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martedì 21 luglio 2015

LA VAL TALEGGIO



La Val Taleggio è una diramazione occidentale della Val Brembana che inizia nel comune di San Giovanni Bianco, in provincia di Bergamo. La valle è percorsa dal torrente Enna che nel corso dei secoli, tra Taleggio e San Giovanni Bianco, ha formato una spettacolare forra della lunghezza di circa 3 chilometri, chiamata l'Orrido della Val Taleggio.

L'Enna nasce da una piccola grotta situata nella parte inferiore della Costa del Palio, nei pressi di Morterone in Provincia di Lecco, dove subito riceve da sinistra il suo primo affluente, il Remola e con esso, proprio all'altezza della sorgente, forma il pozzo chiamato Fiume Latte (in dialetto locale Füm Lacc), una splendida marmitta dei giganti. Entra in Provincia di Bergamo all'altezza del suo secondo affluente da destra, il Bordesigli e percorre tutta la Val Taleggio, dividendo letteralmente la valle in due. Esiste infatti un unico ponte carrozzabile che unisce i due versanti della Val Taleggio, il Ponte della Lavina, che collega il comune di Vedeseta con Peghera, frazione di Taleggio.

Superato il comune di Taleggio, l'Enna percorre una spettacolare forra lunga circa 3 chilometri, chiamata l'Orrido della Val Taleggio per poi confluire da destra nel fiume Brembo a San Giovanni Bianco.

Amministrativamente è suddivisa in tre comuni:

Taleggio, con le frazioni
Sottochiesa (sede del Municipio);
Peghera;
Olda;
Pizzino;
Vedeseta, con le frazioni:
Avolasio;
Lavina;
Reggetto.
Morterone, in provincia di Lecco

La Val Taleggio ha una precisa identità storica e un passato di fiera indipendenza. Fino all'inzio di questo secolo l'accesso alla valle era possibile solo attraverso i valichi poco battuti della Forcella di Bura, per chi veniva da Bergamo attraverso la Valle Brembilla, del Culmine di San Pietro per chi proveniva dalla Valsassina e del Passo di Baciamorti per i collegamenti con l'alta Val Brembana attraverso la Val Stabina. Ora la strada provinciale consente di accedere direttamente dal fondovalle superando il suggestivo e spettacolare orrido scavato dal Torrente Enna tra il Monte Cancervo e il Monte Sornadello.

I versanti della valle presentano caratteristiche molto differenti: le pendici esposte a meridione hanno una morfologia dolce disegnata dai coltivi e dalle numerose contrade rurali; sulla sponda opposta, con l'eccezione della conca di Peghera, dominano versanti ripidi e scoscesi che ospitano vasti ed ininterrotti boschi di latifoglie. Le originarie architetture civili della Val Taleggio sottolineano la singolare identità di questa vallata e costituiscono, insieme a quelle della limitrofa Valle Imagna, una tipologia assolutamente unica, che non trova riscontro sul resto del territorio alpino. Gli edifici sono sempre in pietra calcarea locale, molto regolari, a pianta rettangolare, singoli o aggregati, con volumi estremamente semplici e lineari, sottolineati dai precisi spigoli, realizzati con pietre d'angolo accuratamente lavorate e dagli spettacolari tetti spioventi di lastre calcaree. Queste coperture sono senz'altro il particolare architettonico che rende caratteristiche ed uniche le costruzioni della valle.

La presenza in loco di cave di pietra calcarea affiorante in regolari depositi stratificati e l'impossibilità di affrontare gli alti oneri di trasporto necessari per reperire altrove un differente materiale di copertura, hanno determinato lo sviluppo di questa particolare tecnica costruttiva. Le pietre impiegate (pióde) arrivano anche a spessori di 7/8 cm e, a causa dell'elevato peso, non possono essere appoggiate parallelamente all'orditura del tetto, come avviene con le ardesie di Branzi e Valleve, ma devono necessariamente essere appoggiate orizzontali una sopra l'altra a scalare, in modo che il grande peso della copertura (fino a 150 Kg/mq.) si scarichi parzialmente sui massicci muri perimetrali. Purtroppo queste coperture risentono in modo particolare dell'usura del tempo. Mentre gli edifici minori e i fabbricati rurali in discrete condizioni si possono ancora incontrare con relativa frequenza, le costruzioni di una certa rilevanza sono restate poche. Tra queste si segnalano la casa signorile dei Borghi” nel centro di Sottochiesa, che si distingue per la composizione a più falde del tetto, la bella abitazione sulla corna di Pizzino e il caratteristico nucleo di Ca' Corviglio. La Valle Taleggio merita di essere percorsa e visitata nella sua interezza e pertanto non si può prescindere dall'uso dell'automobile. Le sensazioni più penetranti però restano quelle che si assaporano percorrendo a piedi le antiche mulattiere, cogliendo tutti i particolari di un ambiente che mantiene ancora una dimensione genuina e semplice.

I Guelfi della Val Taleggio resistettero ai numerosi assalti e impedirono ai milanesi l'accesso al Passo di Baciamorti e quindi all'alta Valle Brembana. Con questa impresa la Val Taleggio si meritò la benemerenza da parte dei Dogi di Venezia e il riconoscimento dei propri statuti.  La Corna di Pizzino costituisce inoltre uno spettacolare balcone panoramico affacciato su tutta la Val Taleggio.


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mercoledì 20 maggio 2015

IL PARCO DELLA LURA

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Il Parco del Lura comprende la valle scavata dal torrente Lura che inizia a sud di Bulgarograsso e si estende fino alle porte di Saronno. Il parco comprende un ambiente caratteristico dei pianalti lombardi.

I boschi sono formati principalmente da farnie e robinie. Circa metà del parco è coltivata a cereali o coperta da prato.

L’ente del parco ha anche fornito alla zona trenta chilometri di fogne che convogliano i reflui dei centri abitati e le portano al depuratore di Caronno Pertusella.

Scendendo nella valle della Lura da Lomazzo, da Bregnano, Cadorago o da alcun altro dei comuni lungo il torrente, la dimensione urbana lascia il posto ad una dimensione agreste, nel verde e nella quiete, che è ormai in via d'estinzione, almeno da queste parti. E si potranno udire persino i grilli, almeno d'estate; di notte, con un po' di fortuna, anche qualche lucciola. Lungo il fiume non vi sono strade, si può passeggiare solo a piedi o andare in bicicletta. Il miracolo del silenzio e della pace può prendere il sopravvento per un attimo, almeno. Ci sono boschi di querce e di robinie, ci sono lembi di pineta silvestre (a Guanzate e Bulgarograsso); ci sono campi coltivati e colline moreniche: c'è una parte dell'alta pianura lombarda che si conserva per le future generazioni, quale corridoio ecologico, trama d'unione, fra il Parco regionale delle Groane e il Parco regionale Pineta di Appiano G.le e Tradate.

Per scorgere lo scoiattolo, individuare il ghiro, il moscardino o il picchio verde, il Consorzio ha recuperato un vecchio, delizioso roccolo nei boschi della Pioda fra Cermenate e Cadorago. Un luogo che era nato per far polenta e uccelli, è oggi dedicato all'educazione ambientale per le giovani generazioni.

