mercoledì 25 maggio 2016

I GENOCIDI

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L'11 dicembre 1946, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite riconobbe il crimine di genocidio con la risoluzione 96 come "Una negazione del diritto alla vita di gruppi umani, gruppi razziali, religiosi, politici o altri, che siano stati distrutti in tutto o in parte". Il riferimento a "gruppi politici", un'aggiunta rispetto alla proposta di Lemkin, non era gradito all'Unione Sovietica, che fece pressioni per una formulazione di compromesso.

Il 9 dicembre 1948 fu adottata, con la risoluzione 260 A (III), la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio che, all'articolo II, definisce:

« Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
uccisione di membri del gruppo;
lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;
trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.»

Tale definizione, valida ancora oggi, non soddisfa alcuni storici soprattutto per la limitazione dei gruppi vittime dovuta al compromesso. Essa ha di fatto escluso i crimini imputati all'Unione Sovietica, fra cui l'Holodomor del 1932 e i successivi stermini su base economica o di classe sociale che hanno caratterizzato alcuni regimi comunisti successivi, come l'eliminazione dei proprietari terrieri cinesi del 1951 o quelli perpetrati dai Khmer Rossi in Cambogia dopo il 1975, ma anche lo sterminio degli stessi comunisti in Indonesia nel 1965. Inoltre, porta al paradosso di considerare i Tutsi come vittime del genocidio ruandese e non gli Hutu che furono parimenti sterminati perché si rifiutarono di collaborare con i carnefici.

Gli autori che considerano l'Holodomor e lo sterminio in Cambogia come genocidio si basano non su un'estensione della definizione, ma sulla definizione stessa, perché nell'Holodomor fu colpita in modo particolare la popolazione ucraina e in Cambogia furono colpite con maggiore intensità le etnie cinese e vietnamita e i musulmani Cham (la stragrande maggioranza delle vittime fu però cambogiana).

La definizione ufficiale ha indotto gli storici a studiare i crimini precedenti e successivi per identificarne la natura genocidiaria. Le analisi hanno portato a numerose proposte di modifica soprattutto a causa delle limitazioni della definizione ufficiale.

Pieter N. Drost (The crime of state), professore olandese di diritto, esperto di storiografia coloniale, sostiene la necessità di reintrodurre il criterio politico e considera genocidio "La distruzione fisica intenzionale degli esseri umani in ragione della loro appartenenza ad una qualunque collettività umana".
Irving Louis Horowitz (Taking lives. Genocide and state power) sottolinea il ruolo chiave della burocrazia e propone "La distruzione strutturale e sistematica di persone innocenti".
Helen Fein (Accounting for genocide) segue un approccio sociologico e suggerisce una classificazione del tipo di genocidio: genocidio di sviluppo se le vittime ostacolano un progetto economico; genocidio dispotico se le vittime sono oppositori reali o potenziali; genocidio ideologico se le vittime sono presentate come un nemico diabolico. La definizione proposta è "Un omicidio calcolato perpetrato su una parte o sulla totalità di un gruppo da un governo, un'élite, un gruppo o una massa rappresentativa".
Gérard Prunier, professore e ricercatore all'Università di Parigi, include i gruppi politici ma sottolinea che il genocidio, a differenza della "pulizia etnica", ha come obiettivo la distruzione del gruppo vittima per intero: propone "Tentativo coordinato di distruggere un gruppo predefinito razziale, religioso o politico nella sua totalità".
Frank Chalk e Kurt Jonassohn ritengono il genocidio "Una forma di massacro di massa unilaterale con cui uno stato o un'altra autorità ha intenzione di distruggere un gruppo, gruppo che è definito, così come i suoi membri, dall'aggressore". È questa una delle definizioni più recenti ed apprezzate.
Un esempio di aggiornamento concreto è presente nel Codice penale francese del 1994 che, in merito al crimine di genocidio (articolo 211-1), include anche "gruppi determinati in base a qualsiasi criterio arbitrario".
Secondo Bernard Bruneteau (Il secolo dei genocidi), il tribunale internazionale per processare i Khmer Rossi, istituito con notevole ritardo per la situazione dinamica e difficile, è stato un'occasione mancata per riformulare la definizione di genocidio in seno all'ONU includendo, in particolare, i gruppi politici.

