Caino è un comune situato in provincia di Brescia, nella Valle del Garza, in Lombardia.
Il paese di Caino sorge a destra del fiume Garza che dà il nome alla valle. L' aspetto non privo di fascino richiama paesaggi alpestri nonostante l’altitudine modesta e può offrire spunti di interesse per chi ancora non lo conosce.
La connotazione morfologica e orografica, la contestuale presenza di elementi antichi e di recente costruzione, stanno via via evidenziando le potenzialità di un territorio che, insieme alla vocazione residenziale e di artigianato leggero, manifestano notevole propensione verso forme significative di valorizzazione delle risorse ambientali e paesaggistiche, sia per un' agricoltura minore ma di qualità, sia per il turismo e l'agriturismo.
I molti segni lasciati dall’uomo nell'uso delle risorse naturali costituiscono il patrimonio culturale. Sono i piccoli preziosi tesori del patrimonio artistico, che denotano la sensibilità e la volontà di questa popolazione ad esprimere anche col bello l'attaccamento alla terra e alla fede.
I numerosi sentieri tra i boschi, antichi e reinventati, invitano a fare escursioni sul territorio.
Recenti ritrovamenti hanno confermato la presenza d'insediamenti umani in epoca preistorica nella Valle del Garza e sulle alture circostanti. Si trattò, certamente, di presenze temporanee, occasionali, condizionate dal migrare stagionale della selvaggina che era varia e numerosa.
Al Paleolitico medio sono ascrivibili una serie di rinvenimenti sull’altopiano di Cariadighe (Serle). Tra questi, particolarmente importante e ben studiato è l’accampamento di Fienile Rossino , presso la sella di comunicazione tra l’altopiano di Cariadighe e le Coste di S. Eusebio (a 925 m s.m.). Qui furono ritrovati più di 1600 manufatti e più di 200 strumenti utilizzati da un’ancestrale comunità accampata in loco, probabilmente per la durata di una stagione di caccia. I reperti sono databili tra il 5750 e il 5600 a.C.
Al Neolitico (4000 – 3000 a.C.), sono invece riconducibili i numerosi manufatti in selce e le ceramiche ritrovate nel 1982 in località Vho, in prossimità dei confini del nostro paese.
Del periodo Eneolitico (3000 – 2000 a.C.) sono due selci, lavorate con tecnica bifacciale e scheggiatura molto accurata, ritrovate nel 1979 in località Corna di Caino.
La presenza d'antiche popolazioni cenomane che si stanziarono nella valle del Garza nel VI secolo a.C. è attestata da reperti (sarcofagi, monete, terrecotte) ritrovati a Bovezzo e a Nave, verso S. Vito, e dall’onomastica di numerose epigrafi d’epoca romana.
Per l’età romana, la Valle del Garza, e in particolare il territorio di Nave, ha restituito una ricca documentazione archeologica con rinvenimento di gruppi tombali, materiale epigrafico, tracce d'insediamenti soprattutto presso gli edifici di culto plebani.
D'epoca romana (I-IV secolo d.C.) sono numerosi reperti ritrovati in zona. Essi confermano che la località era abitata e che gli insediamenti erano dislocati a Villa Mattina, a Villa Sera, in Messane, al Pozzolo, dove fu ritrovato, con altri materiali, un grosso mortaio in pietra. In località Cloasso, in Val Bertone, accanto a tracce d’insediamento fu scoperta una necropoli del II - IV secolo con dodici tombe.
La popolazione primitiva convergeva su Nave ed un sentiero percorrente il fondovalle la collegava alla Mitria, centro economico, religioso, amministrativo, del vasto pago comprendente i territori di Cortine, Muratelo, Nave e Caino.
Sul versante est, un sentiero in quota, probabilmente in buona parte coincidente con quello ancora oggi noto come Senter Bandit, attraverso il Dragone ed il Dragoncello, collegava il colle di S. Eusebio con S. Vito; qui si divideva proseguendo per Nave da un lato, verso S. Gallo Caionvico, S. Eufemia, Brescia dall'altro: era la via più breve di collegamento con la valle Sabbia, le Giudicarie, Trento e quindi con la Germania attraverso il Brennero.