Il Parco è per metà boschi e per metà campi seminati; non è una foresta vergine e nemmeno una riserva naturale. E' un territorio interamente coltivato e governato dagli agricoltori e dai boscaioli che vi traggono sostentamento.

Il torrente Lura è troppo spesso un rigagnolo colorato e maleodorante; per contro, quando piove troppo, cambia umore, tracima e allaga quartieri interi e città.

L'idea di fare qualcosa di concreto per difendere la vallata che si trova ai margini del torrente Lura nasce nel 1975, quando le nove amministrazioni comunali per la prima volta si riuniscono in un consorzio di depurazione che, con risorse proprie, finanziamenti regionali e statali, ha provveduto a realizzare trenta chilometri di grandi collettori fognari che raccolgono i reflui delle industrie e dei centri abitati fino ad un grande depuratore, a Caronno Pertusella. L'impegno di risorse economiche e tecniche è gravoso e impegna tempo e uomini.
"L'idea del Parco - dice Giacomo Castiglioni, Amministratore Delegato di Lura Ambiente - nasce negli anni '80 dalla passione degli amministratori impegnati nella realizzazione del progetto di depurazione delle acque. Nei primi anni si operò per rendere omogenei i piani delle singole amministrazioni sul tema ambientale. Definita poi la perimetrazione del territorio a parco, finalmente nel 1995 è avvenuto il riconoscimento da parte della Regione Lombardia. Si iniziò allora a concretizzare l'idea del Parco".
All'inizio del 2000 nasce uno specifico Consorzio per la gestione del Parco e i primi di maggio viene eletta la prima struttura direttiva.
Dal 1997 al 2000 il Parco viene gestito dal Comune di Cadorago, grazie ad una convenzione tra comuni; il Sindaco Renata Romano, Presidente pro - tempore, inizia a strutturare quello che oggi è diventato il Consorzio di gestione.
In tutti questi anni l'area protetta ha avuto comunque modo di farsi conoscere sempre di più grazie a molte associazioni e gruppi di volontari che con manifestazioni o semplici camminate nel parco hanno aiutato la natura a combattere il degrado ambientale che avrebbe potuto rovinare molte delle stupende valenze paesaggistiche che il Parco del Lura intende preservare. Infatti camminando a fianco del Lura si incontrano centinaia di ettari di bosco, tranquillità, animali liberi di correre e volare, cappellette votive e antichi cascinali.
Questa vallata che unisce le provincie di Como e Varese riesce a ripristinare il giusto rapporto tra uomo e natura.

Il torrente Lura, che dà il nome al Parco, nasce nel territorio del Comune di Bizzarrone, ai confini con il Canton Ticino. Il suo corso si snoda da nord a sud per una lunghezza pari a 35 Km confluendo, all'altezza di Rho, nel fiume Olona, che a sua volta si immette nel Lambro. Il Lura attraversa per esteso tutto il Parco, bagnando le zone collinari di modesta pendenza che caratterizzano un territorio fortemente antropizzato. Un corso a meandri con portate medie fiancheggiato da fasce boschive su entrambe le sponde. Al fine di scongiurare o almeno arginare le eventuali esondazioni a valle, la Regione Lombardia ha progettato la realizzazione di un sistema di regimazione delle acque di piena del torrente con la formazione di alcune vasche di "laminazione" per trattenere le ondate di piena nella valle. Si eviterebbero così potenziali allagamenti a Saronno e Rho, già avvenuti in passato.

La copertura vegetale del Parco del Lura, caratterizzata dall'alternanza di fitti boschi, prati e campi ha favorito l'insediamento di molti animali. Un habitat naturale ideale per numerose specie capaci di adattarsi a questo contesto ambientale prossimo ad una zona densamente urbanizzata. Nel Parco risulta particolarmente significativa la presenza degli uccelli. Sono presenti passeri, rondini, pettirossi, cinciallegre ed alcuni rapaci tipici del nostro territorio come la civetta, il gufo, il barbagianni e il gheppio; più comuni risultano essere tortore, zigoli, cornacchie, merli, piccioni e fagiani selvatici.
Ben più difficili da sorprendere sono i mammiferi selvatici che popolano il sottobosco del Parco: carnivori di taglia piccola come la volpe, la faina, la donnola o roditori come il ghiro ed il tasso.
E' possibile invece incrociare la strada del coniglio selvatico, del simpatico riccio, che si muove con circospezione nella boscaglia, scorgere gli scoiattoli saltare da un albero all'altro ed i roditori o i rettili più comuni che vivono nei prati tipici delle zone coltivate, anche in prossimità dei centri abitati.

Passeggiando lungo il corso del torrente Lura ci si accorge di quanto sia rigogliosa e varia la vegetazione che caratterizza la superficie del Parco. L'ambiente forestale, tipico del "climax" delle prealpi lombarde evidenzia l'equa suddivisione tra area boschiva e ambiente agricolo. Serie di formazioni boschive dominate dalla robinia, farnia, carpino, nonché dai filari di ontano nero sono diffusi su entrambe le sponde del torrente da Rovellasca fino a Saronno. Presenti anche le specie autoctone come il pino, il castagno, il ciliegio e la betulla. L'attento osservatore può notare la ricchezza del sottobosco ben rappresentato dal nocciolo, dal sambuco, ma anche da una varietà di funghi, erbe, felci e muschi che disegnano un paesaggio variopinto e caratteristico, godibile in ogni stagione. Sono presenti anche campi a seminativi, coltivati soprattutto a cereali.
Alcune presenze esotiche sono riscontrabili nei boschi: a Guanzate c'è una collina rimboschita con querce rosse. Qua e là si trovano piante di larice e soprattutto ciliegi tardivi; questi ultimi, purtroppo, sono pericolosi infestanti americani che degradano e semplificano l'ecosistema.

Il Parco del Lura si colloca nell'Alta Pianura Lombarda posizionandosi allo sbocco delle grandi valli prealpine, al di sotto della linea insubrica. Il paesaggio geomorfologico si è modellato in seguito agli eventi verificatisi durante l'ultima era glaciale che hanno interessato tutta la Brianza. Infatti il territorio del Parco, come tutta l'area della provincia di Como, è caratterizzato da una successione di strati geologici formatisi in seguito alle ultime glaciazioni note agli esperti del settore con i nomi di Mindel, Riss e Wurm. Emblematici testimoni di queste fasi glaciali sono i caratteristici circoli morenici, che spingendosi fino a Lomazzo e Cermenate evidenziano l'espansione massima raggiunta dalle lingue glaciali presenti fino a 10.000 anni fa, quando le stesse cominciarono a ritirarsi. Segni di questa espansione sono ben visibili nel Parco attraverso massi e tracce rocciose dei cordoni morenici. Proprio dallo scioglimento dei principali ghiacciai "lariani" si sono formati nel corso del tempo i terrazzi alluvionali che caratterizzano, con un'alternanza di pianure e colline la conformazione geomorfologica del territorio. Il torrente Lura nel corso dei secoli ha scavato il suo letto tra le morene glaciali per scendere verso sud, verso l'aperta pianura dove troviamo deposizioni sedimentarie di origine quaternaria. Buona parte del suolo si è poi trasformata, nel corso dei millenni, in argille rosse o "ferretto".

