venerdì 1 gennaio 2016

COLICO



Colico è un comune situato sul punto d'incontro di strade, come la SS 36 del Lago di Como e dello Spluga, che collega Milano e la Brianza con il Lario e la Valchiavenna, e la SS 38 dello Stelvio.
La cittadina è una località di villeggiatura con buone strutture ricettive ed è molto frequentata durante la stagione estiva.
Ospita dal 2006 la tappa italiana della Coppa del Mondo di kitesurfing.

È il decimo comune della provincia di Lecco per numero di abitanti.

Colico si trova sulla sponda orientale dell'Alto Lario, dominato a sud dall'imponenza del Monte Legnone, che con i suoi 2609 metri è la montagna più alta della provincia di Lecco ed infatti appartiene al complesso alpino delle Orobie, mentre il resto del territorio lecchese viene considerato appartenente all'area prealpina. Anche il Monte Legnoncino con i suoi 1714 m è parte importante del panorama colichese. Nelle vicinanze di Colico si trova la Riserva Naturale del Pian di Spagna, corridoio di migrazione per l'avifauna Pian di Spagna, appartenente alla Provincia di Como. I tre principali corsi d'acqua di Colico sono il torrente Inganna, il torrente Perlino e la valle della Merla. Il canale rettificato del fiume Adda fa da confine naturale con la Provincia di Como. Caratteristici nel paesaggio di Colico sono i quattro montecchi (Montecchio nord, sud, del forte di Fuentes e di Piona- Olgiasca), piccole collinette che si elevano in corrispondenza del lago sopra i depositi alluvionali della conoide dell'Inganna e del Perlino; per questo Colico è anche chiamata "Città dei montecchi".

I primi insediamenti di Colico in età Neolitica hanno lasciate tracce sul Montecchio Nord, dove veniva estratto rame.

Grazie al lago Colico era in posizione strategica. I terreni agricoli sono suddivisi con la centuriazione da cui il toponimo Centoplagio, spesso nominato nei documenti.

Si diffonde con il Cristianesimo il culto di S. Fedele, soldato romano martire del IV secolo, che forse approdò alla frazione Laghetto per cercare scampo alle persecuzioni del tempo. Colico faceva parte della diocesi di Como e della pieve di Olonio; nel 617 il vescovo Agrippino fece costruire a Piona un oratorio, l'oratorio di S. Giustina, primo nucleo della futura chiesa di S. Nicolò.

Nei secoli VIII-IX, ai piedi del monte Lineone (citato in un documento dell'879) vivono comunità rurali con beni comuni o concilia, organizzate in aziende agricole. Il nome Colego compare inizialmente nel 931.

Nel XIV secolo Colico diventa feudo dei Visconti, viene assegnato alla famiglia Sanseverino e poi ai Quadrio di Tirano, col titolo imperiale di Conti dal 1550. In quello stesso periodo si verifica un'alluvione del torrente Inganna che distrugge l'insediamento originario di Colico Piano.

Nel XVI secolo l'alto lago diventa un campo di battaglia tra le superpotenze dell'epoca: Colico viene invaso da Franchi, Spagnoli, per il predominio dell'Europa. Colico viene invaso inizialmente dai Grigioni, che devono poi arretrare fino al paese di Piantedo. Nel 1714 subentrano gli Austriaci.

È questo un periodo di decadenza della popolazione e Colico diventa "terra di confine" fra due stati in guerra anche religiosa: il Milanesado spagnolo baluardo del cattolicesimo e i Grigioni che hanno aderito al Protestantesimo e controllano la Valtellina, che dovranno abbandonare in seguito alla rivolta del 1620 nota come "sacro macello".

Il Governatore di Milano Don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes, sul montecchio più vicino al confine, fa erigere in gran fretta nel 1603 una fortezza che bada i Grigioni e che controlli la Valtellina. Durante la guerra dei 30 anni, che devasta l'Europa, le truppe mercenarie dei Lanzichenecchi nel 1629 scendono dalla terra germanica dirette a Mantova, con l'aiuto degli Spagnoli, e fanno tappa a Colico, dove saccheggiano e diffondono la peste che spopola la cittadina.

Gli Austriaci realizzano importanti opere pubbliche: incanalano in un alveo rettilineo il corso del fiume Adda nel 1858, potenziano la rete stradale per scopi militari, aprendo nel 1809 la Colico-Sondrio che proseguirà fino a Bormio e allo Stelvio, nel 1822 la Colico-Chiavenna che continua fino a Coira attraverso lo Spluga. Colico acquista una grande importanza col tempo e nel 1818 viene costruito un porto.

Nelle frazioni aumenta la popolazione. Alla fine del secolo 1800 si verifica una crisi dell'agricoltura, che ai tempi rimaneva come principale attività lavorativa, così alcuni colichesi emigrarono, soprattutto in America e Australia, tante volte definitivamente.

Nel 1900 Colico "conquista" molti abitanti, in modo impressionante, fino ad arrivare ai 7000, come oggi, in abbastanza costante crescita.