Nell'ambito del dibattito, sono stati valutati altri termini, con significato più o meno ampio, come etnocidio (distruzione della cultura più che eliminazione fisica delle persone) o politicidio. Rudolph Joseph Rummel ha coniato il termine democidio, di accezione ampia, per indicare "l'omicidio seriale, sistematico e concentrato di una larga porzione della propria popolazione da parte di un governo", che esclude gli atti di guerra verso l'esterno e l'uccisione di soggetti combattenti.

La maggior parte degli storici, anche a causa della sua valenza giuridica, tende a non estendere l'uso del termine genocidio ma a cercarne una definizione corretta.

Nella cultura popolare, il termine è spesso usato in modo più esteso rispetto alla sua definizione giuridica o in modo improprio, per sottolineare la gravità di alcuni atti di sterminio oppure il numero elevato delle vittime. Tale uso, di solito, non tiene conto dell'intenzione dell'aggressore.

Alcuni autori ritengono genocidio un sinonimo di pulizia etnica e di etnocidio, mentre secondo altri si tratta di un fenomeno diverso, almeno per gradazione. Secondo Gérard Prunier, la pulizia etnica è lo sterminio di massa di una parte della popolazione per allontanare i sopravvissuti ed occupare il territorio, mentre nel genocidio "vero" non esistono vie di fuga: anche i gruppi religiosi e politici non possono salvarsi attraverso la conversione o la sottomissione.

Un fattore considerato importante è l'intenzione genocida, il desiderio di distruggere la popolazione vittima in quanto tale (spesso assieme alla sua memoria culturale) e non solo quello di assicurarsi il controllo di territori o risorse economiche eliminando gli oppositori reali o potenziali. Nel genocidio, il massacro è un fine e non un mezzo. È facile constatare tale intenzione se è esplicita e sistematica e accompagnata da prove documentarie prodotte dall'aggressore, mentre è difficile se è implicita e tendenziale.

Il criterio quantitativo (la distruzione in tutto o in parte) pone problemi nello stabilire eventuali soglie "numeriche" assolute o relative e rischia di viziare gli aspetti morali e più delicati. Benjamin A. Valentino fa riferimento preciso a soglie numeriche e definisce omicidio di massa "L'intenzionale uccisione di almeno 50.000 non combattenti nell'arco di 5 anni".

Molti distinguono fra un "crimine motivato" politico e un "crimine immotivato" razziale, quindi fra vittime uccise "per quello che fanno" e "per quello che sono". Tale distinzione tende però a scomparire nella logica genocidiaria, in cui il nemico viene demonizzato e comunque aggredito per quello che è. Il gruppo vittima è identificabile a priori e con certezza su base razziale, ma non su base politica, sociale o economica, in quanto gli stessi criteri di identificazione variano nel corso degli eventi (si consideri ad esempio la difficoltà di definire i Kulaki). Tale difficoltà non riduce l'intenzione dell'aggressore che, una volta identificate le singole vittime "per quello che fanno", ne decreta l'eliminazione, anche fisica, "per quello che sono", stigmatizzandole come "altro da sé" su base ideologica (come sottolinea la citazione di Bernard Bruneteau). Importante è dunque la definizione che l'aggressore stesso fa del gruppo vittima, aspetto che sottende alla menzionata definizione di Chalk e Jonasshon. Tale definizione ha il pregio di non escludere a priori nessun gruppo umano.

