« Il Fascismo è una grande mobilitazione di forze materiali e morali. Che cosa si propone? Lo diciamo senza false modestie: governare la Nazione. Con quale programma? Col programma necessario ad assicurare la grandezza morale e materiale del popolo italiano. Parliamo schietto: Non importa se il nostro programma concreto, non è antitetico ed è piuttosto convergente con quello dei socialisti, per tutto ciò che riguarda la riorganizzazione tecnica, amministrativa e politica del nostro Paese. Noi agitiamo dei valori morali e tradizionali che il socialismo trascura o disprezza, ma soprattutto lo spirito fascista rifugge da tutto ciò che è ipoteca arbitraria sul misterioso futuro. »
(Benito Mussolini, 19 agosto 1921 - Diario della Volontà)
Il termine fascismo deriva da Fasci di combattimento fondati nel 1919 da Benito Mussolini, origine etimologica dalla parola fascio (in lingua latina: fascis). Il riferimento era ai fasci usati dagli antichi littori come simbolo del potere legittimo, e poi passati ai movimenti popolari e rivoluzionari come simbolo di unione dei cittadini (per tale motivo, il fascio è tutt'oggi presente nei simboli e panoplie nazionali americani e francesi). L'ascia presente nel fascio simboleggiava il supremo potere di ius vitae necisque, diritto di vita o di morte, esercitato solo dalle massime magistrature romane, mentre le verghe erano simbolo dell'ordinaria potestà sanzionatoria, e materialmente usate dai littori per infliggere la pena (non capitale) della verberatio (fustigazione).
Il richiamo ai fasci va inoltre letto come un esempio dell'innegabile fascino che il mito di Roma esercitava sul fascismo, il quale di fatto tentò una restaurazione degli antichi fasti imperiali romani, e giustificò la sua politica espansionistica alla luce di una missione civilizzatrice del popolo italiano, erede di Roma.
Nell'ambito storiografico italiano il termine "fascismo" è usato soprattutto in riferimento al regime di governo e all'ideologia promossi e attuati da Benito Mussolini tra il 23 marzo 1919 e il 28 aprile 1945. Tale posizione è sostenuta anche da numerosi storici di formazione non-angloamericana.
Alcuni storici ritengono improprio l'utilizzo del termine "fascista" in riferimento alla Germania nazionalsocialista e ai regimi autoritari formatisi in Europa negli anni trenta e quaranta, considerati derivazioni del caso nazista più che di quello fascista (se si eccettuano il Portogallo di António de Oliveira Salazar, la Grecia di Ioannis Metaxas e il cosiddetto Austrofascismo, che tuttavia presentano somiglianze più che altro superficiali col fascismo italiano) o casi a sé stanti (come per la Spagna di Francisco Franco, il cui movimento e regime sono definiti Franchismo per distinguerli da fascismo e nazismo).
In tal senso, anche il termine "nazifascismo" è considerato scorretto da chi sostiene la specificità del fascismo italiano, perché non consentirebbe di cogliere le differenze avutesi tra i due movimenti. Questi studiosi contestano l'utilizzo del medesimo termine in riferimento a regimi autoritari post-bellici, uso che peraltro risulta essere effettuato in modo incoerente e, talora, con funzione di mero insulto (il termine "fascista" è usato, in tale accezione impropria, col significato astoriografico di "inumano, crudele, oppressivo"): in tal modo "fascista" è stato utilizzato tanto per indicare spregiativamente regimi quali quello di Augusto Pinochet in Cile (privo di una reale base ideologica), nonché regimi di segno ideologico opposto (quali quello comunista cinese e russo) oppure la democrazia americana.
Nei paesi anglofoni il termine Fascism viene usato:
per definire propriamente il regime fascista italiano;
per definire i regimi autoritari di destra sorti a imitazione del fascismo italiano (nazismo e franchismo);
per definire generalmente regimi nei quali lo stato sia asservito a interessi di gruppi privati;
per indicare i movimenti simpatizzanti per il fascismo sorti nel Regno Unito (British Union of Fascists) e negli Stati Uniti (Legione d'argento d'America);
genericamente ogni regime di tipo militarista, conservatore o reazionario, con accezione spregiativa;
sempre con accezione di epiteto, come sinonimo di "prepotente":
per definire i partiti politici italiani che si ispirano al partito fascista e spesso vedono o hanno visto tra le proprie file personaggi legati al partito fascista (sui giornali anglofoni sia il MSI sia AN sono chiamati "fascist party").
Nel corso della seconda guerra mondiale, la propaganda alleata tendeva a utilizzare indistintamente il termine fascist per definire tutti i paesi dell'Asse.
L'intellettuale Noam Chomsky parla di regimi "sub-fascisti" per indicare regimi militari sostenuti dalla CIA e dal Pentagono quali quello di Augusto Pinochet in Cile o altri dittatori del Sud America che utilizzando sistemi violenti e anti democratici (tortura, negazione dei diritti civili, repressione con la violenza di ogni forma di opposizione, uccisione di civili innocenti) hanno garantito agli Stati Uniti il controllo commerciale del mercato dei paesi sud americani e il saccheggio sistematico delle risorse di questi paesi. Questa interpretazione è contestata in ambito accademico classico, poiché secondo Renzo De Felice "in sede scientifica nessuno ha più dubbi sul fatto che tali regimi non debbano essere annoverati fra quelli fascisti, ma considerati classici regimi conservatori e autoritari", mentre viene considerata da politologi, come Paul H. Lewis, che vedono il possibile riconoscimento di un movimento autoritario e dittatoriale, di stampo fascista almeno per quanto riguarda le dittature di Mussolini, Franco, Salazar, Stroessner, Pinochet e altri dittatori minori che hanno governato in Sud America.
