venerdì 27 febbraio 2015

LEGGENDE MILANESI

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Tra le numerose leggende meneghine, le più gettonate sono quelle riguardanti i fantasmi. Una di queste riguarda lo spettro più famoso della città, ossia la Dama Nera. Molte testimonianze narrano che nelle sere di nebbia, quando Parco Sempione è ormai deserto capita di sentire odore di violette. Pochi istanti dopo una figura indistinta appare in lontananza e comincia in modo rapido ad avvicinarsi. Una volta vicina si notano il vestito lungo nero che avvolge la figura e un velo oscuro che ne copre il viso, avvicinandosi sempre più con passo elegante, è sempre più chiaro che sotto tali vesti si nasconde una donna bellissima. La donna una volta giunta a pochi centimetri dell'avventore le porge la mano gelida, chi la raccoglie viene trascinato in sentieri nascosti del parco, dentro una nebbia sempre più fitta, fino a raggiungere una grande villa. All'interno di tale villa la Dama si concede all'avventore, solo dopo l'uomo trova il coraggio di alzare il velo, scoprendo così un teschio con le orbite vuote. La scoperta tremenda fa fuggire tutti gli uomini dalla Dama in nero, che mai cerca di trattenerli, sapendo che sarebbero sempre tornati a cercarla. Secondo la famosa leggenda tutti gli uomini vittima della Dama perdono il senno e conoscono un amore così forte da portarli alla follia, trascorrendo la loro vita a cercare di ritrovare la grande villa in cui avevano ballato con la Dama oscura.

Altre leggende narrano la storia di processioni di anime disperate, queste riconosciute come spettri dei catari, bruciati vivi in Corso Monforte perché considerati eretici. Troviamo leggende di donne bruciate vive considerate streghe, antichi uomini malvagi che nel passato si aggiravano tra le vie della città meneghina o infine del fantasma dell'Opera che perseguita presso il teatro della Scala chiunque si rechi ad assistere agli spettacoli senza intendersi di musica lirica.

Appena fuori dalla Basilica di Sant'Ambrogio, sul suo lato sinistro, si trova una colonna di epoca romana. La leggenda vuole che Sant’Ambrogio, Vescovo di Milano nel IV secolo, fosse alle prese con i molteplici tentativi del Diavolo di farlo cadere in tentazione. Esasperato dai suoi continui fallimenti, Satana provò infine a trafiggere il Santo con le corna, mancando però il bersaglio e finendo per conficcarsi nella colonna. Dopo aver provato per lungo tempo a liberarsi, si trasformò in zolfo e scomparve. Per questa ragione, secondo la tradizione, avvicinandosi ai fori si sentirebbe odore di zolfo, mentre appoggiandoci sopra l’orecchio si può sentire il rumore dello Stige, il fiume dell’Inferno. Non solo: la notte prima della domenica di Pasqua, si può vedere un carro, guidato da Satana in persona e diretto negli Inferi, che conduce le anime dei dannati destinate a passare l’eternità all’Inferno. Nel quarto secolo la zona dove ora sorge la basilica era un cimitero.

Gli Angeli e i Santi, posti a protezione delle mura e delle porte di Milano dagli antichi arcivescovi, hanno dovuto lavorare parecchio non solo nel Medievo, ma anche nei secoli successivi fino alle Cinque Giornate del 1848,  quando i Milanesi sfondarono a Porta Tosa, o fino all’agosto del 1943, quando si trovarono forse impreparati davanti ad una minaccia che veniva dal cielo. Molti furono gli eserciti nemici accampati fuori Milano: qualcuno riuscì ad entrare, altri non vi riuscirono, ma i protettori della città, invocati ogni anno nelle Litanie Triduane, fecero sempre del loro meglio per limitare i danni o almeno per aiutare i superstiti a risollevarsi.

Dove riuscirono meglio nel loro compito, fu nella protezione dalle insidie della Natura - acqua, fuoco, terremoti, belve - dalle quali Milano è stata egregiamente preservata. Il drago di Porta Venezia, è vero, fece morire centinaia di persone con il suo fiato pestilenziale, ma fu subito ucciso dall’ingegnoso funzionario pubblico Uberto Visconti. L’opera dei protettori fu ancora più meritoria se pensiamo a com’era il territorio che circonda la città sino a due secoli fa, infestato da banditi e da un’altra razza dimenticata di predatori: i lupi.

La battaglia contro i lupi fu piuttosto dura e impensierì più volte le autorità laiche e religiose, raramente però nei secoli passati i lupi hanno portato la loro minaccia alle porte di Milano.  Grazie all’attento e minuzioso studio di Maria Comincini pubblicato nel 1991 possiamo conoscere meglio il paesaggio milanese, quando al posto di automobili, TIR ed aerei, sfrecciavano cervi, caprioli, lupi.

