mercoledì 25 febbraio 2015

LEONARDO DA VINCI A MILANO

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Leonardo di ser Piero da Vinci (Vinci, 15 aprile 1452 – Amboise, 2 maggio 1519) è stato un pittore, ingegnere e scienziato italiano. Uomo d'ingegno e talento universale del Rinascimento, incarnò in pieno lo spirito della sua epoca, portandolo alle maggiori forme di espressione nei più disparati campi dell'arte e della conoscenza. Si occupò di architettura e scultura, fu disegnatore, trattatista, scenografo, anatomista, musicista e, in generale, progettista e inventore. È considerato uno dei più grandi geni dell'umanità.
« Fu tanto raro e universale, che dalla natura per suo miracolo esser produtto dire si puote: la quale non solo della bellezza del corpo, che molto bene gli concedette, volse dotarlo, ma di molte rare virtù volse anchora farlo maestro. Assai valse in matematica et in prospettiva non meno, et operò di scultura, et in disegno passò di gran lunga tutti li altri. Hebbe bellissime inventioni, ma non colorì molte cose, perché si dice mai a sé medesimo avere satisfatto, et però sono tante rare le opere sue. Fu nel parlare eloquentissimo et raro sonatore di lira et fu valentissimo in tirari et in edifizi d'acque, et altri ghiribizzi, né mai co l'animo suo si quietava, ma sempre con l'ingegno fabricava cose nuove. »
(Anonimo Gaddiano, 1542)

Leonardo fu il figlio primogenito del notaio venticinquenne ser Piero da Vinci, di famiglia facoltosa, e di Caterina, una donna di estrazione sociale inferiore; frutto di una relazione illegittima fra i due. La notizia della nascita del primo nipote fu annotata dal nonno Antonio, padre di Piero e anche lui notaio, su un antico libro notarile trecentesco, usato come raccolta di "ricordanze" della famiglia, dove si legge: «Nacque un mio nipote, figliolo di ser Piero mio figliolo a dì 15 aprile in sabato a ore 3 di notte. Ebbe nome Lionardo. Battizzollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci, in presenza di Papino di Nanni, Meo di Tonino, Pier di Malvolto, Nanni di Venzo, Arigo di Giovanni Tedesco, monna Lisa di Domenico di Brettone, monna Antonia di Giuliano, monna Niccolosa del Barna, monna Maria, figlia di Nanni di Venzo, monna Pippa di Previcone». Nel registro non è indicato il luogo di nascita di Leonardo, che si ritiene comunemente essere la casa che la famiglia di ser Piero possedeva, insieme con un podere, ad Anchiano, dove la madre di Leonardo andrà ad abitare. Il battesimo avvenne nella vicina chiesa parrocchiale di Santa Croce, ma sia il padre sia la madre erano assenti, poiché non sposati. Per Piero si stavano preparando ben altre nozze, mentre per Caterina fu cercato, nel 1453, un marito che accettasse di buon grado la sua situazione "compromessa", trovando un contadino di Campo Zeppi, vicino Vinci, tale Piero del Vaccha da Vinci, detto l'Attaccabriga, forse anche mercenario come il fratello Andrea.

Nel frattempo, già nel 1452, il padre Piero si era sposato con Albiera di Giovanni Amadori, dalla quale non avrà figli. La lieta accoglienza del bambino, nonostante il suo status illegittimo, è testimoniata oltre che dall'annotazione del nonno anche dalla sua presenza nella casa paterna di Vinci. Ciò si legge nella dichiarazione per il catasto di Vinci dell'anno 1457, redatta sempre dal nonno Antonio, ove si riporta che il detto Antonio aveva 85 anni e abitava nel popolo di Santa Croce, marito di Lucia, di anni 64, e aveva per figli Francesco e Piero, d'anni 30, sposato ad Albiera, ventunenne, e con loro convivente era «Lionardo figliuolo di detto ser Piero non legittimo nato di lui e della Chaterina che al presente è donna d'Achattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d'anni 5».

La matrigna Albiera morì appena ventottenne nel 1464, quando la famiglia risiedeva già a Firenze, venendo sepolta in San Biagio. Ser Piero si risposò altre tre volte: una seconda (1464) con la quindicenne Francesca di ser Giuliano Lanfredini, che pure morì senza progenie, una terza con Margherita di Francesco di Jacopo di Guglielmo (1475), che gli diede finalmente sei figli; altri sei ne ebbe con il quarto e ultimo matrimonio.

Leonardo ebbe così dodici tra fratellastri e sorellastre, tutti molto più giovani di lui (l'ultimo nacque quando Leonardo aveva quarantasei anni), con i quali ebbe pochissimi rapporti, ma che gli diedero molti problemi dopo la morte del padre nella contesa sull'eredità.

