Sondrio è una città situata al centro della Valtellina alla confluenza di una valle laterale, la Valmalenco, con le sue alte montagne che con il Pizzo Bernina raggiungono i m. 4050 s.m..
Il toponimo di Sondrio deriva dalla voce longobarda Sundrium che significa proprietà specifica esclusiva. Sundrium era quindi il terreno tenuto e lavorato direttamente dal padrone o con l'ausilio di servi, terreno cioè di uomini liberi.
Questi terreni situati sul versante Nord della valle, quelli sulle pendici delle Alpi Retiche per intenderci, furono strappati, in particolar modo a partire dal 1400, alle rocce e ai boschi dall'uomo che con un lavoro immane costruì i terrazzamenti per contendere alla montagna ulteriori terreni da adibire a vigneti. Da questi vigneti ancora oggi viene prodotto il vino Valtellina Superiore: Sassella e Grumello. I vigneti intorno a Sondrio rappresentano uno dei più straordinari e spettacolari esempi di trasformazione del territorio da parte dell'uomo, di ingegneria rurale, per sfruttare al meglio ciò che la natura mette a disposizione in una regione dove il clima certamente non rappresenta per l'agricoltura un elemento favorevole. Questi vigneti rappresentano ancora oggi un bene culturale prezioso al pari di altre opere dell'ingegno umano (cattedrali, ponti, quadri, ecc.) che siamo abituati a vedere e ad ammirare.
Una passeggiata attraverso i sentieri che si snodano in mezzo alle vigne rappresenta per la sua bellezza e fascino un'esperienza unica nel suo genere. È possibile ammirare da vicino lo snodarsi dei terrazzamenti, con i loro muri a secco e gli ordinati filari delle vigne, nonché vedere da mezza costa il panorama della valle dell'Adda con lo sfondo delle cime innevate delle Alpi Orobie e verso Est quelle dell'Adamello.
Sondrio è designata Città alpina dell'anno 2007.
La città di Sondrio ebbe origini longobarde, anche se nel suo territorio sono state ritrovate testimonianze preistoriche e dell'età romana..
Come tutta la Valtellina, in epoca romana, il territorio di Sondrio appartenne al municipio di Como.
Durante le invasioni barbariche e anche successivamente fu luogo di rifugio per i fuggiaschi, soprattutto dalla Val Padana, i quali portarono nuove conoscenze tecniche più perfezionate per la coltivazione della terra e per la lavorazione del legno, della lana, delle pietre e dei metalli. Ben presto sorse un castello dal quale un feudatario, in nome del vescovo di Como, dominava su tutta la pieve, che comprendeva quasi tutta la Valmalenco ed alcune terre vicine anche oltre l'Adda.
Nel 1040 Enrico III di Franconia concesse la pieve sondriese alla famiglia dei Capitanei originaria di Vizzola e in questo periodo vennero costruiti il castello di S. Giorgio (ora monastero di S. Lorenzo) e il castel Masegra, che nel 1436 passò alla famiglia Beccaria e in seguito a quella grigiona dei Salis.
Nel periodo delle lotte tra i comaschi Vitani (di parte guelfa) e i Rusca o Rusconi (ghibellini), Sondrio che era favorevole ai Vitani fu devastata nel 1309.
Temendo le ire di Franchino Rusca, divenuto arbitro di Como, i sondriesi cinsero il borgo dapprima con una palizzata nel 1318 e poi nel 1325 con vere e proprie mura.
Nel 1335 Sondrio cadde insieme a Como e a tutta la Valtellina nelle mani dei Visconti e nel 1450 si sottomise agli Sforza.
Nel 1512, dopo un decennio di dominio francese, la Valtellina divenne suddita dei Grigioni, i quali spostarono la sede del governo da Tresivio a Sondrio.
Nel 1620 la sanguinosa rivolta contro i Grigioni, scoppiata a Tirano e a Teglio il 20 luglio, si estese poi a Sondrio, riuscendo a cacciare i dominatori grazie anche all'aiuto degli spagnoli. Nel giugno del 1623 agli spagnoli subentrò un presidio pontificio quando papa Gregorio XV si intromise per trovare una soluzione di compromesso al contrasto scoppiato tra Francia e Spagna per il controllo del "corridoio valtellinese". Fallito il tentativo di mediazione, la Lega d'Avignone, promossa da Parigi e da Venezia, tentò di recuperare con le armi la Valtellina agli alleati Grigioni.
Nel novembre del 1624 l'armata dei Collegati conquistò Tirano e nel gennaio si impossessò anche del castello di Sondrio. Due anni dopo calarono anche in Valtellina i lanzichenecchi imperiali diretti a Mantova, seguita poi dalla rovinosa peste che ridusse la popolazione del capoluogo ad un terzo.
Tra il 1635 e il 1637 il duca di Rohan si rese padrone della valle a seguito di quattro vittorie sugli spagnoli. Il 3 settembre 1639 il Capitolato di Milano decretò il ritorno della dominazione grigiona.
Durante questo secolo sorsero il convento dei Cappuccini, la chiesa del Suffragio e quella dell'Angelo Custode e alcune case del borgo furono rifatte.
Il XVIII secolo fu piuttosto gravoso perché si dovette fare fronte a numerose spese, come quelle per i danni causate dalle numerose alluvioni e quelle per l'erezione della Collegiata e del campanile.
Il 19 giugno 1797 il Consiglio generale di Valle decise di staccarsi dai Grigioni e di chiedere al Bonaparte di potersi unire alla Repubblica Cisalpina. Il 22 giugno dello stesso anno ci fu l'annessione ufficiale, e il borgo divenne il capoluogo del Dipartimento dell'Adda e Oglio e successivamente al termine della dominazione austriaca (giugno 1800) divenne sede di una viceprefettura del Dipartimento del Lario.
Col passaggio alla dominazione austriaca, avvenuta nel 1814, Sondrio fu messa a capo dell'omonima provincia e il 31 ottobre 1839, a seguito del decreto dell'imperatore Ferdinando I, il borgo salì al rango di città regia. Durante questo periodo vi assistette ad un notevole aumento demografico, che portò ad uno sviluppo dell'abitato, soprattutto verso sud, con il quale sorse l'attuale piazza Garibaldi.
Nel 1838 iniziò la sua attività nel capoluogo la Cariplo, nel 1864 venne fondata la Società Operaia Maschile, seguita poi da quella femminile, e nel 1861 comparve il primo giornale provinciale, "La Valtellina". Nel 1870 venne fondata la Società Enologica Valtellinese e nel 1871 la Banca Popolare di Sondrio.
Importante avvenimento del secolo fu l'inaugurazione del tratto di ferrovia Colico-Sondrio, il 16 giugno 1885, che aprì la provincia a commerci, turismo e scambi culturali. Nel 1895 aprì il Cotonificio Spelti, Keller & C., che diede lavoro a molte donne. Nel 1908 fu fondata la Banca Piccolo Credito Valtellinese.
La prima guerra mondiale gravò pure su Sondrio e la chiesa di S. Rocco fu adibita a ospedale militare. Pur nelle notevoli difficoltà in cui versava, la città poté ugualmente svilupparsi. A seguito dell'alluvione del 1927 furono riedificati numerosi edifici, come il Palazzo della Provincia (progettato da Giovanni Muzio) e il monumento ai Caduti con l'annesso campo sportivo.
Dopo il 1945 la città si è sviluppata rapidamente, soprattutto alla periferia con la costruzione di nuovi quartieri. Il centro storico, modesto ma significativo, in questo periodo ha subito numerosi danni, anche se è tuttora in atto una significativa azione di recupero.
L’area di piazza Garibaldi cominciò ad essere urbanizzata a partire dai primi decenni dell’800: prima di allora nella zona erano presenti solo campi, giardini, le rogge dei Malleretti e qualche piccolo edificio di uso rurale. La città cominciava in corrispondenza del tracciato della cinta muraria trecentesca, nei pressi della strada detta delle Pergole e di palazzo Martinengo dove in epoca medioevale era la porta di “Cugnolo” e forse una torre di guardia.
Sotto gli Asburgo venne realizzata la continuazione della Strada Regia Postale, che durante la dominazione napoleonica si fermava in contrada Cantone: il tracciato prevedeva l’attraversamento del Mallero con un nuovo ponte per poi proseguire verso il Campello e l’attuale via Piazzi passando lungo il lato settentrionale della futura piazza, davanti alle case delle famiglie Maffei e Rusconi.