Se il dibattito in rapporto ad avvenimenti remoti assume soprattutto un valore accademico, quando riguarda eventi recenti (per i quali è possibile perseguire i colpevoli) o addirittura contemporanei, si riveste di aspetti molto drammatici fino a condizionare lo stesso evolversi del presunto o reale genocidio. Il genocidio ruandese è stato riconosciuto come tale tardivamente (si trattò in realtà di un ritardo di appena 2 mesi, ma che fu sufficiente all'attuazione del genocidio stesso), a causa dell'indugiare dell'ONU e della diplomazia statunitense, e fu fermato solo dall'intervento di milizie locali quando metà delle vittime predestinate erano già state uccise. Il Conflitto del Darfur, attualmente in corso, è stato definito dal Segretario di stato americano Colin Powell come genocidio nel dicembre del 2004, ma ad oggi non è ancora stato riconosciuto come tale dall'ONU. Nessuna forza di pace è stata dispiegata in Darfur ed alcuni movimenti di cittadini lamentano in tutto il mondo la scarsità di attenzione dedicata al conflitto, sia a livello diplomatico che mediatico

Nei territori interessati dalla colonizzazione, numerosi popoli indigeni hanno subito una forte diminuzione numerica e alcuni sono quasi scomparsi o scomparsi del tutto. Nel complesso, diversi fattori agirono sinergicamente: azioni di guerra bilaterali o unilaterali, lavoro forzato e condizioni di sfruttamento, carestie naturali o provocate, epidemie causate da nuovi agenti patogeni introdotti dai coloni e, più genericamente, cambiamenti socio-economici radicali prodotti dal violento confronto fra i dominatori occidentali e i popoli colonizzati.

Il dibattito è spesso ancora aperto sia per quanto riguarda il numero di vittime che per l'attribuzione di colpe e responsabilità. Se alcuni autori parlano di "genocidi coloniali", ponendo l'accento sugli atti di sterminio deliberato, altri ritengono che le principali cause siano non intenzionali, per esempio le epidemie. Anche le grandi carestie del periodo 1870-1890, che fecero da 30 a 50 milioni di morti, sono state attribuite ad una concomitanza di cause naturali e profondi cambiamenti economici dovuti all'imperialismo e allo sfruttamento capitalista. È stato fatto notare che, nell'ambito della distinzione fra il concetto di guerra (bilaterale - si riconoscono due entità combattenti) e quello di genocidio (unilaterale - si distinguono per loro natura un aggressore e una vittima), le guerre coloniali sono fortemente sbilanciate a favore degli aggressori, soprattutto per il numero di vittime (il 90% sono indigeni), a causa della notevole disparità tecnologica. Esempi sono le guerre di conquista a Giava (dal 1825 al 1830 gli olandesi fanno 200.000 vittime), in Mozambico (i portoghesi uccidono 100.000 persone) o in Africa Orientale (i tedeschi fanno 145.000 morti).
Il 90% dei Tahitiani, il 70% dei Canachi e i due terzi dei Maori è scomparso nel periodo coloniale, mentre i Tasmaniani si sono estinti completamente.



Durante la colonizzazione europea delle Americhe i popoli nativi americani, che contavano all'origine circa più di 80 milioni di individui, vennero ridotti del 90%, anche se la maggioranza delle morti sono dovute alle malattie importate dagli europei nel caso soprattutto del Nord America ci furono numerosi casi di eliminazione sistematica. Le varie etnie, genericamente denominate indiani d'America, Pellerossa, Amerindi, Amerindiani, Prime Nazioni, Aborigeni americani, Indios, popolanti il sud e nord del continente, vennero soppiantate quasi ovunque dagli europei, e dai discendenti delle popolazioni forzatamente prelevate dall'Africa tra il 1500 e i primi anni del 1900.
Negli anni settanta del 1800 il governo argentino, principalmente per mano del generale Julio Argentino Roca, intraprese la cosiddetta conquista del deserto per strappare la Patagonia al controllo delle popolazioni indigene. Che tale campagna possa essere considerata un genocidio, è recentemente materia di dibattito.

