Serle è un comune della Comunità Montana della Valle Sabbia. Si trova sulle Prealpi Bresciane nel mezzo dell'Altopiano di Cariadeghe, il quale presenta grandi varietà faunistiche e vegetali tipiche del territorio serlese ed è famosa per le sue grotte dette "büs".
Il territorio, come tutto quello del bacino marmifero della Valle Sabbia, è prevalentemente carsico e le diverse tipologie di minerali presenti lo rendono meta di speleologi.
Il paesaggio (carsico) è caratterizzato dalla presenza di rilievi prealpini. Dalle vette, facilmente accessibili, si può ammirare un panorama vastissimo che abbraccia mezza provincia, nel quale spicca il monte S.Bartolomeo dalla particolare forma troncoconica, importante sito d'interesse archeologico.
La fauna è composta dagli animali più vari e tipici del territorio delle Prealpi Lombarde: dai più piccoli come gli scoiattoli alle volpi, fino ad incontrare non raramente il cinghiale. Diverse specie di uccelli popolano il cielo dell'altopiano, dai piccoli volatili comuni fino al gheppio, la poiana e il falco, e numerosi sono anche i rapaci notturni come il gufo, il barbagianni, l'allocco e la civetta. Gli altri animali sono quelli introdotti successivamente dagli agricoltori, come le mucche o i cavalli.
L'altopiano di Cariadeghe comprende un folto e quasi impenetrabile bosco composto da alberi ad alto fusto o da alberi isolati di grande valore estetico per la mole monumentale: faggi, castagni e carpini. Il territorio boschivo ricopre la maggior parte del territorio, ma i campi agricoli e l'avanzamento delle costruzioni lo decimano sempre di più.
Il territorio montano e carsico di Serle hanno, fin dall'antichità, permesso lo sviluppo e la nascita di comunità preistoriche che utilizzavano le caverne come rifugio e sfruttavano il legno e i frutti spontanei della foresta locale; molti sono stati i ritrovamenti a proposito. L'epoca Romana è un periodo piuttosto incerto su questo territorio: secondo alcuni esperti ivi si trovava un insediamento romano già dal II secolo d.C. (ipotesi basata sul ritrovamento di alcune epigrafi). Ciò nonostante il paese fu soggetto alle invasioni barbariche e il territorio, molto ostile alla popolazione, fu presto abbandonato.
Sperduto e desolato, selvaggio e boscoso il territorio di Serle fu patria degli eremitaggi monastici per tutto l'Alto Medioevo. Questa influenza religiosa la si ritrova solo nell'XI secolo, quando il vescovo di Brescia, Olderico, dona alcuni beni al neonato monastero di San Pietro in Monte Orsino. Da qui, la nascita nel Basso Medioevo del monastero di San Bartolomeo, il quale si trova sull'omonimo monte a 933 m s.l.m. La chiesa rinascimentale conserva al suo interno un polittico absidale ad affresco attribuito a Paolo da Cailina il giovane, raffigurante la Madonna in trono con Bambino. I recenti scavi archeologici hanno contribuito alla messa in luce parte dei resti della chiesa dell'antico complesso romanico e della scala monumentale (restaurata e visibile) che dava accesso al complesso monastico.
Il Rinascimento e poi il Seicento sono un periodo di fioritura e incremento demografico grazie all'enorme presenza di risorse minerali e agricole sul territorio.
Il personaggio più noto della storia serlese è Pietro Boifava (1794-1879), grazie alla sua partecipazione alle Dieci giornate di Brescia.
Durante il secondo dopoguerra, il paese ha conosciuto un forte sviluppo economico portato dai minerali, dal legname e dall'agricoltura praticata sul suo territorio.
Il fiorire della comunità di Serle è strettamente collegato alle vicende del Monastero Benedettino di San Pietro in Monte Orsino, realtà politico - religiosa di enorme rilevanza per la vita della nostra provincia nei primi secoli del Secondo Millennio.
Recentissimi studi ne collocano la fondazione e la dotazione di beni alla prima metà dell’XI secolo, ad opera del Vescovo Olderico, che in quegli anni resse la Diocesi di Brescia.
In quest'area, ma anche nella pianura e fuori dei confini della diocesi, il presule, che era all'epoca la maggiore autorità politica nella città e nel contado, conferì al cenobio larghe dotazioni di terre, boschi, fortificazioni e privilegi che spesso furono all'origine di contese secolari con le comunità locali.
Evidente simbolo del potere vescovile, il monastero fu situato non casualmente all'apice di un rilievo che per la sua altezza - quasi mille metri - e per la singolare sagoma conica era nettamente distinguibile anche a molti chilometri di distanza, tanto dal circostante altopiano di Cariadeghe quanto dalla pianura sottostante.
Per secoli il Monastero, regolò non solo la vita civile e religiosa, ma anche quella socio-economica della zona ed oltre, in quanto amministrava una gran quantità di beni che si estendevano non solo sull'altopiano di Cariedeghe ma anche su ampie zone del pedemonte orientale bresciano e in altre località fuori della diocesi.