In questo ambiente, esterno ed estraneo alla città, i lupi erano numerosi e spadroneggiavano senza infastidire molto l’altro e più forte predatore: l’uomo. Soltanto nei periodi di carestia le due specie venivano allo scontro, ed era in genere il lupo che attaccava. Lo studio sopra menzionato riporta molti dati su questa guerra, relativamente agli ultimi secoli e nelle diverse province lombarde. Ho estratto da quell’elenco gli avvenimenti più rilevanti svoltisi non troppo lontano da Milano per poter inquadrare meglio l’evento più significativo,  ancora oggi ricordato in molte pubblicazioni: quello della Bestia Feroce.

La più antica storia di fantasmi, tra le poche che sono state raccolte, risale alla seconda metà del XIV secolo e riguarda Bernarda, figlia naturale di Bernabò Visconti. Rinchiusa nella Rocchetta di Porta Nuova per adulterio, Bernarda morì dopo pochi mesi per riapparire più volte come fantasma, prima a Bologna e poi nel chiostro di S. Radegonda a Milano. Il padre, da buon milanese, pensò più semplicemente che fosse riuscita a fuggire. Fece riesumare il cadavere e svolse accurate indagini, ma il mistero rimase.

Nel Seicento Carlo Torre racconta una bellissima storia, da lui vissuta in prima persona nella sua chiesa di S. Nazaro in Brolo:

 “Ma non potrei partirmi da questa moderna Fabbrica [la cappella di S. Matroniano], se prima non vi narrassi un’avvenuto prodigio nello smantellare dell’antica Cappella. Eransi qui dinanzi radunate tutte quelle Panche da voi vedute ora disposte in determinati siti, per rendere disimpacciata la Chiesa al lavorio, che si faceva per la nuova Erezione, quando al disfacimento delle vecchie muraglie videsi distesa per ogni dilungata sedia gran massa di polvere, atta à ricevere qualsisia impronta d’appoggiato oggetto: Una mattina all’aprire della Chiesa furono osservate nelle polverose Panche varie forme di disuniti Scheletri d’umane persone, quivi dimorando una Coscia, ivi dilungandosi una gamba, in altro sito veggendosi sdentata una faccia, poco distante riposandosi ravvoltato teschio, più da vicino allargandosi una spalla con il braccio contiguo, per un lato mirandosi un’ossatura di stomaco, tenendosi appresso distesa una schiena, doveche da sagge persone contemplata scena si lugubre, tennesi per prodigioso successo; fecersi coteste figure visitare da periti disegnatori, se mai con grande astuta vi havesse l’arte per ingannar gli occhi trafficata sua mano, fù conchiuso non potere umano ingegno giungere à delineamenti così perfetti: mentre stavasi considerando il fatto, quasiche non desiderasse memorabile la Fama, benche si fosse prodigioso, dispersesi ogni forma apparsa, lasciando per autentico raccordo, che tien poca durevolezza ciocche vien registrato nella polvere. Considerate voi se tal’accidente hebbe ardire di paventare tutti noi Calonaci, e me in particolare; s’impiegassimo subito in pubblici solenni suffragij, giudicando, che gli spiriti di que’ raffreddati Carcami n’havessero duopo; suffragati, che si furono, niuna altra novità mai più si vide.”

Nel Seicento i fantasmi si presentano dunque come scheletri che si divertono a disegnare ogni loro parte (anche l’ossatura di stomaco) sulle panche impolverate della chiesa. Il Torre, da bravo Canonico, sa comunque come evitare altri incontri con gli “spiriti di que’ raffreddati Carcami”: alcune messe solenni di suffragio, e il problema è risolto.

Neanche un milione di messe di suffragio avrebbe potuto far sparire il fantasma di Carlo Sala dai dintorni del suo luogo di sepoltura, che si trovava dalle parti del Foppone di Porta Vercellina, oggi piazza Aquileia. Carlo Sala era stato giustiziato in corso di Porta Tosa (oggi Verziere) il 25 novembre 1775 come ladro sacrilego per aver spogliato 38 chiese nelle campagne del Milanese. Poiché in punto di morte non aveva voluto dar segni di pentimento, venne sepolto in luogo sconsacrato. La ferma resistenza opposta dal condannato alla conversione e all’assunzione dei Sacramenti fece grande scalpore. Tranne alcuni rari miscredenti “volterriani”, tutti pensarono che la sua anima sarebbe stata certamente dannata. Per questo quel luogo per molto tempo fu ritenuto infestato dal suo spettro. L’avanzata di case e strade nella zona ha cancellato anche il ricordo di questa paura.