"Mi ricordo ancora quando da piccolo andavo con i miei cugini al torrente per fare il bagno. Ogni volta era una festa, stavamo lì delle ore". Le donne si recavano al "fossato" con i panni sporchi da lavare, i ragazzi , alla domenica, con una canna da pesca, i più piccoli a giocare ed a fare il bagno.
Gli aneddoti delle persone più anziane ci fanno notare quanto una volta il torrente Lura fosse "vissuto".
Tra le due guerre qualche scarico entrava già nel torrente : la capacità di autodepurazione del corso d'acqua era però sufficiente a conservarne le acque pulite.
E' stato il grande boom del dopoguerra a rovinare questo idilliaco rapporto tra il corso d'acqua e gli abitanti dei paesi da esso attraversati.
La mancanza di una coscienza ecologica ha fatto sì che le industrie scaricassero nel torrente senza alcuna precauzione.
E' quindi iniziato il periodo di massimo degrado del nostro corso d'acqua, considerato da privati, amministratori pubblici e industrie una fogna a cielo aperto. Dalle sorgenti all'Olona tutti scaricano senza alcuna preoccupazione.
I danni sono ancora oggi evidenti anche se ormai sono più di vent'anni che i primi depuratori sono stati costruiti, le prime regole applicate e la conoscenza di cosa si può fare contro l'inquinamento appresa.
Un grande lavoro è già stato fatto e quanto ancora possibile fare è stato impostato e iniziato: il processo virtuoso del ripristino ambientale oggi è inarrestabile. Certamente l'ecosistema è profondamente alterato ed il torrente ha bisogno ancora di anni di sforzi per ritornare un corso d'acqua limpido, non inquinato e abitato da una corretta fauna e flora acquatica.
Considerando l'elevata popolazione residente nel bacino idrografico del torrente e l'elevata industrializzazione non siamo certamente arretrati rispetto alla realtà italiana.




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lunedì 11 maggio 2015

IL FIUME CAFFARO



Il Caffaro è un fiume della provincia di Brescia, appartenente al bacino del Lago d'Idro. Nasce dal Cornone di Blumone, presso il Passo del Termine nel territorio di Breno, all'interno del Parco regionale dell'Adamello. Percorre la Valle del Caffaro bagnando Bagolino ed alcune frazioni e si immette nel Chiese poco prima che quest'ultimo entri nel lago d'Idro, in località Ponte Caffaro. Segna per un breve tratto il confine con la provincia di Trento (comune di Storo).

Affluenti principali sono il Riccomassimo, il Rio Frèi, il Dazare, il Bruffione, il Lajone, il Sanguinera, il Vaia, il Dasdanè, il Racigande, il Berga ed il Leprazzo.

Le acque del Caffaro vengono sfruttate per la produzione di energia idroelettrica.

Torrente molto acquatico con tuffi possibili vista la grande quantità di acqua e profondità delle vasche. Alcuni tuffi li troviamo sul percorso mentre altri si possono creare arrampicandosi sui lati del canyon, l' acqua è abbastanza pulita mentre il greto del torrente un po' meno, non troppo fredda. Torrente fisicamente impegnativo per i lunghi tratti nel letto del torrente e qualche nuotata. Non ha molti passaggi divertenti, le calate sono quasi inesistenti se non un paio obbligatorie, per il resto si riesce a fare quasi tutto senza corda. Arrivati alla diga dove ci aspetta un bel tuffo da una decina di metri siamo quasi arrivati alla fine del canyon. Proseguiamo sul greto e seguiamo il torrente che gira verso destra e sorpassiamo la centrale elettrica, dopo di che ci ritroveremo sotto al ponte in ferro.



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sabato 2 maggio 2015

IL TORRENTE MARGORABBIA

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Il torrente Margorabbia nasce in Valganna (Ponte Inverso) e, percorrendo la valle in direzione nord, attraverso la piana alluvionale detta "Le Comunelle", forma una piccola zona paludosa circondata da ontani, salici, noccioli, frassini e betulle, per poi entrare nel piccolo Lago di Ganna.

Subito dopo attraversa il lago di Ghirla, sempre con direzione S-N. Dopo il centro abitato di Ghirla il Margorabbia piega verso ovest; lambito Cunardo, il torrente si inabissa, in prossimità del Ponte Nativo, in un complesso sistema di grotte, chiamate Pont Niv, Antro dei Morti, Grotte di Villa Radaelli e Grotte del Traforo.
Il torrente riemerge in prossimità di Ferrera, incassato tra forre e pendii molto ripidi; poco dopo si è ormai in Valcuvia e il corso d'acqua muta ancora direzione, scorrendo stavolta verso NO in una valle larga e senza asperità. Dopo aver sfiorato Mesenzana e Grantola, bagna le frazioni montegrinesi di Molino d'Anna, Riviera e Cucco, per gettarsi nel Tresa in prossimità di Germignaga.
Il torrente ha molti affluenti: tra quelli di sinistra i più importanti sono i torrenti Rancina, Boesio e Gesone; tra quelli di destra Boggione, Lisascora e Grantorella. Il Margorabbia, oggi un tranquillo corso d'acqua, nei secoli scorsi e fino agli inizi del Novecento era un torrente impetuoso e turbolento, sempre capace di tenere in apprensione le popolazioni della valle, come ampiamente testimoniato dalla cronache della stampa, che con impressionante frequenza riferiscono di devastanti alluvioni, di ponti travolti dalla furia incontenibile delle acque, di strade interrotte dai detriti trasportati dal Margorabbia e dai suoi affluenti, tra i quali si distinguevano per particolare pericolosità i torrenti Gesone e Grantorella.

Il Margorabbia è un torrente con una grossa portata d'acqua grazie al fatto di attraversare zone umide e carsiche.
Nei secoli scorsi e in parte fino al XX, gli abitanti hanno sfruttato la forza delle acque creando lungo il corso del torrente (o avvalendosi di opportune deviazioni) numerosi magli, molini e opifici.



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IL TORRENTE TRESA

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Il torrente Tresa è l'emissario del Lago di Lugano presso Lavena Ponte Tresa in Italia e Ponte Tresa in Svizzera ed ha la foce nel Lago Maggiore nei pressi di Luino, dove sfocia congiungendosi qualche centinaio di metri prima con il Margorabbia.

Nel punto in cui il lago di Lugano defluisce a formare la Tresa, sorge un ponte e una dogana. Tale ponte unisce/separa Ponte Tresa in Svizzera con Ponte Tresa in Italia, frazione di Lavena Ponte Tresa.

Il corso d'acqua è lungo circa 13 km e costituisce, nella prima metà del proprio corso, il confine tra Italia e Svizzera e, più precisamente, tra la Provincia di Varese ed il Canton Ticino, divenendo tutto italiano nella seconda parte. Il fiume Tresa riceve molti affluenti, tra i quali il più importante è il Margorabbia. Il Margorabbia è uno degli affluenti italiani del fiume Tresa, insieme al torrente Dovrana, al Rio Garzé e ad altri torrenti. Gli affluenti che la Tresa riceve dalla Svizzera sono invece la Lisora, la Pevereggia, il torrente Romanino e altri affluenti minori.

