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Il Naviglio Grande è un canale navigabile dell'Italia settentrionale, situato in Lombardia. Nasce prendendo acqua dal Ticino nei pressi di Tornavento, circa 23 chilometri a sud di Sesto Calende, in prossimità della località Castellana, e termina nella darsena di Porta Ticinese a Milano.
Ha dislivello totale di 34 metri su una lunghezza di 49,9 km. Nel tronco da Tornavento ad Abbiategrasso ha una larghezza variabile dai 22 ai 50 metri, mentre da Abbiategrasso a Milano si restringe anche fino a 15 metri, riducendosi a 12 nel tratto terminale.
La portata a Turbigo è di 64 m³ al secondo in estate e di 35 in inverno, ridotta a 12 all'ingresso in darsena, a motivo delle 116 bocche irrigatorie che danno acqua a un comprensorio di circa 50.000 ettari e ai 9 m³/secondo che cede al naviglio di Bereguardo.
Il Naviglio Grande è stata la prima opera del genere a essere realizzata in Europa e storicamente è il più importante dei Navigli milanesi, nonché una delle grandi infrastrutture di ingegneria che sin dall'alto Medioevo caratterizzavano, con strade, ponti e irrigazione, il territorio lombardo, consentendo lo sviluppo dei commerci, dei trasporti e dell'agricoltura.
Secondo diversi storici, le origini del Naviglio Grande si collegano a un canale scavato da Abbiategrasso a Landriano (sul Lambro Meridionale, al confine col territorio di Pavia) a difesa dalle incursioni dei Pavesi, alleati del Barbarossa. Da dove il canale derivasse le acque è incerto: forse dall'Olona naturale, dal Mischia (una roggia che scorre da Abbiategrasso a Milano passando da Cisliano[4] arricchita da varie risorgive) o, infine, direttamente da un fosso derivato dal Ticino fino ad Abbiategrasso. La terza è l'ipotesi più probabile anche perché il canale, sia a monte sia a valle, veniva indicato come Ticinello.
Certa invece è la data di costruzione del canale difensivo, il 1152, e l'artefice, Guglielmo da Guintellino, architetto militare genovese al servizio dei Milanesi, che tra il 1156 e il 1158 realizzò anche il fossato a difesa della città e, con il materiale di riporto degli scavi, costrui bastioni fortificati. A Milano esiste ancora oggi via Terraggio, parallela alla fossa interna, che prese il nome dal terrapieno (terraggio, appunto) che aveva a ridosso e che risaliva a quell'epoca. È dall'ampliamento di quel fosso e dal collegamento di Abbiategrasso, via Gaggiano, con Milano che si realizzerà il naviglio. I cronisti e le cronache del duecento narrano diffusamente dell'inizio dei lavori per il navigium de Gazano, ma si dividono su due date, il 1177 e il 1179. Quelli del XVI secolo si dividono anch'essi e per il 1177 propendono più tardi il Cantù e alcuni moderni. Non ci sono invece dubbi sul fatto che nel 1187 il naviglio fosse giunto a Trezzano e nel 1211 alle porte di Milano, a Sant'Eustorgio, nei pressi dell'attuale porta Ticinese.
L'apporto delle acque del naviglio si raccordò efficacemente con la secolare opera di bonifica e di irrigazione dei monaci di Chiaravalle, di Morimondo e delle altre abbazie che avevano operato a sud di Milano. La semplificazione dei trasporti non facilitava soltanto i piccoli commerci che prima si svolgevano via terra, ma ne ampliava il raggio d'azione e ne arricchiva il catalogo, diffondendo il benessere. Il bisogno di legname della città, ad esempio, consentì il diboscamento e la creazione di nuovi spazi per l'agricoltura; l'afflusso di materie prime favorì il consolidarsi di arti e mestieri prima sacrificati. Questa situazione, fondamentale per le fortune di Milano, durò per secoli.
L'irrigazione estiva durava dalla "Madonna di marzo" (25 marzo) alla "Madonna di settembre" (8 settembre), poi iniziava quella iemale, con portate d'acqua minori (un quinto). Dopo la chiusura alla navigazione commerciale, il Naviglio Grande è stato restituito alla sua prima funzione. Le sue centosedici bocche (quattro sole in sponda sinistra) danno ancora acqua a vaste estensioni di prato e colture nel Milanese e nel Pavese, anche se a causa dell'urbanizzazione non si tratta più delle oltre 580.000 pertiche metriche, oltre 8.861.000 pertiche milanesi. L'acqua del naviglio alimenta, da Abbiategrasso, il cavo Ticinello e il naviglio di Bereguardo e poi la darsena a Milano da cui originano il naviglio Pavese e un secondo cavo Ticinello che ne costituisce il naturale scolmatore, ricongiungendosi alla Vettabbia.