A sinistra, il termine "fascista" è talvolta usato per indicare qualsiasi regime autoritario di destra, specie quelli alleati dell'Asse durante la seconda guerra mondiale, come il regime militarista giapponese o il franchismo spagnolo, o più spesso i loro seguaci. Per alcuni anni, Stalin e la III Internazionale definirono i socialdemocratici come "socialfascisti" (una posizione abbandonata nel 1935).
Dal punto di vista di molte scuole interpretative marxiste, tuttavia, il fascismo vero e proprio è quello dell'Italia e della Germania: un "regime reazionario di massa" secondo la definizione di Palmiro Togliatti, accettata anche dal trotskismo internazionale e in qualche modo vicina alla definizione gramsciana di "rivoluzione passiva". In questo senso, non vengono fatte distinzioni di rilievo fra il regime hitleriano e quello di Mussolini, che vengono invece fatte rispetto a dittature prive di una base di mobilitazione di massa (come quella portoghese di Salazar o quella cilena di Pinochet). Il caso spagnolo è ambiguo, perché se pure esisteva un forte movimento fascista dal lato franchista, Franco non ne faceva parte e anzi si adoperò affinché venissero "riassorbite" in un generico "movimento nazionale" le forze che più apertamente si ispiravano a Hitler o a Mussolini (come la falange spagnola).
In generale, il termine è tuttora usato presso l'area culturale marxista o post-marxista come epiteto dispregiativo nei confronti della destra e in generale degli avversari politici. Un caso recente è stato quello del presidente venezuelano Chávez, che ha descritto il primo ministro spagnolo Aznar come "un fascista".
All'interno della vasta critica storica sul fascismo, è possibile individuare varie interpretazioni, tra le quali:
quella di Mussolini (scritta con Gioacchino Volpe), che nell'Enciclopedia Italiana alla voce relativa scrisse "il fascismo fu ed è azione";
quella liberale di Benedetto Croce, che considera il fascismo come una "parentesi" della storia italiana, una "malattia morale" a seguito della grande guerra;
quella democratico-radicale di Gaetano Salvemini e del Partito d'Azione, che considera il fascismo come un prodotto logico, inevitabile, degli antichi mali d'Italia;
quella di tradizione marxista, che considera il fascismo come un prodotto della società capitalista e della reazione della grande borghesia contro il proletariato attraverso la mobilitazione di masse piccolo-borghesi e sottoproletarie (il "regime reazionario di massa" descritto dai comunisti italiani in clandestinità);
quella revisionista di Renzo De Felice, che intende rivedere il giudizio storico tradizionale sul fascismo, proponendo un'analisi molto complessa e articolata che sottolinea, fra l'altro, il consenso raggiunto dal regime fascista, soprattutto fra il 1929 e il 1936, nella società italiana. La definizione di tale interpretazione come "revisionismo", tuttavia, è essenzialmente limitata all'ambito culturale italiano, essendo il termine revisionismo riferibile in genere ad ambiti più vasti e differenziati in sede di dibattito storico internazionale.
Il fascismo definiva sé stesso un sistema politico "totalitario". Nella concezione fascista dello Stato, l'individuo ha libertà e gode di diritti solo quando è pienamente inserito all'interno del corpo sociale gerarchicamente ordinato dello Stato (il cosiddetto Stato etico).
Nelle successive analisi degli storici (a partire dallo studio di Hannah Arendt del 1951) si sono sviluppate sostanzialmente due linee interpretative riguardo al carattere del regime fascista: una promossa inizialmente da Hannah Arendt e sviluppata successivamente da diversi autori, fra cui Renzo De Felice, che lo considera come prettamente "autoritario". e uno che lo considera "totalitario" (ma senza alcuna accezione apprezzativa) e che ha in nell'allievo di De Felice Emilio Gentile uno dei massimi sostenitori.
L'interpretazione autoritaria si basa in gran parte sull'idea, proposta da Hannah Arendt, di considerare il terrore come "la vera essenza" della forma totalitaria di governo; in tal senso, il regime fascista non può considerarsi "prettamente" totalitario in quanto mancò, a differenza di altri regimi quale quello nazista e quello stalinista, uno "sterminio di massa" e un uso costante del "terrore di massa" (cosa che peraltro veniva perpetrata tramite il meccanismo di azione detto Squadrismo)
Mancò inoltre, un completo controllo della comunicazione e dell'informazione.
Inoltre, sempre secondo questa interpretazione, lo stato autoritario ha limiti prevedibili all'esercizio del potere, ovvero è possibile "vivere tranquilli" e non incorrere nella vendetta dello Stato se si seguono alcune regole di comportamento, e non si fa opera di militanza e propaganda politica, mentre nello stato totalitario i limiti all'esercizio del potere sono mal definiti e incerti.
Infine, a sostegno di questa tesi, vi è anche il fatto che il fascismo (a differenza di nazismo e comunismo sovietico) fu obbligato a convivere (spesso anche trovando un comune accordo) con i poteri della Monarchia e della Santa Sede, i quali, nonostante una progressiva erosione delle proprie prerogative, mantennero la propria autonomia (spesso più formale che sostanziale).
Il concetto di "totalitarismo imperfetto", coniato dallo storico Giovanni Sabbatucci, riconosce nel fascismo una chiara matrice e una volontà totalitaria, resa però inane dalla presenza di altri poteri (Chiesa e Monarchia), dal suo eccessivo gradualismo e dalla politica mussoliniana di lasciare sempre qualche "valvola di sfogo" a personaggi afascisti o fascisti non "ortodossi" (come ad es. il caso di Nicola Bombacci).
Sono assenti o solo embrionali nel totalitarismo fascista i seguenti attributi caratteristici del caso nazista:
la supremazia del partito rispetto allo Stato;
i campi di sterminio di massa (Vernichtungslager);
un'ideologia sterminazionista nei confronti di nemici "di razza".
Mentre rispetto alla dittatura sovietica vi è una sostanziale differenza in termini di estensione ed efficacia della repressione del dissenso.