Nel suo breve corso alimenta una centrale elettrica che sfrutta il salto altimetrico tra i laghi Maggiore e di Lugano (nota come diga di Creva). Tale diga è stata costruita anche per regolare la portata del fiume soprattutto durante le piene del Lago di Lugano. In questo modo si può controllare, nei limiti del possibile, il flusso d'acqua che dal Lago di Lugano si versa nel Lago Maggiore, evitando o limitando pericolose alluvioni.

Nel tratto finale, tra Luino e Germignaga, la Tresa scorre in quello che un tempo era l'alveo del Margorabbia, che si immetteva direttamente nel Verbano. Nel '300 la sezione dell'alveo venne allargata per accogliere la portata della Tresa, ben più importante di quella del Margorabbia. Per cui oggi il Margorabbia è considerato un affluente della Tresa.

Attraversa i comuni di Lavena Ponte Tresa, Cremenaga, Luino in Italia, di Ponte Tresa, Croglio e Monteggio in Svizzera.

Dalla località Biviglione fino alla diga di Creva ha le caratteristiche di un bacino idroelettrico e la corrente è lenta, quasi inesistente. La gestione del bacino è dell’Enel.
A valle della diga di Creva diventa un fiume con caratteristiche di torrente di montagna, con corrente veloce fino alla foce del Lago Maggiore.
La pesca dalla riva è consentita con i seguenti attrezzi: una sola canna con o senza mulinello con un massimo di cinque ami o simili, per pescatore con un limite max di dieci minuti.
Su tutto il corso del fiume è vietata ogni forma di pasturazione. E’ consentita la pesca notturna solo per il Bacino di Creva per l’ Anguilla e Bottatrice.
Catture massime giornaliere per pescatore: tre capi complessivi di salmonidi nonché un massimo di cinque chilogrammi per altre specie, ad esclusione della specie Gardon.Le regole della pesca: la misura minima del Luccio sul Fiume Tresa è fissata in cm 45 a monte della Diga di Creva, invece è cm 40 a valle.




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venerdì 1 maggio 2015

IL TORRENTE ACQUANEGRA

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Il Torrente Acquanegra è l'unico emissario del Lago di Monate.

Sfocia nel Lago Maggiore in località Lavorascio (Ispra) dopo aver attraversato i comuni di Travedona-Monate, Biandronno, Bregano, Malgesso, Brebbia e Ispra. In passato le sue acque alimentavano diversi mulini, in particolare nel comune di Travedona-Monate.

Il torrente scorre nell'alta pianura alluvionale attraversando un territorio piuttosto antropizzato e coperto in prevalenza da boschi radi di latifoglie. L'alveo ampio e basso ha un substrato di fondo costituito prevalentemente da sabbia e fango, e si presenta con andamento a meandri, dovuti alla minima pendenza e turbolenza delle acque, che favorisce la formazione di notevoli depositi di detrito organico fine e grossolano.

I dati pluriennali sull'andamento mensile delle portate del corso d'acqua, mostrano un valore di media annua intorno agli 0,73 mc/s ed un regime idrologico di tipo pluviale, con una morbida principale ad aprile-maggio e due periodi di magra, in agosto e dicembre.

Il popolamento ittico del corso d'acqua, non è particolarmente ricco e mostra la predominanza di specie resistenti quali il cavedano e il gobione. La trota fario è presente e rappresentata da individui adulti, frutto dei vari ripopolamenti ittici effettuati nell'ambito della gestione ittica. Di un certo rilievo è la presenza della lampreda padana, specie protetta e in diminuzione nel suo areale di distribuzione.



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lunedì 27 aprile 2015

ARNETTA

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L’Arno, il cui ramo più noto è comunemente chiamato “Arnetta”, è tecnicamente denominato “torrente” proprio perché non ha un regime continuo, talvolta va in secca, ma nei boschi del varesotto costituisce comunque un “unicum”: ha una sua valle, ricca di ricordi e di storia del passato.

L'Arno (detto anche comunemente Arnetta) è un torrente che scorre in Lombardia, attraversando le province di Varese e di Milano, appartenente al bacino del Ticino.

L'Arno nasce presso la frazione Torre San Quirico di Varese, quasi al confine con Gazzada Schianno, e scorre in direzione nord-sud parallelo all'Autostrada A8. Nei suoi primi chilometri di corso l'Arno riceve il torrente Scironna (chiamato anche Scirona), alimentato dal Rubiaga, e il Riale della Trenca, alimentato dal Chiosetto. Successivamente il torrente bagna Albizzate, dove riceve le acque del Fosso Tenore, il suo secondo maggior tributario, che nasce nella zona di Sumirago.
L'Arno attraversa poi Solbiate Arno, Oggiona con Santo Stefano, dove riceve il Riale di Oggiona-Carnago, Cavaria con Premezzo, dove sono presenti alcune vasche di laminazione delle acque per evitare allagamenti a Cassano Magnago e Gallarate. Qui il torrente riceve il suo maggior tributario, il Sorgiorile, che nasce a Besnate nella zona dei fontanili, dalla confluenza di due rogge; una volta formatosi, il Sorgiorile bagna Besnate e la zona nord di Gallarate, passando a valle Crenna.
L'Arno prosegue bagnando Cardano al Campo, Samarate, Ferno e Lonate Pozzolo. A Lonate Pozzolo, nella frazione di Sant'Antonino Ticino, l'Arno costeggia il depuratore Sant'Antonino, uno dei maggiori della Lombardia, che purifica le acque dei comuni del Consorzio Arno Rile Tenore, comprendente anche Gallarate e Busto Arsizio ed il bacino del torrente Tenore con l'affluente Rile. Successivamente, incanalato, scorre fino a raggiungere le vasche di laminazione delle acque tra Castano Primo, Nosate e Lonate Pozzolo.

Il torrente Arno purtroppo se ai tempi era pescoso e addirittura ci si poteva fare il bagno ora anche con gli scarichi di molte ditte che si trovano lungo il suo percorso (una su tutte la Vibram, industria che produce suole di gomma per le scarpe e posta ad Albizzate) ma anche per i tanti rifiuti che purtroppo vi vengono gettati è diventato molto inquinato, sporco e puzzolente tanto che ormai anzichè i pesci non è difficile trovare grosse pantegante. Qualche depuratore è stato messo ma a nulla serve. Forse bisognerebbe anche sensibilizzare la gente innanzitutto a gettare i rifiuti dove vanno gettati e non nei fiumi e nei boschi. Riguardo agli scarichi delle industrie anche qui ci vorrebbe un controllo più mirato de vari enti e amministrazioni che si trovano sul territorio. Oltre a questi problemi il torrente, in particolare in questo ultimo anno 2014 è straripato più volte creando disagi lungo l'Autostrada A8 dei Laghi Milano - Varese e lungo la Statale che collega Gallarate a Varese all'altezza della rotonda di Castronno che porta in autostrada. Anche qui servirebbe una bella pulizia e una costruzione di argini più alti onde evitare altri problemi.