Nei primi decenni del XX secolo sono ancora molti i colichesi che migrano oltreoceano, ritornano dopo alcuni anni e con i piccoli capitali raggranellati possono acquistare appezzamenti di terra sufficienti per diventare da massari o fittavoli piccoli proprietari indipendenti. Le rimesse degli emigranti rendono possibile una ridistribuzione della terra e una certa mobilità sociale. Le tensioni internazionali, i preparativi bellici che contrappongono la Triplice Alleanza, di cui l'Italia fa parte fino al 1914, alla Triplice Intesa, con cui si schiera all'entrata in guerra nel 1915, spingono lo Stato italiano a costruire un'imponente linea difensiva per fermare un eventuale attacco dal fronte alpino: la Linea Cadorna. La partecipazione alla prima guerra mondiale manda al fronte i giovani, braccia maschili valide indispensabili per l'agricoltura. Numerosi sono i morti nelle trincee del fronte orientale, e più ancora quelli che fanno ritorno invalidi e mutilati; alla crescita del paese, così compromessa, non contribuiscono certo la politica autarchica e militarista del ventennio fascista. La partecipazione alla seconda guerra mondiale, che ne costituisce il naturale epilogo e ne decreta la fine, vede morire sul fronte russo, africano e nei mari decine di giovani colichesi. Soprattutto la ritirata di Russia apre gli occhi a molti giovani che, nonostante l'indottrinamento di un ventennio, dopo l'8 settembre rifiutano di continuare a combattere a fianco dei nazisti e si rifugiano in montagna, dove organizzano la lotta partigiana. Colico, data la sua posizione strategica, è presidiata da truppe della RSI e tedesche, la popolazione è divisa. La Resistenza non si realizza solo con azioni militari: sono molti i civili e le donne che sostengono, aiutano, nascondono i partigiani e i fuggiaschi, e anche la repressione è feroce (incendiate per rappresaglia case di Fumiarga, esecuzioni). A Colico trovano ospitalità molti 'sfollati' da Milano, sfuggiti ai bombardamenti, e si verificano episodi di solidarietà e generosità che si contrappongono alla barbarie della guerra, ma anche qui le bombe lanciate sul nodo ferroviario provocano morti civili e distruzioni.

La ricostruzione del dopoguerra vede una faticosa ma costante crescita del paese, che elegge come primo sindaco, dopo la Liberazione e il ritorno alla democrazia, lo storico professor Martino Fattarelli, a cui è stata dedicata la nuova biblioteca esterna e interna.

Negli anni '50 si assiste a un progressivo abbandono dell'agricoltura, che sopravvive come lavoro integrativo accanto a quello in fabbrica. Uomini e donne trovano lavoro nelle industrie di Dervio (Redaelli), Bellano (cotonificio Cantoni), Mandello (Moto Guzzi), Abbadia (tubettificio), Lecco(Badoni), Talamona (Nuova Pignone) che raggiungono ogni giorno coi treni dei 'pendolari'.

Solo con la costruzione della nuova SS 36, completata con l'attraversamento di Colico, si mettono le basi per la creazione in paese di un'area industriale, che in breve offre possibilità di lavoro non solo ai colichesi ma richiama anche lavoratori da fuori.
Colico è gemellata con la cittadina tedesca di Wolfegg.

Il luogo, abitato fin dall'antichità da Liguri, Celti e Romani, diventa caposaldo longobardo alla fine del VI sec. Nel 616 vi giunge Agrippino, Vescovo di Como, che edifica un oratorio dedicandolo da S. Giustina, come testimonia un cippo, in marmo bianco, con iscrizione. Monaci dell'abbazia cluniacense di S.Pietro in Vallate vi si stabiliscono costruendo una "grangia". Edificano una chiesa più ampia, in stile romanico, dedicata a S. Maria, che nell'anno 1138 viene consacrata da Ardizzone, Vescovo di Como. L'abside è affrescata: al centro del catino il "Cristo Pantocratore", Signore del mondo, ai lati i quattro evangelisti, rappresentati nei noti simboli di leone, aquila, angelo e bue. Sotto, i dodici apostoli in atteggiamento di preghiera. Nel 1154 la chiesa viene ampliata e dedicata a un nuovo patrono: San Nicolao. Nel 1252 viene attuata dal priore del monastero, Ser Bonacorso De Canova di Gravedona, a sue spese, l'opera artistica di maggior risalto: il chiostro, che mostra ancora oggi la vita quotidiana e la religiosità medievale nei capitelli che raffigurano piante e animali e nell' affresco dei 'mesi'. In un documento della curia vescovile di Como, datato 1256, il monastero di Piona è indicato come uno dei dodici più ricchi di tutta la diocesi.
Nel 1798, per ordine del Direttorio della Repubblica Cisalpina, tutti i beni dell'abbazia vengono incamerati dal dipartimento dell'Adda e messi all'asta. Solo un secolo dopo, nel 1879, inizia il restauro della chiesa con aiuti governativi e sovvenzioni del comune e della provincia di Como.
All'inizio del XX secolo cominciano nuovi lavori per il recupero del chiostro e della chiesa, ma il monastero torna a rivivere nel 1938, quando i monaci Cistercensi di Casamari (Frosinone) prendono possesso dell'antico complesso benedettino. Attualmente l'abbazia è funzionante e domina la baia di Piona, segno di fede antica e di vita claustrale.

Borgo di Fontanedo, antico borgo, che in passato era abitato stabilmente da numerose famiglie di contadini, si estende in una conca riparata a nord da un costone detto " la Sponda", ben soleggiato e perciò terrazzato e coltivato a vigneti. Prende il nome dalle sorgenti di acqua freschissima, che anticamente formavano la "roggia", l'acqua che, scendendo verso Villatico, alimentava i mulini, allineati sul suo percorso.

La Chiesa di San Bernardino è rigorosamente orientata verso l’est equinoziale in osservanza alla tradizione più antica.