Nell’Ottocento romantico i fantasmi sono numerosi in letteratura, rari nella vita. La storia della bellissima Antonietta Fagnani Arese che compariva nelle notti di luna al balcone di Palazzo Arese in corso Venezia è così vaga da sembrare essa stessa un fantasma. Forse però questa storia ha i suoi segreti cultori: quando dopo l’ultima guerra Palazzo Arese è stato demolito, qualcuno ha salvato uno dei suoi balconi neoclassici e l’ha ricollocato sulla nuova facciata moderna, forse sperando nel perpetuarsi delle apparizioni.

Ancora più gentile fu lo spirito di Tommaso Marino che offrì tre numeri da giocare al lotto al bisnonno dell’architetto Paolo Mezzanotte. I numeri erano comparsi in sogno sotto la cornice dell’antico ritratto del banchiere che era nella sagrestia di S. Marco. Non essendo certo di averli letti bene, andò due giorni dopo a controllare e, sollevando la cornice, lesse chiaramente: 62-44-56. Purtroppo, dopo averli giocati per due sabati, non riuscì a giocarli per la terza volta quando naturalmente uscirono. Più tardi, per convincere gli amici increduli della sua storia, andò con loro in S. Marco, ma i numeri sotto il ritratto erano scomparsi. Oggi anche il ritratto è scomparso dalla sagrestia. Lo tiene al sicuro il parroco forse per sottrarlo all’eccessiva curiosità dei giocatori.

“Maestorum refugium, Deus, tribulantum consolator, clementiam tuam suppliciter exoramus, ut afflictis oppressione gentium auxilium tuae defensionis impedens eripere nos, et salvare digneris. Tribue, quaesumus, fortitudinem fessis, laborantibus opem, solatium tristibus, adjutorium tribulatis. Circumda civitatem hanc virtutis tuae praesidio, et omnes in ea manentes immensae pietatis tuae defende juvamine. Pone in muris et portis ejus Angelorum custodiam, salutis ancilia, munitionem omnium sanctorum tuorum: ut qui pro peccatis nostris juste affigimur, de sola misericordia tua confidentes, miserationis tuae munere adjuvemur. Quatenus a pressura hac, quae nos circumdedit, erepti liberis tibi mentibus gratia agentes servire possimus. Per Dominum nostrum ...”

Questa drammatica invocazione affinché le mura e le porte della città fossero poste sotto la custodia degli Angeli e di tutti i Santi, veniva recitata dai Milanesi penitenti in ciascun Carrobio che si trovava accanto alle sei porte della città durante le Litanie Triduane.

Le Litanie o Rogazioni Triduane si svolgevano dal V secolo con modalità diverse da città a città. Anche se i Milanesi vantavano la priorità dell’istituzione di questo rito che dicevano fondato dal vescovo Lazzaro nella prima metà del V secolo nell’imminenza dell’arrivo di Attila, in genere si pensa che siano state istituite, o meglio riorganizzate, nella seconda metà del secolo da Mamerto, vescovo di Vienne, quando questa città era “ridotta a condizione infelicissima pei frequenti terremoti, per gl’incendi, e per il guasto, cagionato ai contorni di essa dai cervi e dai lupi, che moltiplicati si erano a dismisura.”

Questo rituale, che doveva rassicurare i cittadini minacciati da pericoli provenienti dall’esterno, si svolgeva nei tre giorni seguenti la domenica successiva alla festa dell’Ascensione, che cade generalmente alla fine di maggio. I fedeli, dopo l’imposizione delle ceneri, si muovevano in processione dalla cattedrale verso le porte della città, che dovevano essere tutte raggiunte nell’arco dei tre giorni. Essendo un rito penitenziale, si doveva osservare il digiuno (solo pane e acqua), vestire abiti semplici e in origine anche andare scalzi. Ogni città aveva un proprio itinerario e preghiere adeguate alle chiese e ai santi che si trovavano sul percorso. La preghiera usata a Milano davanti alle sei porte è quella citata all’inizio, che rinvia ad una forte minaccia esterna e alla grave prostrazione dei cittadini. Oltre alla città, anche i paesi delle campagne lombarde celebravano questo Triduo sostituendo nella preghiera le parole “civitatem istam” con “plebem istam” e “muros nostros” con “fines nostros”.

In seguito le Litanie Triduane, specialmente quelle campestri, si trasformarono in feste molto scomposte tanto da far sorgere lamentele da parte dei monasteri che venivano attraversati da queste folle che percorrevano i campi “con tamburi o qualch’altro grossolano strumento siasi imitato il rombo del tuono, accompagnato poi da urla e schiamazzi, coi quali avrà forse creduto quella buona gente di fugar in tal guisa le aeree infeste podestà.” Anche a Milano le Litanie assunsero un carattere di festa della fertilità: per scongiurare le carestie si ponevano alle finestre vari tipi di pietanze tanto che ben presto furono chiamate le processioni “delle lasagne”.


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