Attributi del totalitarismo fascista:
monopolio dei mezzi di comunicazione;
presenza di un'ideologia organica, propagandata con i mezzi di comunicazione di massa, cui l'individuo è tenuto ad aderire fideisticamente;
presenza di un partito unico, portatore di questa ideologia, che esercita un'autorità assoluta sotto la guida di un capo e di un ristretto numero di persone;
abbattimento di ogni forza antagonista;
ricorso sistematico alla mobilitazione delle masse, mediante il partito, l'uso della stampa, della radio, del cinema e delle grandi manifestazioni scenografiche;
controllo e repressione di tutte le opposizioni (in particolare quella comunista);
presenza di una polizia politica segreta (OVRA) che controlla l'effettiva "fascistizzazione" degli individui;
sacralizzazione della politica e del capo;
programma di costruzione di un "uomo nuovo";
affermazione del dirigismo politico in ambito economico.
Quando in Italia il partito fascista giunse al potere, nel resto dell'Europa (comprese Francia e Regno Unito) e del mondo non si guardò a esso con sfavore, soprattutto per il suo impegno come argine al bolscevismo sovietico e l'eversione. In seguito, durante il periodo di massimo splendore del regime, fra 1925 e 1935, il miglioramento dell'immagine dell'Italia nel mondo portò perfino diverse personalità del pensiero democratico (fra cui Winston Churchill e il Mahatma Gandhi) a esprimere simpatia per Mussolini e il suo regime. D'altro canto l'esperienza fascista non mancò di provocare in Europa (e non solo) movimenti fascisti e filofascisti di emulazione, per lo più ideologica e di immagine.
Nella maggioranza di questi casi, infatti, la somiglianza col fascismo italiano è solo epidermica, legata a certi stilemi (saluto romano, colore scuro delle camicie, manifestazioni di massa etc.), al culto del capo e della violenza, e a un feroce anticomunismo. In altri casi si verificarono anche "gemellaggi" con la dottrina sociale, filosofica e politica vera e propria.
Il più famoso dei movimenti para-fascisti fu il NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei-partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori) di Adolf Hitler.
Nel resto d'Europa furono molti i movimenti fascisti e filofascisti che si svilupparono e, soprattutto nell'Europa orientale, salirono anche al potere.
Movimento fondato in Italia da Mussolini il 23 marzo 1919 a Milano e sistema politico che ne conseguì con la conquista del potere nel 1922. Ispirato a un'ideologia antiborghese, ostile alle istituzioni liberali e parlamentari, il fascismo si proponeva obiettivi legati alla tradizione del sindacalismo rivoluzionario, al futurismo, al nazionalismo e all'imperialismo. Nel linguaggio contemporaneo il termine fascismo ha finito per acquistare un valore polemico e spregiativo, che va al di là del suo significato storico-politico. In modo spesso equivoco e pretestuoso, col termine fascismo si suole definire non solo ogni atteggiamento reazionario, conservatore e imperialista, ma squalificare qualunque avversario, col risultato di trasformare un vocabolo, riferito a una precisa esperienza storica, in un'ipotetica e fuorviante categoria sociologica.
Benché non costituisca un fenomeno esclusivamente italiano, il fascismo ha avuto origine nel nostro Paese come reazione e conseguenza della grave crisi politica ed economica seguita alla prima guerra mondiale. La classe dirigente, erede dello Stato liberale post-risorgimentale, aveva voluto spingere l'Italia nel conflitto, senza prevedere le gravissime perdite umane e materiali che ne sarebbero derivate. Così, dopo la fine vittoriosa, anziché godere i frutti della guerra, si era trovata improvvisamente costretta a dover fronteggiare una situazione difficilissima di tensioni e contrasti interni, dove gli interessi dei gruppi economico-sociali privilegiati si scontravano con le nuove aspirazioni della maggioranza della popolazione, fino allora tenuta ai margini della vita dello Stato. Questo processo di maturazione civile e politica dei ceti più poveri e incolti aveva ricevuto una notevole spinta a contatto col dramma dell'esperienza bellica, ma il ritorno alla normalità non aveva offerto a milioni di reduci la meritata ricompensa dopo i lunghi anni di pericoli e sofferenze in trincea. Anzi, insieme al dissesto delle finanze pubbliche, che i responsabili al governo non riuscivano a sanare, l'aumento dei prezzi e il diffondersi della disoccupazione alimentavano l'inquietante spirale delle agitazioni popolari. In questo sconvolgimento sociale, dove l'inefficienza economica stimolò il rafforzamento dei partiti di massa, con una forte crescita dei socialisti, soprattutto fra gli operai, e un'affermazione del Partito Popolare fra i cattolici dell'ambiente contadino, nacque e si andò affermando il movimento fascista.
