Vobarno è un comune situato nella Valle Sabbia.
Le uniche testimonianze di probabili insediamenti pre-romani ci vengono da alcuni nomi di luogo, tra cui probabilmente il toponimo della località.
La Vobarno di oggi si sviluppa da un primitivo piccolo centro romano, posto sulla riva sinistra del fiume Chiese, dove si trova la chiesa parrocchiale; il vicus era il centro del pagus romano, una circoscrizione vasta quanto sarà nel Medioevo quella della pieve, e la plebs cristiana sostituisce il pago e ne assume le funzioni durante il tragico periodo delle invasioni barbariche (V-VI secolo).
La pieve cristiana fu, dopo il vico romano devastato e disperso dalle invasioni barbariche, l'unità religiosa e sociale che ne continuò la vita nel Medioevo.
La chiesa di Santa Maria Assunta eretta in data incerta, forse nel V o VII secolo, era una delle più antiche formazioni parrocchiali della vallata del fiume Chiese.
Solo Vobarno, Provaglio Val Sabbia, Savallo e Idro dominavano questa estesa regione come centri religiosi. La pieve di Vobarno comprendeva le attuali parrocchie di Prandaglio, Clibbio, Eno, Carvanno e Cecino nella frazione Degagna, la frazione Teglie e forse arrivava fino a Treviso Bresciano e verso la Valvestino; era suddivisa in quattro "decanie": la decania di Piano (Vobarno paese), di Prandaglio, di Teglie e di Carvanno.
Il nome "decania", che era in uso anche sulla riviera del Lago di Garda, è ora rimasto soltanto a quella valletta che si chiama appunto "La Degagna". La pieve di Vobarno era dedicata a S. Maria Assunta, e presso di essa si ergeva il Battistero dedicato a San Giovanni Battista, unica fonte battesimale per tutto il vasto pievatico. Altre cappelle o oratori sorsero in Vobarno e nei dintorni.
Nei secoli X o XI si costituì intorno alla Rocca, che dall'alto del colle Cingolo protegge la sottostante corte e domina il passaggio obbligato del fiume Chiese e le due valli Sabbia e Degagna, il feudo vescovile. Le prestazioni dovute dagli abitanti al vescovo di Brescia sono specificate nel Registro 7 della Mensa vescovile, il documento più importante per ricostruire la storia di Vobarno nel Medioevo. Quanto alla Rocca, essa fu distrutta nel 1362 da Bernabò Visconti, fu in seguito trasformata in Chiesa e, dopo un lungo periodo di abbandono, fu recuperata a quest'ultima funzione nel secondo dopoguerra.
Ignoto è il processo che portò alla costituzione della Vicinia, primo nucleo di quello che diventerà il comune di Vobarno. Tutti i documenti relativi sono stati distrutti in seguito al saccheggio operato nel 1526 dai Lanzichenecchi di Frundsberg, discesi dalle montagne della Degagna durante la loro spedizione culminata con il Sacco di Roma. È questo l'episodio più drammatico nel periodo compreso fra la dedizione a Venezia (1426), che porta all'inserimento di Vobarno nella Magnifica Patria in qualità di capoluogo della Quadra di Montagna, e la terribile pestilenza del 1630 che, a prestar fede alle fonti (Odorici e B. Faino, Coelum Sanctae Brixianae Ecclesiae), avrebbe ridotto la popolazione della metà (dai 1500 abitanti della metà del Cinquecento ai 750 della metà del Seicento).
Dal punto di vista edilizio, il periodo veneziano vide la costruzione del Ponte vecchio in pietra sul Chiese (fine del Cinquecento) e la ricostruzione della chiesa parrocchiale (1756-61), ampliata ed orientata perpendicolarmente rispetto alla precedente, che utilizzò come campanile l'antica torre comunale.