Ser Piero aveva già lavorato a Firenze e nel 1462, a dire del Vasari, vi ritornò con la famiglia, compreso il piccolo Leonardo. Il padre Piero avrebbe mostrato all'amico Andrea del Verrocchio alcuni disegni di tale fattura che avrebbero convinto il maestro a prendere Leonardo nella sua bottega; in realtà è alquanto improbabile che un apprendistato iniziasse ad appena dieci anni, per cui l'ingresso di Leonardo nella bottega del Verrocchio viene oggi ritenuto posteriore.

Si pensa infatti che Leonardo restasse in campagna nella casa dei nonni, dove avvenne la sua educazione, piuttosto disordinata e discontinua, senza una programmazione di fondo, a cura del nonno Antonio, dello zio Francesco e del prete Piero che l'aveva battezzato. Il fanciullo imparò infatti a scrivere con la sinistra e a rovescia, in maniera del tutto speculare alla scrittura normale. Vasari ricordò come il ragazzo nello studio cominciava «molte cose e poi l'abbandonava», e nell'impossibilità di avviarlo ormai alla carriera giuridica, il padre decise di introdurlo alla conoscenza dell'abaco, anche se «movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gl'insegnava, bene spesso lo confondeva».

Fra la primavera e l'estate del 1482 Leonardo si trovava già a Milano, una delle poche città in Europa a superare i centomila abitanti, al centro di una regione popolosa e produttiva. Le ragioni della sua partenza da Firenze sono molteplici. Sicuramente, come testimoniano l'Anonimo Gaddiano e Vasari, l'invio dell'artista fu causato da Lorenzo il Magnifico nell'ambito delle sue politiche diplomatiche con le signorie italiane, in cui i maestri fiorentini erano inviati come "ambasciatori" del predominio artistico e culturale di Firenze. Così Antonio Rossellino e i fratelli Giuliano e Benedetto da Maiano erano partiti per Napoli e un gruppo di pittori era partito per decorare la nuova cappella pontificia di Sisto IV.

Leonardo ebbe la missione di portare al duca Ludovico il Moro un omaggio. Scrisse l'Anonimo: « aveva trent'anni che dal detto Magnifico Lorenzo fu mandato al duca di Milano a presentarli insieme con Atalante Migliorotti una lira, che unico era in suonare tale strumento». Vasari tramanda che fosse un grandissimo musicista e che avesse costruito questa lira in argento, in parte a forma di una testa di cavallo «cosa bizzarra e nuova, acciò ché l'armonia fosse con maggior tuba e più sonora di voce». Arrivato, Leonardo partecipò a una gara musicale con quello strumento indetta alla corte sforzesca, «laonde superò tutti i musici, che quivi erano concorsi a sonare».

In quell'occasione Leonardo scrisse una famosa "lettera d'impiego" di ben nove paragrafi, in cui descriveva innanzitutto i suoi progetti di ingegneristica, di apparati militari, di opere idrauliche, di architettura, e solo alla fine, di pittura e scultura, di cui occuparsi in tempo di pace, tra cui il progetto di un cavallo di bronzo per un monumento a Francesco Sforza.

Appare chiaro che Leonardo fosse intenzionato a restare a Milano, città che doveva affascinarlo per la sua apertura alle novità scientifiche e tecnologiche, causata dalle continue campagne militari. L'ambiente fiorentino doveva infatti procurargli ormai un certo disagio: da un lato non si doveva riconoscere nella cultura neoplatonica della cerchia medicea, così imbevuta di ascendenze filosofiche e letterarie, lui che si definiva "omo sanza lettere"; dall'altro la sua arte stava divergendo sempre di più dal linearismo e dalla ricerca di una bellezza rarefatta e idealizzata degli artisti dominanti sulla scena, già suoi compagni nella bottega di Verrocchio, quali Perugino, Ghirlandaio e Botticelli. Dopotutto la sua esclusione dai frescanti della Sistina rimarca la sua estraneità a quel gruppo.

I documenti sembrano indicare che l'accoglienza di Leonardo nell'ambiente milanese fu piuttosto tiepida, non ottenendo inizialmente gli esiti sperati nella famosa lettera al duca. L'artista ebbe anche diverse difficoltà con la lingua parlata dal popolo (ai tempi la lingua italiana quale "toscano medio" non esisteva, tutti parlavano solo il proprio dialetto), sebbene gli esperti ritrovino poi nei suoi scritti degli anni successivi addirittura dei "lombardismi".