Nel Congo la politica del re belga Leopoldo II, avrebbe provocato la morte di 10 milioni di persone (metà della popolazione) attraverso la militarizzazione del lavoro forzato (con donne e bambini presi in ostaggio) e un duro sistema di quote di produzione e crudeli punizioni (amputazione delle mani).
In Costa d'avorio, tra il 1900 e il 1911, la popolazione si è ridotta da 1,5 milioni a 160.000.
In Sudan sotto il dominio inglese (1882 - 1903) la popolazione si è ridotta da 9 a 3 milioni.
Fra il 1904 e il 1906 i tedeschi sono stati responsabili, nella regione dell'attuale Namibia, di uno sterminio che è oggi considerato da molti come un vero e proprio genocidio: dal 50 all'80% degli Herero e il 50% dei Nama sono stati uccisi o fatti morire, per un totale che varia da 24.000 a 75.000 vittime.

Con riferimento alla questione dell'intenzione genocida, il comportamento dei colonizzatori è stato influenzato da forme di razzismo diffuso, giustificato sia moralmente che scientificamente dalla dottrina del darwinismo sociale di Herbert Spencer, dal famoso libro La lotta delle razze di Ludwig Gumplowicz, dalle teorie eugenetiche di Francis Galton e dalla Gerarchia delle razze umane di Ernst Haeckel. Tali dottrine hanno alimentato l'idea di una missione colonizzatrice dell'"uomo bianco", destinato dalle leggi naturali a sottomettere e sostituire le "razze inferiori" e, si esprimeranno in modo estremo nell'ideologia nazista (interi brani di La lotta delle razze sono presenti nel Mein Kampf di Adolf Hitler).

Il XX secolo è stato definito "il secolo dei genocidi" o "il secolo dei totalitarismi" ed è in genere considerato come un periodo in cui la violenza, lo sterminio di massa e la guerra raggiungono livelli senza precedenti. Lo stesso termine genocidio è stato pensato da Lemkin per descrivere la nuova realtà dell'Olocausto.

Il secolo si apre all'insegna dell'etnocentrismo nazionalista. Ormai tutti, dai nazionalisti ai socialisti, pensano in termini di "nazione", "etnia", "diritto di autodeterminazione" dei popoli. Con la Prima guerra mondiale (1914-1918) l'Europa viene riorganizzata su basi etniche, sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali.

Fu poi con la Conferenza di pace di Parigi del 1919, successiva alla guerra mondiale, che il principio di avere stati nazionali etnicamente omogenei, tanto caro al presidente degli Stati Uniti d'America Woodrow Wilson (autore dei famosi Quattordici punti), prese il sopravvento, aprendo - secondo lo storico britannico di origini ebraiche Eric Hobsbawm - la via alle pulizie e ai genocidi etnici del XX secolo.

Il genocidio degli Armeni del 1915 è forse il primo e sicuramente più famoso genocidio etnico del Novecento. Il genocidio dei Cristiani di Rito Assiro-Caldeo-Siriaco, avvenuto nello stesso periodo, assieme a quello contro i greci rimasero in ombra. L'Impero Ottomano, tradizionalmente abituato ad azioni di dura repressione, raggiunge così livelli inediti di estremismo.

Le guerre mondiali sono espressione di un nuovo tipo di "guerra totale" in cui "tutto è permesso" e in cui il maggior numero di vittime si conta fra i civili, che subiscono massicci bombardamenti e sono considerati come parte integrante del "nemico" da distruggere.

I grandi sistemi totalitari (il Terzo Reich e i regimi comunisti) concepiscono il nemico come un'entità demonizzata e in quanto tale destinata all'eliminazione da leggi naturali o storiche, che fanno da sfondo ad un'ideologia totalitaria basata su distinzioni razziali, economiche o sociali:

L'Olocausto è riconosciuto come genocidio all'unanimità e da alcuni come una forma estrema di genocidio o addirittura come un fenomeno unico nella storia (soprattutto perché tutti gli elementi che caratterizzano il genocidio sono presenti contemporaneamente e in forma estrema).
Nel regime sovietico si possono riconoscere "comportamenti genocidiari" già ai tempi di Lenin; l'Holodomor è considerato da molti come un genocidio vero e proprio; si possono individuare parallelismi fra l'uso che Hitler e Stalin fanno dei concetti di "razza" e "classe", "razza ariana" e "popolo", "sub-umani" (o "Ebrei") e "nemici del popolo".
Cina: Mao Tse-tung. Le stime del numero di vittime totali del periodo 1949-1976 sono molto discordanti fra loro e variano da 20 a 80 milioni: comprendono da 2 a 5 milioni di contadini durante il terrore della riforma agraria nel 1951-1952, da 20 a 40 milioni per la carestia del 1959, alcuni milioni per i laogai e da 1 a 3 milioni per la Rivoluzione Culturale.

