martedì 3 maggio 2016

LE DONNE DEL'ISIS




Gli yazidi sono una popolazione di lingua curda che abita principalmente nel nord dell’Iraq. La loro caratteristica principale è la religione che praticano lo yazidismo, un misto di quasi tutte le religioni sviluppate in Medio Oriente: l’islam, il cristianesimo, l’ebraismo e lo zoroastrismo.
Gli attacchi contro gli yazidi iniziarono nell’estate del 2014 attorno al monte Sinjar, nel nord-ovest dell’Iraq, due mesi dopo la conquista della città irachena di Mosul. All’inizio sembrava che l’azione militare dello Stato Islamico fosse un’altra battaglia con l’obiettivo di conquistare nuovi territori. Ben presto si capì però che si trattava di una cosa diversa e iniziò lo stupro sistematico delle donne yazide. Il 3 agosto del 2014 lo Stato Islamico annunciò di avere ripristinato l’istituzione della schiavitù sessuale, che tra le altre cose prevede dei contratti di vendita autenticati dai tribunali islamici istituiti dall’ISIS. Si trattava di un processo preparato meticolosamente nei mesi precedenti, come si scoprì in seguito. Nell’ottobre del 2014 su Dabiq, il magazine online dell’ISIS in inglese, uscì un articolo che spiegava nei dettagli la “teologia dello stupro”. Prima dell’attacco al monte Sinjar l’ISIS aveva chiesto ai suoi studenti della sharìa di fare delle ricerche sugli yazidi e si spiegava chiaramente che per gli yazidi non c’era alcuna possibilità di salvarsi pagando una tassa, cosa che invece è permessa agli ebrei e ai cristiani. L’ISIS aveva anche cominciato a citare versi specifici del Corano per giustificare il traffico degli esseri umani (tra gli studiosi di teologia islamica c’è un ampio dibattito su questo punto). Nei mesi successivi l’ISIS continuò a giustificare la schiavitù sessuale tramite un’interpretazione particolare dell’Islam.
Più di recente il “dipartimento della ricerca e della fatwa” dell’ISIS ha diffuso un manuale di 34 pagine sulle regole di “gestione” delle schiave. Nel manuale si legge per esempio che non si possono avere rapporti sessuali con la propria schiava prima che lei abbia il primo ciclo mestruale, in modo da verificare che non sia incinta (non è possibile invece avere rapporti quando la donna è incinta). In generale non ci sono molti limiti a ciò che è permesso fare alle schiave: si possono anche stuprare le bambine, per esempio. Allo stesso tempo le schiave del Califfato islamico possono essere liberate dai loro proprietari tramite un “Certificato di emancipazione”.

I sopravvissuti degli attacchi dell’ISIS hanno raccontato cosa fanno i miliziani dopo avere conquistato una città yazida. Per prima cosa dividono le donne dagli uomini. Ai ragazzi adolescenti è chiesto di alzare la maglietta: se hanno peli sul petto finiscono nel gruppo degli uomini, se non li hanno in quello delle donne.
Gli uomini, costretti a sdraiarsi con la faccia a terra, vengono uccisi. Le donne vengono invece caricate su dei furgoni e portate via in una città vicina. Qui le ragazze più giovani e non sposate vengono fatte salire su degli autobus bianchi con la scritta “Haji”, il termine che indica il pellegrinaggio a La Mecca: sui finestrini degli autobus sono bloccate delle tendine, un accorgimento che sembra essere preso per evitare che da fuori si vedano delle donne non coperte con il burqa o con il velo in testa. Le donne vengono poi riunite anche a migliaia in grossi edifici di una città irachena e poi ritrasferite in altre città dell’Iraq e della Siria per essere vendute.
L’ISIS si riferisce alle donne messe in schiavitù con il termine “Sabaya” seguito dal loro nome. Le donne e le ragazze più belle e giovani vengono in genere comprate entro poche settimane dopo essere state rapite. Altre, le donne più anziane o già sposate, vengono trasferite più volte da un posto all’altro in attesa di essere vendute. Alcuni degli edifici in cui vengono tenute le donne rapite hanno anche una stanza usata dagli uomini per scegliere la donna da comprare.

