Tra mafie e religione esiste un rapporto estremamente complesso che non tutti riescono a comprendere fino in fondo.
In Italia il collegamento mafia-religione risale ad una tradizione storica profondamente radicata. C’è un cordone ombelicale che lega saldamente Cosa nostra e alcuni componenti della Chiesa.
Come è possibile, però, che un mafioso o un killer uccida, provochi così tanta sofferenza e allo stesso tempo si dichiari cattolico?
La risposta è che la religione fa parte della tradizione popolare e la mafia ha bisogno del consenso creato da essa. I boss organizzano molte processioni, alcuni parenti portano addirittura il Santo sulle spalle, si occupano delle manifestazioni aiutando con finanziamenti la Chiesa. In questo modo si avvicinano al popolo di devoti. Alcuni mafiosi hanno il bisogno interiore di credere in qualcosa, come hanno raccontato diversi pentiti, ad altri serve la Chiesa per ragioni di appartenenza e identità, coesione interna e consenso sociale.
Dal canto suo la Chiesa spesso ha taciuto, ha collaborato, ha accettato con omertà una situazione che sarebbe contraria alla propria etica. Ma ci sono stati anche due distanziamenti importanti: uno annunciato da Papa Giovanni Paolo II e l’altro da Papa Francesco. Il primo, nella Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio ’93, ha chiamato alla conversione il malavitoso prospettandogli l’inferno: «Il denaro insanguinato, il potere insanguinato: non potrai portarlo all’altra vita». Il secondo, il 21 marzo, durante un’omelia ha detto: “Coloro che nella loro vita hanno questa strada di male, i mafiosi, non sono in comunione con Dio: sono scomunicati”.
Ha fatto rumore l'intervista di Nicola Gratteri al Fatto Quotidiano. Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria ha espresso preoccupazione sui 'rischi' che correrebbe Papa Francesco per l'opera di pulizia intrapresa all'interno della Chiesa, in particolar modo sulla trasparenza delle finanze vaticane.
Gratteri, oltre ad essere un magistrato in prima linea da 20 anni, è anche co-autore di svariati libri sul mondo della 'ndrangheta. .
Quando nasce il rapporto Chiesa-'ndrangheta?
Il rapporto con la Chiesa, ma soprattutto con i preti, è importante per capire l'affermazione delle 'ndrine. Si possono individuare diverse fasi: la prima è quella che si apre con la proclamazione del Regno d'Italia, quando la 'ndrangheta è già oggetto di inchieste, grazie all'introduzione nel codice sardo-italiano del reato di "associazione di malfattori". Ad esempio nel 1869 il Comune di Reggio Calabria viene già sciolto per infiltrazioni mafiose, mentre la Chiesa non riconosce il Regno d'Italia e nel 1870 perde il potere temporale dopo Porta Pia.
A quel punto 'ndrangheta e Chiesa sono entrambe su un fronte ostile rispetto allo Stato italiano. E' un periodo di tolleranza, di silenzio. I preti per vocazione erano pochi, molti lo erano 'per mestiere', legati alla classe dirigente più che al popolo.
La fase successiva è quella del "ritorno degli indesiderati", in cui gli 'americani' vennero fatti rientrare per legge, coinciso con una serie di comportamenti eticamente e moralmente discutibili. I gangster iniziano a organizzare feste patronali, ristrutturare chiese, si fanno vedere accanto ai preti, lanciano un nuovo modo di creare consenso sul territorio. Viene 'istituito' anche il raduno al santuario della Madonna Polsi (nel 1894): uomini di chiesa e boss iniziano ad accettarsi a vicenda. I preti erano un biglietto di visita per i mafiosi, c'era un aiuto reciproco.
Nessuna voce fuori dal coro?