L’ampio piazzale, in origine detto del “Monumento” o della “Riconoscenza”, prese poi il nome di “Francesco I” in ossequio al governo asburgico; al centro venne posta una fontana con il busto dell’imperatore. Nel 1848 la statua fu distrutta a furor di popolo e dopo l’Unità d’Italia la piazza, denominata comunemente piazza Nuova, venne intitolata a Re Vittorio Emanuele II. Nel 1909 lo scultore Francesco Confalonieri (1850-1925) realizzò il monumento a Giuseppe Garibaldi e la piazza prese definitivamente il nome dell’Eroe dei due Mondi. Il bassorilievo collocato sul basamento illustra la cattura nel 1866 di un reparto austriaco alla prima cantoniera dello Stelvio ad opera del comandante delle guardie nazionali Pietro Pedranzini e dei suoi uomini.
In occasione del carnevale del 1824 venne inaugurato il Teatro Sociale, sul luogo anticamente conosciuto con il nome di “Lazzaretto”: è questo il primo edificio importante che si affacciò sulla piazza e che fece da riferimento urbanistico per l’allineamento delle fabbriche seguenti. I fautori dell’iniziativa, un gruppo di eminenti cittadini animati dall’intraprendente delegato del Regno Lombardo Veneto Gaudenzio De Pagave, affidarono il progetto al ticinese Luigi Canonica, considerato uno dei maggiori architetti dell’epoca.
Successivamente, a conclusione del lato occidentale della piazza, venne realizzata la casa di Luigi Lambertenghi, progettata nel 1826 dal fratello Carlo. Nel 1840 fu approvato il disegno dell’ing. Giacomo Poncini per la costruzione da parte di Antonio Rusconi di un edificio a lato del Teatro Sociale: questo, realizzato in più riprese nell’arco di alcuni decenni, assunse l’attuale aspetto grazie all’intervento dell’ing. Francesco Polatti. In un primo tempo dato in affitto, nel 1891 l’immobile venne acquistato dalla Banca d’Italia. Il progetto dell’imponente “Hotel de la Poste” dell’ing. Giacinto Carbonera risale al 1855, mentre il palazzo della Banca Popolare di Sondrio si deve all’ing. Francesco Polatti; l’istituto bancario, fondato nel 1871, vi si trasferì nel 1882 lasciando la vecchia sede di piazza Campello.
Sul lato nord, confinante con il giardino di palazzo Martinengo, sorse nel 1924 su disegno di Francesco Orsatti la bassa costruzione destinata a sede della Banca della Valtellina. Il caseggiato posto tra i corsi Italia e Vittorio Veneto, fu edificato dopo l’ultimo conflitto mondiale sull’area occupata precedentemente dalla casa Del Felice e quindi dall’Albergo Sondrio. Alcuni mosaici posti all’altezza del primo piano sono stati realizzati nel 1956 da Livio Benetti (1915-1987); i pannelli raffigurano personaggi della storia e dell’arte valtellinese: da sinistra Tebaldo Capitanei, Pietro Ligari, Giuseppe Piazzi e Giovanni Visconti Venosta.
Col nome di Campello si era soliti un tempo individuare l’area a meridione della Collegiata, sulla quale fino ai primi dell’800 si affacciavano numerosi edifici religiosi. Il carattere raccolto della piazza venne compromesso quando, sotto il governo austriaco, fu tracciata dall’ing. Carlo Donegani la continuazione della Strada Regia Postale, corrispondente in questo tratto alle attuali via Piazzi e corso Italia: il nuovo asse viario sostituì la via Valeriana nel suo ruolo di arteria principale per l’attraversamento della città.
Il primo riferimento documentario relativo alla chiesa dedicata ai Santi Gervasio e Protasio, patroni di Sondrio, risale al 1100: si trattava allora di un edificio di dimensioni notevolmente più contenute, con tutta probabilità una costruzione in pietra a navata unica affiancata da un piccolo campanile e dal cimitero. La fabbrica della Collegiata venne interessata da numerosi ampliamenti, fino al grandioso progetto di Pietro Ligari nel terzo decennio del Settecento, e al completamento dei lavori, anche se in stili diversi, da parte del Taglioretti e del Sertoli nel secolo successivo.
Anche la costruzione del nuovo campanile non fu un’impresa unitaria: un primo progetto si deve al Ligari (1733), ma solo il 29 marzo del 1740 si arrivò alla benedizione e alla posa della prima pietra insieme ad alcune sante reliquie, “nell’angolo verso mattino e mezzo dì”. Il disegno originario prevedeva una torre di 80 metri, ma difficoltà economiche, derivate anche da ripetute alluvioni del Mallero, indussero la Comunità di Sondrio a ridimensionare la costruzione.
Altri edifici hanno caratterizzato la piazza nel corso del tempo e di alcuni di essi non vi è più traccia se non nelle antiche mappe della città.
L’oratorio di S. Pietro Martire o del SS. Sacramento era addossato alla parete sud della Collegiata: eretto negli anni 1640-1643 su parte del vecchio cimitero, venne demolito nel 1927.
Di fronte alla chiesa dei SS. Gervasio e Protasio si trovava la chiesa di S. Antonio Abate anche detta “dell’ospitale”, nome derivato dall’edificio a cui era unita; essa esisteva già sul finire del XV secolo ed era di juspatronato della famiglia Beccaria. Dismessa nel 1870 fu utilizzata anni dopo come sede della Confraternita del SS. Sacramento; in tempi recenti il corpo di fabbrica, inglobato tra altre costruzioni, è stato ristrutturato ed è ora destinato ad uso civile. Della struttura originaria restano le volte della navata e due finestre polilobate affacciate sul cortiletto interno. Presso il Museo cittadino si conservano invece alcuni affreschi staccati, fra i quali una Crocifissione quattrocentesca, purtroppo malamente restaurata, e una scena datata 1533 con la Madonna, il Bambino, S. Anna e i SS. Giovanni Battista e Stefano, cui si affiancavano le immagini di S. Rocco e S. Sebastiano.
A sud dell’attuale campanile vi era la chiesa dedicata ai Santi Nabore e Felice che nel 1582, sotto il dominio grigione, fu destinata al culto protestante ed ampliata; in quest’occasione vi si aggiunse anche un cimitero per i riformati. A seguito della rivolta cattolica del 1620 la chiesa venne abbandonata e più tardi demolita.
Ultima in ordine di tempo fu chiesa del Suffragio, iniziata nel 1670 sull’area dell’ex cimitero protestante. L’edificio sacro, chiuso al culto nel 1806 e dopo di allora utilizzato come archivio dipartimentale, venne demolito nel 1940 benché fosse considerato una delle più belle chiese della città; ad oggi rimangono solo alcune sue immagini dei primi decenni del ‘900 che danno un’idea dell’aspetto e del volume della costruzione.
Sul lato est della piazza sorge il Palazzo Pretorio, sede del governo grigione a partire dal 1512, che venne ristrutturato radicalmente negli anni 1915-17.
L’area della piazza Campello è interessata dalla presenza delle mura trecentesche: durante la costruzione dell’ex-palazzo di Giustizia adiacente a Palazzo Pretorio, ne vennero alla luce lunghe porzioni, minuziosamente documentate dalle relazioni dell’ing. Antonio Giussani.
Il tracciato delle mura è stato inoltre rinvenuto nelle cantine di una casa adiacente, nella zona dove sorgeva la chiesa del Suffragio, presso la parete meridionale della torre campanaria e infine nel giardino dell’Arcipretura.
Nell’area verde a sud della piazza trova posto attualmente il monumento alla Resistenza dello scultore Livio Benetti (1915-1987) realizzato nel 1967; tra le figure stilizzate in bronzo alla sommità del monolito spicca quella allegorica della morte.
Nell’area a sud-est della Collegiata sorgeva la chiesetta di S. Eusebio di cui attualmente non resta traccia: la sua origine sembra molto antica ed è nominata nella cronaca di Beltramolo de Selva risalente al XIV secolo.
Piazza Quadrivio è da sempre uno dei crocevia principali del centro storico e tra le piazze della città è sicuramente quella che più ha mantenuto l’aspetto antico. Nei documenti d’archivio è nominata come “Quadrobbio”, forse da “carrobbio” in relazione al passaggio di carri: da questa piazza si faceva ingresso al borgo dopo aver attraversato la porta omonima.
Nel periodo più antico vi possedevano case le famiglie Torelli lungo il lato occidentale, i Merlo a oriente, gli Andreani a sud, mentre a monte, come oggi, iniziava la contrada di Scarpatetti. La piazza è conclusa a sud dalla facciata settecentesca sobria e armoniosa di palazzo Sertoli e dal più austero palazzo Giacconi. Il prospetto occidentale è occupato da palazzo Paribelli la cui facciata presenta particolari settecenteschi e altri più tardi riconducibili alla ristrutturazione del secolo scorso. L’origine dell’edificio è però sicuramente più antica, la costruzione infatti si articola attorno ad una struttura che farebbe pensare ad una torre di difesa.