La facciata è imponente e armoniosa. Non è difficile cogliere, fin dal primo sguardo, lo straordinario senso di equilibrio originato dal rigore geometrico al quale si ispirano l’insieme e le singole parti architettoniche. Lesene che lasciano intuire la distribuzione dello spazio interno, il rosone e le rosine laterali, gli archetti pensili che corrono lungo l’intero cornicione e che costituiscono l’unico elemento decorativo delle pareti laterali si rifanno allo stile tipico delle chiese del lago e ancor prima allo stile romanico dell’XI e XII secolo. Al culmine delle lesene statuette di angeli appartenuti alla primitiva chiesa. Da notare la particolare cordonatura dei tre portali culminante in lunette. L’interno rivela subito nell’impianto architettonico basilicale l’antichità della chiesa. L’aula liturgica, a tre navate, è suddivisa da semplici colonne in muratura ordinaria con cinque campate ad arcate a tutto sesto con volte a botte per la navata centrale e a crociera per quelle laterali. Rende particolarmente incantevole l’ambiente l’ampio e unitario apparato decorativo ad affresco e a tromp d’oil che copre le pareti dell’intero presbiterio, dell’abside e dei due archi trionfali. La luce che filtra dalle monofore delle navate e dalle bifore degli altari laterali a strombatura profonda, crea un gioco di luci ed ombre che aiuta il fedele nel clima di raccoglimento e di preghiera oltre che a mettere in risalto particolari che solo un visitatore attento e curioso può cogliere.

L'altare maggiore, dalle sinuose linee settecentesche in marmo nero di Varenna e intarsiato con altri marmi policromi, domina la navata centrale. Dello stesso stile è un antico lavabo in sacrestia e le balaustre che delimitano gli altari laterali e il battistero sulle quali è possibile osservare lo stemma dell’offerente.

Gli affreschi del presbiterio, di mano ignota, si rifanno allo stile barocco e sono tutti realizzati con la tecnica ad affresco e a tromp d’oil. Sulle pareti l’episodio biblico del sogno della scala di Giacobbe e la lotta di Giacobbe con l’angelo, sulla volta a botte San Bernardino nella gloria del Paradiso arricchito da elementi decorativi di frutti con festoni di foglie e rami su fondo in finto marmo policromo rinvenuti alla luce grazie al recente restauro. Sulle pareti del catino absidale in centro San Bernardino affiancato presumibilmente da Sant’Elena e Santa Margherita. L’affresco della volta ellittica dell’abside, che sovrasta un prezioso coro in legno di noce che corre lungo l’intero catino absidale, mostra figure d’ Angeli in adorazione della Colomba dello Spirito Santo. Sempre sulle pareti del presbiterio da notare la particolare rifinitura del cornicione e delle lesene, che si differenzia da quella della zona absidale realizzate sicuramente in epoca successiva in seguito ad un probabile ampliamento della chiesa verso est. Merita una particolare attenzione lo splendido affresco con finta balconata marmorea che decora la parte culminante del catino absidale. Un magnifico esempio di decorazione a tromp d’oil.

L’arco trionfale, realizzato con l’innalzarsi delle quote interne dell’aula e l’allungamento verso ovest della navata centrale e la nuova edificazione delle navate laterali alla fine dell’ottocento, ci mostra un prezioso affresco raffigurante il “Cristo in Gloria” attribuito al Tagliaferri ed una scritta, purtroppo incompleta, attestante la data e probabilmente i committenti di questo ampliamento. “TEMPLUM 19 (…) OLUS LABORE PECUNLA 1896=97 AMPLIAVIT=CONFRATRES CONSORES SS SACRAMENTI 190(0) ECORA (…)” Tra le figure di santi(tra cui san Pietro) presenti vi è il Pontefice dell’epoca, Leone XIII. Dello stesso periodo il secondo arcone trionfale con angeli in adorazione della croce; particolare, oltre all’elegante festone di rami e foglie con frutti, la rifinitura centrale “a nuvola” dell’arco. Sull’ altare a capo della navata laterale di sinistra ammiriamo una statua della Beata Vergine del Rosario. Particolari i quadretti che corrono lungo i lati della nicchia che raffigurano i misteri gaudiosi del Rosario (lato sinistro), dolorosi (lato inferiore) e gloriosi (lato destro).

L’altare di destra è dedicato a San Giuseppe. Non presenta nessun particolare pregio architettonico se non la statua lignea del Santo con il Bambinello. In una nicchia della navata laterale di sinistra è collocato il fonte battesimale, con una bella vasca monolitica elegantemente modellata in una coppa sovrastata da un prezioso coperchio in bronzo, opera dello scultore Talamonese Roberto Bricalli, raffigurante il battesimo del Battista e Gesù con i Dodici. Dietro la vasca un artistico e pregiato ciborio in legno di noce. In questo fonte battesimale ricevette, il 22 agosto 1939, il battesimo la serva di Dio Suor Maria Laura Mainetti per la quale è in corso la causa di beatificazione.

L’organo quasi sicuramente appartenente alla primitiva chiesa, rimaneggiato dalla fabbrica milanese d’organi Marelli dopo l’ampliamento di fine ottocento, è posto sopra l’ingresso principale. Nel 2007 l’intera zona del presbiterio ha subito un importante intervento di restauro conservativo con pulitura dell’intera superficie decorata permettendo di riportare alla luce tonalità e rapporti cromatici originali attraverso l’asportazione delle incongrue ridipinture eseguite sulle decorazioni originali nel corso dei secoli. Percorrendo il perimetro interno si posso individuare diversi punti di indagine stratigrafica. Tale indagine ha permesso di conoscere l’evoluzione storica-cotruttiva ed artistica dell’edificio, oltre che a preparare la strada per una continuazione dell’intervento di restauro avviato che sicuramente riserverà numerose sorprese e ridonerà luce e splendore all’opera originaria realizzata dalla nostra gente nel corso dei secoli, persone più svariate ma tuttavia rese compatte da una fede comune.

Non è possibile stabilire con precisione l'epoca della costruzione della Chiesa S. Elena Fontanedo  ma doveva essere attiva nel XV secolo. Più volte subì incendi e devastazioni, e ne conserva i segni nei muri rifatti più volte, che risultano disuguali. Sulla facciata si intravede un affresco: il viso di S. Sebastiano.