Ci sono stati sacerdoti importanti, come don Italo Calabrò, che ebbe il coraggio di sfidare i mafiosi fra gli anni Ottanta e Novanta: dopo il sequestro di un bambino lanciò un'invettiva davanti al sagrato della sua chiesa, definendoli "uomini senza onore". E' stato un modello positivo, che ha lasciato un segno. Sosteneva che la gente trova coraggio dal coraggio dei 'Pastori della Chiesa'. Ma certi atteggiamenti sono proseguiti e le processioni sono servite, ad esempio, per presentare alla cittadinanza i nuovi affiliati alle cosche. Don Antonio Esposito era legato ad interessi mafiosi e venne ucciso probabilmente perché schierato con una famiglia protagonista di una lunga faida. Fu assassinato anche don Peppino Giovinazzo, vice-economo del santuario di Polsi.
Ora ci sono preti che sfidano la 'ndrangheta, ma sono 'mosche bianche', anche perché mancano degli orientamenti pastorali, dei precetti su cosa bisogna e non bisogna fare, come ragionare sul concetto di conversione e di perdono che caratterizza il rapporto fra la 'ndrangheta e certi preti: non si può continuare a sostenere 'io mi pento davanti a Dio e non davanti agli uomini', non ci può essere perdono che non dia frutti nella società.
Nella loro logica perversa i boss sono convinti di essere devoti nonostante ordinino o commettano omicidi.
Ma i boss sono devoti, la devozione è diversa dalla fede. La prima si manifesta all'esterno ed è legata all'immagine, la seconda riguarda la propria dimensione intima. La devozione degli 'ndranghetisti è funzionale ad una logica di potere, è folclore più che religione: organizzare i fuochi d'artificio per la festa patronale, una processione con la presenza di cantanti che comporta una forte partecipazione della gente.
Si può dire che le mafie 'hanno bisogno della religione', prima ancora delle possibili complicità di sacerdoti o delle alte sfere del Vaticano?
Quando nasce la 'ndrangheta il linguaggio è quello dei preti, la logica è quella dei proverbi. Se devi costruire un immaginario collettivo, un corredo simbolico, lo fai utilizzando quello che hai attorno. E attorno ci sono le chiese, i preti, i 'signorotti' del paese. Polsi non è stata 'inventata' dalla 'ndrangheta, ha una tradizione di devozione e importanza secolare, uno dei pellegrinaggi più importanti in Calabria. Se poi si tiene conto della posizione geografica, si scopre che è al centro dei tre mandamenti della provincia di Reggio Calabria. Gli 'ndranghetisti traggono vantaggio da qualcosa che c'è già e che non deve essere confuso con la 'ndrangheta.
40 anni era la 'mafia stracciona', è passata dalla 'Santa', è diventata il punto di riferimento dei cartelli sudamericani per il traffico di cocaina in Europa. Oggi cos'è la 'ndrangheta?
E' una organizzazione globalizzata, fatta di famiglie che vivono ai quattro angoli della terra, che gestiscono cocaina e riciclano denaro sporco. Ritenuta 'credibile', riesce a relazionarsi con altre organizzazioni e occupa un posto di rilievo nel panorama criminale internazionale.
Accuse forti senza eufemismi di Isaia Sales in “I preti e i mafiosi” (Baldini Castoldi Dalai, 2010). La Chiesa cattolica ha fornito un grosso, insostituibile appoggio dottrinale alle mafie nel Sud Italia degli ultimi due secoli.
Al di là di ogni collaborazione diretta (che pur, in qualche caso, non è mancata).
“Le organizzazioni criminali di tipo mafioso avrebbero potuto ricoprire un ruolo plurisecolare nella storia meridionale e dell’intera nazione se, oltre alla connivenza di settori dello Stato e di parte consistente delle classi dirigenti locali, non avessero beneficiato del silenzio, della indifferenza, della svalutazione e anche del sostegno dottrinale di una teologia che trasforma degli assassini in pecorelle smarrite da recuperare piuttosto che da emarginare dalla Chiesa e dalla società?” si domanda il professore. Per concludere, subito dopo: “la risposta è no”.