In questa piazza nella seconda metà del Settecento vi abitava e aveva la sua tipografia Giovanni Maria Rossi, oriundo di Carona in Val Brembana, considerato il primo stampatore valtellinese (se si eccettua il tentativo in Tirano del secolo precedente). La bella fontana con vasca monolitica, disegnata dall’ingegner Dallacqua, venne costruita dallo scalpellino di Valmasino Giuseppe Peduzzi nel 1820 e fu sistemata nella piazza lo stesso anno. Un’insegna dipinta presso il palazzo Paribelli testimonia infine che per alcuni anni, fino al 1918, vi ebbe sede il Municipio di Sondrio.
Da piazza Quadrivio, salendo verso il castello Masegra, si snoda la suggestiva contrada di Scarpatetti, che prende il nome dall’omonima famiglia la cui presenza in Sondrio è attestata fin dal 1352 con Albertino figlio di Lanfranco Scarpategii.
Con tutta probabilità in corrispondenza del secondo arco che scavalca la via, dove la roccia del Crap lambisce la strada, si concludeva la cinta muraria trecentesca a difesa della città. Sempre in questo luogo è probabile fosse situata la porta detta della “Foppa”, dalla quale la strada che attraversava Scarpatetti proseguiva verso il castello, per poi congiungersi all’antica via per la Valmalenco e il passo del Muretto.
Scarpatetti ha mantenuto quasi intatte le caratteristiche di rione rurale, sulla via principale si affacciano corti rustiche e vecchie case contadine con ballatoi in legno che le conferiscono un piacevole aspetto di paese più che di borgo cittadino. Lungo la strada sono molti gli scorci e i particolari che rimandano alla vita di un tempo: antichi stemmi gentilizi, i sostegni dei lumi a petrolio, le pietre “per la pòsa…”. Vi si trovano anche tre piccole cappelle a testimonianza della devozione popolare: una dedicata a Maria Ausiliatrice, la cui ricorrenza viene festeggiata la prima domenica di giugno anziché il 24 maggio dato che questo periodo una volta corrispondeva alla fienagione e il passaggio dei carri avrebbe danneggiato gli addobbi, la seconda edicola è detta della “Madonna dell’uva” per la statua lignea (sec. XVII) raffigurante Maria e Gesù Bambino, entrambi con un grappolo in mano. L’opera proviene dal convento dei Cappuccini che fino al 1805 dominava la contrada dall’altura dove ora è il Convitto Nazionale. In occasione della tradizionale festa della Madonna dell’uva, la terza domenica di settembre, la statua viene vestita con ricchi paramenti ricamati in oro. L’ultima cappelletta, in prossimità del castello, è dedicata al Sacro Cuore di Maria, la cui ricorrenza è celebrata l’ultima domenica di settembre.
Presso l’Archivio Storico del Comune esiste un progetto risalente agli ultimi anni dell’800 che prevedeva la costruzione di una piccola chiesa lungo la scalinata che porta al Convitto. Il disegno qui riprodotto illustra l’ultima proposta presentata alla Commissione d’Ornato, che non fu però realizzata.
Piazza Cavour, più comunemente conosciuta come piazza “Vecchia” o “del mercato”, è stata per secoli l’animato centro della città, sede di commerci e della “posta” dei cavalli, luogo di sosta obbligato lungo la via Valeriana, cioè “di valle”, che collegava i centri pedemontani valtellinesi della sponda soliva.
Nella prima metà del Trecento, dopo la costruzione della cinta muraria voluta da Egidio Capitanei, l’accesso alla zona della piazza attuale avveniva attraverso la porta detta del “Mallero” o di “Cantone”. Sui battenti di questo ingresso, di poco più tardo (1329) rispetto a quelli originari di “Cugnolo” e di “Ponta de Prada”, si affiggevano le grida, le sentenze e gli avvisi comunali. La porta del Mallero, sulla quale campeggiava lo stemma della città, venne abbattuta nel 1811.
Secondo antichi documenti risale al 1492 l’istanza che “il commune et homeni di Sondrio” rivolgono a Ludovico il Moro perché venga riconosciuto loro il diritto di tenere mercato e da allora fino a non molti anni addietro la piazza ha ospitato le animate bancarelle degli ambulanti, i contadini delle vicine frazioni che venivano a commerciare i loro prodotti e le fiere del bestiame degli allevatori che potevano legare gli animali agli appositi pali qui sistemati.
Per secoli il ponte di piazza Vecchia fu l’unico collegamento tra le sponde del borgo e il quartiere di Cantone: è probabile però che in origine fosse solo una semplice passerella di legno in balia di ogni ingrossamento del torrente. Le prime notizie documentate riguardo a un ponte sul Mallero risalgono al Trecento. Agli inizi del XVIII secolo il ponte viene ricostruito con tre arcate e dopo il 1748 abbellito con una statua di S. Giovanni Nepomuceno, protettore di ponti e dal pericolo di alluvioni, donata da Lorenzo Botterini Benaduci, studioso della storia americana precolombiana e autore del libro “Idea de una nueva historia general de la América Septentrional”.
Ripetute piene del torrente danneggiano anche questa nuova struttura che fu ripristinata più volte, con l’intervento, tra gli altri dell’architetto Pietro Solaris da Bolvedro, fino a quando nel 1834 una rovinosa alluvione la travolge, portando la rovina anche a numerose case lungo via Beccaria. La costruzione degli argini, tuttora esistenti, da parte del governo austriaco diede una certa sicurezza ai quartieri affacciati sul Mallero, ma non risparmiò i ponti costruiti successivamente: l’ultimo venne distrutto dall’alluvione del 1987.
L’attuale piazza Rusconi era un tempo conosciuta con il semplice nome di “Piazzetta” (plateola nei vecchi documenti) e per estensione, con tale termine, si individuava tutto il quartiere costituito dalle case affacciate su via Beccaria fino all’imbocco di via Dante.
L’origine dell’asse stradale delle vie Beccaria e Dante può essere fatto risalire agli anni intorno al 1328, quando venne nominato podestà Romerio Lavizzari. Prima di allora la zona, benché compresa entro le mura del borgo, era priva di edifici e vi erano solo campi e ortaglie tra i quali scorreva il primitivo corso dei Malleretti: il centro abitato era concentrato lungo l’antica via Valeriana tra piazza Vecchia e Quadrivio.
Più tardi la contrada fiorì, divenendo una tra le più animate del borgo: lungo tutta la strada si affacciavano portici retti da colonne, sovente all’origine di controversie tra vicini per proprietà e servitù di passaggio in quanto ogni proprietario mirava ad occupare più spazio possibile nel tratto di via prospiciente la propria casa. Molti dei porticati e dei passaggi coperti un tempo esistenti sono stati demoliti all’inizio dell’800, altri sono andati distrutti con l’alluvione del 1834: le tre arcate con colonne e capitelli fogliati risalgono probabilmente al XVI secolo. A fianco del percorso pedonale e sotto alcune delle case che si affacciano sulla via scorrevano i “Malleretti”, piccoli canali che fornivano la forza idraulica per il funzionamento di mulini e opifici vari.
In Piazzetta sorgeva un piccolo oratorio settecentesco, dedicato alla Madonna del Buon Consiglio: l’edificio si trovava sul lato ovest della strada, dove via Dante si unisce a via Beccaria e venne demolito nel 1868 per far posto a una bottega. Poco oltre, al civico n°4 di via Beccaria, faceva bella mostra di sé, inserito entro una nicchia, un affresco di Angelo Ligari con la Madonna e il Bambino del quale si conserva ancora il cartone preparatorio presso il museo cittadino.
Sotto la piazza ancora oggi scorre in direzione nord-sud uno dei canali chiamati “Malleretti”, derivazioni del torrente Mallero già esistenti nel Medioevo che permettevano di utilizzare l’acqua canalizzata per rifornimenti idrici, irrigazione e a scopo produttivo. Questa rete di canali da Gombaro passava per Fracaiolo e dalla piazza del mercato si ramificava in corrispondenza di via Dante proseguendo poi fuori dall’abitato: i Malleretti sono stati coperti ma in una mappa del 1816 risultano scorrere ancora in parte all’aperto. Tracce delle attività legate allo sfruttamento della forza idrica rimangono nella contrada di Fracaiolo, dove sono visibili i resti di ruote a pale, macine e magli.
Il quartiere della Baiacca si sviluppa lungo un vecchio percorso che porta al convento di S. Lorenzo, sorto ai tempi della signoria dei Capitanei come castello intitolato a S. Giorgio, e prosegue verso Mossini e Triangia. La contrada della Baiacca presenta un aspetto tipicamente rurale, distinta dalla caratterizzazione “aristocratica” che invece si riscontra negli edifici sottostanti lungo l’antica via Valeriana.