La chiesa era dotata di fonte battesimale in marmo bianco, conservata in un'abside laterale, e di un antico crocefisso in legno. Il Cristo, dal volto dolcissimo, nella morte di croce, ha perso le mani, consumate dall'umidità del luogo e dal tempo. Attualmente è conservato nella chiesa parrocchiale di Curcio assieme alla pala d'altare: un prezioso quadro, olio su tela, del XVII sec., opera di Giambattista Recchi, che rappresenta S. Elena che mostra Maria la croce del Signore, ritrovata sul Calvario. Ogni anno in questa chiesa si festeggia S. Elena, nella domenica successiva il 16 di agosto, con riti religiosi e una partecipata sagra popolare.

Secondo la tradizione orale, una chiesetta dedicata a San Fedele esisteva anticamente sulle rive della baia di Piona, dove il santo sarebbe approdato fuggendo da Como prima di raggiungere le sponde del monte Berlinghera dove fu ucciso. Nell’attuale luogo, più salubre, fu poi eretta una piccola chiesa, con attorno un recinto adibito a cimitero. La comunità di Laghetto faceva parte dell’unica parrocchia S. Bernardino di Villatico ma era guidata da coadiutori che qui risiedevano: don Gilardoni, don Graziano Porlezza, don Taroni. I capifamiglia chiesero insistentemente l’erezione di una parrocchia autonoma, il vescovo lo concesse purché si dotassero di un luogo di culto adeguato. Grazie al loro tenace impegno nel 1856 venne ultimata l’attuale chiesa, con una spesa che oggi avrebbe superato 100.000 euro.

Nell’epigrafe all’ingresso: “Questa chiesa edificata in un anno di tanta miseria nel 1856 dirà ai posteri quale fosse la generosità di un popolo povero ma devoto”. La chiesa fu consacrata nel 1857 e fu affidata a don Antonio Venini, di Domaso, che da tempo vi risiedeva come coadiutore e che la resse per 60 anni (1853-1913). A pianta rettangolare, orientata a ovest, unica navata, 4 altari laterali, pavimentazione a lastre. Le pitture della volta, degli altari laterali e del catino dell’abside furono eseguite da F. Capiaghi di Como e da L. Tagliaferri di Pagnona. Le più pregevoli sono dedicate a S. Fedele e ne celebrano il battesimo, il martirio e la gloriosa accoglienza in paradiso. Era affiancata da una torre campanaria quadrata che venne completata nel 1871. Nel 1957 il centenario viene celebrato dal parroco don Del Barba: con 7 anni di lavori il campanile originario fu sostituito con uno nuovo svettante per 40 metri.

L'oratorio di San Rocco sopra Villatico è una delle circa 30 chiese dedicate al santo erette sul territorio lariano dall'epoca medioevale fino al 1600 a dimostrazione della diffusione del culto a questo taumaturgo in epoche di frequenti e gravi epidemie che decimavano le popolazioni e i loro animali. La piccola chiesa sorge sulle pendici del Monte Legnone, in una zona leggermente pianeggiante e boscosa. La località sembra che non sia mai stata abitata in forma permanente. Però da qui passava e vi tuttora passa la riscoperta via di comunicazione denominata "sentiero del viandante", uno dei percorsi che collegavano i paesi della sponda orientale del Lario prima della costruzione da parte degli austriaci della strada militare della riviera nella prima metà dell'ottocento. Il tempietto era dedicato originariamente a San Sebastiano martire, un soldato convertito al cristianesimo all'epoca di Diocleziano e barbaramente ucciso come è mirabilmente illustrato nell'affresco sulla parete sinistra. Dal secolo XVII al XIX le popolazioni funestate periodicamente da diverse epidemie, tra cui la tremenda epidemia di peste del 1630 descritta anche dal Manzoni ne "I promessi sposi", iniziarono a invocare non più il soldato romano San Sebastiano ma San Rocco, sentito più vicino a loro per il suo abito da pellegrino e la sua storia di guaritore attento ai bisogni della gente. Il Santo era supplicato come difensore contro la peste, il colera, le malattie degli animali, la filossera e le calamità naturali. Per questi poteri taumaturgici, la sua devozione si estese rapidamente in tutta Italia e, in modo particolare, sulle nostre terre dove soppiantò il culto del soldato romano San Sebastiano. In momenti di transizione dal primo al nuovo patrono, i due santi venivano spesso rappresentati assieme, a fianco della Madonna come si nota nella sinopia della nostra chiesetta del secolo XVII.
Possiamo ipotizzare che il luogo di culto, affrescato a più tappe dalla sua edificazione, sia stato costruito in seguito a un voto al santo come ringraziamento per aver protetto la comunità o come pegno per proteggerla dal contagio della peste che periodicamente colpiva queste terre di passaggio delle soldatesche dal nord verso la pianura. Data la posizione del tempietto in mezzo ai boschi di castagni e anticamente di querce, non è inverosimile ritenere che al tempo degli antenati Celti in questo posto sorgesse un luogo di culto delle loro divinità silvestri.

Per ora non sono stati recuperati scritti che documentino la data precisa della costruzione dell'oratorio, però la sua dedicazione al martire Sebastiano dei primi secoli e soprattutto l'impianto romanico dell'edificio, come evidenziato dalla bassa e ridotta abside semicircolare con una monofora fatta successivamente chiudere, sembrano farlo risalire al secolo XIV. Su questa piccola abside si innesta un'unica navata piuttosto spaziosa che, come si può desumere dalle sue dimensioni e dalla sua configurazione, è frutto di ampliamenti e di rimaneggiamenti iniziati già a partire dal secolo XV e proseguiti fino al XVII e conclusi solo una decina di anni fa.