Già nel 1915 Mussolini, leader del fascismo, aveva fondato i Fasci d'azione rivoluzionaria, con scopi puramente interventistici, risposta immediata e risoluta al neutralismo socialista che lo aveva costretto ad abbandonare il partito dove aveva fino ad allora militato. Sull'eco degli stessi principi, conclamanti la lotta per la lotta, la gioia liberatrice e fecondatrice dell'azione, Mussolini fondò a Milano il 23 marzo 1919 i Fasci italiani di combattimento. Fu questa la prima cellula di un movimento che si trasformò in Partito Nazionale Fascista e che conquistò il potere. Alla riunione di piazza San Sepolcro a Milano parteciparono un centinaio di persone (questi primi fascisti furono chiamati sansepolcristi), tra cui: Ferruccio Vecchi, Michele Bianchi, Mario Giampaoli, Mario Carli, Filippo Tommaso Marinetti. Il movimento aveva un programma vago ed era alla ricerca di un'ideologia. Tentava di fondere i motivi nazionalistici, cari soprattutto agli ex combattenti, con la polemica contro l'inefficienza del parlamentarismo, che trovava facili consensi anche negli ambienti piccolo-borghesi. “Noi ci permettiamo di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo e di ambiente”, dichiarò Mussolini, il quale, oltre a interpretare gli ideali patriottici della piccola borghesia, capì che la debolezza della classe dirigente, incapace di stabilizzare la situazione economica e sociale, si poteva vincere solo conquistando i favori dei gruppi dominanti del padronato industriale e dei proprietari terrieri, sempre più intolleranti verso le manifestazioni popolari e pronti ad appoggiare chiunque fosse disposto a usare la mano forte. Così, nel giro di pochi mesi la propaganda fascista conquistò terreno e, senza far segreto di una volontà autoritaria, dichiaratamente antidemocratica, cercò di sfruttare il malcontento e di incanalare la spinta reazionaria delle forze borghesi e conservatrici, già deluse per la “vittoria mutilata” a Versailles e atterrite dalla volontà di ascesa delle classi popolari, che sembravano voler scuotere e schiacciare il tradizionale assetto gerarchico della società italiana. Inoltre, insieme al crescente squilibrio fra Nord e Sud, esasperato dai contrasti interni fra ceti padronali e proletariato operaio e contadino, il passaggio dalla vecchia economia agricolo-artigianale alla grande industria capitalistica (specie nel triangolo Milano-Torino-Genova) tendeva ad accrescere il peso dei più forti gruppi imprenditoriali, ma nello stesso tempo portava alla ribalta il proletariato operaio, sminuendo il ruolo che i ceti medi avevano continuato a svolgere dal periodo post-risorgimentale fino agli anni giolittiani del primo Novecento. Il fascismo, nella misura in cui rifiutava ogni piattaforma di lotta fra le classi e faceva appello al principio della superiore unità nazionale, intesa come un mitico organismo vivente cui dovevano essere subordinati tutti gli interessi particolaristici, parve inizialmente fornire un'efficace alternativa tanto alla debolezza di una classe politica dilaniata da insanabili contrasti interni, che mettevano capo a continue crisi di governo, quanto alle velleità massimalistiche del sovversivismo rosso, che si scontrava con le opposte cautele delle centrali sindacali, ancora fiduciose di spingere la borghesia sulla via delle riforme. Ma proprio l'esaltazione di un ipotetico primato nazionale, da raggiungere non più nel segno della politica liberale, che aveva caratterizzato tutto il periodo del Risorgimento e la storia postunitaria, si esprimeva attraverso un esplicito rifiuto degli ideali democratici. Una vigorosa difesa della “diseguaglianza irrimediabile e feconda e benefica degli uomini” accentuò il ricorso ai metodi della violenza fisica, con l'intervento delle squadre d'azione, che si diffusero alla prima sconfitta politica accusata dal movimento nelle elezioni del 16 novembre 1919: il fascismo riuscì infatti a presentarsi solo a Milano dove ottenne 4795 voti (1064 a Mussolini). Certamente il movimento mussoliniano pagò anche l'errore di avere appoggiato l'impresa dannunziana di Fiume (12 settembre 1919) che non trovò eco in un'Italia stanca di imprese belliche e velleitarie. Intanto i Fasci furono subito costituiti anche a Genova, Bergamo, Verona, Treviso, Napoli, Pavia, Brescia, Cremona, Trieste, Parma, Bologna, Roma. L'infiltrazione nella zona industriale e agraria era avvenuta, la presenza nella capitale assicurata. L'alta industria aveva trovato nel fascismo la forza da opporre alle rivendicazioni operaie, agli scioperi, alle durezze della lotta sociale che raggiunse il vertice con l'occupazione delle fabbriche nel 1920, mentre nella Valle Padana e nell'Italia meridionale, dove dominava la grande proprietà fondiaria e il bracciantato soffriva delle peggiori condizioni di sottoccupazione e dove i contadini alla testa di organismi sindacali avevano tentato l'occupazione delle terre, il fascismo divenne lo strumento della reazione e sviluppò massicci attacchi contro gli avversari, con spedizioni punitive, incendi, devastazioni, assassini, soprattutto nei confronti dei socialisti e dei cattolici-popolari. Giolitti, reputando che il fascismo sarebbe stato un fenomeno transitorio, consentì alla sua strumentalizzazione per spegnere la carica rivoluzionaria dei socialisti, nel presupposto che la lotta contro rossi e bianchi avrebbe smorzato la carica dei neri per il conseguito ideale della lotta per la lotta.
Il movimento fascista, divenuto partito (novembre 1921), cercò di darsi una dottrina e, poiché il “grande momento” per i socialisti era passato, Mussolini, prima di puntare decisamente al potere, tentò la politica delle alleanze. Entrò, per le elezioni del 1921, nei blocchi nazionali giolittiani, ottenne un primo successo mandando alla camera 35 deputati e cercò l'alleanza con i socialisti e i popolari. Era l'equivoco di una grande coalizione che portò al patto di pacificazione con i socialisti (agosto dello stesso anno) ma che non convinse i fascisti intransigenti e rappresentò una parentesi brevissima, perché pochi mesi dopo riprendevano scontri, lotte, violenze e il fascismo nuovamente autonomo, se così può dirsi, si appoggiava ai liberali, convinti o fiduciosi che il movimento di Mussolini avrebbe restituito a molti il senso dello Stato. E infatti Mussolini espose nella sua Dottrina del fascismo una concezione dello Stato che sembrava riallacciarsi al pensiero risorgimentale, nutrito di concetti idealistici hegeliani (accolti del resto dallo stesso Croce che non intuì subito la minaccia del fascismo, sperando di vedervi soltanto forze nuove capaci di un loro apporto risoluto e vivificante); ma in realtà il fascismo pretende di costruire uno Stato che accoglie in sé ogni individualità per annullarla nella concezione di una propria priorità assoluta volta solo ad affermare il primato del dominio e della forza. E lo Stato fascista accoglie in sé il cittadino solo in quanto parte di un tutto e riconoscerà la sua libertà nella libertà dello Stato, contro la concezione risorgimentale e liberale che nello Stato vede l'organo supremo per garantire la libertà individuale. L'assolutismo dello Stato diventa facilmente assolutismo di guida, unicità di potere, volontà di uno. Di conseguenza, il drastico annullamento della volontà individuale significherà esaltazione mistica del sacrificio, subordinazione assoluta alla volontà del capo per il bene della patria. Il fallimento dello sciopero legalitario dell'agosto 1922, la dimostrazione fascista di saper intervenire contro ogni tentativo di sovversione aprirono senz'altro al fascismo la via del potere.