Fino al 2000 le acque del torrente spagliavano nelle campagne tra Castano Primo, Nosate, Vanzaghello e Lonate Pozzolo, creando una grave situazione di degrado ambientale. Tuttavia, negli ultimi anni, sono state create, al confine tra Lonate Pozzolo, Nosate e Castano Primo, le vasche di laminazione e spagliamento controllato delle acque, che si estendono su 28 ettari. Esse evitano lo spagliamento delle acque, evitando così gravi problemi ambientali al territorio di Castano Primo.

Purtroppo, a causa di alcuni malfunzionamenti, e all'inadeguatezza dell'impianto, il tratto che scorre sino al Ticino (unito al Marinone, canale scolmatore del sistema idrico Naviglio Grande-Canale Industriale) è costantemente utilizzato; ciò ha creato numerose proteste da parte degli ambientalisti, poiché l'acqua dell'Arno è assai più inquinata rispetto a quella del Ticino, rischiando così l'inquinamento del fiume azzurro.

A Gallarate l'Arno risulta molto inquinato e la presenza di topi e di rifiuti all'interno dell'alveo è elevatissima; nel gennaio 2013 l'Arnetta si è colorata di grigio presso Gallarate a causa di uno scarico abusivo.



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IL TORRENTE VELLONE

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Il Vellone è un torrente che bagna la città di Varese. Nasce nel Parco Regionale Campo dei Fiori, presso il monte Pizzella, nel massiccio del Campo dei Fiori di Varese, a nord di Santa Maria del Monte.
Il corso d'acqua ha origine da una serie di fonti di origine carsica, la principale delle quali è la Fonte del Ceppo. Il torrente scorre poi in una stretta valle e, a sud della stazione di partenza della funicolare che conduce a Santa Maria del Monte, forma le "marmitte dei giganti", uno dei monumenti naturali del Parco Campo dei Fiori. Successivamente lambisce Velate e Avigno, poi da Masnago inizia a scorrere sotto il livello stradale. Così nascosto attraversa il centro di Varese. Il Vellone ritorna all'aperto nei pressi di Belforte, dopo aver lambito questa frazione di Varese, il corso d'acqua scende nella Valle Olona, dove confluisce nel fiume Olona. Il Vellone è, insieme al Rile-Tenore, il maggior affluente di destra dell'Olona.

Pare che anticamente il Vellone confluisse nel Lago di Varese dopo essersi unito al torrente Valle Luna. Fu in periodo romano che il corso d'acqua fu deviato all'altezza di Masnago, per garantire l'approvvigionamento idrico al borgo di Varese, e quindi condotto ad immettersi nel fiume Olona. Successivamente per difendere il centro abitato dalle piene, il Vellone fu diviso in due rami. Nel corso del XX secolo il torrente fu canalizzato e tombinato sotto il livello stradale, si realizzarono inoltre due scolmatori di piena che attraversano Varese a monte e a valle del centro storico.



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martedì 21 aprile 2015

LE CASCATE DI CITTIGLIO

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Il Parco delle Cascate di Cittiglio è uno dei luoghi più suggestivi della Valcuvia. E' un percorso che risale il torrente San Giulio che nel suo corso forma tre belle cascate. I tre salti d'acqua sono situati alle quote 324, 383 e 474 e sono alte rispettivamente 43, 51 e 56 m. Solo la prima cascata è facilmente raggiungibile. Il sentiero che porta alla seconda e alla terza cascata è interrotto da varie frane e sradicamenti di grossi alberi.  Per evitare che escursionisti occasionali possano trovarsi nei guai sono stati posti cartelli e segnalazioni di divieto di accesso sul sentiero che sale alla seconda e terza cascata.

Dopo Laveno e poco distante dal lago Maggiore, si estende una valle incontaminata con un bosco fitto che protegge le famose Cascate di Cittiglio, un’oasi dalla bellezza selvaggia da assaporare di passo in passo. La difficoltà nel raggiungere le tre cascate dipende dalla folta vegetazione con pini e castagni che nascondono queste acque, oggi tra le più limpide del territorio.

Le cascate nascono dal torrente San Giulio e sono unite tra loro mediante dei percorsi molto suggestivi da fare con estrema cautela e con l’abbigliamento adatto. Se la prima cascata, infatti, si può raggiungere mediante un agile sentiero, ideale da percorrere anche per i più piccoli, per le altre due cascate il sentiero lascia spazio ai boschi con un percorso più ripido fra gli alberi.

Su queste terre e su queste tre cascate esiste anche una leggenda, un racconto che da tempo immemore si tramanda di padre in figlio. Questo territorio, infatti, era ambito dalle legioni romane che volevano impossessarsene per poter attaccare il nemico sul fronte straniero. Le popolazioni del luogo, però, per difenderlo, cercarono di deviare il corso del torrente così da rendere il territorio troppo pericoloso. Un condottiero, Guidon, chiese aiuto al resto del villaggio per creare una diga in legno che fu realizzata in pochissimo tempo. All’arrivo dei romani, poi, la diga doveva essere aperta ma un giovane di nome Cardan, accompagnato dal suo cane, cadde e si ruppe una gamba. Il fedele amico a 4 zampe, intuendo il grande pericolo, abbaiò così da permettere alla popolazione di aprire la diga e salvare il territorio.


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lunedì 20 aprile 2015

VARARO



Vararo è una frazione del comune di Cittiglio, in provincia di Varese, situata a 725 m s.l.m.

Chi vuole vivere la montagna prealpina e scoprirne la bellezza può salire fino alla frazione di Vararo, Adagiato tra sogno e realtà, in una valle che ricorda gnomi, fate e folletti, consegna al turista una molteplicità di umori e fragranze, la possibilità di vivere una dimensione naturale dell'esistenza, lontano dai rumori assordanti del consumismo moderno. La suggestiva frazione di Cittiglio può essere di volta in volta poesia o racconto, studio o ricerca, amabile sintesi di valori usciti dalla bacchetta magica di un genio creativo. Vararo è un'isola felice, un luogo dov'è possibile riconciliarsi con se stessi e con l'ambiente, circondati dai silenzi di una montagna sempre nuova, sempre diversa, una sorta di scrigno che custodisce con cura i suoi tesori. Dai suoi vicoli contigui fino quasi a toccarsi, spiccano corti e portali, cascine, travi, balconi in legno, angoli riservati al silenzio, sentieri che salgono verso il Cuvignone, il Monte Nudo, il Sasso del Ferro, Sant'Antonio, Arcumeggia, zizaganti tra speroni rocciosi che emergono dal verde come la prua di una nave. Vararo è anche luogo scelto di artisti, scultori, amanti di un'antichità lignea che ha caratterizzato la cultura e l'architettura di fine ottocento. E' paradiso di cercatori di funghi, di castagne, di gente che vuole riappropriarsi di un artigianato scomparso, di amanti della natura, di chi è alla ricerca di un modo di vivere più umano. Baite sparse nel verde fanno da cornice alla vocazione narrativa del luogo. Greggi di pecore pascolano sotto l'occhio vigile del pastore, come una volta. Vararo è una bella realtà bucolica che mantiene intatti i suoi caratteri, regalando momenti di quiete e di serenità a chi ama il verde, la montagna, la sua cultura e la sua vita.

