La voce del cane tante volte è un disturbo anche se non sparla e non parla a vanvera come gli esseri umani.
Abbaiare è un diritto esistenziale del cane: così ha sancito il giudice del Tribunale di Lanciano, Dott. Giancarlo De Filippis, con una sentenza emessa a conclusione di un procedimento civile d’urgenza.
Tale decisione rappresenta una vera e propria conquista nel campo della tutela dei diritti degli animali e più nello specifico in riferimento al “migliore amico dell’uomo”: tale precedente legale costituisce un pilastro fondamentale per il rispetto della natura di questi animali e per il riconoscimento dei loro diritti.
«I due cani erano accusati dai vicini di disturbare con il loro abbaio - racconta l’avvocato Andrea Cerrone, dottore di ricerca in tutela dei diritti fondamentali all’università di Teramo - ma il giudice ha stabilito che i cani hanno tutto il diritto di abbaiare, specie se qualcuno o qualcosa di avvicina al loro territorio di riferimento e purchè non si superi la soglia di tollerabilità stabilita nel codice. I cani - aggiunge - svolgono una funzione importante nel caso in questione, abitando la famiglia in campagna, sono una sorta di predecessori delle sirene degli antifurti vivente e senziente - sottolinea Cerrone - il diritto va sempre più estendendo la sua sfera di interesse verso gli animali e questa ordinanza ne è una testimonianza».
Inoltre, per giustificare la sua decisione, il giudice ha fatto riferimento agli articoli 544 bis e successivi del codice penale, all’art. 5 della legge 189 del 2004 e alla ratifica della Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia, che stabilisce l’obbligo morale dell’uomo di rispettare tutte le creature viventi.
A sostegno della decisione presa dal giudice De Filippis si è schierata l’Associazione Animalisti Onlus che – attraverso le parole del suo Presidente – ha sottolineato come, nonostante l’Italia sia un Paese all’avanguardia nella legislazione in materia di diritti degli animali ed esistano numerose leggi a tutela degli stessi, spesso tali leggi non vengono applicate oppure sono adottate in maniera inopportuna e ingiusta.
In tema esistono già delle normative che predispongono obblighi e doveri in capo al proprietario di un animale: partendo dal presupposto che sia molto complicato impedire al cane di abbaiare – in quanto suo istinto naturale – il padrone è comunque tenuto a porre dei freni ai latrati dell’animale in determinati orari del giorno e soprattutto durante le ore di riposo, in modo tale da non arrecare molestie al vicinato.
La norma di riferimento è l’articolo 659 del codice penale che, in tema di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone, sottolinea come la nostra libertà finisca ove cominci quella degli altri, precisando che l’abbaiare dell’animale non deve superare i limiti di tollerabilità.
Inoltre il proprietario è tenuto al rispetto dell’animale e delle altre persone e, dunque, ha il dovere di educare il cane – se necessario anche attraverso corsi di addestramento finalizzati a miglioramenti comportamentali e alla convivenza pacifica – e di non abbandonarlo per diverse ore in giardino o sul terrazzo.
La legge non fissa una misura di decibel oltre la quale l’abbaiare del cane è vietato. Né tantomeno fissa un orario entro il quale i latrati sono consentiti e un altro, invece, in cui anche i cani devono fare silenzio.
Il codice civile si limita a stabile che i rumori possono essere vietati solo se superano la soglia della “normale tollerabilità”, un termine volutamente generico proprio per tenere conto della diversa condizione dei luoghi. In una zona periferica o di campagna, per esempio, dove il rumore di fondo è scarso, la “normale tollerabilità” sarà anch’essa più bassa e, dunque, risulterà più facile da percepire (e anche più molesto) un lieve rumore rispetto, invece, a un centro urbano dove il chiasso delle auto e dei clacson copre anche i fragori più evidenti. Inoltre, ciò che è tollerabile in un luogo o a una determinata ora, non lo è in un altro luogo o a un’ora diversa, dovendosi anche tener conto di come la normale tollerabilità viene intesa, in quel luogo e in quel tempo, dalla coscienza sociale.
Il limite della tollerabilità delle immissioni non ha carattere assoluto ma deve essere fissato con riguardo al caso concreto. Di conseguenza la valutazione diretta a stabilire se le immissioni restino comprese o meno nei limiti della norma deve essere riferita, da un lato, alla sensibilità dell’uomo medio (ossia prescindendo da considerazioni attinenti alle singole persone interessate alle immissioni) e, dall’altro, alla situazione locale.