Nel Califfato Islamico lo stupro viene oggi interpretato dai combattenti dell’ISIS come un diritto riconosciuto dall’Islam: non solo un diritto, ma anche un dovere.
L’istituzionalizzazione dello stupro viene usata oggi anche come strumento di reclutamento per nuovi potenziali miliziani, soprattutto per gli uomini che provengono da società musulmane molto conservatrici dove il sesso viene considerato un tabù e frequentare una donna fuori dal matrimonio è proibito dalla legge.

Lo schiavismo sessuale ripristinato dall’ISIS sembra riguardare solo le donne della minoranza yazida, mentre non c’è traccia di un fenomeno così esteso per altre minoranze religiose attaccate negli ultimi mesi dallo Stato Islamico. Il manuale del Dipartimento della ricerca e della fatwa dell’ISIS, comunque, permette lo stupro anche di donne cristiane ed ebree quando si trovano su territori conquistati.

"Conquisteremo Roma, faremo a pezzi le vostre croci, ridurremo in schiavitù le vostre donne": la minaccia del portavoce dell'Isis Abu Muhammed al Adnani risuona ancora forte nelle coscienze, turpe nel dimostrare la sua ferocia attraverso la scelta di bersagli che sono simboli, più che obiettivi militari qualunque, emblemi sacrosanti di una cultura che supera i confini nazionali e si fa valore universalmente riconosciuto.

Un grido impietoso questo, relegato nella paura di un'intimidazione per il mondo occidentale, ma squallida realtà per una parte di donne, migliaia delle quali sono violentate, rapite e sfruttate dallo Stato Islamico che si fa garante, come rivelato anche da diversi ex appartenenti alle milizie dell’Isis, di rapporti sessuali non consenzienti con le prigioniere, rapite con lo scopo di ridurle merce, 'schiave del sesso' senza identità nè importanza alcuna.

E se ci sono musulmane che volontariamente si offrono ai jihadisti per 'alleviare le loro sofferenze' e supportare la causa dello Stato Islamico, tante sono coloro che si ribellano, che urlano il dolore e la fatica di tollerare ancora l'intollerabile.

Storie vere, storie di ordinaria follia che non solo fanno sì che i jihadisti diventino destinatari di vergini in paradiso, ma che in più, per motivarli alla guerra, li incoraggiano ad ogni tipo di pulsione sessuale, perché, nel caso dell’Isis e contrariamente ad altri gruppi estremisti islamici, il sesso ha un ruolo centrale ed è, di fatto, una delle armi del gruppo estremista.

Ma allo stesso tempo, di fronte alle donne soldato curde – le cosiddette 'guerriere peshmerga' –, gli uomini dello Stato Islamico si fermano e fanno marcia indietro, perché convinti che venire uccisi da una donna farebbe perdere il diritto al paradiso, al loro, personalissimo 'paradiso': la peggiore delle umiliazioni per questi uomini che, alla fine, di 'umano' non hanno davvero nulla.

Sebbene poco se ne parli, è un mercato enorme quello messo in piedi dal califfato di Abu Bakr al-Baghdadi che rimpolpa, e non poco, le voci «note» di bilancio. Già, perché sedicente che sia, il Daesh ci tiene, e tanto, ad apparire come uno Stato a tutti gli effetti. Non è un caso che sia stato pubblicato un vero e proprio bilancio, con tanto di entrate – tra petrolio e confische dei beni di rivali e prigionieri – e uscite, quasi totalmente assorbite dalle spese militari. Accanto alle voci pubbliche, però, ci sono altre entrate su cui l’Isis può contare. Entrate che si tengono nascoste. Come appunto il mercato di donne e bambine. Un mercato enorme: secondo un rapporto dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) parlano di oltre 25 mila donne e bambini rapiti, stuprati e poi venduti come schiavi. Con un vero e proprio prezzario.

A raccontarlo per la prima volta è stata Zainab Hawa Bangura, rappresentante Onu per le violenze sessuali nei conflitti. Solitamente i jihadisti dividono donne e ragazze in tre categorie. La prima è quella delle donne sposate con bambini e delle anziane; la seconda sono le donne e le ragazze sposate senza figli; la terza è quella delle ragazze più giovani. Tutte «vengono spogliate, pulite e fatte sfilare come se fossero bestiame», racconta il rappresentante Onu. Ma ecco che arriva il momento della compravendita. Con un vero e proprio listino prezzi: i bambini (femmine e maschi, dai nove anni in giù) valgono 200 mila dinari, l’equivalente di circa 150 dollari. Le bambine e le ragazze dai 10 ai 20 anni vengono vendute per 150 mila dinari (circa 120 dollari), mentre le donne tra i 20 e i 30 anni costano sui 100 mila dinari (80 dollari). E se qualcuno dovesse ribellarsi? Il racconto è agghiacciante: «Mi hanno raccontato di ragazze “ripulite” con un getto di petrolio, a cui veniva appiccato il fuoco se si rifiutavano di fare ciò che ordinavano i loro cosiddetti padroni».