Oggi è ancora aperta la questione se il Naviglio Grande fu concepito come canale irriguo o navigabile: il nome navigium (= navigare) e il tortuoso percorso iniziale, allungato ad arte per addolcirne le pendenze, farebbero propendere per la seconda ipotesi; la grande portata alla presa dal Ticino per la prima. D'altra parte è scontato che, alla presenza di un generoso adduttore d'acqua, l'uso irriguo si imponesse automaticamente a prescindere dalle originarie intenzioni. Certamente sono state le due funzioni abbinate a conferire al Naviglio Grande lo straordinario ruolo che ha giocato.
Purtroppo, la storia non ci ha lasciato il minimo indizio, neppure per azzardare delle supposizioni, su chi sia stato l'ideatore di una tale opera. È giocoforza attribuirne l'intero merito alla comunità milanese che, nell'Italia dei comuni medievali, seppe coniugare alla leadership.
La darsena, come i milanesi l'hanno vista per quattro secoli, era stata voluta e realizzata nel 1603 dal governatore spagnolo Pedro Enríquez de Acevedo conte di Fuentes (1525-1610): era addossata alle nuove mura e ne assecondava il perimetro del vertice sudoccidentale e, sotto di esse, un varco consentiva l'accesso alla nuova conca di Viarenna; il bacino era situato, come ora, in parte sulla stessa superficie dove prima esisteva il laghetto di Sant'Eustorgio, la cui localizzazione esatta non è mai stata determinata. Certamente, come la darsena, questo riceveva il Naviglio Grande e dava acqua al naviglio Pavese o, meglio, al suo troncone iniziale (1564): la foce del primo e l'incile del secondo distano poche decine di metri e non pare possibile che abbiano subito spostamenti.
Nel settembre 2004, il comune di Milano concesse l'area della darsena (l'intera porzione a ovest del Naviglio Grande) a un'impresa che doveva realizzare un garage-parcheggio sotterraneo: il terreno era considerato privo di interesse archeologico. Al contrario, all'inizio degli scavi emersero reperti che richiesero l'intervento della sovrintendenza e l'arresto dei lavori: si tratta di fondazioni di mura spagnole e di una piattaforma lignea che è stata attribuita alla pavimentazione dell'originale conca di Viarenna. In mancanza di idonee tecniche di recupero e di notizie più precise, i reperti sono stati reinterrati nelle condizioni di ritrovamento a scopo conservativo e il comune, allo stato dell'arte, non ha assunto nessuna decisione. Questi rinvenimenti all'interno del perimetro della darsena mettono parzialmente in dubbio le modalità con cui il conte di Fuentes fece realizzare la darsena stessa; la ricostruzione storica che anche noi abbiamo riportato nel capoverso precedente, era fino al 2010 l'unica concordemente accettata. Ora non è più così sicura, ma non è stata avanzata nessuna alternativa. E neppure un progetto complessivo di restauro e riqualificazione che, tenendo conto dei ritrovamenti archeologici, riabiliti l'intera area.
È stata sistemata la parte nordoccidentale con il vecchio sbocco dell'Olona e la zona della direzione portuale, poi è stato innalzato un terrapieno che isola questo bacino dal resto della darsena tagliandola da sponda a sponda; solo una tubazione riversa le acque dell'eventuale troppo pieno. Il terrapieno è percorso da una strada pedonale che prosegue sulla sponda meridionale fino all'ingresso del Naviglio Grande. Cieca per il resto, è collegata col piano stradale da una vecchia, stretta e ripida scala di servizio. Tutta la sponda opposta, quella settentrionale lungo il viale Gabriele D'Annunzio, è cintata e inaccessibile: sono state portate alla luce le fondazioni delle mura spagnole (gli ex Bastioni) con il varco che sottopassandole consentiva ai natanti di raggiunger i navigli interni (Tombon de Viarenna), mentre sono stati reinterrati i reperti lignei (possibile pavimentazione di una conca sconosciuta). Il tutto era coperto dalle banchine dove, dai barconi, veniva scaricata la sabbia.