La prima svolta della storia moderna vobarnese è costituita dall'arrivo nel 1797 dei francesi, guidati nella prima campagna d'Italia dal giovane generale Bonaparte, battuti alla Corona, nei pressi di Vobarno, dagli austriaci di Quosdanovich calati dal Trentino. L'anno di Campoformio vede non solo la fine della dominazione veneta, ma anche l'abolizione di tutti i privilegi che distinguevano le famiglie antiche originarie dagli immigrati successivi (già messi in discussione negli ultimi anni prima della tempesta rivoluzionaria).
Consolidato il proprio dominio in seguito alla repressione delle insorgenze filoveneziane (fucilazione del parroco di Vobarno Catazzi), i francesi inserirono i comuni di Vobarno, Teglie (riunito nel 1810 a Vobarno) e Degagna nel Dipartimento del Mella della Repubblica Cisalpina. Secondo i dati riportati dal Sabatti (Quadro statistico del Dipartimento del Mella, 1807) Vobarno avrebbe avuto 1300 abitanti e Degagna circa 640.
Alla caduta del regime napoleonico, Vobarno e Degagna passarono al Regno Lombardo-Veneto (XIV distretto di Salò) e in seguito al Regno d'Italia (Circondario di Salò).
I decenni successivi all'Unità sono caratterizzati dalla crescita della popolazione, dall'edificazione del nuovo palazzo municipale, dalla costruzione della tranvia per Brescia (1881) e dalla ferrovia diretta a Rezzato (1897), ma soprattutto ha inizio la seconda grande svolta nella storia moderna di Vobarno: la nascita dell'omonima Ferriera, erede di una serie di attività legate alla lavorazione del ferro già documentate nei secoli precedenti.
Fondata nel 1867 dal ragionier Ferrari, fu ulteriormente sviluppata dal Migliavacca e poi dall'ingegner D'Amico che nel 1906 partecipò alla fondazione delle Acciaierie e Ferriere Lombarde, guidate dalla famiglia Falck. La presenza della Falck ha caratterizzato tutta la storia vobarnese del XX secolo, non solo attraverso l'impiego di parte rilevante della forza-lavoro locale, ma anche un complesso di iniziative legate alla tipica concezione "paternalistica" della grande industria come dispensatrice o comunque punto di riferimento di opere a vantaggio della popolazione (dalla formazione professionale alla casa di riposo, dalla gestione del tempo libero alla cooperativa di consumo, dal sostegno ai diversi gruppi sociali alla squadra di calcio - Associazione Calcio Falck Vobarno). Anche dal punto di vista politico la presenza della Falck ebbe un peso non indifferente nella vita del comune di Vobarno, al quale nel 1926 venne unito il disciolto comune di Degagna.
La scomparsa dello stabilimento Falck, determinato dalla crisi della siderurgia nell'ultimo quarto del Novecento, ha aperto una fase tuttora in pieno sviluppo, che vede Vobarno notevolmente ampliata nella sua estensione (dal dopoguerra ad oggi la superficie edificata è cresciuta molto più della popolazione, a dimostrazione del diffondersi di un benessere frutto del sacrificio e del duro lavoro) e profondamente modificata nella sua popolazione, con massicce immigrazioni prima da altre località più o meno limitrofe, poi - a fine millennio - da altre nazioni europee e da altri continenti, e con il costituirsi di numerose comunità di origine esteuropea, araba ed africana.
Il comune di Vobarno, come lo conosciamo oggi, deriva dalla fusione di tre antiche entità: Vobarno, il comune di Teglie (dal 1810), il comune di Degagna (dal 1928).
Comprende, oltre al capoluogo, sette nuclei abitati di vetusta formazione: a nord Degagna, Eno, Carvanno; a nord-est Teglie-Moglia, Carpeneda; a sud Pompegnino e Collio.
Adagiato su un terrazzo alluvionale del periodo rissiano-wurmiano, alla confluenza del torrente Agna col fiume Chiese, che divide l'abitato in due nette zone (la parte antica e quella di più recente costruzione), Vobarno è un passaggio obbligato per quanti percorrono la provinciale che da Tormini risale in Val Sabbia.
Lo si incontra superata la galleria della Corona, quando lo sguardo prende a spaziare in un felice dilatarsi dell'orizzonte, fino alla cornice dei monti circostanti dal profilo mosso e diversificato.