Ai fini della valutazione del limite di tollerabilità delle immissioni acustiche, la giurisprudenza utilizza il cosiddetto criterio comparativo: in pratica, viene preso a riferimento il rumore di fondo della zona, vale a dire quel complesso di suoni di origine varia e non identificabile, continui e caratteristici della zona, sui quali si innestano, di volta in volta, rumori più intensi. Tale criterio consiste nel confrontare il livello medio del rumore di fondo con quello del rumore rilevato nel luogo soggetto alle immissioni, al fine di verificare se sussista un incremento non tollerabile del livello medio di rumorosità. In particolare, secondo la giurisprudenza, il rumore si deve ritenere intollerabile allorché, sul luogo che subisce le immissioni, si riscontri un incremento dell’intensità del livello medio del rumore di fondo di oltre 3 decibel. Questo valore viene solitamente considerato il limite massimo accettabile di incremento del rumore, tenuto conto di tutte le caratteristiche del caso concreto, ed è stato riconosciuto anche dalla Cassazione come “un valido ed equilibrato parametro di valutazione” per un idoneo contemperamento delle opposte esigenze dei proprietari.
Data la natura del criterio di valutazione generalmente adoperato, normalmente, in sede giudiziaria, per accertare il livello di tollerabilità di un’immissione sonora si fa ricorso a una consulenza tecnica d’ufficio.
Quando il rumore crea un danno al vicino, quest’ultimo può agire per il risarcimento con un’azione di carattere civile.
Se l’esistenza delle immissioni illegittime risulterà accertata, il giudice ordinerà al responsabile di adottare le necessarie misure per far cessare i rumori molesti, condannandolo al risarcimento degli eventuali danni anche non patrimoniali (danno biologico, morale ecc.).
Se il cane appartiene a un soggetto che non è proprietario ma solo affittuario dell’immobile, nessun problema: l’azione può essere rivolta anche nei confronti dell’inquilino, comodatario ecc.
La questione può diventare più seria, e comporta anche risvolti penali, quando le immissioni rumorose (sempre a condizione che siano oltre il limite della normale tollerabilità) sono tali da recare disturbo non solo ad uno o più specifici soggetti, ma a un numero indefinito di persone (si pensi al latrato che non fa dormire, durante la notte, tutto il quartiere). In tal caso scatta il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone). In passato è stata confermata la condanna dei proprietari a due mesi di carcere, senza concessione delle attenuanti generiche e della condizionale, per non aver impedito ai loro cani di abbaiare di notte, disturbando il sonno del vicinato.
Per cui è esclusa la responsabilità penale (ma resta solo quella civile, e il conseguente obbligo al risarcimento del danno) quando i latrati rechino disturbo agli occupanti di un solo appartamento. Il reato, infatti, è previsto per tutelare la quiete e la tranquillità pubblica: “pubblica” appunto e non, invece, di un numero determinato di individui.
Insomma, per valutare se sussiste il reato di disturbo del riposo delle persone è prima necessario valutare se, in concreto, il rumore provocato dai cani sia davvero tale da mettere in crisi, in generale, la quiete pubblica, e non solo la tranquillità di uno o più specifiche persone: il momento in cui si passa dall’illecito civile (per le immissioni rumorose, con conseguente risarcimento del danno) a quello penale (disturbo del riposo e della quiete, con relativa pena) è valutare “quante” persone sono state molestate: una o poche specificamente individuate nel primo caso, molte e indeterminate nel secondo.
La Corte ha inoltre ritenuto penalmente rilevante l’insistente abbaiare di un cane per una notte intera, sebbene ad intervalli.
L’illecito, inoltre, sussiste anche se non viene provato l’effettivo disturbo arrecato dall’animale, ma la semplice potenzialità a disturbare terzi soggetti. Pertanto, se anche nessuno si lamenta, le autorità possono intervenire ugualmente.
Il cane che abbaia frequentemente durante la notte è di per sé motivo di disturbo per la quiete pubblica.
Secondo la Cassazione, la presenza di un cane all’interno di una struttura condominiale non deve essere lesiva dei diritti degli altri condomini, sicché i proprietari dell’animale devono ridurre al minimo le occasioni di disturbo e prevenire le possibili cause di agitazione ed eccitazione dell’animale stesso, soprattutto nelle ore notturne; occorre, però, tenere presente che la natura del cane non può essere coartata al punto da impedirgli del tutto di abbaiare e che episodi saltuari di disturbo da parte dell’animale possono e devono essere tollerati dai vicini, in nome dei principi del vivere civile.
Una sentenza ha stabilito che abbaiare è un diritto esistenziale del cane. Il “collarino anti abbaio” (che produce una scossa elettronica) deve pertanto considerarsi uno strumento lesivo dei diritti dell’animale.
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