Per una prima commissione l'artista dovette infatti attendere il 25 aprile 1483, quando con Bartolomeo Scorione, priore della Confraternita milanese dell'Immacolata Concezione, stipulò il contratto per una pala da collocare sull'altare della cappella della Confraternita nella chiesa di San Francesco Grande (oggi distrutta). Al contratto presenziarono anche i fratelli pittori Evangelista e Giovanni Ambrogio de Predis, che ospitavano Leonardo nella loro abitazione vicino Porta Ticinese.

Si tratta della pala della Vergine delle Rocce che, stando al dettagliatissimo contratto, doveva essere lo scomparto centrale di un trittico. La tavola centrale avrebbe dovuto rappresentare una Madonna col Bambino con due profeti e angeli, le altre due, quattro angeli cantori e musicanti, dipinte poi dai De Predis; la decorazione doveva essere ricca, con abbondanti dorature e l'opera doveva essere consegnata entro l'8 dicembre per un compenso complessivo di 800 lire da pagarsi a rate fino al febbraio 1485.

Leonardo, nonostante la strettezza dei termini contrattuali, interpretò il programma iconografico in maniera originalissima, raffigurando la scena del leggendario incontro tra san Giovannino e il Bambin Gesù nel deserto, e celando riferimenti all'Immacolata Concezione nell'arido sfondo roccioso e nel modo in cui la Madonna vi si fonde attraverso un anfratto che sembra rievocare il mistero legato alla maternità.

In una supplica a Ludovico il Moro, databile al 1493, dalla quale si evince che l'opera era stata compiuta almeno entro il 1490 – ma la critica la considera comunque finita entro il 1486 – Leonardo e Ambrogio De Predis (Evangelista morì alla fine del 1490 o all'inizio del 1491) chiedevano un conguaglio di 1200 lire, rifiutato dai frati. La lite giudiziaria si trascinò fino al 27 aprile 1506, quando i periti stabilirono che la tavola era incompiuta e, stabiliti due anni per terminare il lavoro, concessero un conguaglio di 200 lire; il 23 ottobre 1508 Ambrogio incassò l'ultima rata e Leonardo ratificò il pagamento.

Sembrerebbe che Leonardo, dato il mancato pagamento delle 1.200 lire da parte della Confraternita, avesse venduto per 400 lire la tavola, ora al Louvre, al re di Francia Luigi XII, mettendo a disposizione, durante la lite giudiziaria, una seconda versione della Vergine delle Rocce, che rimase in San Francesco Grande fino allo scioglimento della Confraternita nel 1781 ed è ora conservata alla National Gallery di Londra, insieme con le due tavole del De Predis. Per completezza va detto che non per tutti l'esemplare di Londra è di Leonardo: per alcuni, fra cui Carlo Pedretti, pur abbozzato dal maestro, fu condotto con l'ausilio degli allievi; che possa essere intervenuto Ambrogio de' Predis per completare l'opera è plausibile.

Giulio Carlo Argan evidenzia come per Leonardo tutto è "immanenza". Egli guarda la realtà e la natura con gli occhi dello scienziato. Il paesaggio di quest'opera "non è un paesaggio veduto né un paesaggio fantastico: è l'immagine della natura naturans, del farsi e del disfarsi, del ciclico trapasso della materia dallo stato solido, al liquido, all'atmosferico: la figura non è più l'opposto della natura, ma il termine ultimo del suo continuo evolvere".

Rodolfo Papa fa peraltro notare come quest'opera di Leonardo risenta fortemente di alcune riflessioni di San Bonaventura, presentando eventi "storicamente tramandati ma misticamente rappresentati": il pittore insomma "riesce a rispondere alle esigenze spirituali dell’ordine francescano e dell’Arciconfraternita committente dedicata al mistero dell’origine di Maria quasi traducendo in immagine le parole di san Bonaventura".

Nei primi anni milanesi Leonardo proseguì con gli studi di meccanica, le invenzioni di macchine militari, la messa a punto di varie tecnologie. Verso il 1485 doveva essere già entrato nella cerchia di Ludovico il Moro, per il quale progettò con versatilità sistemi d'irrigazione, dipinse ritratti, approntò scenografie per feste di corte, ecc. Una lettera di quegli anni ricorda però come l'artista fosse insoddisfatto per i compensi ricevuti, descrivendo anche il suo stato familiare all'epoca. Scrisse infatti Leonardo al duca che in tre anni aveva ricevuto solo cinquanta ducati, troppo pochi per sfamare "sei bocche": si tratta della sua, di quelle dei tre allievi Marco d'Oggiono, Giovanni Antonio Boltraffio e Gian Giacomo Caprotti detto il Salaì, di un uomo di fatica e, dal 1493, di una domestica di nome Caterina, forse la madre naturale di Leonardo al seguito del figlio dopo essere rimasta vedova. Il Salaì, da Oreno, al servizio di Leonardo dal 1490, quando aveva dieci anni, ebbe il suo soprannome da un diavolo del Morgante del Pulci: Leonardo definì poi l'assistente "ladro, bugiardo, ostinato, ghiotto", ma lo trattò sempre con indulgenza.