È dominato dai ruderi del castello, sulla collina del Cingolo, trasformato in santuario già nel XVI secolo.
Pompegnino e Collio sono poste a sud del capoluogo, verso il limitrofo comune di Roè Volciano, separate fra loro dal corso del fiume Chiese, sono sicuramente di origine romana.
A Collio già nel 1906 vennero alla luce due tombe di tipo cappuccino con corredo di armille, anelli, uno stilo e una coppia di dadi in bronzo: altre quattro, simili alle precedenti, furono rinvenute nel 1976 durante i lavori di sterro per la costruzione di un garage.
Contenevano frammenti di corredo e giacevano a circa 3 m di profondità.
Più di recente a Pompegnino, per il franare del bordo di una cava di sabbia, apparve una sepoltura ad embrici accostati e fondo in laterizio di impasto ocra, con evidenti brani di ossa umane.
I toponimi stessi di Colli (o Caules) per Collio e Pompagus (o Pompager) per Pompegnino rievocano quel lontano periodo.
Infatti, Pompegnino appare ancora come Pompagae, "...villatellam... in curte Buarni", in un documento del 1183 (Odorici), a proposito di un convento benedettino ivi sorto, in quei secoli, i cui monaci bonificarono vasti appezzamenti di terra strappandoli al fiume.
La chiesa attuale, del resto, è ancora intitolata a S. Benedetto sebbene nulla abbia a che fare con quella dell'antico monastero (forse il sito in cui sorge).
L'abitato medioevale, caratterizzato da vaste dimore rurali porticate, ha lasciato un debole ricordo di sè nell'odierno assetto alquanto rimaneggiato.
Anche Collio, sviluppatosi nel nucleo primigeno su un poggio mirabilmente esposto al sole, si è dilatato, giù, verso il basso, valicando il Rio Traversante e raggiungendo l'argine del Chiese.
Conserva qualche via stretta, qualche casa con accenno di loggia, l'unica casa a soppalchi interamente in legno, esempio di quell'architettura spontanea, dettata dalle esigenze del vivere quotidiano, che un tempo doveva costituire la parte più significativa del patrimonio edilizio.
Carpeneda forse è la più antica frazione; sicuramente la più recente (apparente contraddizione). Carpeneda ha fornito il reperto più arcaico dell'intero comune: un'ascia in pietra levigata, ora presso il Museo archeologico di Gavardo, che precipita le vicende del territorio ai confini della preistoria.
Dalle profondità del tempo al nostro secolo: l'evoluzione della frazione avviene, infatti, nel '900, attorno alla costruzione dell'importante centrale idroelettrica.
In precedenza esistevano poche case, per lo più sparse nella campagna verso Sabbio; una grossa fornace per la lavorazione della calce era funzionante dall'800 e forse prima all'inizio del paese.
Teglie-Moglia ebbe dignità comunale fino al 1810, quando l'amministrazione filo-francese del Regno d'Italia lo accorpò a Vobarno.
Anticamente contava cinque frazioni: Moglia, la più grande, Tiole (Tegliole), Casale Sopra e Sotto, Dosina (Dozzina).
La casa comunale sorgeva a Teglie, nella parte alta dell'abitato. Non si sa di preciso a quando risalga Teglie, presumibilmente al periodo altomedioevale.
Una leggenda lo vorrebbe fondato dal comandante di un esercito in rotta.
Il toponimo, derivato secondo l'Olivieri da teggia, nel senso di ricovero, riparo, per estensione luogo riparato, potrebbe ricollegarsi, poeticamente, alla leggenda di un piccolo esercito sbandato, in cerca di un rifugio sicuro.
Teglie ebbe momenti di prosperità legati ad attività agro-silvo-pastorali e in forza delle esenzioni di cui godeva la Quadra di Montagna durante il dominio veneziano: raggiunse e superò i 600 abitanti.
Venne devastato nel XVI secolo e ancor più nel XVII secolo della peste, a tal punto che alcune frazioni scomparvero, essendo morti tutti i loro abitanti.