Sulle Coste di S. Eusebio, naturale punto di sosta, la chiesa si sostituì ai decadenti istituti romani della pubblica viabilità, quando i barbari sovvertirono gli ordinamenti imperiali.
Già sede di comunità monastiche anteriori alle regola Benedettina, come attestato dal culto di S.Eusebio Vescovo di Vercelli, uno dei fondatori del monachesimo occidentale, uno Xenodochium, un Hospitium per secoli fu sicuro riferimento sull’impervia via, centro di ristoro ed assistenza per viandanti e pellegrini.
Il nodo stradale delle Coste, fu per tutto il Medioevo di primaria importanza: da qui si diramavano i sentieri per Vallio, Serle, il Dragone, la Rocca di Bernacco e per tutte le vaste proprietà montane del potente monastero benedettino di S.Pietro di Serle.
La chiesetta dell’antico ospizio, demolita e ricostruita negli anni ’50, si apre ancora oggi ogni anno il 2 agosto festa di S.Eusebio, segnata nel Martirologio prima che vi prendesse posto quella di S. Pietro in Vincoli.
All’altro capo della Valle, intorno al 1100 Conche vide la straordinaria avventura di Costanzo che, abbandonata la spada per la croce, si ritirò sulla montagna per vivere in solitudine nel silenzio e nella preghiera.
Per gran parte del Medioevo non si hanno notizie sul paese. Si può supporre che, mentre sui monti fiorivano le istituzioni religiose, nella valle l’abitato abbia attraversato periodi difficili per lo scatenarsi di lotte feudali e che stretto intorno al piccolo castello medioevale, sorto a difesa dalle ultime invasioni barbariche degli Ungari e noto come fortezza del Gallo, il Comune difendesse gelosamente la sua autonomia.
Nel 1401, però Roberto di Baviera, per assicurarsi aperto il Valico delle Coste, concedeva il territorio di Caino e di altri comuni limitrofi in feudo ad Alberghino da Fusio detto il Generoso. La signoria degli Alberghini fu di breve durata, travolta dalla guerra tra i Visconti e Venezia. Le truppe viscontee del Talliano occuparono il paese nel 1438-1439.
Conclusasi la guerra, con la vittoria di Venezia, sotto il dominio della Serenissima ebbero vigoroso impulso le attività produttive. Agli inizi del 1500 a Caino esistevano due cartiere ed una fucina per la lavorazione di armi molto apprezzate per la buona qualità dell’acciaio.
Nel 1527, nella notte del primo maggio, dopo piogge violentissime, il Garza dilagò travolgendo colture e cartiere ed arrecando danni gravissimi.
Non è noto quando il paese raggiunse l’autonomia religiosa dal Pievato di Nave, ma l’esistenza della parrocchia è attestata in documenti dell’anno 1504. La primitiva chiesetta dedicata a S. Zenone fu probabilmente demolita per far posto alla nuova parrocchiale terminata nel 1730.
La nuova chiesa è ancora oggi oggetto di ammirazione per i suoi altari, i suoi marmi, le soase settecentesche, la pala dell'altar maggiore opera preziosa di Giambettino Cignaroli.
Il culto di S. Rocco, che ebbe nel 1500-1600 grandissimo seguito soprattutto nelle campagne, si concretizzò nell'edificazione della chiesa al Santo dedicata, probabilmente in seguito alla tremenda peste del 1575-1577 nota come la peste di S. Carlo. Qui la popolazione, processionalmente in forma solenne, convergeva in occasioni di gravi pestilenze: la peste del 1630, il colera del 1836 (20 morti) e del 1855 che causò 45 vittime in un paese che contava poco più di 700 abitanti.
Tra le altre epidemie che colpirono il nostro paese si possono ricordare: la scarlattina dell’anno 1872 (con 13 bambini morti nell’arco di tre mesi) e la Spagnola del 1918/1919 con 19 morti.
Le attività produttive dopo un brillante avvio nei primi anni del dominio veneto, ristagnarono nel corso del 1600 e del 1700 accompagnate da una notevole flessione demografica; sopravvissero le cartiere, ma scomparve l’industria delle armi in seguito alle restrizioni doganali imposte da Venezia e al naturale calo della domanda di armi bianche. Le quattro fucine esistenti nel 1641 convertirono l'attività cominciando la produzione di arnesi e strumenti agricoli, con scarsa fortuna.