Un tempo comune autonomo, venne annesso al comune di Cittiglio nel 1927 (R.D. 12 agosto 1927, n. 2443).

Nel 1977 vi è stato girato il primo episodio del film Tre tigri contro tre tigri, con Renato Pozzetto.

Non é possibile datare i primi insediamenti umani nella zona, o la nascita di un nucleo abitativo perché non esistono i documenti, ma il testo più antico in cui viene nominato Vararo risale all'846, quando il nobile Eremberto concedette i propri terreni a pascolo agli abitanti del paese. Dopo questo documento Vararo rimase dimenticato per secoli, fino al 1558 quando ne vennero elencati i beni nel catasto di Carlo V. Nel 1636, i Lavenesi, spaventati dalla pericolosa e distruttiva avanzata francese, si rifugiarono a Vararo in massa portando con loro numerosi capi di bestiame (dai documenti sembra fossero più di duemila); questo arrivo improvviso, rese insufficienti i viveri ed il foraggio. Oltre a problemi di tipo alimentare si crearono anche problemi igienici, infatti per il gran numero di persone ed animali si scatenò una devastante epidemia di peste che decimò la popolazione. Tra la fine del 19° secolo e l'inizio del 20° si é raggiunto il picco storico di popolazione, con circa 300 abitanti, il cui numero però diminuì con la partenza dei ragazzi per vivere in altri paesi o per la 1° guerra mondiale, ormai alle porte.

Durante il ventennio fascista, nel 1927, Vararo, fino ad allora comune indipendente, venne annesso a quello di Cittiglio, come é tutt'oggi. negli anni della 2° guerra mondiale le montagne ed il paese divennero rifugio per i partigiani e, allo stesso tempo, vennero raggiunte dai nazisti. Infine nel 1986, Vararo é in tutto e per tutto parte di Cittiglio anche nella parrocchia.

La zona di Vararo gode di una biodiversità che spazia tra molte specie di animali e vegetali, al contrario della maggior parte delle zone abitate. Questa situazione è dovuta soprattutto alla presenza delle ampie zone boschive a ridosso dell'abitato, portando molti animali anche lungo le vie del paese.

Sono molto comuni scoiattoli e ghiri, che è facilissimo vedere correre tra i rami degli alberi e sui fili; inoltre è facile vedere, soprattutto nelle ore serali o mattutine, animali quali cervi, caprioli, cinghiali, mufloni e anche volpi o faine, o persino qualche lepre selvatica. oltre ai più comuni merli, passeri, pettirossi e tutte le specie di uccelli tipiche delle zone boschive, è facile notare anche falchi, poiane, civette e i piccoli codarossa. Oltre a questo accenno alla vita animale del posto (perchè la lista è esageratamente lunga), è utile sapere che è possibile incontrare orbettini, le cosiddette "ratere",serpenti non velenosi di media lunghezza di colore scuro, e vipere.

Anche nella flora si può spaziare tra moltissime specie, dai comuni faggi e castagni, fino ai cespugli di more e lamponi, passando per le tante varietà di fiori quali primule ,violette, segnatempo e molti altri.

L'attenzione di molte persone che vengono a visitare questa zona è invece focalizzata sulla gran varietà di funghi quali porcini, chiodini, mazze di tamburo, gambette, amaniti di tutti i tipi.

Il roseto di Vararo è un vecchio cascinale, situato a circa 500 m dal paese, che è stato ristrutturato e trasformato in edificio abitativo. Nel 1996 Martinello Dario, l'attuale proprietario, lo comprò, lo restaurò e si trasferì qui. Il terreno circostante all'edificio venne pulito dai rovi che l'avevano invaso, per coltivare la passione verso le piante (non solo in senso metaforico), fino ad arrivare ai quasi 3000 esemplari, tra rose e moltissime altre piante, che popolano il roseto. Le piante sono curate in maniera particolare dai proprietari  che assicurano loro diverse concimazioni l'anno (il terreno in quella zona è particolarmente roccioso) e molti altri trattamenti per mantenere le piante belle e rigogliose.

Una forte attrattiva per molti turisti è il "rally dei laghi", che annualmente corre sulla Strada Provinciale 8, tra Vararo e Castelveccana. Alla gara partecipano spesso auto di tutti i tipi, anche auto d'epoca, ma generalmente vetture di piccole dimensioni, più facili da controllare sulle strade strette.

La chiesa di San Bernardo è stata edificata nel 1796, dopo le continue suppliche degli abitanti del paese per la ristrutturazione della vecchia, all'ora in uno stato disastroso. E' posizionata in una posizione periferica rispetto all'abitato. La struttura architettonica è molto semplice, sviluppata su un'unica navata con una piccola abside semicircolare. Il campanile è addossato all'edificio e le campane sono ancora quelle della chiesa preesistente. All'esterno del portone principale è stato costruito un portico sorretto da due colonne e decorato da un affresco di san Bernardo. Altre decorazioni ad affresco sono posizionate sul lato esterno e all'interno sulla campata e sull'abside. In posizione retrostante all'altare si trovano le statue di San Bernardo, della Madonna con in braccio Gesù e di San Giuseppe. Ogni anno, nel mese di Agosto, si tiene la festa del santo patrono, alla quale, negli anni passati, partecipavano anche gli abitanti di Laveno, Cittiglio e di altri paesi.

Il parco giochi si trova in un'area sottostante alla chiesa e vi sono poste diverse giostre e anche dei tavoli per pranzare. La zona in cui adesso si trova il parco era ricoperta da rovi e arbusti e, solo grazie al lavoro degli abitanti del paese, è stata ripulita e vi sono state poste le giostre donate dall'associazione di Cittiglio "Amici di Vararo". Il parco è stato inaugurato nel 2005, dedicato a Diego Turuani, ragazzo deceduto negli anni novanta all'età di 19 anni per un incidente stradale.

La Madonnina è una statua rappresentante la Madonna, posizionata su un sasso a forma di torre (Sass de Turesela). Questa statuetta si trova nella località del Rü de Sela, punto d'incontro dei sentieri a nord ovest della Val Buseggia. La Madonna, posta in una zona sopraelevata al paese, ha lo sguardo rivolto verso esso, come a volerne proteggere gli abitanti. Il Rü de Sela è distante dal paese all'incirca 500 metri, quindi anche la Madonnina è facilmente raggiungibile attraverso un sentiero che inizia dalle ultime case del paese.

Il torrente San Giulio nasce dalla Fontana Mora, ultimi resti del Lago Moro, e scorre fino a valle, per confluire nel Boesio, a Cittiglio. Il torrente dà vita alle tre famose cascate di Cittiglio, che scendono a strapionbo lungo la valle scavata dallo stesso fiume. Nelle sue acque, come in quelle dei suoi affluenti, si possono trovare moltissime specie di animali, da insetti (per la maggior parte larve) a pesci (come trote e alborelle) e anfibi (principalmente girini di rane, rospi e salamandre).