Oggi è un paesetto di 150 anime, adagiato su un dolce crinale soleggiato, rivolto sulla valle del Chiese.
Conserva l'assetto urbanistico originario con viuzze strette e sinuose, case in pietra a vista, archi bassi, a tutto sesto, che immettono in cortili più o meno vasti.
Il paesaggio circostante, di prati e boschi verdi, reca i segni dell'attività economica prevalente negli anni 1960-70: le cave di marmo. Ora sono tutte chiuse.
A Vobarno, dove l'Agna confluisce nel Chiese, c'è una strada che, costeggiando il torrente, risale verso nord lungo la vallata serpeggiante come l'acqua che le scorre nel mezzo: è la Val Degagna, che in una dozzina di chilometri raggiunge il passo del Cavallino della Fobbia, a 1091 m di altitudine.
Si ritiene derivi il proprio nome non tanto dal corso d'acqua, l'Agna, quanto da decania.
Le decanie, in epoca longobarda, erano suddivisioni territoriali in cui veniva ordinato il ducato, sottoposte alla giurisdizione di un'autorità superiore che, in queste zone, coincideva con la pieve cristiana.
La pieve di Vobarno, infatti, comprendeva quattro decanie: Piano, Prandaglio, Teglie e Val d'Agna (o Carvanno).
Da notare, inoltre, che Degagna ancor oggi non corrisponde ad un centro abitato specifico, bensì denota un'area comprensiva di otto nuclei di antica formazione, tutti con propria denominazione.
Verde e silenziosa, la Valle alterna stretti passaggi ombrosi ad ampi slarghi assolati di prato e fitto bosco: dall'alto la guardano alcuni dei maggiori gruppi montuosi del comune, quali le Marmere e la Zingla (1497 m).
Nel tempo essa ha costituito la via naturale più breve per giungere a Treviso Bresciano, Idro, Capovalle e Val Vestino.
Il tracciato che conosciamo, presumibilmente romano nelle linee fondamentali, mantenne sempre la sua importanza, anche quando fu costruita la "via regia" lungo il Chiese: il valore strategico di una "scorciatoia", in zone perennemente di confine, del resto non sfugge, e ancora nel 1915 la I armata del Regio Esercito vi conduceva lavori di riattamento per adeguarla alle nuove esigenze belliche.
Di qui passarono i "Lanzi" del Frundsberg, guidati dal conte di Lodrone nel 1526; discesero gli Austriaci nel 1799 durante un contrattacco alle armate napoleoniche; vi transitò Garibaldi, diretto in Trentino, nel luglio del 1866; fu un andirivieni di truppe italiane dal 1915 al '18, per raggiungere le postazioni di frontiera.
La frazione di Eno dista circa 5 km da Degagna proseguendo la strada comunale verso la Fobbia.
È un piccolo agglomerato dell'alta valle, a 600 m s.l.m., un tempo famoso per la sua cava di marmo nero, detto marmo paragone; questa cava, attiva per un periodo indefinibile in mancanza di documenti, nel XVI secolo fornì materiali per i fregi della facciata del palazzo della Loggia, in Brescia.
Carvanno, invece, sorge su un piccolo altopiano isolato, sul versante destro dell'Agna verso i monti di Teglie e Provaglio, raggiungibile dopo aver abbandonato la strada di fondovalle in località Rango.
Felicemente esposta al sole, con clima saluberrimo, la frazione sembra derivi il proprio nome dal nome personale latino Carvanus.
Durante la seconda settimana di settembre si celebra la festa della Madonna della Rocca, in assoluzione di un voto di devozione formulato l'8 dicembre 1944 alla stessa. Il voto prevedeva la ristrutturazione e l'abbellimento da parte dei fedeli del santuario della Madonna della Rocca una volta finita la seconda guerra mondiale, voto che fu attuato il 9 settembre 1945. Venne inoltre fissata la festa del santuario stesso al lunedì della seconda settimana di settembre, che divenne tradizione dal 1946.
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