Le principali risorse in realtà furono per secoli quelle rappresentate dal territorio con i suoi boschi e i suoi monti.
Carestie e pestilenze non furono i soli tragici episodi che colpirono dolorosamente il paese; anche il transito di eserciti che calavano dal Colle di S. Eusebio arrecò lutti e rovine.
Nel dicembre 1704, durante la guerra di successione spagnola, Caino fu occupato dalla cavalleria imperiale che lasciò segni visibili per molto tempo.
Il 15 agosto 1796 il generale Bonaparte, scortato da 400 dragoni a cavallo, attraversava il paese e saliva alle Coste di S. Eusebio diretto a Odolo e negli avvenimenti successivi della campagna Napoleonica le truppe francesi occuparono Caino danneggiando la chiesa e devastando gli archivi parrocchiali. Anche Don Faustino Borra fu ucciso all'epoca in circostanze poco chiare.
Nel 1810, il comune fu soppresso, per un breve periodo di tempo, e Caino divenne frazione di Nave.
Durante il dominio austriaco la Valle del Garza fu percorsa da fremiti risorgimentali. Nel giugno del 1849, il commissario distrettuale inviava alla Delegazione provinciale un preoccupato messaggio: “ Le bande armate che si aggirano sui monti di Serle, Nave e Caino vanno prendendo tanta audacia procedendo effettivamente a fatti così arditi e pubblici da restarne compromesse le popolazioni pacifiche di que’ Comuni …. Nei giorni 14,15,16 corr. Invasero il Comune di Caino …Si fa osservare che i capi delle bande sarebbero i seguenti: Azzano Lododovico, disertore di Caino, Castellini N., disertore di Gavardo, Acerboni Carlo detto Marafio macellajo”.
Nel 1851 – 1852 le vallette nascoste di Nave e Caino divennero basi segrete di esercitazioni di Tito Speri e dei suoi seguaci, che proprio a S. Eusebio tenevano nascoste delle armi.
Il novecento ha visto anche Caino versare il proprio contributo di sangue alla patria. Il monumento ai caduti, in piazza Trieste ricorda i 14 giovani che non hanno più fatto ritorno dalla Grande Guerra e i 14 che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale e la lotta di resistenza.
Nel 1928 il regime fascista impose la fusione tra paesi vicini e Caino divenne per la seconda volta frazione di Nave fino al 31 marzo 1956.
A partire dal 1949 furono fatte richieste al ministero affinché fosse ripristinata l’antica autonomia chiedendo contemporaneamente che il nome del paese fosse cambiato in Millefonti. Molti criticarono quest’ultima iniziativa, poi abbandonata, e in un articolo sul Giornale di Brescia del 9 ottobre 1949, Natale Bottazzi spiegava che il nome del paese aveva nulla a che vedere con il biblico fratricida, ma che derivava dalla voce dialettale Caì, abbreviazione dell’antico toponimo ligure Caiò , che significa casa, luogo recintato.
Altre interpretazioni vogliono che il nome del paese derivi da Catinum cioè conca, catino, terreno tra i monti; da Cainus, pronome virile romano; da Cà-ì , contrazione di “casa del vino”; da Gava, da cui Gavinus e poi Cainus, cioè luogo sul fiume; da Gait, recinto.
L'opera più conosciuta e simbolica del patrimonio artistico-culturale-religiosa del paese è la chiesa arcipreturale di San Zenone, con la sua pregevole pala posta sopra l'altar maggiore, raffigurante la Madonna con il Bambino e San Zenone, olio su tela del Cignaroli.
La chiesa parrocchiale venne edificata intorno al 1730, su una preesistente del '500.