Per quanto riguarda il bacino vero e proprio, poche dita d'acqua ne ricoprono il fondo scorrendo in intricati rigagnoli a nord, mentre sul lato sud si è formata una lunga isola coperta di lussureggiante vegetazione spontanea rifugio di svariate specie di uccelli e sulle rive abitata da rane e rospi che si sentono gradevolmente gracidare giorno e notte: una piccola "oasi naturale" clandestina che si è impossessata di qualche centinaio di metri quadrati grazie all'incuria. La parte orientale, l'unica navigabile tra il Naviglio Grande e il Pavese, e che termina con gli scolmatori, è stata ripulita ma non attrezzata. Oltre a essere il porto della città, la darsena nel passato era uno snodo idrico di grande importanza: riceveva le acque dell'Olona e quelle che colavano dalla fossa interna e le cedeva al Ticinello, che correva oltre porta Ticinese lungo le mura prima di piegare a sud, e alla Vettabbia. La presa del Ticinello esiste ancora oggi nel punto più orientale della darsena, mentre l'Olona da decenni non vi immette più le sue acque sia per rischio idrogeologico (il suo vecchio alveo coperto da tempo non era più sicuro) sia, soprattutto, per scongiurare il pericolo di inquinamento. Da un'estremità all'altra, la darsena era lunga 750 metri e larga fino a 25, con una superficie di 17.500 metri quadrati, e la profondità di un metro e mezzo.
Sono comunque gli ultimi anni di un grande periodo di splendore che non vedrà una nuova alba. Il costo delle merci trasportate è diventato molto alto, e poi sembra oramai che tutto debba andare di fretta, di corsa, persino la rènna. Il traino in risalita è fatto coi trattori, viene costruito anche qualche barcone più grande e più capace, ma non serve a nulla. Così il 31 marzo 1979, alle 14 l'ultimo barcone ormeggia alla darsena, ha lo scafo metallico, è lungo 38 metri e largo cinque, porta la matricola 6L-6043 ed era partito alle 6 del mattino da Castelletto di Cuggiono. Scarica l'ultimo carico di sabbia, 120 tonnellate, l'equivalente di oltre 20 autocarri. Da quel giorno sui Navigli solo l'acqua continuerà a scorrere, ma solo per irrigare i campi.
Diverse fotografie del Naviglio degli ultimi decenni del XIX secolo e dei primi del XX sono dedicate a pescatori, bagnanti, barche di gitanti, in una piacevole atmosfera di relax vagamente belle époque, come se le alzaie facessero un po' il verso alle sponde della Senna. I falchett come gli apaches, le lavandaie al posto delle sartine, i trani, invece dei bistrot. Per decenni porta Cicca o porta Cinesa restò l'epitome della Milano popolaresca e malandrina, coi suoi personaggi coloriti, le canzonacce sguaiate o stringicuore, le cappellette illuminate su ogni cantonata, gli artigiani e gli artisti dei vicoli e delle corti. Nel secondo dopoguerra, fino a dopo la metà degli anni cinquanta, darsena e Naviglio Grande erano al centro del Carnevale Ambrosiano. Da gennaio, tra porta Genova e porta Ticinese si assiepavano baracconi, ottovolanti, autoscontri, giostre e attrazioni di ogni tipo: era la gremitissima e chiassosa "Fiera di porta Genova", punto di arrivo delle tradizionali sfilate dei carri che partivano dal centro, con el Meneghin e la Cecca, le maschere milanesi, mentre in darsena approdavano barconi infestonati e illuminati, carichi di folla e di maschere provenienti dai paesi del Magentino e dell'Abbiatense.
Ma non era solo questo: sull'Alzaia e sulla Ripa del Naviglio Grande, oltre el pont de fer da cui d'estate si tuffavano i ragazzini, si insediarono tre delle più gloriose società sportive della città: la Rari nantes, la Canottieri Olona e la Canottieri Milano, nuoto, pallanuoto e remo sono il fulcro dell'attività. La prima è fondata nel 1895 da Giuseppe Cantù, scultore ed eccellente nuotatore; è a Cascina Restocco, prima del Ronchetto del Naviglio, dall'anno della fondazione organizzò il "Cimento invernale" una nuotata nelle gelide acque del naviglio l'ultima domenica di gennaio, poi nel 1903 la "maratona natatoria Milano Abbiategrasso". Sempre a Cascina Restocco nel 1910 si sono svolte le gare "nel fiume" dei Campionati italiani di nuoto di quell'anno. Chiuse la propria attività nel secondo dopoguerra dopo aver vinto due scudetti nella pallanuoto.