L'Olocausto è certamente il genocidio più noto, fu metodicamente condotto dal Regime Nazista tedesco in buona parte dell'Europa prima e durante la seconda guerra mondiale, e portò all'annientamento di 6 milioni di ebrei (oltre la metà degli ebrei in Europa), colpendo anche gruppi etnici Rom e Sinti (i cosiddetti zingari), comunisti, omosessuali, prigionieri di guerra, malati di mente, Testimoni di Geova, Russi, Polacchi e altri Slavi, per un totale di vittime stimabile tra 13 e 20 milioni. Le forze armate della Germania nazista compirono sistematicamente massacri di civili in Polonia ed in Russia volti alla eliminazione delle classi intellettuali degli slavi e alla riduzione del loro numero complessivo nei territori orientali che dovevano divenire terreno di colonizzazione germanica. La cifra delle vittime solo nei territori occupati in Unione Sovietica ammonta a circa 27 milioni. In Italia, i nazisti, appoggiati dalle milizie fasciste italiane, deportarono e uccisero circa 7.000 ebrei italiani.
Secondo genocidio armeno - negli anni 1915-1916, il governo turco, guidato dai Giovani Turchi, condusse deportazioni ed eliminazioni sistematiche della minoranza armena. Il numero di morti è molto incerto e valutato da 200.000 a oltre 2 milioni; la cifra più accettata è di 1.500.000. È possibile identificare una prima fase del genocidio nei massacri hamidiani, che negli anni 1896-1897 fecero da 80.000 a 300.000 vittime.