Già dall'inizio del XIII secolo, l'edificio versava in condizioni deplorevoli, tanto che, sia il Vescovo di Brescia nel 1213 che il Vescovo di Trento, nel 1218, concessero indulgenze a chi avesse fatto elemosine per il restauro della chiesa. Dalle costituzioni sinodali del Vescovo Federico Maggi, del 1309 (già in periodo di decadenza), sappiamo che il monastero ospitava un abate, otto monaci, vari chierici e il personale addetto. Nel trecento venne sancito in maniera definitiva l'abbandono della sede montana da parte della comunità monastica che dovette trasferirsi, dopo il primo quarto del secolo, nella domus monastica di Nuvolento.
Ben presto, persa ormai l'originaria funzione di controllo sul territorio svolta dal monastero, la comunità nel 1347 chiese al Vescovo di trasferirsi a Brescia e fu soddisfatta con l'assegnazione di una nuova sede, formalmente riconosciuta nel 1381, presso la chiesa di S. Brigida nel centro della città vecchia.
Dal 1446 il monastero sul monte fu assegnato ai Canonici Regolari di San Giorgio in Alga di Venezia, che avevano una sede nel Monastero di San Pietro in Oliveto, sul Colle Cidneo a Brescia. I nuovi occupanti ristrutturarono radicalmente l’antico monastero, ricostruendo in forme più modeste la chiesa ed erigendo nuovi edifici su vari piani. Dopo la soppressione dell'ordine dei Canonici di San Giorgio in Alga da parte del pontefice Clemente IX, e la relativa vendita dei beni dell'ordine stesso per finanziare la guerra che la Repubblica di Venezia era impegnata ad intraprendere contro i Turchi, il monastero di San Pietro in Monte e i terreni attigui, divennero proprietà, dal 1672, delle monache del monastero di Santa Maria degli Angeli di Brescia. A seguito delle soppressioni d'epoca napoleonica, nel 1801 Pietro Braga di Brescia "acquistò dal Governo i monti, e i boschi di proprietà del soppresso Monastero degli Angioli" e ne acquisì quindi i diritti attivi e passivi.
Nel 1890 il Comune di Serle acquisì la proprietà degli eredi e nel 1907 venne eseguito un intervento di restauro sulla struttura, che comportò l'abbattimento di gran parte degli ambienti che formavano il blocco ovest, addossati all'abside della chiesa e, contemporaneamente, l'edificazione di nuovi locali a nord. Il monastero assunse cosi l'aspetto che tutt'ora lo caratterizza. L'8 marzo 1930, l'Amministrazione Comunale deliberò la "cessione gratuita perpetua, a favore della Fabbriceria Parrocchiale di Serle, del Santuario denominato S. Bartolomeo e delle sue adiacenze, situato sul monte Orsino". La parrocchia è, quindi, l'attuale proprietaria del beni.
La chiesa del cenobio romanico - posta sul ciglio estremo del ripido versante meridionale del monte per essere ben visibile dalla pianura - era un ampio organismo a croce latina di 37 x 26 metri, grande il doppio dell'edificio attuale che ne occupa la sola navata centrale. Il corpo originario a tre navate, era terminato a oriente da un presbiterio con transetto sporgente e da un’abside quadrangolare, entrambi fortemente sopraelevati rispetto al piano dell'aula. Sotto di essi si estendeva infatti una cripta di 220 mq ripartita in nove navatelle rette da numerose colonnette. La robustezza delle murature dell'abside e del transetto, spesse quasi 2 metri, nonché la presenza di due possenti pilastri di rinforzo aggiunti ancora in epoca romanica, fa inoltre supporre che l’area presbiteriale fosse sovrastata da una massiccia torre d’incrocio alta più di 20 metri, analoga a quelle di alcune chiese di priorati benedettini lombardi del tardo XI - inizio XII secolo come S. Salvatore di Capodiponte, S. Egidio di Fontanella e S. Giovanni di Vertemate.
Le frazioni che compongono il comune sono adagiate tra i rilievi montuosi che risalgono dalla valle del Chiese sino al carsico altopiano di Cariadeghe.
Salendo da Nuvolento si incontra dapprima Berana, m 375, indi Biciocca con vasti depositi di carbone vegetale. La strada sale poi al cuore del paese; a destra Bornidolo e Magrena, con notevoli case contadine. A sinistra Casella e Chiesa, m 505, sede del municipio, sito in un palazzo seicentesco con porticato vantiniano, e della possente parrocchiale.
Poco oltre, Sorsolo, m 462, allungato su un crinale. La strada principale tocca poi Salvandine, m 567, e a sinistra le poche case di Gurale, m 599. Più avanti Ronco, m 594 e al bivio successivo prendendo a sinistra (per S. Gallo e Botticino) Cocca, m 656 e, più distante, Castello, m 656.
Tornati al bivio e riprendendo la strada comunale si sale a Villa, m 673, la frazione più elevata. Una diramazione a destra porta a Tesio Sopra e Sotto, da dove si diparte una strada sterrata che scende a Gavardo.
Da Villa si può salire per sterrata al colle di S. Bartolomeo, m 933, ove sono i resti del monastero benedettino di San Pietro in Monte.
Grandioso panorama sulla valle del Chiese, sul basso Garda e le sue colline.
Alle spalle il parco regionale di Cariadeghe, notevole per il carsismo e le grotte.
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