Oltrepassato il passaggio coperto all’incrocio con via Romegialli, la strada acciottolata si inerpica ripida tra giardini e vecchie case. Quasi in cima, presso uno spiazzo ombreggiato da una grande pianta di gelso, sorge una santella con un piccolo campaniletto a cavaliere dedicata alla Madonna del Rosario.
Al suo interno si conserva una vecchia immagine della Madonna col Bambino e i santi Domenico e Antonio Abate. La Madonna del Rosario, patrona della contrada, era celebrata con la tradizionale festa che si teneva la prima domenica di ottobre, occasione propiziatoria per l’imminente vendemmia. Per questa ricorrenza lungo la strada, in corrispondenza della fontana vicino alla piccola cappella, veniva eretto ogni anno un grande arco trionfale addobbato con fronde e fiori. Durante i riti sacri, le bambine della contrada si adoperavano nella raccolta di offerte per la Madonna.
Il quartiere di Cantone, pur essendo parte integrante della città fin dai tempi più antichi, non era compreso entro la cinta muraria medioevale. Esso costituiva una contrada a sé stante, sorta lungo il percorso dell’antica via Valeriana sulla sponda destra del torrente Mallero.
Sono molto antiche le notizie relative a questo rione che nel XIV secolo è citato anche nella cronaca di Beltramolo de Selva, dove si riferisce dell’incendio da esso subito durante l’assedio di Ravizza Rusca nel 1329.
La piazzetta Carbonera costituisce il centro ideale della contrada, a nord-ovest della quale sorge il cinquecentesco palazzo Carbonera, una caratteristica dimora rinascimentale che fu in origine della famiglia Parravicini. Nel cortile interno, al quale si accede attraverso l’androne di ingresso del corpo più recente, sono visibili il portico e il bel loggiato su due ordini con archi retti da colonne in pietra dagli eleganti capitelli.
La facciata è arricchita da graffiti che riprendono motivi decorativi a losanga, tipici dell’architettura aristocratica valtellinese. I portali del porticato e del loggiato superiore presentano decorazioni scolpite, raffiguranti l’arma dei Parravicini, delfini, fiori stilizzati: uno degli architravi reca due cartigli con la scritta “NIHIL EX OMNI / PARTE BEATUM”.
Fino al 1882 nel salone del primo piano vi era un’artistica stüa con soffitto a cassettoni e pannelli intagliati, oggi conservata presso il museo di palazzo Bagatti Valsecchi a Milano.
Nei pressi di palazzo Carbonera sorgeva un tempo un arco commemorativo eretto in onore del governatore grigione de Mont, oltre il quale cominciava il suggestivo itinerario che dalla settecentesca cappella della Madonna della Rocca portava al Santuario della Sassella e quindi verso la bassa Valle.
In questa zona vi erano i mulini delle Prese e poco distante, nei prati intorno all’attuale caserma della Guardia di Finanza, la fossa comune delle vittime di Cantone della peste del 1630.
Percorrendo la vicina via Romegialli da piazza Carbonera si incontra sulla sinistra il bel portale datato 1787 della casa ex-Romegialli: all’interno dell’edificio si conservano tracce di affreschi della scomparsa chiesa di S. Francesco di Sales, un tempo di pertinenza di un ospizio di benedettini che qui ospitavano pellegrini e viandanti di passaggio.
L’edificio sul lato opposto della via fu della famiglia Sertoli Rajna, dove nacque il filologo e letterato Pio Rajna (1847-1930), autore di un fondamentale studio sulle fonti dell’Orlando Furioso. Dell’antica dimora faceva parte anche la cappella privata dedicata alla Madonna della Neve.
Poco oltre, sempre sulla destra, si trova palazzo Sertoli Guicciardi con belle decorazioni murarie sulle facciate verso il Mallero.
La via offre numerosi scorci caratteristici e al bivio con la salita della Baiacca è visibile sopra un portale un affresco di Pietro Ligari, raffigurante l’Incoronazione della Vergine, di cui si conserva presso il Museo cittadino un bozzetto ad olio.
Al termine della via, in prossimità del ponte che porta a piazza Cavour, il recente restauro della casa Mozzi ha riportato alla luce l’apparato decorativo originario della facciata e le figure affrescate, probabilmente seicentesche, dei santi Gervasio e Protasio patroni della città.
Istituito nel 1947, il museo di Sondrio deve la sua origine ad un primo nucleo di studiosi che sul finire dell'Ottocento si dedicarono a raccogliere testimonianze della storia e della cultura locale. Cresciuto a partire dagli anni Sessanta grazie al lavoro del primo conservatore, il Cav.Giovan Battista Gianoli, il Museo è giunto oggi a possedere interessanti collezioni archeologiche, una Pinacoteca con opere dal XII al XIX secolo, una Sezione di arte contemporanea, una gipsoteca, un fondo di grafica. Nel 1961 è stato istituita anche una sezione di arte Sacra del museo Diocesano.
Nel 1994 il museo è stato trasferito a Palazzo Sassi de Lavizzari, elegante edificio storico, restaurato per l'occasione, dove sono stati attivati anche un laboratorio di restauro, una sala didattica e una biblioteca specialistica.
Il terreno ove sorge il palazzo Martinengo appartenne originariamente alla famiglia Ferrari di Sondrio che lì possedeva diverse case e forse una torre; passò poi a Giovan Battista Pellizzari di Musso, quindi a un Giosuè della stessa famiglia, residente a Chiavenna, e da questi passò al bresciano Ulisse Martinengo, conte di Barco, che acquisì l’intera proprietà.
Il conte Martinengo (1537-1609) fece parte di quella schiera di seguaci della Riforma protestante che, per sfuggire alle pesanti azioni repressive messe in atto nel Cinquecento da molti Stati italiani e dalla Chiesa Cattolica, riparò nelle più sicure terre di Valtellina e Valchiavenna allora sotto il dominio dei Grigioni. Giunto in un primo tempo a Chiavenna nel 1564 insieme alla madre e alla sorella, dopo numerosi cambi di residenza stabilì la sua dimora a Sondrio. Ben presto considerato il più illustre e stimato tra gli esuli riformati della città diede avvio ai lavori di ristrutturazione che portarono alla realizzazione del palazzo. La sola testimonianza che oggi ricorda l’antico proprietario è uno stemma scolpito su un grande camino di pietra in un locale del piano terreno dove compare un’aquila con le iniziali “U M C B”.
Nel 1646 le famiglie Salis e Parravicini, eredi del conte Martinengo, vendettero il palazzo che fu adibito a sede del vicario di Valle. Negli anni 1759-73 a causa delle inondazioni del Mallero vi furono nuovi interventi, testimoniati da una piccola lapide posta nel cortile laterale. Essi modificarono la struttura dell’edificio così come i lavori di ristrutturazione resisi necessari dopo la rovinosa alluvione del 1834. Con il nuovo assetto l’ingresso principale venne posto sul lato verso il giardino dando alla facciata un aspetto tipicamente ottocentesco. Dal 1859 al 1935 l’edificio venne destinato a sede della Regia Prefettura.
Recenti scavi archeologici hanno evidenziato preesistenze all’interno dell’area costruita, alcune delle quali da mettere forse in relazione con l’antica cinta muraria.
Nel corso dei secoli XIII e XIV le lotte tra guelfi e ghibellini fanno sentire i loro nefasti effetti anche in zone periferiche e appartate come la Valtellina. I Capitanei, signori di Sondrio, che furono sempre di parte guelfa, si trovarono in più occasioni in aperta ostilità con la città di Como governata dalla famiglia ghibellina dei Rusca.
Il cronista trecentesco Beltramolo de Selva riferisce che a seguito di tale situazione “detta Terra (di Sondrio) fu molto ribella al Comune di Como, fu di necessità fortificarla di fossati et muri se quivi gli abitatori si dovevano poter difendere. Per tanto l’anno del signore 1318 la detta Terra fu fortificata d’un fossato con le palangate, et l’anno poi 1325 per l’avvenimento del Sig. Franchino Rusca Capitano del Popolo di Como, il quale machinava di sommergere essa Terra fu per il detto Commune di Sondrio posta una taglia alla ratta di brazza 8 di muro in largo, et brazza 18 e d’altezza brazza 12 per qualonque lira così detta terra fu circondata di muro”.
Per volere di Egidio Capitanei la città fu quindi cinta di mura e queste vennero circondate da un fossato entro il quale scorrevano le acque deviate con le rogge dei “Malleretti”; alla costruzione parteciparono nobili cittadini e vicini, ognuno proporzionatamente alle proprie facoltà. Le difese partivano dalla rupe di Fracajolo, fiancheggiavano il letto del Mallero fino all’altezza di palazzo Martinengo dove probabilmente vi era una torre, piegavano quindi verso via delle Pergole per poi risalire in direzione del Campello, passando ove ora è il lato meridionale del campanile. Da qui le mura procedevano verso Quadrobbio (piazza Quadrivio) girando poi a nord e chiudendosi probabilmente all’altezza della roccia detta Crap in corrispondenza del secondo arco che scavalca via Scarpatetti.