Conclusa la Vergine delle Rocce Leonardo dovette dedicarsi ad alcune Madonne. Una fu probabilmente quella d'"optimo pittore" da inviare in dono al re d'Ungheria Mattia Corvino nel 1485 (descritta come "figura di Nostra Donna quanto bella excelente et devota la sapia più fare, senza sparagno di spesa alcuna" in una lettera ducale datata 13 aprile 1485). Un'altra fu probabilmente la Madonna Litta, eseguita in massima parte dagli assistenti, soprattutto Giovanni Antonio Boltraffio e Marco d'Oggiono.

Un altro tema ricorrente del periodo milanese è il ritratto, in cui l'artista poté mettere a frutto gli studi anatomici avviati a Firenze, interessandosi soprattutto ai legami tra le fisionomie e i "moti dell'animo", cioè gli aspetti psicologici e le qualità morali che trasparivano puntualmente dalle caratteristiche esteriori. Una delle prime prove su questo tema che ci sia pervenuta è il Ritratto di musico, forse il maestro di Cappella del duomo milanese Franchino Gaffurio. Notevoli sono in quest'opera l'attenzione analitica e il risvolto psicologico nello sguardo sfuggente dell'effigiato. Un altro famoso ritratto di questo periodo è la cosiddetta Belle Ferronnière, una dama, forse legata alla corte sforzesca, dall'intenso sguardo che evita aristocraticamente lo sguardo dello spettatore.

Sicuramente legato alla committenza ducale è il Ritratto di Cecilia Gallerani, detto la Dama con l'ermellino. La presenza dell'animale, oltre a richiamare il cognome della donna (galé in greco), alludeva anche all'onorificenza dell'Ordine dell'Ermellino, ricevuta proprio nel 1488 dal Moro da parte di Ferdinando I di Napoli.

Nei due anni successivi le commissioni ducali si fecero sempre più frequenti. Ricevette ad esempio pagamenti per il progetto del tiburio del duomo di Milano.

Nei primi mesi del 1489 si occupò delle decorazioni, nel Castello Sforzesco, per le nozze di Gian Galeazzo Maria Sforza e Isabella d'Aragona, presto sospese per la morte della madre della sposa, Ippolita d'Aragona, e rimandate all'anno successivo, come Leonardo scrisse sul libro titolato de figura umana.

I festeggiamenti ripresero solo il 13 gennaio 1490; per essi, come scrisse il poeta Bernardo Bellincioni nel 1493, «v'era fabbricato, con il grande ingegno et arte di Maestro Leonardo da Vinci fiorentino, il paradiso con tutti li sette pianeti (sette, perché anche la Luna era considerata un pianeta) che giravano e li pianeti erano rappresentati da homini». Un altro documento, redatto poco dopo la celebrazione e conservato nella Biblioteca estense universitaria di Modena, ricorda l'emozione della messa in scena, il pubblico, gli attori e lo sfarzo degli abiti: «El Paradiso era facto a similitudine de uno mezzo uovo, el quale dal lato dentro era tottu messo a horo, con grandissimo numero de lumi ricontro le stelle, con certi fessi dove stava li sette pianeti, segondo el loro grado alti e bassi. A torno l'orlo de sopra del dito mezo tondo era li XII signi, con certi lumi dentro del vedro, che facevano un galante et bel vedere: nel qual Paradiso era molti canti et soni molto dolci et suavi».

Il "cielo" inventato da Leonardo, mettendo a frutto la lunga tradizione delle sacre rappresentazioni fiorentine, doveva essere ricco di effetti speciali, giochi di luci e suoni, che restarono a lungo vivi nella memoria dei contemporanei.

In quegli anni Leonardo avviò il grandioso progetto per un monumento equestre a Francesco Sforza, come testimonia un pagamento a titolo di anticipo per le spese per un modello, pagate per conto del Duca dal sovrintendente all'erario di corte, Marchesino Stanga. Il 22 luglio 1489, inoltre, Pietro Alamanni comunicò a Lorenzo il Magnifico la richiesta di Ludovico di ottenere la collaborazione di fonditori in bronzo fiorentini: «un maestro o due apti a tale opera et benché gli abbi commesso questa cosa in Leonardo da Vinci, non mi pare molto la sappia condurre».