Da Mosul a Fallujah, insomma, il mercato dell’orrore è piuttosto florido, con un’organizzazione tutt’altro che improvvisata. Secondo quanto riferito dall’Unami (United Nations Iraq) l’Isis avrebbe aperto un ufficio a Mosul, un vero e proprio mercato centrale dove «le donne e le ragazze vengono esposte con cartellini dei prezzi, in modo che gli acquirenti possano scegliere e negoziare la vendita». Altre situazioni simili sono state segnalate a Ramadi e a Fallujah, ma anche nelle città siriane di Raqqa e al-Hasakhan. «Nel nome della jihad del sesso, le donne sono state messe in vendita a prezzi che oscillano tra 500 e 2.000 dollari». Non solo. Perché, spesso, le donne vengono anche regalate dopo alcune competizioni organizzate ad hoc, come fossero premi: «I criminali dell'Isis – si leggeva ancora nel comunicato del ministero iracheno - hanno inventato anche un concorso per la lettura del Corano. Ai primi tre classificati, in premio una donna».

Nemmeno il suicidio è concesso alle ragazze schiave: «Ci hanno detto che se ci fossimo tolte la vita, avrebbero ucciso i nostri parenti»

In questo modo, con torture e sevizie ammantate di follia pseudo-religiosa, lo Stato Islamico è diventato «il principale attore nella gestione della tratta di esseri umani nella regione», come denunciato da Terre des Hommes. Questo perché l’Isis «ha introdotto e legittimato la pratica della schiavitù sessuale a un livello senza precedenti». Solo nel corso del 2014, d’altronde, i guerriglieri avrebbero rapito circa 3 mila donne e ragazze, in larga parte appartenenti a minoranze etniche e religiose (yazidi, turkmeni e cristiani). Le giovani vittime che sono riuscite a fuggire dai miliziani raccontano storie drammatiche e tra loro molto simili.

Come se non bastasse, Boko Haram utilizza sempre più spesso donne e bambini come kamikaze per portare a termine attentati suicidi in luoghi affollati come i mercati o nei pressi delle stazioni di polizia.

Ma l’Isis, come si sa, si estende anche in Libia. E anche qui il trattamento riservato a donne e bambine è lo stesso. Nella città di Derna - una delle roccaforti del Califfato - secondo quanto riferito da attivisti locali il numero dei matrimoni di ragazze minorenni avrebbe avuto un brusco aumento, «con ragazze di appena 12 anni costrette dalle famiglie a sposare gli jihadisti stranieri». Un fenomeno nuovo per la Libia dove, fino al 2012, solo il 2% delle donne tra i 20 e i 24 anni si era sposata prima dei 18 anni. Il motivo? Come riferito dalle associazioni umanitarie, in Libia molte famiglie acconsentono al matrimonio delle figlie ancora bambine con i miliziani dell’Is nella convinzione di proteggerle e assicurare loro una buona qualità di vita. Vana illusione, ovviamente. «Solo nelle cliniche che possiamo monitorare, vediamo dalle quattro alle cinque spose bambine a settimana - spiega un’attivista di Terre des Hommes - I medici si trovano spesso a dover curare bambine troppo giovani per avere rapporti sessuali e che arrivano in clinica sanguinanti per lacerazioni o aborti spontanei, quasi senza rendersene conto, ma con danni irreparabili al loro fisico e alla loro psiche».

Situazioni tragicamente analoghe anche in Nigeria, dove troviamo Boko Haram, con cui l’Isis ha creato una sorta di asse del terrore. Sebbene sia molto difficile avere dati esatti, Amnesty International ipotizza che siano più di 2 mila le donne e le ragazze rapite dai terroristi nigeriani. Nella maggior parte dei casi si tratta di donne non sposate e adolescenti che vengono costrette a sposare i miliziani dell’organizzazione terroristica oppure ad imbracciare le armi.


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