In principio vi erano due sole porte, una in piazza Quadrivio, detta di “Ponta de Prada”, e l’altra nei pressi di palazzo Martinengo, conosciuta col nome di porta di “Cugnolo”. Pochi anni dopo vennero aperti altri due ingressi: la porta detta del “Mallero”, o di “Cantone”, presso il ponte di piazza Vecchia e quella di “Foppa” lungo via Scarpatetti.
In occasione di scavi nelle località citate alcune porzioni delle mura, abbattute nel 1336 dopo la presa di Sondrio da parte di Franchino Rusca e Azzo Visconti, sono riaffiorate a poca profondità. Una parte di muraglia lunga quasi 20 metri venne portata alla luce nel 1915 in occasione dello scavo delle fondamenta del nuovo tribunale, altri resti vennero ritrovati in piazza Campello e nell’area del campanile, in una cantina di Sondrio vecchia e, recentemente, nell’orto dell’Arcipretura e nei giardini Sassi dove sono stati condotti scavi archeologici. Questi ultimi lavori, oltre ad approfondire i dati noti sulla costruzione medioevale, sembrano confermare preesistenze di epoca romana, testimoniate dal ritrovamento di diversi materiali quali laterizi di copertura dei tetti, pareti di anfora e altri materiali ceramici, di cui i più antichi databili intorno al I secolo d.C., indizi di un passato lontano che si aggiungono ai ritrovamenti precedenti costituiti da poche monete, alcuni frammenti in cotto e dall’urna cineraria in pietra di Esirio Secondo conservata presso il Museo. Le mura si sovrappongono inoltre alle fondazioni di altri edifici più antichi di epoca non precisabile che, con le dovute cautele, potrebbero suffragare l’ipotesi di una continuità dal “vicus” romano al borgo medioevale.
L’area attualmente adibita a verde pubblico costituiva un tempo il giardino di palazzo Sassi de’Lavizzari. I tre busti bronzei che vi sono sistemati raffigurano il patriota risorgimentale Maurizio Quadrio (1800-1876), opera di Giovanni Spertini, il poeta Giovanni Bertacchi (1869-1942) opera di Enrico Pancera e il ministro Ezio Vanoni (1903-1956) dello scultore Livio Benetti.
Fino ai primi anni dell’800 l’antica porta della cinta muraria trecentesca detta di “Ponta de Prada”, conosciuta anche verso la fine del ‘500 con il nome di “Porta del Rastello”, che costituiva l’ingresso orientale al borgo. Dalla “Cronica” del sondriese Beltramolo de Selva si viene a sapere che nel 1325 “furono fatte due porte, l’una per la quale si andava in Cugnolo ovvero al ponte d’Adda, l’altra in Quadrobbio per la quale si andava nella campagna verso ponta de Prada. Questa porta era molto bella et aveva l’insegna di parte Guelfa sopra e delli SS.i Capitanei et sopra ciaschuna d’esse porte v’erano le sue battrefrede di legname et similmente in molte altre parti di detto Muro, dove era il maggior impeto della guerra”. Dopo la conquista della Valtellina da parte dei Grigioni sulla facciata del bastione, in origine protetto anche da un fossato, vennero dipinti gli stemmi dello Stato delle Tre Leghe, insieme a quelli dei Governatori, dei Vicari e del Comune.
Il portale al civico numero 21 di via Cavallotti è tra i più antichi e pregevoli fra quelli presenti in città. L’architrave a timpano scolpito reca lo stemma della famiglia Ferrari di Montagna, originaria di Vigevano, che si stabilì in Valtellina nella seconda metà del XIV secolo. Ai lati dello scudo con leone rampante, inserito tra due volute floreali, è visibile il millesimo che data l’opera alla seconda metà del Cinquecento (si intravedono le prime tre cifre della data “155” mentre l’ultima è andata perduta); sotto di essa le due iniziali “I.F.” si riferiscono con tutta probabilità al committente dell’opera.
In principio le famiglie appartenenti alla “quadra dei nobili” erano quelle dei Beccaria, Lavizzari, Parravicini, Malacrida, Marlianici, Merlo, Andreani e Torelli, che nel tempo aumentarono di numero grazie a nuove fortune e matrimoni pianificati.
Un interessante spunto per la visita alla città può essere quello della riscoperta di stemmi e blasoni graffiti, affrescati o scolpiti delle antiche famiglie sondriesi che ancora si trovano sulle facciate dei palazzi o all’interno di cortili e androni.
Il luogo preciso non è noto, sorgeva l’antica “porta di Cugnolo”, una delle quattro che si aprivano lungo la cinta muraria trecentesca della città. Si trattava di un ingresso di minore importanza rispetto a quelli posti alle estremità della via Valeriana, l’asse stradale principale che attraversava il borgo da ovest a est. All’esterno del muro si estendeva la campagna fino all’Adda e al traghetto detto “navèt”, che permetteva di raggiungere Albosaggia (ancora oggi in quel paese presso il fiume c’è la località denominata il Porto).
Fu lungo questo tratto di mura che nel 1329 la città venne presa d’assedio, la “Cronichetta” di Beltramolo de Selva racconta che “venne il Sig.r Ravizza Rusca fratello di detto Sig.r Franchino con gran gente sopra la campagna di Sondrio rovinò ogni cosa, che era fuori dei muri, et pose l’assedio a detta terra, piantò il campo in mezzo di detta campagna dove si dice alla Croce di Canova, et quivi piantò due trabucchi (sorta di catapulte), et ogni giorno trabuccava nella terra di Sondrio, nella Chiesa, nel Campanile, et guastava molte case”. L’assedio e gli scontri durarono tutta l’estate con fortune alterne fino a quando, trovato un accordo, gli assalitori si ritirarono presso la torre sul sasso della Castellina di fronte al Porto di Albosaggia.
La cappella dell’Annunziata, detta anche Madonna della Rocca, è la prima di una serie dedicata ai Misteri del Rosario che doveva costituire una sorta di “Sacro Monte” lungo la strada Valeriana, dal rione di Cantone al Santuario della Sassella. L’arciprete Giovanni Battista Sertoli e il fratello Francesco, promotori dell’iniziativa, prevedevano la costruzione di quindici cappelle, di cui ne vennero edificate solo sei. Le quattro rimaste sono state recentemente interessate da interventi di restauro.
Dopo la Cappella dell’Annunziata, terminata nel 1713, venne edificata quella presso la chiesa della Sassella (1713-14) dedicata alla Pentecoste e conosciuta come “capitello degli Apostoli”. Venne arredata con le statue lignee di Giovanni Battista Zotti raffiguranti la Madonna e gli Apostoli che recano sul capo la fiammella dello Spirito Santo. Seguirono le due cappelle nelle località di Pedretta e Castellina, oggi scomparse, e in tempi imprecisati quelle tuttora esistenti: una nei pressi dello stadio e l’altra sulla strada per Triasso.
La cappella dell’Annunziata, a pianta ottagonale con portico a tre arcate coperto da un tettuccio, fu costruita molto probabilmente su progetto di Pietro Ligari e attualmente presenta un piano sopralzato costruito nel 1918.
Un restauro complessivo della cappella, eseguito nel corso del 1996 a cura del Lions Club, ha interessato le parti murarie, la decorazione interna che si trovava in stato di avanzato degrado, e le sculture lignee, ridipinte numerose volte nel corso del tempo.
Le pareti interne sono state affrescate nel 1780 da Carlo Scotti, originario della Val d’Intelvi, che all’interno delle nette partiture scandite dall’impianto architettonico ha dipinto, a partire dal lato sinistro, la Fuga in Egitto, l’Adorazione dei Magi, la Presentazione di Gesù al Tempio (al centro), la Visitazione di Elisabetta e Gesù tra i dottori. La decorazione della volta, di cui si è accentuata la prospettiva con l’inserimento di una corona di putti, rappresenta l’Immacolata con il Bambino che trafigge il drago con una lancia.
Il gruppo ligneo, opera del 1715 di Giovanni Battista Zotti, rappresenta l’Arcangelo Annunciante che tende le mani verso la Vergine seduta all’inginocchiatoio. In tempi successivi venne posta nella mano sinistra della Madonna una rocca per filare, aggiunta che ha condizionando il nome stesso della cappella.