Unione Sovietica - durante il regime bolscevico e lo stalinismo, furono compiuti gravi massacri.
Holodomor - nel 1932, il popolo ucraino fu sterminato per carestia indotta; il numero di vittime è molto incerto e varia da 1,5 a 10 milioni. Diverse parti (fra cui l'Ucraina, l'Italia e gli USA) riconoscono l'Holodomor come genocidio a causa dell'aggressione specifica del popolo ucraino volta a spezzarne le aspirazioni indipendentiste.
I Kulaki furono deportati a milioni in Siberia e nei gulag e si stima che circa 600.000 (un terzo) morì o fu ucciso. Nonostante esistano diversi elementi a favore (eliminazione dei Kulak in quanto tali, azione unilaterale e pianificata burocraticamente), lo sterminio dei kulaki non può essere definito genocidio a causa dell'incertezza e della variabilità con cui le vittime venivano classificate come Kulaki e a causa del fatto che l'eliminazione, non era considerata un fine ma un mezzo. Per motivi analoghi (non un fine ma un mezzo), anche la deportazione di milioni di persone appartenenti a diversi gruppi etnici (soprattutto ai confini dell'URSS), che ha prodotto centinaia di migliaia di vittime, non può essere definita genocidio. Analogamente, le "purghe" del partito e le deportazioni nei gulag degli anni trenta, che videro la morte di centinaia di migliaia di prigionieri politici, non possono essere definite genocidio in quanto colpirono un gruppo politico.
Massacro di Katyn - il 22 marzo 2005, il Camera dei deputati della Polonia (parlamento) polacco ha approvato all'unanimità un atto con il quale si richiede alla Russia di classificare il massacro di Katyn come genocidio. Il massacro, infatti, era volto a indebolire la Polonia, in quanto venne eliminata una parte importante dell'intellighentsja polacca, poiché il sistema di coscrizione prevedeva che ogni laureato divenisse un ufficiale della riserva.
Una pulizia etnica era stata tentata anche dalle autorità militari italiane durante la seconda guerra mondiale ai danni degli sloveni nelle zone conquistate in Jugoslavia dall'esercito italiano. L'attuazione di tale progetto portò alla deportazione di circa 35.000 civili sloveni, di cui circa 3.500 persero la vita nei campi di concentramento allestiti a tale scopo dall'esercito italiano. Le istruzioni di attuazione della bonifica etnica venivano impartite, su istruzioni di Benito Mussolini, direttamente dal comandante dell'esercito italiano nella provincia di Lubiana generale Mario Roatta e dal comandante dell'XI Corpo d'Armata, generale Mario Robotti.
Il massacro delle foibe ad opera dei partigiani di Tito contro gli italiani in Istria, Venezia Giulia e Dalmazia nel 1943 e nel 1945 viene da taluni considerato genocidio in quanto il fine era quello di far scomparire la componente italiana da queste due regioni. Il numero delle vittime varia da diecimila a ventimila.
Pulizia etnica ai danni dei serbi durante la seconda guerra mondiale - Durante la seconda guerra mondiale il regime fascista croato organizzò il massacro sistematico delle minoranze etniche (soprattutto serbi, ebrei e zingari) provocando circa mezzo milione di vittime.
Romania - Nicolae Ceauescu e la moglie furono condannati a morte il 25 dicembre 1989, dopo tre giorni di prigionia, da un "tribunale volante" militare con l'accusa principale di genocidio per la strage di Timioara e con l'aggravante di aver condotto la popolazione rumena alla povertà. Successive ricerche giornalistiche mostrarono come il numero dei morti riportato inizialmente dai media (decine di migliaia in Romania di cui diverse migliaia solo a Timisoara), oltre che alcune immagini riprese dalla televisione, fossero in realtà dei falsi, costringendo anche alcuni quotidiani (tra cui Liberation) a scusarsi con i lettori per l'acriticità con cui erano state riportate le notizie. Al termine della rivoluzione, secondo i dati del ministero della Salute rumeno, i morti saranno 1104 (di cui solo 93 a Timisoara, 20 dei quali avvenuti dopo il giorno della cattura di Ceauescu) e 3321 i feriti. Complessivamente la maggior parte delle vittime si avranno comunque a Bucarest con 564 morti (di cui 515 dopo il 22 dicembre, data in cui Ceauescu fu catturato).
Bosnia - la guerra in Jugoslavia, successiva alla proclamazione di indipendenza della Slovenia e della Croazia, provoca 250.000 vittime, due terzi delle quali civili. Nonostante le atrocità caratterizzino tutte le parti belligeanti, solo i dirigenti comunisti serbi si rendono aggressori e colpevoli di pulizia etnica ed alcuni di loro: Ratko Mladic, Radovan Karadzic, Radislav Krstic, Slobodan Milosevic e Momcilo Krajisnik) vengono incriminati di genocidio nei confronti dei musulmani bosniaci. Il 18 dicembre 1992, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite parla di una "politica esecrabile di pulizia etnica che è una forma di genocidio".
Massacro di Srebrenica - nel corso della guerra in Bosnia (1992-1995), la città di Srebrenica venne occupata l'11 luglio 1995 e le truppe serbo-bosniache deportarono e massacrarono la popolazione. Morirono circa 8.000 uomini e ragazzi bosniaci. Il massacro è stato definito come genocidio dal Tribunale Penale Internazionale per l'ex-Jugoslavia il 19 aprile 2004.
Georgiani in Abkhazia - Alcuni usano il termine genocidio per descrivere i massacri e le espulsioni forzate di migliaia di abitanti di etnia georgiana dell'Abkhazia durante la guerra abkhazo-georgiana (1991-1993). Tra i 10.000 e i 30.000 georgiani furono uccisi dai separatisti abkhazi, dai mercenari stranieri e dalle forze della Federazione russa. Tra le vittime si ebbero anche alcuni greci, estoni, russi e abkhazi moderati.
Kosovo - Negli anni compresi tra 1996 e 1999, gli atti di violenza (inclusi massacri, rapimenti, stupri altro) sono considerati un genocidio, che nell'anno dell'intervento internazionale causò la deportazione forzata di oltre 800.000 civili kosovari di etnia albanese. Il numero di vittime del genocidio appoggiato da Milosevic si stima intorno alle 10.000 persone.