Paradosso di una organizzazione religiosa che è per suo stesso “statuto” radicalmente antiviolenta, ma che si presta ad una legittimazione teorica – diretta o indiretta – della violenza, in specie organizzata. Paradosso che – al cuore di una società, quella italiana, che la Chiesa “ce l’ha in casa” – non riguarda solo gli storici e i moralisti. Riguarda tutti.
Il dato di fatto innegabile e punto di partenza dell’indagine è che per più di un secolo e mezzo i mafiosi sono stati accettati come uomini credenti e devoti: ciò non può essere esclusivo merito loro. E del resto le prime condanne ufficiali della mafia da parte della Chiesa sono recentissime (tra le quali spicca quella di mons. Mariano Crociata, segretario generale della CEI).
Ma c’è di più: la Chiesa sarebbe responsabile non solo ideologica, ma anche materiale dello sviluppo delle mafie (ancora una volta indirettamente), in quanto parte delle classi dirigenti meridionali coinvolte nella proprietà e nel controllo della terra (questione centrale per la mafia siciliana),oltre che come portatrice di una “teologia morale (severissimi con il peccato, indulgenti con il peccatore), che ha permesso a degli assassini di sentirsi quasi dei privilegiati, essendo pecorelle da recuperare”. C’è qualcosa di strano nella teologia morale del cattolicesimo se ancora oggi – come racconta l’autore – un uomo come don Ciotti (presidente dell’associazione antimafia “Libera”) si trova quotidianamente a trattare con confratelli che ritengono i pentiti di legge “degli infami”.
La Chiesa, sottolinea Sales, è “una delle principali agenzie educative di massa”. Sarà pur vero che la “gente del Sud” è tradizionalmente omertosa; ma è anche vero che essa non è insensibile agli stimoli dell’educazione, soprattutto se fatta con gesti eloquenti (come quello, proposto dal docente, di negare la comunione ai mafiosi, come già si fa per i ben più miti e innocui divorziati).
Isaia Sales è docente di Storia della criminalità organizzata nel mezzogiorno d’Italia presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli. È stato deputato della Repubblica e sottosegretario all’Economia nel primo governo Prodi (1996-1998). È autore di: La camorra, le camorre (1988); Leghisti e sudisti (1993); Il Sud al tempo dell’euro (1998); Riformisti senz’anima (2003). Ha vinto il Premio Napoli nel 2007 con il saggio Le strade della violenza. Malviventi e bande di camorra a Napoli (2006). Ha curato la voce «camorra» per l’Enciclopedia Treccani.
Quindi possiamo capire questo episodio: sei cavalli con pennacchio che trainano una antica carrozza funebre, una banda che intonano prima le note del film "Il Padrino", poi la colonna sonora di "2001 odissea nello spazio" e la canzone "Paradise", altra colonna sonora, ma del film "Laguna Blu", che accompagnano l'uscita della bara e per finire petali di rose lanciati da un elicottero. E' la cerimonia che si è svolta nel popolare quartiere Tuscolano della Capitale, davanti alla Chiesa di San Giovanni Bosco, dove è stato celebrato il funerale del boss Vittorio Casamonica, il 65enne, appartenente all'omonimo clan criminale, composto da nomadi, che negli anni '70 si stabilirono a Roma, grazie anche alla collaborazione con la Banda della Magliana, ed 'occuparono' le zone sud-est della Capitale, per poi estendersi a Castelli Romani e sul litorale laziale traffico di droga, estorsioni, usura e racket. Sulla facciata della parrocchia di San Giovanni Bosco ad attendere il defunto un grande striscione: "Hai conquistato Roma ora conquisterai il paradiso" ed accanto due manifesti con la scritta: "Vittorio Casamonica re di Roma", il suo ritratto a mezzo busto ed una corona in testa, il Colosseo e il cupolone di San Pietro sullo sfondo. Dopo la funzione, la bara è stata trasportata in una Rolls-Royce sempre con sottofondo musicale, tra le lacrime di molte delle donne presenti.
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