All'interno del tempio si trova una statua lignea che rappresenta il Santo contraddistinto dai suoi simboli iconografici: una gamba scoperta e piagata per indicare che fu anche lui colpito dalla peste e in seguito guarito, il bordone del viandante con appesa la zucca per contenere l'acqua, la conchiglia simbolo del pellegrinaggio a Santiago di Compostela che fanno riferimento alla sua vocazione di pellegrino e il cane fedele che lo saziava con una pagnotta quando ammalato si era ritirato in un bosco.
Sulla parete Nord, entrando a sinistra, c'è uno splendido affresco risalente al secolo XVI che rappresenta,  su una superficie di cm. 250 per cm 500, la scena del martirio di San Sebastiano colpito dagli arcieri dell'imperatore Diocleziano assiso su un trono davanti ad un vasto panorama di paesaggio lacustre e montano. Vicino all'altare si trova l'affresco di cm 250 per cm 600 raffigurante l'Ultima Cena, risalente al secolo XVI e rinvenuto nel corso di una campagna di restauro svoltasi negli ultimi anni. Tra i due affreschi si intravede una sinopia di cm. 250 per 250 risalente al secolo XVII che raffigura i due santi San Rocco e San Sebastiano in piedi probabilmente a fianco della Vergine. Oltrepassato il piccolo presbiterio si possono ammirare le pitture medioevali dell'abside. L'impianto di questi affreschi segue il tipico schema dell'epoca e sono dovuti a un ignoto, ma capace pittore che dovrebbe aver operato nei primi anni del XV secolo.

Dal poggio antistante si gode un magnifico panorama di Colico e dell'alto Lario. Ogni anno, il 16 agosto, da tempo immemore si svolge nei pressi della chiesetta la sagra popolare di San Rocco.

Il Forte di Fuentes sorge sul Montecchio Est di Colico, in posizione strategica, dominante il Pian di Spagna e gli sbocchi delle direttrici di Valchiavenna e Valtellina.
Nel XVI sec. i Grigioni occupano la Valtellina e la Valchiavenna portando i loro confini sulle rive del Lario. Sono costretti a retrocedere da Giangiacomo De Medici, detto il Medeghino, ma continuano a minacciare l'alto lago. Nel 1603, il governatore spagnolo del Ducato di Milano, Don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes, pensa di scoraggiare definitivamente i nemici, con la costruzione di una fortezza. Individua il punto strategico sull'ultimo Montecchio di Colico, bene che apparteneva alla mensa vescovile di Como, che controlla l'imbocco di entrambe le valli ed essendo circondato da paludi è difficilmente assediabile.

Il Forte fu costruito a partire dal 1603 su progetto dell’ingegnere Gabrio Busca; i lavori durarono diversi anni e l’ultimo appalto documentato è datato 1609. Il Forte rimase in mano spagnola fino al 1736 quando il Ducato passò sotto il dominio austriaco. Nel 1769 fu giudicato “militarmente inutile” dai tecnici di Giuseppe II Imperatore del Sacro Romano Impero e Duca di Milano e nel 1782 fu radiato dal novero delle fortezze dell’impero e privato dell’armamento e messo all’asta. L'ultimo castellano del forte di Fuentes, il barone Domenico Shroeder, lo acquista per sé organizzandolo in una fiorente azienda agricola.

Nel 1796 Napoleone, entrato in Milano, al fine di facilitare i rapporti diplomatici con i Grigioni, inviò a Colico un reparto di guastatori guidati dal generale Rabeau per rendere inservibile il Forte, ritenuto ancora potenzialmente pericoloso. Durante la Prima Guerra Mondiale sulla sommità del Montecchio Est furono realizzate due postazioni blindate per cannoni da 149G.

Oggi il Forte è proprietà della Provincia di Lecco.

Il Palazzo del Governatore occupa per intero il lato di fondo della piazza d'armi. E' un grande edificio costruito su due piani con sette camere per piano, oltre ai magazzini. Dalle descrizioni storiche risulta vi fosse all'interno una grande scala in pietra e, all'esterno un pregiato portico colonnato, entrambi oggi perduti. Si può ancora osservare la traccia del grande camino principale, costruito in pietra proveniente da Como, oltre ai camini più piccoli nelle stanze adiacenti. Il palazzo fu abitato solo di rado da personalità di rilievo; i governatori militari preferivano infatti risiedere nelle salubri località della sponda nord-occidentale del lago, più precisamente a Domaso, lontano dai rischi della malaria che imperversava nelle malsane paludi del Pian di Spagna. Soltanto una volta, nel 1605, il conte di Fuentes fu in visita al Forte.

I quartieri dei soldati (ossia la caserma) occupano tutto il lato sud-est della piazza d’armi. Costruiti, come tutti gli altri edifici del forte, con muratura in pietra legata e intonacata, si sviluppano su due piani e, dai documenti, furono costruiti per ospitare più di 300 uomini. La caserma è ben protetta dalla roccia e si trova, come il Palazzo del Governatore, immediatamente al di sotto della cosiddetta “piattaforma” che scendeva dal quartiere San Cristoforo, il punto più elevato del Forte. Esistevano anche altri alloggiamenti secondari, situati all’esterno del perimetro della piazza d’armi. Questi potevano ospitare un altro centinaio di uomini. In questi locali si trovavano fanti, genieri, archibugieri e artiglieri. L’avvicendamento della truppa a presidio del Forte era incessante: sino alle bonifiche del XIX secolo l’intera area pianeggiante all’intorno del Forte era un’immensa palude infestata da zanzare portatrici di malaria: le cronache riportano che circa il dieci per cento della guarnigione fosse ogni mese da sostituire perché gravemente ammalata o deceduta (notevoli al riguardo i resti del cimitero posto immediatamente a nord del Forte).
Le postazioni blindate per cannoni campali di medio calibro da 149G (in ghisa) furono costruite durante la Prima Guerra Mondiale come difesa da una eventuale invasione tedesca o austro-ungarica dalla Valtellina o dalla Valchiavenna. Si tratta di due massicce postazioni realizzate in calcestruzzo e disposte a L, destinate ad ospitare in tutto otto pezzi d'artiglieria, quattro orientati verso lo sbocco della strada dello Spluga a Novate Mezzola, quattro verso lo sbocco della strada dello Stelvio a Morbegno. Lo scopo era quello di mantenere efficiente lo sbarramento di Colico nell'ambito del sistema difensivo alla Frontiera Nord verso la Svizzera, essendo stati rimossi i cannoni 149S (Schneider, in acciaio) dal vicino Forte Montecchio Nord. La minor gittata dei pezzi da 149G era in parte compensata dalla posizione più avanzata rispetto ai potenziali obiettivi.