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domenica 19 aprile 2015

IL CIVICO MUSEO PARISI VALLE A MACCAGNO

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Il Parisi-Valle di Maccagno è il “museo-ponte”. Un nome che deriva dalla struttura architettonica progettata da Maurizio Sacripanti che ha particolare valenza simbolica perché unisce Maccagno Superiore e Maccagno Inferiore, fino a quel momento divise dal fiume Giona. L'idea di fondare un museo così avveniristico a Maccagno, piccolo comune della provincia di Varese che conta soli 2200 abitanti, iniziò a prendere corpo nel 1977. Quando Giuseppe Vittorio Parisi, un artista nato a Maccagno nel 1915, una volta divenuto docente e operatore di ricerca visiva, tornò nel suo paese natale per una vacanza. Rimase talmente affascinato dall’ambiente che iniziò subito a dare corpo all’idea di creare un museo che fosse portatore già nella sua struttura di un messaggio culturale. Nel 1998 ne fu ultimata la costruzione e nel 1992 il "museo-ponte" ottenne il "Premio Nazionale IN/ARCH 1991-92 per un complesso edilizio direzionale, culturale e di servizio". Un riconoscimento prestigioso assegnato da una commissione giudicatrice composta dagli architetti Giuliano Gresleri, Sergio Lenci, Manfredi Nicoletti, Enzo Zacchiroli e Bruno Zevi. Particolarità dell’edificio è quella di riuscire a intrecciare elementi naturali (acqua, aria, cielo, alberi) e renderli materiali costruttivi dell'architettura. Il progetto di Maccagno di Sacripanti si collega ad altri celebri lavori dell’artista, tutti testimonianza del piacere per la mutazione, l'invenzione continua, l'oscillazione tra razionalismo e organicismo, l'incompiuto e la creazione aperta. La collezione permanete, donata da Parisi-Valle, comprende complessivamente 2085 opere, tra cui spiccano le firme di Guttuso, Balla e Birolli. In questi anni il museo non ha smesso di crescere e ha acquisito Morandini, Tadini, Rognoni, Longaretti. Ogni anno, inoltre, il museo ospita quattro o cinque mostre che portano i riflettori sulla struttura e allargano il respiro della collezione permanente.

Le 2085 opere presenti si dividono in 915 grafiche, 439 bidimensioni e 325 tridimensioni e rappresentano una gran parte della produzione artistica italiana intercorsa tra gli anni Trenta e Ottanta del secolo scorso.

Oltre alle opere di Parisi, rivolte all’arte informale e alle arti visive, il Museo espone disegni, dipinti e sculture di artisti dell’avanguardia artistica del calibro di Balla, De Chirico, Picasso, Fiume, Guttuso.

Numerose sono inoltre le manifestazioni culturali e artistiche che si susseguono durante tutto l’arco dell’anno, tra queste la manifestazione annuale “Acquisizioni”, in occasione della quale vengono presentate le nuove opere che verranno successivamente conferite al Civico Museo di Maccagno.







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IL TORRENTE GIONA

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Il Giona è un torrente che nasce dal Monte Tamaro, nel Canton Ticino in Svizzera nella Valle della Grassa di Dentro, a più di 1800 metri s.l.m. Dopo circa 2 km entra in territorio italiano, a quota 665 metri s.l.m. in provincia di Varese, nel comune di Veddasca. Attraversando una stretta gola, correndo lungo la Val Veddasca, possiede una pendenza media del 4,5% nei suoi 10,2 km di lunghezza, sfocia nel lago Maggiore a quota 193 metri s.l.m. nel comune di Maccagno, all'altezza del Parco Giona. Attraversa i comuni di Indemini in Svizzera e di Veddasca, Curiglia con Monteviasco, Dumenza e Maccagno in Italia. Durante il suo percorso tra le montagne coperte di boschi, riceve numerosi torrenti che contribuiscono ad aumentarne la portata mentre l'elevata pendenza dell'alveo rende le sue acque turbolente caratterizzate da un substrato di massi e ghiaia. Alcuni di questi torrenti sono il Laveree, il Ri, il Viascola o Viaschina e il Crana. La relativa abbondanza di portata solida, quindi, va a costituire vasti depositi alluvionali alla foce.

Il torrente Giona riveste particolare importanza dal punto di vista ittico per la qualità del suo habitat fluviale che ospita prevalentemente Salmonidi, Ciprinidi e Cottidi, in particolare trota fario, temolo, cavedano, vairone e scazzone.

Parte della portata del torrente viene sfruttata a fini idroelettrici, con due derivazioni. Il secondo impianto, in particolare, deve alimentare una centrale idroelettrica per la produzione annua di 3.500.000 kWh, con una tubazione in acciaio del diametro di 1,2 metri. L'impianto utilizza un dislivello di 40 metri per una portata media stimata di 3 metri cubi al secondo.

La qualità delle sue acque è moderatamente alterata dall'esistenza di inquinamento organico.


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LE CITTA' DEL LAGO MAGGIORE : MACCAGNO

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Maccagno è un ex comune italiano della provincia di Varese in Lombardia, dal 4 febbraio 2014 frazione del comune di Maccagno con Pino e Veddasca (di cui è sede municipale).

Il paese vanta una storia del tutto particolare, che ne ha fatto per quasi un millennio un'entità giuridica di natura quasi statale.

Per comprendere la storia di Maccagno bisogna innanzitutto considerare l'elemento di divisione geografica del nucleo urbano, escluse quindi le frazioni esterne, rappresentato dal torrente Giona. Il primo insediamento abitativo si sviluppò sul lato meridionale del fiume, e fu questa Maccagno ad accogliere, nel 962, l'imperatore Ottone I, impegnato nelle guerre di dominio contro il Re d'Italia Berengario I. Se è forse da ascrivere a leggenda il fatto che i maccagnesi addirittura salvarono la vita all'augusto sovrano nel corso di una tormentata traversata del Verbano in cui la barca dell'imperatore sarebbe stata sorpresa da un temporale, è certo che il soggiorno di Ottone in paese fu tanto ben allietata dagli abitanti che alla località fu concesso un diploma che la definì "curtis imperialis", autonoma e sovrana e successivamente concessa ai conti Mandelli.

Nel Basso Medioevo la crescita edilizia del villaggio portò le prime case edificate a nord del Giona, che tuttavia segnava il limite del territorio privilegiato concesso da Ottone: fu così che si originò quell'originale divisione in cui Maccagno visse per quasi mille anni. A sud del Giona prosperò Maccagno Inferiore o Maccagno imperiale, comune libero imperiale che godette di totale autogoverno amministrativo rispetto alle varie autorità che si avvicendarono nei secoli, e che ingaggiò con i sovrani di Milano una mai risolta lotta nel rivendicare addirittura un autogoverno politico; a nord del Giona si evolse invece il Comune di Maccagno Superiore, un normalissimo municipio che seguì le vicende secolari della Pieve di Val Travaglia in cui era inserito.