L’importanza dell’altura del Moncucco per la posizione strategica sulla città non sfuggì ai signori di Sondrio, i Capitanei, che nel ‘300 la fortificarono a più riprese con due torri e muraglie. Dal colle, poco distante dal castello Masegra, si dominava la parte orientale del borgo, e la posizione vantaggiosa scoraggiava gli attacchi alla città dall’alto. Fu probabilmente per questa ragione, come ipotizza il Romegialli, che nel ‘500 venne smantellata una villa posta sul pianoro a valle delle torri: si voleva evitare con ciò che eventuali assalitori potessero accamparsi in un luogo pericoloso per i quartieri sottostanti.
Nel secolo successivo, per volere della cittadinanza sondriese, le stesse pietre della costruzione demolita servirono per edificare un convento francescano. Con una solenne processione l’11 giugno del 1628 dodici padri fabbricieri, tra i quali quel frate Felice Casati sovrintendente del Lazzaretto di Milano che il Manzoni ha immortalato nei “Promessi Sposi”, posero una croce sul luogo dove sarebbe sorto un monastero con la foresteria.
Nel 1805 il convento venne soppresso, i suoi beni confiscati e in seguito gli edifici utilizzati quali sede del Ginnasio Convitto. Nel museo cittadino è conservata un’importante pala d’altare seicentesca proveniente dalla chiesa del monastero: l’opera, del pittore Carlo Francesco Nuvolone, raffigura la Madonna e S. Felice da Cantalice con Gesù Bambino.
La Piazzetta Angelo Custode è nel cuore della città medioevale: secondo gli scritti di Beltramolo de Selva nel ‘200 il centro abitato era posto sul colle di Masegra e si estendeva fino al “Castelletto”, in corrispondenza della rupe alle spalle della chiesa dell’Angelo Custode. Il piccolo fortilizio a guardia del ponte sul Mallero fu affiancato da una chiesa dedicata a S. Siro.
Le vecchie cronache raccontano che nella piazza si tenevano i Consigli generali dei nobili, dei cittadini e dei vicini di Sondrio, come quello del 9 aprile 1308 con il quale venne concesso ai Capitanei il privilegio dell’esenzione perpetua da ogni tassa a condizione che tenessero dimora in città, ovvero presso il castello di Masegra. La convocazione di tali adunanze veniva annunciata dal suono di un grande corno.
Caduti in rovina il Castelletto e la chiesa di S. Siro, la rupe del Crap nella credenza popolare acquistò una fama sinistra: nei documenti dei processi per stregoneria del XVII secolo il luogo è citato, insieme al Moncucco, il castel Grumello, la zona ai piedi della rupe di S. Bartolomeo e il prato di Gombaro, quale scenario degli incontri notturni delle streghe per celebrarvi il sabba, il “gioco del barlotto” o altri “balli e stravizi” illeciti.
Fu quindi accolta di buon grado nel 1657 la richiesta per l’autorizzazione a edificare una nuova chiesa dedicata all’Angelo Custode, per iniziativa del nobile Francesco Carbonera e dei suoi convicini, Nazaro Pusterla, Andrea Sertorio, Giovanni Andrea Sassi e Giacomo Bonetti. I lavori presero avvio l’anno seguente, con l’escavazione della roccia viva per permettere l’alloggiamento della chiesetta a destra della casa del Carbonera. Il 10 giugno 1660 il curato di Albosaggia Gio. Pietro Sertoli benediceva la prima pietra, ricevendo in compenso “scatole tre di confetture, tre di cotognata et boccali 4 di vino, il tutto valutato lire otto” e il primo di ottobre dello stesso anno l’arciprete di Sondrio vi celebrò la prima messa.
Nel 1673 venne ultimato anche il piccolo campanile, poggiante in parte sul muro perimetrale della chiesa e in parte su uno sperone di roccia viva.
All’interno l’unico altare è abbellito da una tela di Ercole Procaccini, raffigurante l’Angelo Custode che conduce il fanciullo lungo la via della salvazione (1660 ca.), inserita in un’elegante cornice intagliata di stile rinascimentale.
Vicolo S. Siro ricorda con il suo nome un antichissimo oratorio dedicato al santo vescovo di Pavia. La chiesetta, già in rovina alla fine del ‘500, sorgeva presso un piccolo avamposto fortificato sulla propaggine meridionale della rupe ancora oggi conosciuta come “Crap”.
E’ in questa zona, compresa tra il colle di Masegra e l’attuale piazza dell’Angelo Custode, che in epoca medioevale si concentrava il nucleo abitato della città, in posizione dominante, al riparo dalle piene del Mallero e sotto l’immediata protezione del castello.
La scalinata che dal vicolo sale alla sommità del Crap permette un’interessante vista panoramica sul quartiere nobile del borgo di Sondrio. Palazzi, avanzi di vecchie torri e colombari, giardini e broli si svilupparono lungo la direttrice dell’antica via Valeriana, un tempo strada principale della città e della valle.
Il termine “crap” nei dialetti valtellinesi significa rupe, parete rocciosa e talvolta assume valore di toponimo come nel caso della costa rocciosa che sovrasta il centro storico di Sondrio. Beltramolo de Selva intorno al Duecento il nucleo abitato della città era situato sul colle di Masegra, occupando l’area che dal castello arriva all’attuale piazzetta dell’Angelo Custode, posizione facilmente difendibile e al sicuro dalle esondazioni del torrente Mallero. Guerre e distruzioni indussero la popolazione a ricostruire il borgo più a sud “dove si dice nella Villa di sotto la Chiesa di S. Eusebio”, ovvero nella zona a meridione di piazza Campello. Ai tempi del Selva (XIV secolo) l’abitato di Sondrio si era però già ulteriormente sviluppato, raccogliendosi lungo il tracciato dell’antica via Valeriana, ai piedi del colle di Masegra, dalla zona di piazza Vecchia fino a piazza Quadrivio.
Dalla cima del Crap, dove ci troviamo, si possono imboccare due lunghe e suggestive scalinate che portano in città: la salita Ligari, lungo la quale vi è la casa degli artisti sondriesi da cui prende il nome, e quella di vicolo S. Siro, che offre un’ottima panoramica dei tetti del centro storico e di questo tratto di valle. Seguendo la strada si può invece attraversare il caratteristico quartiere rurale di Scarpatetti, ricco di scorci che rimandano alla vita contadina di un tempo. Sempre dalla strada, ma salendo, si giunge in breve al castello Masegra, dimora secolare dei Capitanei e dei Beccaria, signori di Sondrio, che con le sue torri domina dal colle omonimo in una cornice alti alberi e vigneti.
Il Castello Masegra ebbe una storia movimentata, venne più volte distrutto e ricostruito da quando nel 1048 ne fu decisa l’edificazione da Alberto Capitanei, la cui famiglia otto anni prima aveva ricevuto in feudo la pieve di Sondrio da Enrico III di Franconia. Il castello era posto al centro di una fitta rete di torri, forti e avamposti militari che sorvegliavano e difendevano tutti i territori soggetti alla potente famiglia.
I Capitanei rimasero proprietari del castello fino al 1436, quando Jacopa, ultima rappresentante della famiglia, sposò Antonio Beccaria. Furono i discendenti di questo casato ad occuparsi della rocca sino alla fine del ‘500: a quel secolo risale l’ampliamento della fortificazione, alla quale vennero aggiunti ambienti di rappresentanza. Nel 1593 fu ceduto alla potente famiglia grigiona dei Salis; i successivi passaggi di proprietà datano al XIX secolo, quando, dopo l’annessione della provincia di Sondrio all’Italia, l’edificio passò al demanio e fu destinato a scopi militari. Nel 1874 durante i lavori di sistemazione del piazzale antistante il castello e l’erezione di un edificio adibito a caserma venne abbattuta la chiesetta di Sant’Agata, di cui un recente scavo archeologico ha rinvenuto le fondamenta.
La costruzione attuale del castello si presenta come un complesso di edifici a pianta trapezoidale: i corpi rivolti a sud ed est contengono gli spazi abitativi, mentre sul lato nord si trova una cortina muraria conclusa alle estremità da due torri.
Elementi architettonici interessanti posti sulla facciata verso oriente decorata a graffito sono i finestroni dalle ghiere imponenti e i due portali in pietra con stemmi, recanti le date 1549 e 1491, mentre il lato dell’edificio a picco sulla città mostra la colombaia decorata da una greca e da un volo di uccelli dipinti.
Nel cortile interno si trova una loggetta dove colonne dai capitelli fogliati reggono piccole arcate: sulla facciata sono visibili stemmi dei Beccaria e dei Carcano scolpiti entro clipei.
Gli interni più caratteristici sono quelli dell’ala est con le sale voltate del piano rialzato, dove rimangono resti di affreschi (XVI sec.), e quelle al piano superiore con soffitti a cassettoni dalle decorazioni policrome.