Fortunatamente il territorio di Colico non subì nessun attacco e le postazioni non furono mai armate. Al di sotto di queste postazioni vi è un ampio deposito per il munizionamento, scavato in roccia e protetto da una spessa volta in calcestruzzo. Nei pressi del Forte esistono inoltre alcune gallerie, in parte utilizzate un tempo per cavare minerale di ferro, di cui almeno una è stata con buona probabilità adibita a polveriera durante la Grande Guerra.

Costruito tra il 1911 ed il 1914, il Forte Montecchio Nord è l'unico forte militare italiano della Grande Guerra che abbia conservato ancora intatto il suo armamento originario e uno dei meglio conservati in Europa. Il complesso storico del Forte, ben inserito nel Sistema Difensivo della Frontiera Nord, la cosiddetta “Linea Cadorna”, è grandioso: interamente scavato nelle roccia, è caratterizzato da possenti mura in granito bianco di San Fedelino proveniente dalle vicine cave di Novate Mezzola e lavorato da mani di abilissimi scalpellini, numerosi ambienti e camminamenti sotterranei, tra cui a una polveriera profonda oltre 60 metri. Funzione principale del Forte era quella di controllare le strade dello Spluga, del Maloja e dello Stelvio nel caso che gli Imperi Centrali, violando la neutralità della Svizzera, avessero deciso di invadere il Nord Italia. La visita del Forte consente oggi di osservare le soluzioni architettoniche, tecniche ed organizzative, alcune delle quali davvero innovative per l'epoca, adottate all'inizio del secolo nell'edificazione dei forti militari.  Il Forte conserva intatti non solo i quattro imponenti cannoni con una gittata di 14km modello Schneider da 149mm, in postazione girevole sotto cupola corazzata, ma anche l’impianto elettrico e tutti i serramenti e le blindature originali, oltre ai complessi sistemi di ventilazione e di approvvigionamento idrico.

La struttura è formata da due blocchi distinti: il piano dove si trovano le quattro artiglierie, e il ricovero destinato agli alloggi della truppa. I due blocchi sono collegati da un camminamento curvilineo coperto e fortificato di circa 140 metri di lunghezza e appoggiato alla montagna sul lato est. Il camminamento ha un'ampiezza di 2,5 metri e un'altezza di 3 metri mentre la volta superiore ha uno spessore di circa 1,5 metri ed è realizzata con pietre irregolari di granito. Nelle mura del camminamento sono state realizzate dieci feritoie a bocca di lupo, che permettevano un ampio raggio per il tiro offrendo al nemico un bersaglio ridotto. L'area destinata al ricovero si trova nella parte più bassa del forte; in questo spazio, ricavato grazie al parziale sbancamento di una parte della collina, trovava posto la camerata destinata alla truppa, un unico locale riscaldato in grado di ospitare circa 40 uomini e altrettante brandine e armadietti per gli effetti personali.

Il forte venne chiamato, al momento della sua costruzione, Montecchio Nord, in corrispondenza della località in cui venne edificato. Questo è tipico dei forti italiani che prendevano il nome del luogo in cui erano costruiti. Solo in seguito, nel 1939, il forte fu dedicato, come era in uso comune a quel periodo, alla medaglia d'oro al valor militare Aldo Lusardi, ferito a morte il 5 novembre 1935 nella zona di Addi Gundi nell'Africa Orientale italiana.
Dati gli eventi bellici il forte, che costituiva il punto di forza di un complesso sistema di sbarramento che si prolungava fino al Monte Legnone, rimase inattivo durante tutta la prima guerra mondiale. Il forte non venne impiegato in azioni militari neanche durante la seconda guerra mondiale, gli unici colpi di cannone furono infatti sparati il 27 aprile 1945 contro la colonna delle forze armate italo-tedesche che risaliva l'opposta sponda del lago in direzione della Svizzera dopo aver lasciato Mussolini nelle mani dei partigiani a Dongo. L’episodio indusse il capitano della colonna Hans Fallmeyer a fermarsi, e si diede il via alle trattative con i partigiani per porre fine agli episodi di guerra nella zona del Lario. In seguito venne utilizzato come deposito di munizioni e rimase presidiato ed attivo fino al 1981, quando passò definitivamente al demanio civile. Nel 1998 il Ministero delle Finanze affidò la gestione del Montecchio al Comune di Colico, ed infine ceduto al demanio pubblico. Dal 2009 il Comune di Colico ha affidato la gestione del forte al Museo della Guerra Bianca al fine di migliorarne la fruibilità turistica.

Grazie alla strategica collocazione del forte, dalla copertura della batteria corazzata si può godere di uno splendido panorama sull'Alto Lario, con una incantevole vista  sulla vicina Riserva Naturale del Pian di Spagna, il Lago di Mezzola, la foce dell'Adda e il Monte Legnone.