L'impresa era colossale, non solo per le dimensioni della statua, che doveva essere fusa in bronzo, ma anche per l'intento di scolpire un cavallo nell'atto di impennarsi ed abbattersi sul nemico. L'artista spese mesi interi nello studio dei cavalli, frequentando le scuderie ducali per studiare da vicino l'anatomia di questi animali, soprattutto riguardo al rilassamento ed alla tensione dei muscoli durante l'azione. L'impresa venne sospesa per riprendere le celebrazioni del matrimonio Sforza-d'Aragona.

Nel 1494 Leonardo ricevette però una nuova commissione, legata al convento di Santa Maria delle Grazie, luogo caro al Moro, destinato alla celebrazione della famiglia Sforza, in cui aveva da poco finito di lavorare Bramante. I lavori procedettero con la decorazione del refettorio, un ambiente rettangolare dove i frati domenicani consumavano i pasti. Si decise di affrescare le pareti minori con temi tradizionali: una Crocifissione, per la quale fu chiamato Donato Montorfano che elaborò una composizione tradizionale, già conclusa nel 1495, e un'Ultima Cena affidata a Leonardo. In tale opera, che lo sollevò dai problemi economici imminenti, Leonardo riversò come in una summa tutti gli studi da lui compiuti in quegli anni, rappresentandone il capolavoro.

Il novelliere Matteo Bandello, che ben conosceva Leonardo, scrisse di averlo spesso visto «la matina a buon'hora a montar su'l ponte, perché il Cenacolo è alquanto da terra alto; soleva dal nascente Sole sino all'imbrunita sera non levarsi mai il pennello di mano, ma scordatosi il mangiare et il bere, di continovo dipingere. Se ne sarebbe poi stato dui, tre e quattro dì, che non v'averebbe messo mano, e tuttavia dimorava talhora una o due ore al giorno e solamente contemplava, considerava et essaminando tra sé, le sue figure giudicava. L'ho anche veduto (secondo che il capriccio o ghiribizzo lo toccava) partirsi da mezzogiorno, quando il Sole è in Leone, da Corte Vecchia ove quel stupendo Cavallo di terra componeva, e venirsene dritto a le Gratie: et asceso sul ponte pigliar il pennello, et una o due pennellate dar ad una di quelle figure e di subito partirse et andare altrove».

Leonardo attinse alla tradizione fiorentina dei cenacoli, reinterpretandola però in maniera estremamente originale con una maggiore enfasi sul momento drammatico in cui Cristo afferma «Qualcuno di voi mi tradirà» e sui "moti dell'animo" degli apostoli turbati. Essi sono ritratti a gruppi di tre, come una serie di onde emotive successive, con al centro la figura isolata e dominante del Cristo.

Leonardo cambiò l'iconografia tradizionale scegliendo di non rappresentare Giuda da solo su un lato del tavolo, ma accanto agli altri sul medesimo lato rivolto allo spettatore.

Come è noto Leonardo non si trovava a suo agio con la tecnica dell'affresco, poiché i veloci tempi di asciugatura dell'intonaco richiedevano un tratto deciso e rapido, non compatibile con i lunghi studi, le successive velature e la sua finissima pennellata. Per questo Leonardo inventò una tecnica mista di tempera e olio su due strati di intonaco, che rallentò le fasi di esecuzione dell'opera consentendogli di rendere una maggiore armonia cromatica e gli effetti di luce e di trasparenze a lui cari. L'opera era conclusa nel 1498, quando venne ricordato nel De Divina Proportione di Luca Pacioli. L'esperimento si rivelò però drammaticamente inadatto a un ambiente umido come il refettorio, con la parete comunicante con le cucine: già nel 1517 Antonio de Beatis annotò le prime perdite di colore, che all'epoca di Vasari erano già evidenti, da allora si susseguirono restauri e ridipinture, oltre ad eventi estremamente drammatici durante l'occupazione napoleonica e la seconda guerra mondiale, che avevano consegnato un capolavoro estremamente compromesso, a cui ha posto rimedio, per quanto possibile, il capillare restauro concluso nel 1999.

Il 31 gennaio 1496, il successo della messa in scena del Paradiso venne replicato dall'allestimento della Danae di Baldassarre Taccone, rappresentata a Milano in casa del conte di Caiazzo Francesco Sanseverino. Sul verso di un folio leonardesco, conservato al Metropolitan Museum of Art, si trova uno studio preparatorio per l'impianto scenico: al centro di una nicchia si trovava un personaggio, forse Giove, fiammeggiante e in una mandorla, circondato da un palcoscenico con ali ricurve, forse riservate ai musici. Altre fonti ricordano come gli dei dell'Olimpo calassero dall'alto, rimanendo sospesi nel vuoto tra effetti luminosi che simulavano un cielo stellato; un sistema di argani e carrucole dava agli attori la capacità di muoversi con disinvoltura.

