piccolo stipo che Napoleone nel 1797 aveva regalato ai suoi ospiti per ringraziarli dell’accoglienza ricevuta. Bonaparte aveva persino pensato di acquistare la villa che gli pareva un luogo di riposo ideale. Anna guardò intenerita il pianoforte su cui Rossini in tre giorni aveva composto il suo Tancredi, e su un muro della loggia lesse la pagina di Plinio il Giovane concernente la sorgente intermittente. »
Dopo la morte di Emilio, il palazzo fu ancora utilizzato dalla moglie, la principessa Cristina Trivulzio di Belgiojoso, mentre in seguito fu ereditato dal genero, Ludovico Trotti Bentivoglio. Nel 1890 passò quindi ai Valperga di Masino, che dopo averne trasferiti gli arredi al castello di Masino lo cedettero nel 1983 alla Società Immobiliare Pliniana.
La villa ospitò numerosi personaggi tra monarchi, scienziati, musicisti, poeti e scrittori: Napoleone, Giuseppe II, Francesco I e la regina Margherita di Savoia, Alessandro Volta, Lazzaro Spallanzani, Franz Liszt, Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini, Giacomo Puccini, Stendhal, Shelley, George Gordon Byron, Ugo Foscolo, Berchet, Alessandro Manzoni e Antonio Fogazzaro, che vi si ispirò per il romanzo Malombra dal quale fu tratto l'omonimo film girato nella villa da Mario Soldati nel 1942.
Il corpo di fabbrica principale presenta la facciata a picco sul lago con quattro ordini di finestre, al piano nobile dotate di timpani spezzati e all'ultimo piano inquadrate da lesene identiche alle finestre di Palazzo Gallio.
Al centro del piano nobile si presenta una loggia a tre arcate sostenute da colonne binate. Sul lato rivolto verso la montagna, dietro una statua di Nettuno con tridente, la loggia si apre su un cortile dove sorge la fonte Pliniana.
Il piano nobile è collegato a quello superiore per mezzo di un'ampia scala elicoidale in arenaria rivestita in legno, coperta da una volta dipinta rappresentante un cielo stellato. Il piano superiore ospita camere da letto e servizi aggiunti in epoca recente.
Al di sotto del piano nobile si trova un primo piano inferiore, costituito da locali di servizio tra cui un'ampia cucina, la dispensa e ambienti destinati alla servitù. Ancora più in basso, ormai al livello del lago, un secondo piano inferiore è costituito da un lungo corridoio illuminato da aperture quadrate senza chiusura, dal quale si accede a varie cantine a volta. Al di sotto un'apertura consente il deflusso nel lago delle acque della fonte Pliniana.
Dopo molti anni di abbandono precedenti l'acquisto da parte dell'ultimo proprietario, sono oggi in corso di realizzazione le opere di restauro della villa e del suo complesso promosse dal gruppo PIR SpA e progettate dall'architetto Rosario Picciotto.
A causa del suo isolamento e del suo aspetto severo, la villa è nota ancora oggi per essere dimora di spettri, anche perché il primo proprietario Giovanni Anguissola morì a sua volta assassinato dopo aver ucciso il duca di Parma. Lo stesso romanzo Malombra, di chiaro gusto decadente, rivela l'interesse di Fogazzaro per le materie occulte.
L'episodio più famoso, che arrivò a tingersi di leggenda, è però legato alla storia d'amore tra Emilio Barbiano di Belgiojoso, il principe che aveva sposato Cristina Trivulzio, e la principessa Anne-Marie Berthier (figlia del maresciallo Berthier, principe di Wagram e capo di stato maggiore di Napoleone, e della duchessa di Birkenfeld), che alla Pliniana vissero otto anni di pressoché totale isolamento. Anne-Marie, che viveva a Parigi assieme al marito, creato duca di Plaisance da Bonaparte, fuggì d'improvviso dalla capitale francese assieme al Belgiojoso, abbandonando, oltre al coniuge, una bambina appena nata, e suscitando un grande scandalo. Così, tra la fine degli anni Trenta e i primi anni Quaranta, si dedicarono unicamente al piacere, in una villa dalle «sale folte di ombra, che sembran mute camere funerarie d'un castello di sovrani spariti», immersi in un paesaggio di «sepolcrali, alti cipressi», su «un ermo dirupo fra memorie immani d'agguati e di sangue». Di essi si narra:
« Di sera, sui rintocchi della mezzanotte, erano soliti avvolgersi nudi insieme in un lenzuolo per tuffarsi dall’alto della loggia nel lago, come per cercare un lenimento alle febbre d’amore che li univa. I paesani sulla sponda opposta credettero di vedere un fantasma e si spaventarono. La ripetizione quotidiana del fatto confermò la loro credenza. Corse voce che, ogni giorno a mezzanotte precisa, un fantasma - forse quello dell’Anguissola o quello della vittima del governatore, il duca di Piacenza - piombava a capofitto nel lago. »
La donna non si curava dello scandalo causato, e respinse i tentativi di farla tornare in Francia, mentre il principe, legato agli ambienti della cospirazione risorgimentale, declinò l'invito a tornare a occuparsi della patria. Un giorno, infine, Anne-Marie lo abbandonò mentre dormiva, per trasferirsi a Milano, dove acquisterà un palco alla Scala, riprendendo la vita mondana che già aveva caratterizzato gli anni precedenti la fuga col Belgiojoso. Questi, dal canto suo, rimase per alcuni anni recluso nella villa, finché, malato di sifilide, deciderà di trascorrere gli ultimi anni nel suo palazzo meneghino.
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