Zanzibar - nel gennaio 1964, furono sterminati da 5.000 a 12.000 arabi (su un totale di 22.000), con modalità che assunsero i tratti del genocidio.
Nigeria - nel 1966, il governo centrale nigeriano reagì duramente ai tentativi secessionisti del popolo Igbo, che aveva proclamato la nascita della Repubblica del Biafra. La guerra civile (e la conseguente carestia) ha causato migliaia di morti ed è stata considerata da diverse parti, fra cui i leader del Biafra, come un genocidio.
Burundi - nel 1972, nel teatro dei conflitti etnici della regione intorno al Ruanda, 150.000 Hutu furono massacrati dal governo Tutsi.
Etiopia - tra il 1977 e il 1991, il governo di Mengistu Haile Mariam uccise da 500.000 a 2 milioni di oppositori politici.
Ruanda - il peggiore genocidio africano avvenne nel 1994 in Ruanda da parte di milizie e bande Hutu contro la minoranza Tutsi e tutti coloro che erano sospettati di favorirli. Le vittime, circa un milione, furono spesso uccise barbaramente con armi rudimentali. Nel 1962, 100.000 Tutsi erano già stati massacrati per gli stessi motivi che avrebbero portato al genocidio del 1994, inoltre, massacri occasionali si verificarono per tutta la seconda metà del Novecento, anche dopo il 1994. La storia spesso si dimentica di citare le vittime del genocidio perpetuato dalle armate Tutsi nella riconquista del Rwanda verso la popolazione Hutu nelle fasi finali della guerra del 1994. Tuttora la popolazione Hutu viene vessata tramite Gacaca, tribunale popolare allestito per giudicare i crimini della guerra del 1994, in cui l'accusato deve smentire le accuse mosse portando prova di innocenza, mentre l'accusa non necessita di provare la colpevolezza dell'accusato.
La regione del Darfur (nel Sudan occidentale) dal 2003 è teatro di un conflitto che gli Stati Uniti e alcuni media e studiosi considerano come genocidio. I Janjawid, gruppo di miliziani appoggiati dal governo, uccidono sistematicamente i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit.  

Indonesia - nel 1965 e nel 1966, il regime di Suharto attuò una repressione anti-comunista per annientare il partito comunista, in cui furono sterminate da 500.000 a un milione di persone.
Bangladesh - nel 1971, il regime di Yahya Khan condusse una sanguinosa operazione militare contro il Pakistan dell'est, in cui furono uccisi da alcune centinaia di migliaia a 3 milioni di civili.
Cambogia - tra il 1975 ed il 1979 i Khmer rossi, sostenuti ed armati dalla Cina, massacrarono o fecero morire nei cosiddetti campi di rieducazione o Killing Fields (campi della morte) da 1 a 2,2 milioni di persone (su una popolazione totale di 7,5). Il termine genocidio fu usato per la prima volta dal filosovietico Vietnam, il cui esercito nel 1979 occupò la Cambogia, sconfiggendo i Khmer Rossi. Solo nel dicembre 1997, l'ONU parlò di "atti di genocidio". Fra le vittime, furono colpiti soprattutto cattolici, musulmani Cham, cinesi e vietnamiti, perseguitati in quanto tali o in quanto abitanti delle città o commercianti. La popolazione fu classificata in categorie come "popolo nuovo" (da rieducare), "sotto-popolo" e "traditori" (da eliminare).
Timor Est - nel 1975 l'occupazione indonesiana provocò la morte di 60.000 - 200.000 persone.
In Iraq tra il 1973 e il 2003 il regime di Saddam Hussein condusse uccisioni di massa contro la popolazione dei Curdi.