La marcia su Roma (28 ottobre 1922) non fu tuttavia la conquista del potere, ma il cammino verso il potere e, mentre socialisti e comunisti si schierarono subito all'opposizione, molti rappresentanti della vecchia classe politica liberale, non diversamente da una parte dei popolari, si illusero di poter controllare l'ascesa del fascismo al potere, incanalandolo nell'ambito della vita democratico-parlamentare. Il primo governo di Mussolini, formato da fascisti, da liberali, da popolari e da indipendenti, poté così ottenere una larga maggioranza alla Camera (306 voti a favore e 116 contrari). Ma la speranza di una rapida normalizzazione non si realizzò, mentre lo svuotamento delle istituzioni parlamentari e l'avvio a uno Stato dittatoriale cominciarono subito con l'inquadramento delle camicie nere nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, vero esercito di partito messo direttamente agli ordini del capo del governo e con la creazione del Gran Consiglio del fascismo (11-14 gennaio 1923), destinato nel 1928 a diventare l'organo supremo che avrebbe coordinato e integrato tutte le attività del regime. Inoltre, la riforma elettorale del 1924, con la legge Acerbo (sistema maggioritario con fortissimi vantaggi per la lista di maggioranza relativa) che riduceva la rappresentanza delle forze di opposizione, non solo non mise a tacere le intimidazioni fasciste ma accentuò le violenze e i brogli elettorali, che il deputato socialista Matteotti denunciò alla Camera, anche se l'atto coraggioso gli costò la vita a opera di alcuni sicari fascisti (10 giugno 1924). Nonostante lo sdegno dell'opinione pubblica e la reazione degli altri partiti che abbandonarono il Parlamento su iniziativa di Amendola (opposizione dell'Aventino), Mussolini col discorso del 3 gennaio 1925 diede una svolta decisiva al regime dittatoriale. Con quel discorso il fascismo mostrò il suo vero volto.
Tra il 1925 e il 1928 furono varate le leggi (cosiddette “fascistissime”) che consacrarono la nuova struttura e lo strapotere dello Stato. Croce e con lui Giolitti, Salandra, Orlando e altri dovettero arrendersi all'evidenza. Ogni speranza legalitaria o di riporto alla legalità del fascismo cadeva. Essa moriva con la soppressione della libertà di stampa, le persecuzioni contro gli antifascisti, col ripristino della pena di morte, l'istituzione di un tribunale speciale per reati politici, l'istituzione dell'OVRA polizia politica segreta, e con l'attribuzione al potere esecutivo di emanare norme di legge. I normali meccanismi dello Stato di diritto e i fondamenti della libertà politica e della sovranità popolare vennero sovvertiti, mentre a cominciare dal 1926 nelle amministrazioni comunali alla procedura elettiva del sindaco e del consiglio venne sostituita la nomina governativa del podestà e della consulta, così da sconvolgere l'intero ordinamento centrale e periferico nel processo di fascistizzazione dello Stato. Il Parlamento risultò svuotato di ogni prerogativa (legge sulla decadenza dei deputati comunisti e aventiniani, 1926) e le elezioni (1929) vennero ridotte a semplici plebisciti di approvazione di una lista unica di deputati designati dal Gran Consiglio. Il capo del governo, che era contemporaneamente duce del fascismo, prese a occupare il vertice della piramide politica, che simboleggiava l'ordinamento gerarchico del regime, e venne sottratto a qualunque controllo o sanzione, con l'obbligo di rispondere solo al sovrano. Con le elezioni plebiscitarie del 1929 Mussolini poté contare su una Camera tutta composta da fascisti, e il carattere totalitario del fascismo finì rapidamente per coinvolgere ogni settore della vita italiana.
In campo economico-sociale, per differenziarsi dal sistema liberale, che assicurava ampi margini all'iniziativa privata, e nello stesso tempo per respingere il modello collettivista, soprattutto di tipo sovietico, che imponeva una rigida pianificazione, la Carta del Lavoro tentò fin dal 1927 di dar vita a una moderna forma di corporativismo, sopprimendo ogni tipo di lotta di classe e creando le corporazioni che, previste alla dichiarazione VI della Carta del Lavoro, furono istituite alla fine del 1934; in esse i lavoratori e i datori di lavoro cercarono un'impossibile collaborazione, specialmente dopo che erano stati distrutti con la violenza gli organismi sindacali, erano state sciolte le Camere del Lavoro ed era stato vietato il diritto di sciopero. Nonostante i costanti richiami a un programma interclassista, diretto a raggiungere la piena pace sociale, proprio la fallita esperienza del sistema corporativo resta la testimonianza forse più caratterizzante dell'incapacità del fascismo di realizzare i suoi ambiziosi obiettivi di riforma, perché i pesanti compromessi che Mussolini dovette subire, pur di mantenere il comando, non solo dai vecchi centri di potere (la corona e l'esercito soprattutto) ma anche dai maggiori centri economici (prima gli agrari, poi i gruppi del grande capitale industriale e finanziario), avviarono al fallimento i programmi di costruire una società nuova. La pianificazione economica varata dal conte Volpi, industriale e finanziere, chiamato al Ministero delle Finanze nel 1925, fu causa di gravi difficoltà. Fissata la lira a quota 90, l'esportazione entrò in crisi. Per frenare l'importazione vennero sanciti pesanti dazi doganali. Si dovettero ridurre stipendi e paghe del 12%. Il protezionismo favorì le industrie monopolistiche ma portò altre alla crisi. I salari italiani, nel 1930, erano al penultimo posto in Europa, seguiti solo da quelli spagnoli. I salari dei contadini venivano sempre più compressi per consentire ai produttori di sopportare la concorrenza straniera favorita dall'alto corso della lira. Il fascismo aveva autorizzato i proprietari agrari, come gli industriali, a rifarsi sui lavoratori e pubblicamente elogiava il sacrificio accettato. Neppure il protezionismo, spinto all'estremo dell'autarchia, valse a suscitare lo sperato sviluppo economico nazionale, nonostante gli sforzi di risanamento dell'agricoltura attraverso la politica delle bonifiche (per esempio nell'Agro Pontino) e le campagne per la battaglia del grano (iniziata nel 1925), e gli ambiziosi programmi di lavori pubblici, che dal 1929 al 1934 cercarono di dare, anche attraverso la retorica urbanistica e architettonica, l'illusione di un nuovo primato, in grado di far rivivere, secondo l'immagine della propaganda fascista, i fasti e le glorie di Roma imperiale.