La pala di San Zenone, attribuita al Cignaroli, raffigura la Vergine seduta su un basamento, nell'atto di reggere con la mano destra un libro e con la sinistra il bambin Gesù che gioca con il bastone pastorale del vescovo Zenone inginocchiato al centro della pala. Un disegno preparatorio della pala è conservato presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano che reca in calce lo scritto, "Vergine e San Zenone Parrocchiale di Caino". Altre tele ornano gli altari laterali intarsiati di marmo: "La Madonna del Rosario" con i Santi Caterina e Domenico (Padovanino 1588-1648), "La Madonna in trono" con i santi Rocco, Battista, Eusebio, dipinto circondato da una splendida soasa dorata. Altri dipinti tornati a risplendere negli anni '90, per volontà dell'allora arciprete Don Leonardo Ferraglio e riposizionati, negli ultimi anni, dall'attuale arciprete don Marco Domenighini alla pubblica venerazione dei fedeli sono: La tela di San Giorgio, opera di Graziano Cossali e la tela di San Gaetano, attribuita ad un maestro bresciano della seconda metà del '700
Nel 1760, il 20 dicembre, il vescovo di Brescia conferisce il titolo di arcipretura alla parrocchia di Caino, ed eleva i parroci di questa parrocchia al titolo di arciprete. Tale onorificenza venne concessa alla parrocchia di Caino per il prestigio e la bellezza della chiesa di San Zenone.
Lungo i sentieri montani, si scoprono i Santuari legati al forte sentimento religioso degli abitanti di Caino: San Rocco, Madonna delle Fontane, S.Eusebio, l'eremo di San Giorgio, ognuno con le sue caratteristiche e particolarità.
Il Santuario della Madonna delle Fontane si colloca in un luogo suggestivo che favorisce la riflessione. Si narra che la Beata Vergine apparve ad un pastore muto. L'edificio settecentesco viene attribuito al celebre architetto bresciano Domenico Corbellini. L'interno è a due campate e dall'ingresso si ammira una bella cupola.
Il Santuario di San Rocco fu edificato durante la peste di San Carlo nel XVI secolo, ristrutturato nella prima metà del XVII secolo in occasione di una seconda pestilenza, si erge su un promontorio naturale dominante l’intera conca di Caino. Fabbricato ad una sola navata, con la sua voluta semplicità, ingelintilita dall’elegante portale in pietra e da finestra a mezzaluna tripartita,testimonia la particolare devozione al Santo protettore delle epidemie.
Le origini dell'Eremo di San Giorgio si stimano antichissime, forse risalenti al secolo XIII.
La chiesetta ha un'abside concava; un'arcata la divide dall'atrio abbastanza ampio.
Sulla destra sta addossato il romitorio: un ambiente con focolare e forno e due ambienti sovrapposti con a lato il pozzo e una tettoia. Recentemente sottoposta ad opere di restauro presenta affreschi riguardanti tra l'altro "L'annunciazione", i "Simboli degli Evangelisti", una "Madonna col bambino e San Rocco" e un "Gruppo di Santi" tra i quali il titolare.
"San Zorzi della Corna, l'eremitorio fuori della Terra in cima al monte detto Corna non è officiato ma vi habita del continuo l'eremita giovane che veste di beretino e vive di elemosine".
Con queste parole, nel 1609, Giovanni da Lezze nel suo "Catastico Bresciano" descrivendo il territorio di Caino accennava alla chiesetta di San Giorgio.
L'antico eremitaggio era allora già da secoli tenacemente abbarbicato all'isolato spuntone roccioso che sovrasta la valle a 1125 metri d'altezza.
Le sue origini, non note con certezza, vengono fatte risalire ai primi decenni del XIII secolo o addirittura alla fine del secolo precedente. Certo è che nel corso del 1200 rappresentava già un importante e noto punto di riferimento religioso per le popolazioni circonvicine se il 21 maggio 1291, da Orvieto, papa Nicolò IV annunciava la concessione di un'indulgenza di un anno e quaranta giorni per i pellegrini che vi si recavano nella festa di San Giorgio e negli otto giorni seguenti.
Secondo Mons. Fappani, fu originariamente una "grangia", cioè un rifugio per una piccola comunità benedettina (forse dedita alla pastorizia) collegata in qualche modo con gli Umiliati che erano in Conche e più tardi con le Domenicane di S. Caterina che agli Umiliati si sostituirono nel piccolo convento presso la chiesa eretta da San Costanzo.