La storia di questo luogo si intreccia con il triste capitolo della caccia alle streghe: sappiamo infatti da alcuni carteggi processuali del XVII secolo che nel piazzale antistante la chiesa venivano eretti i roghi per le vittime dell’Inquisizione.
In tempi migliori, nel 1756, la chiesa divenne luogo di riunione dell’Accademia dei Taciturni, un consesso di nobili, canonici e cittadini appassionati di poesia che, con esiti piuttosto modesti, si dilettava nella produzione di componimenti in versi ispirati a S. Giovanni Nepomuceno: il manoscritto originale che li raccoglie è tuttora conservato presso la Biblioteca Civica.
Il vecchio ossario lungo il lato meridionale e il piccolo campanile che sorgeva verso nord vennero abbattuti in tempi diversi a seguito della costruzione del collegio dei Salesiani e dei grandi lavori di sistemazione della chiesa, riaperta al culto il 20 ottobre del 1897.
L’aspetto attuale di casa Carbonera è il risultato dei lavori di ristrutturazione e ampliamento intrapresi alla fine del XVIII secolo dalla famiglia proprietaria. Più che l’austero prospetto che corre lungo la via, ingentilito appena dal bel portale e dai due balconcini con balaustre in ferro battuto, colpiscono le due raccolte corti interne attorno alle quali si affacciano leggiadri ballatoi e terrazzini barocchi. Dal secondo cortiletto, oltre la porta sormontata da un affresco monocromo allegorico con una lunga dedica commemorativa dei restauri terminati nel 1778, si accede al vano della bellissima scala elicoidale che conduce ai piani superiori, impreziosita da un’artistica ringhiera in ferro battuto. Sotto un balconcino sul fronte nord dell’edificio si trovano due angioletti in stucco che paiono reggere degli stemmi incorniciati da volute.
Il corpo occidentale del complesso è dominato da un avanzo di torre, forse di epoca medioevale, con numerosi imbocchi di piccionaie. Come nelle maggiori città dell’epoca anche nella piccola Sondrio il possesso di torrioni era motivo di orgoglio e vanto per le famiglie facoltose. Alla sommità delle torri i “colombari” per l’allevamento di piccioni e passeracei erano un tempo molto diffusi sia nelle case dei nobili che in quelle dei contadini come valida fonte di approvvigionamento alimentare; più raramente questi volatili venivano utilizzati quali portatori di messaggi o a scopo ludico per le cacce col falco.
Palazzo Sertoli, unito ai vicini edifici Giacconi e Paribelli, si presenta come un’articolata struttura architettonica di cui si può ricostruire la storia nel tempo. Fin dal XVI secolo le abitazioni in piazza Quadrivio appartenevano a famiglie nobili sondriesi (Torelli, Merlo, Andreani): nel 1616, sposando Anastasia Merlo, Giovanni Battista Sertoli divenne proprietario di parte di uno di questi palazzi, non meglio identificata. Nel 1630 in Sondrio imperversò la peste e le case a sud della piazza vennero bruciate; l’anno successivo furono danneggiate ulteriormente dai lanzichenecchi di Federico II di passaggio attraverso la Valtellina diretti all’assedio di Mantova. Qualche tempo dopo il Sertoli acquistò queste costruzioni con i terreni annessi; seguirono lunghi lavori di ristrutturazione alla conclusione dei quali, per commemorare l’evento, venne dipinto un affresco lungo lo scalone d’onore ancora oggi visibile: vi è raffigurata l’Annunciazione e un’iscrizione che ricorda gli eventi drammatici appena trascorsi.
Nel 1715 Giovanni Tommaso Sertoli, nipote di Giovanni Battista, chiese al vescovo il permesso di edificare una cappella che dalla sua proprietà si affacciasse sulla piazza; ottenuto il consenso, i lavori dovettero procedere rapidamente, dato che sul portale in pietra dell’edificio è incisa la data 1716. La cappella venne dedicata a San Francesco Saverio e a Pietro Ligari fu commissionata la tela, realizzata nel 1717, raffigurante "S. Francesco Saverio che battezza una principessa indiana". Sull’altare si trova la pala di Giuseppe Prina (o Brina) raffigurante la “morte di S. Francesco Saverio”.
La sistemazione settecentesca del palazzo si deve a Cesare Parravicino Sertoli (1698-1780) il quale si valse dell’architetto Pietro Solari da Bolvedro, artefice della costruzione di Palazzo Malacrida a Morbegno, del bellissimo oratorio di S. Ignazio a Traona e con tutta probabilità di quello di S. Gerolamo a Delebio.
Del palazzo sono degni di nota la facciata su piazza Quadrivio, i cui elementi architettonici sono abbelliti da fregi in stucco con mascheroni, e soprattutto il salone dei balli al piano nobile. Si tratta di un ambiente sontuosamente decorato da affreschi raffiguranti fughe prospettiche di architetture ricche di volute, svolazzi e finti stucchi, attribuiti al ticinese Giovan Antonio Torricelli.
Il palazzo, di origine cinquecentesca, prende nome dalla famiglia che ne fu proprietaria fino al 1922, quando l’ingegner Francesco Sassi de’Lavizzari lo donò al Comune di Sondrio a condizione che venisse destinato a scopi culturali.
L’esterno molto severo dell’edificio è ingentilito dal bel portale settecentesco a bugnato con timpano spezzato, attraverso il quale si accede all’elegante cortile porticato. Tracce della storia più antica del palazzo sono un fregio dipinto databile al XVI secolo, alcuni soffitti lignei a grandi pannelli e una notevole stüa lignea seicentesca riccamente intagliata. L’ultimo piano della costruzione è il risultato di un sopralzo ottocentesco, epoca di cui rimangono anche alcuni ambienti decorati a stucco.
Il palazzo è attualmente sede del Museo Valtellinese di Storia e Arte, aperto al pubblico dal 1994 al termine dei primi lavori di ristrutturazione. L’origine del Museo Civico si deve alla volonterosa iniziativa di un ristretto gruppo di studiosi e appassionati d’arte che il 28 settembre 1874 fondarono il Comitato Archeologico Provinciale, con il dichiarato scopo di “conoscere e conservare tutto ciò che in Provincia appartiene all’antiquaria, alle arti, alla storia patria”.
Le collezioni del Museo raccolgono testimonianze archeologiche di epoca preistorica e romana ed opere, per lo più di provenienza locale, che offrono una panoramica della produzione artistica valtellinese dal Medioevo al nostro secolo. Conclude il percorso espositivo la sezione di arte moderna e contemporanea.
Nell’agosto del 1834 la città di Sondrio fu colpita da una violenta inondazione provocata dallo straripamento del Mallero: i danni furono gravi soprattutto nella zona nord della città, nel punto in cui il torrente incontra l’abitato.
Nel tratto tra le attuali Piazza Cavour e Piazza Garibaldi, dove il corso d’acqua fa una curva, e in particolare sulla sponda sinistra, vennero travolti dalla piena numerosi edifici. Le proporzioni del disastro, che vide l’alveo del Mallero innalzarsi di otto metri e il materiale alluvionale spargersi su un’area molto ampia, sono evidenti in un rilievo eseguito da Pietro Martire Rusconi dopo l’accaduto.
Già nel gennaio del 1835 iniziarono i lavori di costruzione della massiccia arginatura, progettata da Carlo Donegani, che ancora oggi vediamo: furono finanziati per quattro quinti dal Governo Lombardo-Veneto interessato a mantenere utilizzabile la strada dello Stelvio aperta da poco che collegava la Lombardia al Tirolo. Le autorità cittadine, volendo esprimere all’imperatore austriaco la gratitudine per il tempestivo intervento e per gli aiuti finanziari concessi in quel difficile momento, decisero di erigere un monumento alla Riconoscenza da dedicare a Ferdinando I. La prima proposta, firmata da Carlo Donegani, era pronta già nel 1836, ma fu accantonata a causa delle difficoltà da affrontare per la sua realizzazione. Il progetto definitivo vide accolte le modifiche suggerite dallo scultore Pompeo Marchesi e il monumento fu terminato nel 1839. Si tratta di un obelisco marmoreo con statue raffiguranti la Giustizia, la Religione, la Pace e la Beneficenza, realizzate da Giuseppe Croff, allievo del Canova.
Sul basamento erano collocati gli stemmi della città di Sondrio e degli Asburgo, asportati nel 1859. In origine il monumento si trovava lungo un pubblico passeggio alberato che correva tra il palazzo Lambertenghi e l’argine sinistro del Mallero. Attualmente l’opera è sistemata all’interno del giardino di palazzo Martinengo, dimora di origine cinquecentesca appartenuta al conte Ulisse Martinengo di Barco.