Anche in campo scolastico, l'istituto dell'Opera Nazionale Balilla (ONB) valse a monopolizzare, fin dalle prime classi elementari, il processo di formazione educativa dei giovani secondo il principio del credere, obbedire, combattere, che tendeva a fare di ogni cittadino essenzialmente un soldato, pronto a rispondere agli ordini e fedele esecutore delle direttive imposte dall'alto. Imbevuto di retorica, il fascismo creò una divisa per ogni italiano, dalla più tenera età fino alla maturità. Marciarono, sfilarono in ogni paese d'Italia, al grido di Viva il Duce!, figli della lupa, piccole italiane, balilla, avanguardisti, giovani fascisti e fasciste, fascisti, donne fasciste e massaie rurali, salutando romanamente, battendo il passo romano (o dell'oca). Nella scuola fascistizzata, l'insegnamento travisò la storia. I ragazzi vennero organizzati nella GIL (Gioventù Italiana del Littorio, nata nel 1937 dalla fusione dell'ONB con i Fasci giovanili di combattimento), gli studenti universitari nei GUF (Gruppi Universitari Fascisti). Scomparve l'uso del lei; si parlò solo col voi. Nacque la scuola di mistica fascista. L'obbedienza al fascismo divenne un obbligo per gli stessi professori universitari, ai quali venne imposto il giuramento come condizione per poter mantenere la cattedra.
Dopo aver costretto la maggioranza degli oppositori a patire carcere e violenze (Gramsci, Amendola, Rosselli, Gobetti, per citare soltanto alcuni dei nomi più noti), o a trovare asilo politico all'estero (fuoruscitismo), per meglio rafforzare la propria posizione interna il regime fascista aveva trovato un accordo con la Chiesa cattolica, chiudendo il lungo capitolo della cosiddetta questione romana e realizzando attraverso i Patti Lateranensi del 1929 la conciliazione fra lo Stato italiano e la Santa Sede, così da garantire a Mussolini l'appoggio delle più alte gerarchie ecclesiastiche. L'accordo non fu giudicato favorevolmente dai fascisti. Molti furono i malumori per il pesante riscatto imposto dalla Chiesa (750 milioni in contanti e un miliardo di consolidato), ma quest'ultima, che pur vedeva il cattolicesimo riconosciuto come religione di Stato, accettava il divieto per i cattolici di organizzarsi in partiti politici. Ciò non impedì all'Azione Cattolica di svolgere la propria attività presso i giovani al di fuori dello spirito fascista, tant'è vero che nel 1931 fu accusata esplicitamente di sottrarre uomini e giovani alla disciplina fascista. Sembrò la rottura, ma si giunse al compromesso e il fascismo mantenne l'appoggio della Chiesa e dell'alta borghesia, a conferma che, nonostante la tanto conclamata dottrina dello Stato etico assoluto, l'Italia altro non era se non un Paese conservatore e burocratico, chiuso a ogni progressismo e tutore degli antichi privilegi.
L'ascesa del fascismo culminò nel 1936 con la conquista dell'Etiopia, la proclamazione dell'impero e la vittoria sulle sanzioni economiche proclamate da cinquantadue Stati della Società delle Nazioni, che aveva condannato l'aggressione italiana in Africa. Furono sanzioni blande, cui non aderì la Germania, quasi le vecchie democrazie credessero al fascismo e al nazismo come ai necessari baluardi contro il comunismo e volessero compiacerli solo per controllarli. Il fascismo, tuttavia, non mirava solo al colonialismo, ma a fascistizzare l'Europa. L'asse Roma-Berlino ottobre 1936) e il contemporaneo intervento in Spagna rivelarono al mondo che gli Stati democratici nulla più potevano e dovevano concedere a un fascismo ormai pronto ad assimilare e a partecipare alla politica di espansione nazista. Il nazi-fascismo (così cominciò a essere noto) mirava ora ad annettere ogni terra dove vivessero in preponderanza tedeschi e italiani. Austria, Danzica, Sudeti per Hitler; Malta, Tunisi, Gibuti, Nizza, Canton Ticino per l'Italia. Tutte le concessioni che l'Europa democratica aveva fatto a Hitler e a Mussolini (Renania, 1936; Anschluss, 1938; Albania, 1939) furono dettate dalla speranza di salvare la pace, ma il nazi-fascismo rivelava intanto un altro aspetto della sua aberrante dottrina, il razzismo.