I fondatori vollero il piccolo complesso dedicato al grande martire orientale il cui culto si diffuse largamente in occidente durante il dominio longobardo: S. Giorgio. Venerato dapprima come santo guerriero protettore di castelli, rocche, borghi e paesi, ma anche protettore dei campi e dei contadini e poi, in seguito alle prime crociate, come difensore della fede, S. Giorgio doveva rappresentare il protettore ideale per una piccola comunità religiosa, isolata, dedita alla preghiera e al lavoro, esposta ai pericoli di un'epoca che vide lo scatenarsi di sanguinose lotte feudali e il serpeggiare di tante devastanti eresie.
La chiesa, ampliata e ristruttura dalle Domenicane di S. Caterina, venne decorata con un ciclo di affreschi di grande bellezza eseguiti nel 1512, l'anno del sacco di Brescia da parte delle truppe francesi di Gastone de Foix.
Gli affreschi, oggi purtroppo gravemente deteriorati, rappresentano secondo una disposizione classica Dio Creatore (in alto), il Cristo Redentore (al centro), l'Annunciazione e gli Evangelisti (ai lati) e numerosi santi e martiri (in basso) nonchè la croce di S. Bernardino e il suo monogramma.
All'esterno di questo ciclo su una parete laterale fu eseguito, probabilmente da mano diversa, un affresco di S. Giorgio, affresco che nei decenni successivi non fu ritenuto adatto a rappresentare adeguatamente il titolare del sacro luogo.
Ecco allora, a cavallo tra '500 e '600, i Cainesi commissionare una pala degna di questo nome: quella pala oggi esposta nella parrocchiale.
Gli esperti la attribuiscono a Grazio Cossali (Orzinuovi, 1563 - Brescia, 1629) che operò nel bresciano, milanese, cremonese, nell'alessandrino e in Lomellina nel periodo 1580-1626 riscuotendo vasta ammirazione per la perizia tecnica, l'uso di colori caldi e forti, la straordinaria capacità di trasporre molto rapidamente ampie scene d'ispirazione controriformistica su grandi tele.
Il fiume ha sempre rappresentato una risorsa importantissima per questa valle: è sulle sue rive che sono sorte già dalla prima metà del XIII secolo le prime cartiere con produzione di carta che veniva definita “Bonissima et in quantità considerabile, così per uso delle città come per mandarne altrove”. Dal XIV secolo fu favorita anche l’antichissima produzione di armi con l’insorgere delle Fucine.
Di questi edifici e delle opere accessorie costruite dall’uomo restano molte tracce per gli appassionati di Archeologia Industriale: le vecchie cartiere in località Follo con i loro tenditoi per essiccare la carta, i resti in località Passo delle prese e delle canalizzazioni per derivare l’acqua agli edifici produttivi della Fucina e, soprattutto la antica Fucina del ‘500, recentemente acquistata dal Comune per salvarne la memoria storica e destinarla ad un uso che ne valorizzi la storia come testimone della storia del lavoro della Valle del Garza.
Oggi naturalmente l’economia del fiume è cambiata, le attività nelle fucine sono sparite e le cartiere hanno notevolmente modificato i cicli produttivi, ma la sua importanza non è diminuita, ha solo cambiato connotazione: oltre a riscoprire la sua principale funzione di habitat ecologico vitale per l’uomo, diventerà nel suo percorso dalla Val Bertone alla sua consegna alle popolazioni a valle, un elemento portante nella valorizzazione del paesaggio cainese.
Il paese di Caino viene distinto in tre blocchi principali:
il centro, con piazza Trieste, la chiesa di san Zenone e via Villa Mattina;
Novale, la parte est del paese, con caseggiati e numerosi cascinali in zona pedemontana;
la zona ovest del paese.
Un piccolo nucleo abitativo è inoltre presente nella zona della Fucina, sulla riva destra orografica del torrente Garza. In questa zona sono presenti insediamenti risalenti al XVI secolo, quando la Fucina era un maglio fornito di mastro spadaro al servizio della Serenissima.
A partire primi anni del Novecento, come attestato da un numero dell'Illustrazione Bresciana del 1903, fino agli anni trenta/quaranta, il comune conobbe un certo sviluppo turistico.
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