A partire dagli anni del 1950, Milano divenne una delle capitali europee del jazz ed era tappa obbligata delle tournée di tutti i grandi esecutori, che si esibivano nei teatri (Nuovo, Lirico e Piccolo teatro soprattutto). Brera era il quartiere dei locali dove suonavano le nostre quotatissime Bands. Nel 1969, però, accadde un fatto straordinario: Giorgio Vanni, un buon batterista che aveva spesso suonato con gli americani, decise di aprire un jazz-club sul Naviglio Grande, in una vecchia cascina in fondo a via Lodovico il Moro, dopo Piazza Negrelli dove il tram numero 19 terminava il suo percorso. Lo chiamò Capolinea e il locale divenne in pochissimo tempo un riferimento mondiale per i grandi jazzisti, ponendosi sul piano del Blue Note o del Caveau de la Huchette. All'inizio, furono Joe Venuti e Tony Scott, amici di Vanni, a portarvi i colleghi ancora più famosi, poi non vi fu solista o band che non vi suonasse. Famose e irripetibili le jam session notturne, coi musicisti che si ritrovavano in formazioni spontanee, non preordinate e che spesso suonavano fino a mattino. Le performance più straordinarie spesso non hanno avuto altre testimonianze che quelle della memoria e la documentazione è limitata o inesistente.
Solo negli anni recenti un programma regionale per la valorizzazione dei Navigli lombardi ha consentito il recupero (in parte finanziato dalla stessa Regione Lombardia) di numerosi edifici storici nei comuni attraversati dal Naviglio Grande, nonché degli approdi e delle sponde dello stesso. La regione, nel 1993 dopo le opportune consultazioni, aveva licenziato un documento, il Master Plan Navigli, entro il quale aveva scelto di mantenere i propri interventi. Attorno a quello che oggi è diventato "la Bibbia" per il recupero dei navigli, ha preso consistenza la Navigli s.c.a.r.l., una società consortile che raggruppa la regione, i comuni di Milano e Pavia, le relative provincie e camere di commercio, il consorzio Villoresi e quarantotto dei cinquantuno comuni rivieraschi. Con la società consortile collaborano, con ottima intesa, anche soggetti non consorziabili, quali per esempio l'Istituto per i Navigli-Associazione Amici dei Navigli animata da Empio Malara, e Associazione P.A.N. NavigliLive - "Vivere Navigli Club" - che si pone come obbiettivo la realizzazione di tutte le linee guida per le opere e le azioni che si vogliono effettuare nell'interesse della massima valorizzazione dei Navigli di Milano e Lombardi, il MASTER PLAN NAVIGLI. Da qui deriva anche lo stesso nome P.A.N., acronimo di: Programma Azione Navigli[67] sempre in prima linea nella "cultura del recupero". Si è trattato di un consistente progresso nell'affrontare i problemi posti dalle molteplici competenze territoriali e amministrative, spesso più polverizzate che frammentate. Nel 2010 la s.c.a.r.l. sembra avviata anche a un riconoscimento de jure del ruolo di coordinatore unico degli interventi. Nel frattempo, lavora assiduamente ai progetti pratici, quali l'organizzazione della navigazione turistica, la promozione, la didattica e i contatti con le diverse entità e associazioni locali interessate allo sviluppo dei navigli.
Nell'ambito dell'Expo 2015, i navigli possono giocare un formidabile ruolo di attrattiva turistica e culturale per cui è naturale che attorno al loro recupero e valorizazione vi siano numerosi progetti, curati in particolare dalle università cittadine: il più noto è quello del professor Antonello Boatti, che prevede una "riapertura" della Martesana e della Cerchia con una serie di fontane, fontane-canali e bacini tra il verde: non un ripristino dunque, ma una riambientazione della città com'era. L'amministrazione comunale (giugno 2010) non ha ancora deliberato in merito, ma si sa che acqua e canali entrano nel progetto globale per l'Expo.
Sulle rive del Naviglio Grande e di quello Pavese, pedonalizzate, ogni sera si accende la movida milanese: ristoranti (magari su un vecchio barcone ormeggiato e trasformato), bar, pub e osterie, locali notturni attirano migliaia di persone rumorose e invadenti. Una trasformazione che non piace a tutti e le proteste dei residenti per rumori, affollamento e disturbo della quiete pubblica sono frequenti. Il quartiere ha due facce, quella notturna e quella diurna ed è ancora ricco di studi di artisti, di botteghe artigiane, di angoli pittoreschi e di cappellette illuminate sulle cantonate. Ogni estate si moltiplicano le occasioni di incontro, le mostre, le feste popolari per un pubblico più familiare. Dall'alzaia ci si può anche imbarcare per godersi il Naviglio dall'acqua. Navigando, può poi capitare di imbattersi in uno dei molti eventi che le località rivierasche organizzano con assiduità, perché il risveglio del Naviglio Grande non è un fatto circoscritto solo a Milano.
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