Seguendo l'esempio di Hitler, Mussolini promulgò le leggi razziali (1938-39), creando la prima vera grande scissione tra il Paese e il regime. L'Italia, fatalmente trascinata dalla politica nazista, si trovò coinvolta (1940), assolutamente impreparata, nella seconda guerra mondiale. Le disastrose campagne di guerra in Grecia, in Russia e in Africa settentrionale e lo sbarco delle truppe americane in Sicilia affrettarono la crisi del fascismo; il 25 luglio 1943, dopo il voto di sfiducia del Gran Consiglio, Mussolini fu costretto da Vittorio Emanuele III a lasciare il governo, subito assunto da Badoglio.
Lo smarrimento e il caos nati dall'armistizio dell'8 settembre 1943 consentirono, con l'appoggio dei Tedeschi, un rigurgito di potere fascista. Mussolini, liberato dalla prigionia sul Gran Sasso, ma ormai strumento di Hitler, fondò il 23 settembre 1943 la Repubblica Sociale Italiana, che estendeva la propria giurisdizione sulla parte dell'Italia centrosettentrionale occupata dai Tedeschi e aveva come programma il manifesto di Verona, elaborato dal congresso del Partito Fascista Repubblicano nel novembre 1943. Ma gli sforzi di rilanciare il fascismo, applicando alcune misure di socializzazione in campo economico, per richiamarsi alle antiche origini popolari del movimento, fallirono di fronte al dilagare della guerra, che dimostrava imminente la disfatta nazi-fascista, mentre i movimenti di resistenza partigiana si diffondevano soprattutto nel Nord. Nell'autunno-inverno 1944-45, con lo stabilizzarsi del fronte sulla linea gotica, alcuni provvedimenti, come la requisizione delle aziende e la distribuzione di viveri alla popolazione, furono l'ultimo, inutile sforzo per riguadagnare la solidarietà dell'opinione pubblica al fascismo (allora più noto col nome di Repubblica di Salò, dalla zona del lago di Garda sede dell'ultimo governo di Mussolini). Il 25 aprile 1945, mentre anche la Germania hitleriana era ormai incapace di sostenere la massiccia offensiva degli eserciti alleati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e URSS), con la liberazione di Genova e di Milano il fascismo vedeva irrimediabilmente segnata la sua condanna a morte. Finiva così, con una disastrosa sconfitta, dopo un ventennio di errori e di orrori, quel movimento politico che fin dal suo primo manifestarsi venne avversato dai partiti democratici, ma che si affermò anche per le blandizie della borghesia, l'astensione della maggioranza e l'incomprensione di troppi intellettuali. Finito come regime politico, il fascismo sopravvive tenace come fenomeno degenerativo nel culto del nazionalismo, del militarismo e dell'ordine da conservare a dispetto della libertà di pensiero e di espressione.
Ragioni economiche, politiche, sociali analoghe a quelle che avevano favorito l'affermarsi del fascismo in Italia, contribuirono a diffonderlo in Europa, dove mise radici più o meno profonde in diversi Paesi, ispirato non solo dall'avversione al marxismo e al bolscevismo ma da una violenta polemica contro il sistema parlamentare, e da un'esaltazione dell'idea nazionalista, dei principi del corporativismo e addirittura del fanatismo razzista. La Spagna fu tra i primi Paesi ad accogliere il fascismo e a organizzarlo in partito attraverso l'opera di Caballero, di Ledesma Ramos, di Primo de Rivera e infine di Franco; ma per imporre al Paese il regime (1938) la Spagna ebbe necessità di ottenere l'aiuto dell'Italia e della Germania, dove il nazionalsocialismo era giunto al potere con Hitler nel 1933. Un regime fascista modellato secondo i principi del corporativismo venne creato anche in Portogallo da Salazar (1932), mentre più ristretti movimenti fascisti si affermavano in Belgio con il rexismo di Léon Degrelle e di J. Denis e in Austria con la Heimwehr, capeggiata da E. Rüdiger von Starhemberg, che dopo un primo putsch fallito nel 1931 giungeva al successo nel 1934, fondendosi coi cristiano-sociali e mettendo capo a un ibrido corporativismo che sarebbe finito due anni dopo. L'ideologia fascista ebbe una certa eco anche in Gran Bretagna con il British Fascism capeggiato da Lintorn-Orman e con la British Union of Fascists, diretta da O. Mosley. In Francia il fascismo prese aspetti particolari (Croix de feu, Fascisme, Cagoule, Parti Populaire Française, Faisceau), e i lineamenti ideologici trovarono gli spunti maggiori nelle tesi dell'Action Française. In Olanda con Joris Van Severen, in Norvegia con V. Quisling, in Cecoslovacchia con Josef Tiso si ebbero movimenti fascisti di non lungo respiro, mentre un peso più considerevole nella vita politica il fascismo lo ebbe in Romania con la costituzione (1930) della Guardia di Ferro di Codreanu e in Grecia con l'ascesa al potere (1936) di Metaxâs. Vano invece fu il primo tentativo di conquista del potere che il fascismo tentò in Ungheria con le Croci frecciate di Szálasi nel 1940, anche se poi riuscì momentaneamente nel 1944, quando però il Paese era alla vigilia della disfatta.
La Costituzione della Repubblica Italiana alla XII Disposizione transitoria stabilisce il divieto di ricostituzione del partito fascista. Con legge 20 giugno 1952, n. 645 sono state emanate norme positive che puniscono in concreto qualsiasi attività diretta alla restaurazione del disciolto Partito Nazionale Fascista, anche se simulato sotto diversa denominazione.