Guatemala - a partire dal 1960, il regime militare di Carlos Castillo Armas causò trenta anni di guerra civile e la morte di 200.000 civili. La Commissione per la verità, sponsorizzata dall'ONU, ha concluso che in certe aree (come Baja Verapaz) il governo avviò intenzionalmente una politica di genocidio contro determinati gruppi etnici, soprattutto Maya.

Tra l'aprile e il settembre di 28 anni fa, il regime iracheno condusse la vasta campagna anti-curda dell'al Anfal: otto operazione militari, in sei aree geografiche del Nord del Paese, sotto il comando di Ali Hassan al Majid «il chimico», il cugino di Saddam Hussein noto per il ricorso alle armi di distruzione di massa.
Bersaglio dichiarato erano i maschi tra i 12 e gli 80 anni, considerati parte della Resistenza, ma in realtà le armate irachene ricevettero l'ordine di distruggere tutti e villaggi (circa 1.200). Dei 180 mila curdi mancanti all'appello non sono state trovate tracce: i loro resti potrebbero essere sepolti nelle fosse comuni con migliaia di corpi, rinvenute nel deserto iracheno.

Holodomor, Ucraina. Con holodomor (dal russo moryty holodom, letteralmente ‘infliggere la morte per fame’) si indica una carestia ideata e realizzata dal regime comunista di Stalin nei primi anni Trenta per indebolire l’Ucraina e la sua tradizione di aziende agricole private. Dapprima si assistette ad una collettivizzazione forzata delle strutture agricole, alla quale si opposero i ricchi contadini e proprietari terrieri (i kulaki) del ‘granaio d’Europa’ che furono con questa scusa deportati in Siberia, dove morirono a migliaia. La collettivizzazione provocò una prima carestia e le confische alimentari dove vennero una prassi istituzionalizzata, ma fu alla fine del 1932 che la situazione precipitò definitivamente: le autorità iniziarono a requisire non sono il grano ma qualunque genere alimentare e attrezzo agricolo nelle campagne,  distrussero i forni da cucina, vietarono il possesso di cibo nelle zone rurali e qualunque tipo di commercio alimentare e arrivarono ad stabilire la pena di morte per chi rubasse qualcosa da mangiare. Dopo questi provvedimenti la gente cominciò a morire in massa: dapprima i bambini, poi gli uomini e gli anziani ed infine le donne. In tutto morirono di fame tra i sette ed i dieci milioni di persone: un numero che si aggiunge ai morti nei campi di lavoro in Siberia istituiti dal regime staliniano, i cosiddetti ‘gulag’, dove secondo le stime persero la vita all’incirca sei milioni di persone. L’holodomor è stato riconosciuto come crimine contro l’umanità dal Parlamento Europeo solo nel 2008.

Bosnia, Srebrenica. Il massacro di Srebrenica si inserisce nel quadro della guerra in Bosnia (1992-1995), che causò in totale più di 250.000 morti: i dirigenti comunisti serbi nel corso del conflitto si rendono colpevoli di pulizia etnica nei confronti dei musulmani bosniaci. Il massacro di Srebrenica è considerato uno degli stermini di massa più sanguinosi avvenuti in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale: nel luglio 1995 le truppe serbo-bosniache, guidate da Ratko Mladic, condussero un massacro sistematico dei musulmani bosniaci della zona protetta di Srebrenica che si trovava sotto la tutela delle nazioni Unite. Le stime ufficiali parlano di più di ottomila morti, anche se le associazioni per gli scomparsi e le famiglie delle vittime ritengano più plausibile una cifra che superi i diecimila. Una volta entrate nella città, le truppe serbo-bosniache separarono gli uomini dai 14 ai 65 anni dal resto degli abitanti per essere ammazzati. Delle migliaia di salme esumate dalle fosse comuni, solo poche più di sei mila sono state identificate: alle altre si sta ancora cercando di dare un volto.  la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja nel 2007 ha riconosciuto il fatto come genocidio poiché ‘l’azione commessa a Srebrenica venne condotta con l’intento di distruggere in parte la comunità bosniaco musulmana della Bosnia-Erzegovina e di conseguenza si trattò di atti di genocidio commesse dai serbo bosniaci’.


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