In quel periodo Leonardo lavorò contemporaneamente alla decorazione dei camerini in Castello Sforzesco che interruppe nel 1496; in quest'anno, da una sua nota di spese per una sepoltura, si è dedotta la morte della madre.

Dell'opera resta oggi solo la decorazione della volta della Sala dell'Asse, con una fitta trama vegetale di notevole sensibilità naturalistica, oggi apprezzabile solo a livello generale per via delle ridipinture rese necessarie a più riprese per coprire le lacune.

Del 2 ottobre 1498 è l'atto notarile col quale Ludovico il Moro gli donò una vigna tra il convento di Santa Maria delle Grazie e il monastero di San Vittore al Corpo. Intanto nubi minacciose si addensavano sull'orizzonte milanese: nel marzo 1499 Leonardo si sarebbe recato a Genova insieme con Ludovico, sul quale incombeva la tempesta della guerra che egli stesso aveva contribuito a provocare; mentre il Moro era a Innsbruck, cercando invano di farsi alleato l'imperatore Massimiliano, il 6 ottobre 1499 Luigi XII conquistava Milano. Il 14 dicembre Leonardo fece depositare 600 fiorini nell'Ospedale di Santa Maria Nuova a Firenze e abbandonò Milano.
A Firenze Leonardo iniziò ad essere lusingato dal governatore francese di Milano, Charles d'Amboise, che lo sollecitava, fin dal 1506, ad entrare al servizio di Luigi XII di Francia. L'anno successivo fu lo stesso re a richiedere espressamente Leonardo, che infine accettò di tornare a Milano dal luglio 1508. Il secondo soggiorno milanese, durato fino al 1513, con alcuni viaggi dall'ottobre 1506 al gennaio 1507 e dal settembre 1507 al settembre 1508, fu un periodo molto intenso. Dipinse la Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, completò, in collaborazione col De Predis, la seconda versione della Vergine delle Rocce e si occupò di problemi geologici, idrografici e urbanistici. Studiò fra l'altro un progetto per una statua equestre in onore di Gian Giacomo Trivulzio, quale artefice della conquista francese della città.

Viveva nei pressi di San Babila e sul suo stato finanziario resta l'annotazione di una provvigione ottenuta per quasi un anno di 390 soldi e 200 franchi dal re di Francia. Il 28 aprile 1509 scrisse di aver risolto il problema della quadratura dell'angolo curvilineo e l'anno dopo andò a studiare anatomia con Marcantonio della Torre, giovanissimo professore dell'università di Pavia; allo scopo, scrisse, di dare «la vera notizia della figura umana, la quale è impossibile che gli antichi e i moderni scrittori ne potessero mai dare vera notizia, sanza un'immensa e tediosa e confusa lunghezza di scrittura e di tempo; ma, per questo brevissimo modo di figurarla» - ossia rappresentandola direttamente con disegni, «se ne darà piena e vera notizia. E acciò che tal benefizio ch'io do agli uomini non vada perduto, io insegno il modo di ristamparlo con ordine».

Durante i suoi brevi viaggi visitò Como, poi si avventurò verso le pendici del Monte Rosa, (all'epoca era infatti impossibile salire sino sulla vetta che è alta ben 4.634 metri), poi con il Salaì e il matematico Luca Pacioli soggiornò a Vaprio d'Adda, presso Bergamo, dove gli venne affidato dal padre il giovane Francesco Melzi, l'ultimo e il più caro dei suoi allievi che lo seguì fino alla morte.

Nel 1511 morì il suo sostenitore Charles d'Amboise. L'anno seguente la nuova guerra della Lega Santa scacciò i Francesi da Milano, che tornò agli Sforza.

Nel Seicento, Francesco Arconati, figlio del conte Galeazzo, trasse dagli scritti vinciani da questi donati alla Biblioteca Ambrosiana, un trattato che intitolò Del moto e misura dell'acqua, che tuttavia verrà pubblicato solo nel 1826.

Leonardo si dedicò a studi idraulici a partire dalla sua permanenza a Milano, già ricca di navigli, e in Lombardia, solcata da un'ampia rete di canali.

Collaborò con la Repubblica di Venezia per la sistemazione dell'assetto del fiume Brenta, per evitarne le inondazioni e renderlo navigabile, ma non si conoscono opere realizzate su suoi progetti, alcuni dei quali, particolarmente grandiosi, sono attestati dai suoi scritti: un canale che unisca Firenze con il mare, ottenuto regolando il corso dell'Arno; il prosciugamento delle Paludi Pontine, nel Lazio, che si sarebbe dovuto realizzare deviando il corso del fiume Ufente; la canalizzazione della regione francese della Sologne, con la deviazione del fiume Cher, presso Tours.