Nonostante il divieto di ricostituzione del disciolto Partito Nazionale Fascista, stabilito dalla Costituzione Repubblicana, movimenti fascisti sopravvissero anche dopo la guerra. In particolare il Movimento Sociale Italiano di Pino Romualdi e Giorgio Almirante, che fu accusato a più riprese di ricostituzione del disciolto partito fascista. Il senatore Giorgio Pisanò nel 1989 fonda e guida la corrente interna al MSI denominata Fascismo e Libertà. Nel luglio 1991 Fascismo e Libertà esce dal partito guidato da Gianfranco Fini. Giorgio Pisanò guida la frangia dei camerati irriducibili verso un nuovo progetto politico profondamente mussoliniano; così fonda e diviene Segretario Nazionale del Movimento Fascismo e Libertà (MFL). Successivamente, l'11 dicembre 1993 il Comitato Centrale "missino" approverà il nuovo Movimento Sociale Italiano-Alleanza Nazionale con l'astensione di 10 dirigenti legati all'ex-segretario e combattente della RSI Pino Rauti. Nel 1994 Movimento Sociale Italiano-Alleanza Nazionale sciolse i legami interni con gli esponenti del MSI più nostalgici, trasformandosi in Alleanza Nazionale (AN) durante il congresso di Fiuggi. Fu il momento nel quale il gruppo di dirigenti vicini a Pino Rauti, si staccò da AN, coadiuvando insieme ai membri del MFL di Giorgio Pisanò nel progetto di conservazione dello storico partito, fondando la Fiamma Tricolore quale nuovo soggetto politico. Alcuni mesi più tardi il leader e segretario del MFL lascia però la vita politica, complice l'aggravarsi del suo stato di salute che lo porterà alla scomparsa (17 ottobre 1997). Il Movimento Fascismo e Libertà minoritario all'interno del nuovo soggetto, non trovando spazio ne esce dopo una breve esperienza. Nel 2001 il MFL subisce la scissione di alcuni dirigenti che fondano Nuovo Ordine Nazionale. Relativamente di recente, il 7 maggio del 2004, Pino Rauti il promotore e fondatore della Fiamma Tricolore, dopo alcune vicende personali, ha lasciato anche questo movimento per fondare il Movimento Idea Sociale (MIS).
Nel 2009 il MFL distingue e difende le sue finalità ideologiche nelle posizioni più socialiste dell'originario fascismo rivoluzionario e della Repubblica Sociale Italiana, optando per una netta contrapposizione e rottura verso tutte le altre forze neofasciste che si riconoscono nella destra italiana e/o comunque riconducibili alla cosiddetta Area, denominandosi Movimento Fascismo e Libertà - Partito Socialista Nazionale.
Contemporaneamente Alessandra Mussolini, nipote del dittatore, lasciava AN in polemica col suo presidente Gianfranco Fini, che aveva preso le distanze dalle posizioni legate al fascismo e alla figura di Mussolini. La Mussolini fondò così un proprio partito (AS, Azione Sociale) che promosse l'alleanza denominata Alternativa Sociale che univa AS ad altri due movimenti neofascisti e nazionalisti: Forza Nuova, guidato da Roberto Fiore, e Fronte Sociale Nazionale, fondato da Adriano Tilgher.
Il Fascismo storico, così inteso dalla fondazione del Popolo d'Italia e l'inizio delle campagne interventiste nel 1914 al termine della Repubblica Sociale Italiana (RSI) nel 1945, fece ampio uso della simbologia classica dell'antica Roma: esempi ne furono il Fascio littorio, il Saluto romano, l'utilizzo della lettera "V" in luogo della "U" e l'aquila romana.
I movimenti neofascisti in un primo momento ripresero, modificandola leggermente, questa simbologia; mentre a partire dagli anni settanta, con la rivoluzione generazionale in atto si cominciò a fare uso della croce celtica e delle rune nordiche.
All'inizio degli anni Novanta, ma più diffusamente a cavallo tra i Novanta e i Duemila, ebbe luogo un ulteriore passaggio generazionale, principalmente sulla scia del DART (Divisione ARTistica) prima e della cultura non conforme e del circuito OSA/ONC poi. In questo periodo non si ripresero simboli del passato, ma si elaborarono immagini nuove provenienti dalle sezioni artistiche dei vari movimenti, spesso accordandosi con principi tradizionali e spirituali.
I fasces lictorii erano, nell'Antica Roma, l'arma portata dai littori, che consisteva in un fascio di bastoni di legno legati con strisce di cuoio, normalmente intorno ad un'ascia. Tale arma divenne in seguito un simbolo del potere e dell'autorità maggiore, l'imperium, ed assunse la tipica forma di fascio cilindrico di verghe di betulla bianca simboleggianti il potere di punire, legate assieme da nastri rossi di cuoio (latino: fasces), simboli di sovranità e unione, al quale talvolta era infissa un'ascia di bronzo, a rappresentare il potere di vita e di morte sui condannati romani. Il simbolo venne ripreso da vari movimenti politici ed entità statali a partire dalla fine del XVIII secolo (tra cui i fasci siciliani) e divenne infine l'emblema dei Fasci italiani di combattimento di Benito Mussolini nel 1919.
Il saluto romano è una forma di saluto che prevede il braccio destro teso in avanti verso l'alto, con la mano tesa aperta. Inizialmente fu usato dai legionari fiumani, successivamente fu imposto dal regime attraverso una campagna promossa da Achille Starace.
L'aquila, altro antico simbolo romano, venne ripreso dal regime e usato in molte costruzioni, riprodotto sul retro della lira e sulla bandiera da guerra della Repubblica Sociale Italiana.
La V maiuscola rappresentava sia l'alleanza tripartita tra Italia, Germania e Giappone, sia l'iniziale della parola "vittoria". I tre vertici della lettera corrispondevano al Giappone (a destra), alla Germania (a sinistra), e all'Italia (al centro).
La croce celtica è oggi uno dei più noti e diffusi simboli neofascisti, in quanto venne usata prima dal Parti Populaire Français, un partito fascista creato in Francia negli anni trenta e nel dopoguerra da diversi gruppi neofascisti e di estrema destra in tutta Europa.
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