Sembra che la torre di Fontanedo venne edificata per volere di Bernabò Visconti nel 1357, sulla linea difensiva dell'Alto Lago, ma forse fu solo potenziata una struttura già esistente. Si trova a circa 700 metri più a valle del paese di Fontanedo, su un punto dominante dello sperone che scende dal versante nord del Monte Legnone. Fu costruita per proteggere il territorio dalle incursioni e salvaguardare l'importante via di comunicazione della “Scalottola”, ora nota come “Sentiero del Viandante”, che passa alla base dello sperone, in località Robustello. La strada portava da Lecco, per la Valsassina, in Valtellina e rappresentava la variante a lago della Via del Bitto, che invece valicava la montagna arrivando direttamente a Morbegno attraverso la Val Biandino e la Bocchetta di Trona. Si legge in un documento: “(I Milanesi) furono sforzati fortificare in Colico il Monteggio (Montecchio Nord, dove esistono ancora le due torrette medievali) ed il passo di Fontanedo con torri ed altre fortezze”.

La Torre mantenne la sua importanza strategica anche nei secoli successivi, quando venne ampliata e inglobata al sistema difensivo del Forte di Fuentes, divenendone l'opera accessoria più elevata: la tipologia delle murature ne confema la datazione secentesca. Ragguardevole doveva essere la guarnigione che presidiava la fortificazione in epoca spagnola, a giudicare dalle dimensioni dei fabbricati per l'alloggiamento delle truppe, dai magazzini e dalle stalle.

La Torre ha una pianta pressochè quadrata di 7.5 metri per lato e presenta una tipica struttura degli edifici difensivi medievali (es. Torri di Mello, Chiuro, Teglio), realizzata con grossi conci di pietra, è priva di aperture a pian terreno per impedire l'ingresso agli assalitori. Lungo le possenti mura si trovano numerose ferritoie difensive. La porta vera e propria si trovava al primo piano ed era raggiungibile solo grazie ad una scala di legno che poteva essere ritirata all'occorrenza. La struttura interna dell'edificio era pure in legno: rimane visibile lungo il perimetro interno dei muri la mensola su cui si appoggiava l'impiantito.

Il borgo fortificato era collegato all'abitato di Fontanedo e a Colico da una rete di mulattiere. Borgo e strade sono ancora discretamente conservati, e costituiscono con la Torre un insieme di grande suggestione. Dalla Santella, ancora visibile vicino alla Torre, è stato staccato un affresco raffigurante la Madonna col Bambino, probabilmente del sec. XV; ora è conservato nella chiesa di Curcio, Parrocchia cui appartiene la Torre.

Dal pianoro antistante è possibile ammirare un vasto panorama sulla piana di Colico e tutto l’alto lago che ripaga ampiamente della salita.

Sullo sperone sud occidentale della collina denominata Montecchio Nord, poco distante dalla foce del torrente Inganna, a circa 270m di altitudine, sorgono a una trentina di metri di distanza tra loro due piccole torri denominate “Torrette”, legati a tratti da una muraglia che farebbe pensare ad un recinto di collegamento o una cortina di difesa. Alcuni storici avanzano l'ipotesi che sul colle vi fosse già una vedetta romana, in seguito occupata dai Longobardi, da cui si originò il castello dei Vicedomini, Signori della Valtellina. Le torrette odierne farebbero parte della linea di fortificazione voluta da Bernabò Visconti nel 1357 a vigilare il passaggio sulla via del lago. La torre sud è stata ampiamente rifatta nella parte superiore, mentre nella parte inferiore evidenzia un paramento medioevale. Meglio conservata, se pur cimata, quella settentrionale, dagli spigoli accurati. Sulla faccia sud esisteva anni fa un grande portale inferiore a tutto sesto e decentrato, forse opera del  XVI sec. attuato in rottura, ma l'ingresso doveva essere costituito dalla  porta finestra centinata del lato est, per il cui accesso si è poi creato un avancorpo a scala. La tessitura muraria, con qualche finestrella trilitica, ricorda quella di Fontanedo.

Ai piedi della rocca sorgeva il borgo "de colego", che fu distrutto dal torrente Inganna, durante l'alluvione del giugno 1469. Le due Torrette attualmente sono di proprietà privata e non accessibili al pubblico.

La villa Malpensata sorge sulla penisola di Olgiasca in posizione isolata, prospiciente al lago. Le fanno corona giardini, orti, prati e vigneti. L'impianto ottocentesco, molto semplice, incorpora una precedente struttura risalente al periodo della dominazione spagnola del ducato di Milano: sul catenaccio di un portale è incisa la data 1537.

La facciata principale, rivolta al lago, presenta quattro ordini di arcate con cinque archi per ogni piano. Presumibilmente fu costruita da un benestante di Gravedona, ma non si conosce il nome dell'architetto e neppure del committente. Davanti alla villa da tempi immemorabili c'è un porticciolo che serviva per gli scambi commerciali e per il trasporto di persone, quando il lago costituiva la grande via di comunicazione tra le comunità lacuali e con le città della pianura. In modo particolare, dal molo si imbarcavano sui comballi le lastra di marmo di Olgiasca.
Nel catasto teresiano del 1760 l'ampia costruzione compare sotto la qualifica di "Cassina Malpensata", segno evidente che ha avuto sempre funzione di casa padronale coi relativi dipendenti addetti al lavoro dei terreni circostanti e sicuramente provenienti dal paese sovrastante. Nel 1905 il nuovo catasto chiama il complesso agricolo "latifondo della Malpensata". Attualmente è proprietà del Priorato di Piona e sede della Comunità "Il Gabbiano".