Citata per la prima volta in un documento del 1100, la Collegiata di Sondrio si presenta oggi come un edificio imponente ma non del tutto omogeneo, frutto di una storia edilizia complessa che ha ormai cancellato ogni traccia della struttura medioevale.
Le vicende più antiche della chiesa non sono documentate, sono invece note le modifiche quattro-cinquecentesche, messe in atto da maestranze lariane in un momento particolarmente felice per la storia dell’arte valtellinese: abside e coro furono ricostruiti, insieme con una nuova sagrestia, mentre la navata fu ampliata verso l’ingresso, il che comportò l’edificazione di una nuova facciata ove furono affrescate le immagini della Vergine col Bambino e dei Santi Patroni. Probabilmente in questa occasione fu collocato il portale marmoreo i cui resti (architrave e capitelli) sono conservati presso il Museo di Sondrio. A quel tempo la chiesa doveva essere completamente affrescata e aveva un tetto con capriate a vista dalle mensole riccamente lavorate che ancora si conservano nell’attuale sottotetto.
Tra Cinque e Seicento - epoca di guerre, pestilenze e pesanti rivolgimenti politico-religiosi - gli arcipreti Nicolò Rusca e Gian Antonio Paravicini tentarono, pur con gli scarsi mezzi a disposizione, di rinnovare l’aspetto della chiesa in base alle disposizioni controriformistiche per il culto imposte da Carlo Borromeo.
Se il Rusca si occupò principalmente degli arredi e delle suppellettili, il Paravicini negli anni venti del Seicento fece invece costruire quattro cappelle laterali, affidandone costruzione e decorazione ad artisti di prim’ordine quali l’ingegner Gaspare Aprile, lo stuccatore Bernardo Bianchi di Carona (lago di Lugano) e i pittori comaschi Recchi. Nel 1640 accanto alla chiesa fu edificato l’oratorio del SS. Sacramento, abbattuto nel 1927 per lasciar spazio alla piazza.
Nel terzo decennio del Settecento ha inizio il grandioso progetto di ampliamento della Collegiata sotto la direzione di Pietro Ligari, il quale conserva solo in parte i vecchi muri, la navata fu sopraelevata e allargata verso la piazza, mentre all’interno fu data veste barocca alla struttura, tratto evidente soprattutto negli altari marmorei laterali eseguiti dai fratelli Buzzi di Viggiù, celebri a quel tempo in Lombardia.
Per quanto riguarda la parte posteriore, il Ligari progettò un coronamento mai attuato per ragioni economiche e di spazio. Il presbiterio attuale, le cui forme neoclassiche mal si accordano con la navata barocca, fu costruito solo alla fine del Settecento su disegno del ticinese Pietro Taglioretti.
Per l’ultimazione della facciata, rimasta incompleta ai tempi del Ligari, si dovette attendere il progetto del 1838 dell’architetto sondriese Giuseppe Sertoli che non conservò il doppio ordine architettonico settecentesco, ma ideò una facciata neoclassica con un ordine architettonico gigante.
Emilio Quadrio, scrittore, giornalista, editore e personaggio politicamente impegnato in contatto con gli ambienti della sinistra lombarda, fece costruire la villa tra il 1913 e il 1914. La progettazione dell’edificio fu affidata al milanese Adolfo Zacchi, esponente di un’architettura che intendeva recuperare gli stili storici: la costruzione ha un impianto ispirato ai palazzi rinascimentali e sembra avere dei riferimenti in particolare alla villa della Farnesina a Roma.
Oltre a riprendere elementi architettonici propri del periodo, lo Zacchi attinse soprattutto al vasto repertorio decorativo del Rinascimento, a cui si è ispirato ad esempio per le cornici marcapiano e le decorazioni delle finestre in cotto, per i motivi a graffito che coprono le facciate e per la forma dei comignoli. All’interno, dopo l’atrio, vi è un locale dove è collocata una loggia in legno del secolo XVII proveniente dalla chiesetta dell’Angelo Custode, oltre il quale si trova il grande salone dei concerti con un ricco soffitto decorato da stucchi. In una sala adiacente venne sistemata una bella stüa cinque-seicentesca proveniente da una casa della famiglia Carbonera.
La storia più recente di questo edificio è legata a Teresina Tua, seconda moglie del Quadrio: valente violinista, era apprezzata dai più celebri compositori del tempo, tra cui Verdi, Listz, Wagner, Brahms. Il suo talento era conosciuto a livello internazionale grazie ai concerti tenuti non solo in Italia e in Europa ma anche in Russia e negli Stati Uniti. Nel 1935 la Tua, a cui si devono anche altre opere di beneficenza, donò la villa al Comune di Sondrio, vincolandone l’uso a scopi culturali: attualmente vi ha sede la Biblioteca Municipale dedicata a Pio Rajna.
Progettato da Giovanni Muzio nel 1930, su bando di concorso nazionale indetto per un palazzo dove avrebbero trovato posto gli Uffici di Provincia, Prefettura, Questura, e del Consiglio provinciale dell’economia, il Palazzo Governo occupa una porzione considerevole dell’isolato urbano compreso fra le vie Vittorio Veneto e XXV Aprile (già corso XXVIII Ottobre). L’edificio confermando con la propria giacitura gli assi viari ipotizzati all’atto della progettazione della stazione ferroviaria, all’epoca della stesura del progetto non ancora compiutamente realizzati, si pone come caposaldo per lo sviluppo della città in direzione sud.
Il palazzo, articolato attorno alla corte interna, costituisce una sorta di ponte fra le due vie grazie al passaggio coperto evidenziato alle estremità dalle due torri della Provincia sul lato est e della Prefettura, la più alta, sul alto ovest. Per la progettazione dell’opera, l’architetto Muzio aveva compiuto un viaggio preliminare in Valtellina per studiare i caratteri dell’architettura locale: sua intenzione era quella di realizzare “un Palazzo semplice e nobile, materiato dello spirito della Valle”. In base a questo principio vennero riproposti i graffiti osservati su alcuni importanti monumenti della valle (palazzo Besta e chiesa di S. Eufemia a Teglio, Basilica della Madonna di Tirano), interpretati elementi come la fontana su via XXV Aprile (identica a una fontana un tempo nei pressi della parrocchiale di Teglio) o utilizzati materiali prevalentemente locali come il serizzo della Valmasino, gli scisti di Dubino, il serpentino e le ardesie della Valmalenco, la pietra verde di Tresivio e di Chiavenna fino ai legni di pino cembro e di larice che caratterizzano tanto le stüe del Prefetto e del Presidente della Provincia quanto il rappresentativo salone delle adunanze.
Nella sala consiliare sono conservati sei encausti di Gianfilippo Usellini (1903-1971) realizzati nel 1934; i grandi dipinti, disposti lungo le pareti laterali, raffigurano attività lavorative tipiche della Valtellina: mietitura, vendemmia, tessitura, filatura, pesca, alpeggio, caccia, industria del legno, lavorazione del granito e alpinismo collocate sullo sfondo di paesaggi valtellinesi.
Piazza Garibaldi, tipica piazza ottocentesca, è il cuore di Sondrio. Da qui si snodano, attraverso le stradine della "Sondrio vecchia", brevi itinerari che permettono di visitare la Sondrio antica, quella rinascimentale, quella barocca, quella neoclassica, quella moderna e quella contemporanea. All'interno dell'antico palazzo Sassi c'è il museo Valtellinese di Storia ed arte dove è possibile ammirare un'antica Stüa (antico soggiorno con pareti, pavimento e soffitto in legno) settecentesca in legno scolpito ed intagliato e dove è raccolta una ricca documentazione storica ed artistica sulla provincia di Sondrio dalla preistoria ai nostri giorni. Un'altra stüa, la più antica (XV° sec), completamente abbellita da figure ad intarsio, è possibile ammirarla all'interno del Palazzo Pretorio in piazza Campello e un'altra, di inizio secolo, presso la biblioteca.
La città è circondata da diversi nuclei abitati di modeste dimensioni, la cui popolazione varia dalle poche decine ad alcune centinaia di abitanti. Le principali sono:
Colda a nord-est, condiviso in parte col comune di Montagna in Valtellina.
Mossini a nord-ovest, posto sul versante opposto di Ponchiera all'ingresso della Valmalenco.
Ponchiera a nord, situato all'ingresso della Valmalenco, sulla sinistra idrografica del Mallero.
Sant'Anna a ovest, collocato poco sopra Mossini, presso la strada per Triangia.
Sassella a ovest del comune di Sondrio e al confine con il comune di Castione Andevenno. Località nota per le palestre di roccia, il santuario mariano e per dare il nome ad un vino valtellinese.
Triangia a ovest, situato sulla sommità di un terrazzo naturale alle porte della città.
Triasso sorge ad ovest del territorio comunale su un dosso montuoso al di sopra della frazione Sassella.
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