Leonardo progettò anche macchine per l'uso dell'energia idraulica, per il prosciugamento e per l'innalzamento delle acque. Secondo il suo costume, egli studia la natura dell'acqua: «infra i quattro elementi il secondo men grieve e di seconda volubilità. Questa non ha mai requie insino che si congiunge al suo marittimo elemento dove, non essendo molestata dai venti, si stabilisce e riposa con la sua superfizie equidistante al centro del mondo», la sua origine, il movimento, certe caratteristiche, come la schiuma: «l'acqua che da alto cade nell'altra acqua, rinchiude dentro a sé certa quantità d'aria, la quale mediante il colpo si sommerge con essa e con veloce moto resurge in alto, pervenendo a la lasciata superfizie vestita di sottile umidità in corpo sperico, partendosi circularmente dalla prima percussione».

Osserva gli effetti ottici sulla superficie dell'acqua e trova che «il simulacro del sole si dimostrerrà più lucido nell'onde minute che nelle onde grandi» e che «il razzo del sole, passato per li sonagli della superfizie dell'acqua, manda al fondo d'essa acqua un simulacro d'esso sonaglio che ha forma di croce. Non ho ancora investigato la causa, ma stimo che per cagion d'altri piccoli sonagli che sien congiunti intorno a esso sonaglio maggiore».

Si occupa dei fossili che si trovano sui monti e ironizza con coloro che credono nel Diluvio universale: «Della stoltizia e semplicità di quelli che vogliono che tali animali fussin in tal lochi distanti dai mari portati dal diluvio. Come altra setta d'ignoranti affermano la natura o i celi averli in tali lochi creati per infrussi celesti  e se tu dirai che li nichi che per li confini d'Italia, lontano da li mari, in tanta altezza si vegghino alli nostri tempi, sia stato per causa del diluvio che lì li lasciò, io ti rispondo che credendo che tal diluvio superassi il più alto monte di 7 cubiti - come scrisse chi 'l misurò! - tali nichi, che sempre stanno vicini a' liti del mare, doveano stare sopra tali montagne, e non sì poco sopra la radice de' monti».

È convinto che con il tempo la terra finirà con l'essere completamente sommersa dall'acqua: «Perpetui son li bassi lochi del fondo del mare, e il contrario son le cime de' monti; séguita che la terra si farà sperica e tutta coperta dall'acque, e sarà inhabitabile».

Sono noti suoi disegni sia per la cupola del Duomo di Milano sia per edifici signorili, per i quali pensa a giardini pensili e a innovative soluzioni interne, quali scale doppie e quadruple e nell'interno delle case «col molino farò generare vento d'ogni tempo della state; farò elevare l'acqua surgitiva e fresca, la quale passerà pel mezzo delle tavole divise e altra acqua correrà pel giardino, adacquando li pomeranci e cedri ai lor bisogni farassi, mediante il molino, molti condotti d'acque per casa, e fonti in diversi lochi, e alcuno transito dove, chi vi passerà, per tutte le parti di sotto salterà l'acque allo insù».