Nel 1622 Giacomo III Mandelli - conte di Maccagno imperiale - ebbe dall'imperatore Ferdinando II la conferma del diritto di coniare monete nel suo feudo, già riconosciuto da Carlo V. Nel 1692 Carlo Borromeo, marchese di Angera, acquisì il feudo da Gian Battista Mandelli e mantiene la concessione imperiale del diritto di zecca fino alla soppressione dei feudi imperiali nel 1798 con il marchese Giberto Borromeo (1778-1837). Fu infatti l'arrivo di Napoleone a cancellare la peculiare condizione di Maccagno: seguendo i dettami politici e ideologici della Rivoluzione francese che vedevano nel feudalesimo un retaggio anacronistico del Medioevo, il generale corso fece anche di Maccagno Inferiore un normale comune della Repubblica Cisalpina, abolendone ogni privilegio ed autonomia.

La cancellazione del feudo imperiale non coincise però con quella delle autorità comunali, dato che gli austriaci al loro ritorno nel 1815 emanarono un decreto, anch'esso ispirato da motivi ideologici seppur contrapposti a quelli napoleonici, che riportò tutti i comuni della Lombardia alla loro giurisdizione esistente vent'anni prima. Le due Maccagno continuarono dunque la loro vita separata, e come tali sopravvissero anche dopo l'unità d'Italia. Fu il fascismo a chiudere definitivamente un anacronismo storico, riproponendo i decreti napoleonici che erano stati cancellati dagli austriaci: fu così che nel 1927 Maccagno Superiore annesse Maccagno Inferiore, come pure Campagnano, Garabiolo e Musignano, divenendo successivamente e semplicemente Maccagno.

Durante la Seconda guerra mondiale, nel periodo dell'occupazione tedesca e della Repubblica Sociale Italiana, il maresciallo dei carabinieri Enrico Sibona, nato a Torino nel 1904 e in servizio a Maccagno dal 1939 al 1946, protesse dalla deportazione alcuni ebrei lì residenti, favorendo la loro fuga. Tradito da un delatore, Sibona fu internato in un campo di concentramento tedesco dal quale a stento sopravvisse. Per questo suo impegno di solidarietà, pagato a così caro prezzo, il 4 ottobre 1992, l'Istituto Yad Vashem di Gerusalemme ha conferito al maresciallo Sibona l'alta onorificenza dei giusti tra le nazioni.

Nel 1955 ha ceduto la frazione di Colmegna al comune di Luino.

Dal 4 febbraio 2014, a seguito di un referendum consultivo tra la popolazione, il comune di Maccagno è stato sciolto ed è confluito, insieme con quelli di Pino sulla sponda del Lago Maggiore e Veddasca nel comune di Maccagno con Pino e Veddasca.

Il borgo, sino a qualche decennio fa, era diviso in Inferiore e Superiore dal torrente Giona: i due paesini avevano vita amministrativa autonoma; ancora adesso la differenza fisica dell'impianto urbanistico è rilevante. Caratteristica la Contrada Maggiore, il nucleo antico del borgo, dalle strette viuzze gremite da case addossate, dominata da una Torre imperiale e dal piccolo santuario della Madonnina della Punta (sec. XVI), sorretto da poderose arcate, a balcone sulla scintillante distesa del lago: da qui si scorgono i Castelli di Cannero, posti su di un isolotto poco discosto dalla riva piemontese.
L'abitato di Maccagno superiore, più moderno, è sede del Municipio. Degna di nota la Casa Branca, con cortile a loggiati. Ma ciò che conquista di Maccagno è il panorama mozzafiato, che consente di spaziare su quasi tutto il Verbano: dalle vette del Canton Ticino, al golfo Borromeo. La spiaggia, creata dal Giona, è introvabile altrove, per la lunghezza e la profondità: è un luogo privilegiato, tra i molti splendidi centri turistici del Verbano. Per ammirare tali bellezze, ogni anno, migliaia di turisti arrivano a Maccagno; li ospitano diversi alberghi, due campeggi attrezzati e numerose case per vacanze.
A partire dal 1979 in un avveniristico edificio-ponte gettato sul Giona è stato realizzato il Civico Museo Parisi Valle, che ospita la collezione d’arte moderna donata dal suo ideatore: Giuseppe Vittorio Parisi. Fra le manifestazioni ricorrenti, il “risotto con luganega” che si può gustare ogni Carnevale. Recentemente il Comune dispone, anche per gli eventi e le manifestazioni cittadine, di un edificio polifunzionale, il Parco delle Feste.
Nel 1971 entra in funzione la Centrale elettrica di Roncovalgrande (centrale ENEL), situata lungo la statale 394, a nord dell'abitato di Maccagno, alimentata dalle acque del Lago Delio: è possibile visitarla su prenotazione.

Da Maccagno partono diversi sentieri che si snodano nelle valli circostanti: sono descritti in base alla lunghezza, al grado di difficoltà e all’abilità richiesta. Alcuni di essi sono percorribili in mountain bike. Le cartine dei sentieri sono reperibili presso l’ufficio turistico locale. Chi predilige gli sport acquatici deve sapere che il paese rappresenta uno dei migliori campi di regata dell'intero Lago Maggiore, la posizione ventilata rende inoltre lo specchio d'acqua antistante il borgo uno dei luoghi favoriti per gli amanti del windsurf e della vela. Per i pescatori è utile sapere che il comune ospita una società di pesca sportiva, denominata “La Madonnina”.



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giovedì 19 marzo 2015

LA SORGENTE NOSSANA

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A 500 metri di quota in Valle Seriana c'è l’impianto dell’acquedotto della Nossana (il nome geografico esatto è quello di Val Dossana), il principale dei tre che porta l’acqua alla città di Bergamo.

La sorgente Nossana secondo i parametri dell’Asl è quella più «dolce» ossia con una minor concentrazione di calcio e magnesio e quindi consigliata a tutte le fasce d’età della popolazione.

La sorgente Nossana, con la sua portata di 1.000 litri al secondo, garantisce il rifornimento idrico di Bergamo e del territorio circostante.
Negli anni 1971-75 sono state realizzate le opere di captazione e trattamento delle acque, posando inoltre una condotta di acciaio di 900 mm di diametro, lunga circa 30 chilometri, che alimenta un anello idrico a sud della città di Bergamo.

La Nossana è un torrente che scorre laterale alla Valle Seriana, nella provincia di Bergamo in Lombardia.
Nasce dal massiccio del Pizzo Arera, nelle Prealpi Orobiche e, dopo aver ricevuto le acque del tributario torrente Gorgolina, confluisce dopo 7 km da destra nel Serio a Ponte Nossa.

Il torrente per gran parte del proprio corso è soggetto a fenomeno di carsismo, tanto che riemerge soltanto in rarissimi casi dopo piogge molto abbondanti, e funge da confine amministrativo tra i comuni di Parre e Premolo. Soltanto nel tratto conclusivo, a 500 metri dalla foce in territorio di Ponte Nossa, le acque affiorano dal sottosuolo per formare un fiume vero e proprio.

L’importanza di questo corso d’acqua è legata sia alla presenza di numerosi magli che, posti al termine del proprio corso, in concomitanza con l'abitato di Ponte Nossa (ora dismessi ma trasformati in museo), nel corso dei secoli garantirono prosperità al paese di Ponte Nossa.


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