Opere che realizzò a Milano:
Monumento equestre a Francesco Sforza, 1482-1493, opera incompiuta di cui esisteva un modello colossale del cavallo in terracotta, già a Milano, Corte Vecchia, distrutto
Presunto studio per l'angelo della Vergine delle Rocce, 1483-1485, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Studi per la Vergine delle Rocce, 1483 circa, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Vergine delle Rocce, 1483-1486, olio su tavola trasportato su tela, 199x122 cm, Parigi, Louvre
Ritratto di musico, 1485 circa, olio su tavola, 44,7x32 cm, Milano, Pinacoteca Ambrosiana
Studio per il monumento a Francesco Sforza, 1485 circa, disegno, Castello di Windsor, Royal Library
Vite aerea, 1487 circa, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Progetto per la copertura per crociera del Duomo di Milano, 1487-1488, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Studio per macchina da guerra (Carri falcati), 1487-1490, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Dama con l'ermellino, 1488-1490 circa, olio su tavola, 54,8x40,3 cm, Cracovia, Museo Czartoryski
Idea per la figura di san Pietro nell'Ultima Cena, 1488-1490 circa, disegno, Vienna, Graphische Sammlung Albertina
Studio per il Cenacolo, 1488-1490 circa, disegno, Venezia, Galleria dell'Accademia
Studio per il Cenacolo, 1488-1490 circa, Parigi, Cabinet des Dessins
Sezione di cranio, 1489 circa, disegno, Castello di Windsor, Royal Library
Uomo vitruviano, 1490 circa, matita e inchiostro su carta, 34x24 cm, Venezia, Gallerie dell'Accademia
Studio delle gambe anteriori di un cavallo, 1490 circa, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Figure geometriche e disegno botanico, 1490 circa, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Raggi luminosi attraverso uno spiraglio angolare, 1490-1491, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Belle Ferronnière, 1490-1495 circa, olio su tavola, 63x45 cm, Parigi, Louvre
Progetto per l'armatura di fusione della testa del cavallo, 1491-1493 circa, disegno, Madrid, Biblioteca Nacional de España
Emblema degli Sforza, 1492-1494, disegno, Parigi, Bibliothèque de l'Institut de France
Vergine delle rocce, 1494-1508, olio su tavola, 189,5x120 cm, Londra, National Gallery
Testa di Cristo, 1494 circa, gessetto e pastello su carta, 40x32 cm, Milano, Pinacoteca di Brera
Capelli, nastri, oggetti per mascherare, 1494 circa, disegno, Londra, Victoria and Albert Museum
Studio di testa virile, 1494 o 1499, disegno, Torino, Biblioteca Reale
Progetto per un dispositivo, 1494-1496 circa, disegno, Madrid, Biblioteca Nacional de España
Ultima Cena, 1494-1498, olio su parete, 460x880 cm, Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie
Ritratto di una Sforza, 1495 circa, gesso e inchiostro su pergamena, 33x23 cm, Canada?, collezione privata
Schizzo di tre figure di profilo, 1495 circa, disegno, Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
Vecchio e giovane affrontati, 1495 circa, disegno, Milano, Biblioteca Trivulziana
Ritratti dei duchi di Milano con i figli, 1497, tempera e olio su parete, 90 cm circa di base ciascuno, Milano, Refettorio di Santa Maria delle Grazie
Schizzo di borsetta da signora, 1497, disegno, Milano, Biblioteca Ambrosiana
Intrecci vegetali con frutti e monocromi di radici e rocce, 1498 circa, tempera su intonaco (ripassata in età moderna), Milano, Castello Sforzesco, Sala delle Asse

Leonardo è sempre stato un personaggio avvolto da un alone di mistero, sia per la sua singolare personalità, sia per l'incredibile poliedricità dei suoi interessi, che suscitano ancora oggi curiosità. Non mancano nel suo personaggio alcuni lati "oscuri", che possono suscitare incertezze e perplessità, come i metodi con cui riusciva a condurre le sue indagini anatomiche, o il suo approccio materiale e immanente, quasi agnostico, così anticipatore dei tempi. A ciò va aggiunta la scrittura criptica da destra a sinistra e l'abitudine, per divertimento, di inventare frasi in codice, anagrammi e rebus.

Questi e altri elementi hanno costituito un immenso serbatoio da cui attingere per rileggere la sua vicenda umana, oltre che artistica e intellettuale, secondo nuove interpretazioni, a volte veri e propri travisamenti o strumentalizzazioni che poco hanno a che fare col senso autentico della sua complessa personalità. Il caso più eclatante ed emblematico resta senz'altro nel romanzo Il codice da Vinci di Dan Brown, col suo clamoroso successo editoriale e mediatico in tutto il mondo. In esso, tra enigmi, omicidi e un fitto intreccio di storia, esoterismo, arte e teologia, si narra di un segreto sconvolgente per la Cristianità tramandato nei secoli da una sorta di società segreta, il Priorato di Sion, ma tenuto occulto dalle gerarchie ecclesiastiche e, negli ultimi tempi, dall'Opus Dei. Tale segreto riguarderebbe la natura umana di Cristo, il suo matrimonio con Maria Maddalena (simboleggiata essa stessa dal Graal) e l'esistenza di una loro progenie. Tra fatti storici realmente avvenuti e altri di pura fantasia, si sostiene che Leonardo abbia rivestito la carica di Gran Maestro del Priorato, celando in alcune sue opere, tramite allusioni e messaggi in codice, una serie di riferimenti alla sua partecipazione attiva e al segreto.

Tra le varie opere scelte da Dan Brown ci sono la Gioconda e il Cenacolo: il primo nasconderebbe un autoritratto del pittore in vesti femminili, il secondo sarebbe una rappresentazione del "segreto", con san Giovanni che andrebbe identificato come la Maddalena. Nonostante le infinite polemiche generate dal libro, per le discutibili ricostruzioni storiche e documentali e per gli ingenui errori iconografici, la curiosità e l'attenzione quasi maniacale generata su quasi tutto ciò che riguarda Leonardo ha avuto tutto sommato il merito di portare sotto i riflettori il genio di Vinci, con mostre, convegni, inchieste e documentari passati su tutti i media del mondo.


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