Il territorio di Colico presenta un ambiente naturale unico, per la grande varietà e bellezza di elementi, che raramente possiamo godere così affiancati a poca distanza e così facilmente fruibili per svariate attività. Alle spalle dell'abitato si erge l'imponente mole solitaria del Monte Legnone con i suoi 2610 metri s.l.m. (prealpi Orobie, micascisti) ammantato di vegetazione disposta x fasce altimetriche (coltivi, latifoglie, conifere, pascoli, veg alta quota), di fronte si allarga il lago, che occupa il solco longitudinale scavato dai ghiacciai del Quaternario, che raggiungevano lo spessore di oltre 1000 metri). La zona pedemontana formata dai conoidi dei 3 torrenti Inganna, Perlino e Merla, fertile e coltivata da secoli, è ora densamente abitata. La fascia pianeggiante che costeggia il lago, un tempo paludosa, ospita oggi molte infrastrutture, servizi e strutture turistiche. Caratteristica unica di Colico sono i quattro colli, i tre Montecchi e la penisola di Olgiasca, sopravvissuti all'erosione glaciale, che costeggiano il lago e offrono vegetazione e paesaggi unici. Dal XVIII secolo campeggiano nello stemma comunale.

Il centro cittadino si sviluppa tra Piazza Garibaldi, Via Vitali, Largo San Giorgio e Via Pontile. Questo quartiere racchiude i principali servizi di Colico. Tra Via Municipio e Piazza Quinto Alpini si trovano municipio, chiesa di San Giorgio e le principali scuole. In Via Villatico ha sede l'ufficio postale.

Il Lido è dotato di una lunga spiaggia, un campo di calcio, dei campi da tennis ed una scuola di vela.

Nel quartiere vi è un parcheggio di camper, una spiaggia e una scuola di surf e kitesurf.

La zona industriale è sede di numerosi stabilimenti e della discarica cittadina.

La frazione di Colico Piano (antica denominazione Colicum) non è altro che il centro della cittadina ed il luogo della Parrocchia di S. Giorgio (festa patronale 23 aprile), smembrata da Villatico ed eretta il 22 dicembre 1914. La chiesa costruita negli anni 1925 - 1926 -1927, fu consacrata il 24 settembre 1978 dal Vescovo T. Ferraroni. Pregevole sulla facciata principale della chiesa l'affresco di S. Giorgio, fatto eseguire da don Salvatore Schenini nel 1965. Il mosaico con S. Giorgio che trafigge il drago è opera di Lidia Silvestri, scultrice famosa, originaria di Chiuro in Valtellina.

La frazione di Villatico (antica denominazione Villarichum) ospita la Parrocchia di S. Bernardino (festa patronale 20 maggio) che fu eretta intorno al 1500. La chiesa risale alla seconda metà del sec. XV (subito dopo la canonizzazione di S. Bernardino, a. 1450). Nel 1239 dei documenti comprovano l'esistenza di un mulino situato a Villatico. Dopo l'alluvione del 1496, che distrusse il centro abitato di San Giorgio (l'attuale Colico Piano), Villatico diventò il maggior centro abitato del Colichese. Nel frattempo si diffuse la devozione di San Bernardino da Siena, noto per aver curato gli appestati. Nel XVIII secolo, finite le pestilenze, venne costruito il primo porto e Colico Piano divenne sempre più importante.

A Curcio (antica denominazione Curcium) vi è un'importante fonte naturale di acqua. Curcio è una delle frazioni in cui il passato di Colico è rappresentato da case di una certa età e un lavatoio pubblico che si usava in passato. La prima traccia del toponimo è in una lastra datata 1585 che fa ancora parte della fontana del lavatoio pubblico. Dedicata fin d'allora ai Ss. Angeli Custodi, la prima chiesetta del nascente borgo di Curcio venne costruita nel 1842; il 3 dicembre 1934 fu eretta la parrocchia dei SS. Angeli Custodi (festa patronale ultima domenica di settembre) con territorio smembrato da Villatico e Colico Piano. Posta la prima pietra nel 1938, i lavori della nuova chiesa iniziarono solo nel 1946 per concludersi nel 1957.

Laghetto (antica denominazione Parvus lacus) è l'unione di due località maggiori (Borgonuovo e Fiumarga) con altre minori (La Cà e Corte); il toponimo comparì ufficialmente nel 1770. Nel 1760 iniziò l'emigrazione di alcune famiglie che abitavano a Olgiasca in seguito a una vertenza fiscale con gli austriaci. A Laghetto ci sono molti campeggi affacciati al laghetto di Piona. Antica comunità vice-cura, dove risiede la parrocchia di S. Fedele (festa patronale ultima domenica di ottobre) che fu staccata da Villatico solo il 9/9/1857. La chiesa fu ampliata negli anni 1854/57 e restaurata negli anni 1965/68. Nel 1957 fu innalzato il nuovo campanile.

Olgiasca (antica denominazione Piona) è situata nell'omonima penisola. Un manso, costituito dal colle di Olgiasca, nel 1241 fu dato in affitto dalla chiesa di San Vincenzo di Gravedona all'Abbazia di Piona. Vi era un'intensa attività agricola. Nel XIV secolo venne edificato il Castel Mirabei, mentre nel XVII secolo Olgiasca perse la sua autonomia diventando parte del comune di Colico. A Olgiasca si trova l'Abbazia di Piona ed è sede della parrocchia di S. Nicola di Bari (festa patronale 6 dicembre); si fa risalire la sua erezione all'anno 1252; la serie continua di parroci inizia col 1693. Un documento del 7/11/1593 parla della "Chiesa parrocchiale priorata o Abbadia di Piona". Affidata ai Monaci Cistercensi.

Fontanedo, posta sopra Villatico, è "divisa in due": prendendo la strada sinistra si va alla Torre di Fontanedo, costruita per volere di Bernabò Visconti nel 1357, difendeva l'Alto Lago; è un potenziamento di una struttura già prima esistente. Fu costruita per proteggere il territorio dalle incursioni e salvaguardare l'importante via di comunicazione della “Scalottola”, ora nota come “Sentiero del Viandante”, che passa alla base dello sperone, in località Robustello (prima di Fontanedo). La strada portava da Lecco, per la Valsassina, in Valtellina e rappresentava la variante a lago della Via del Bitto, che invece valicava la montagna arrivando direttamente a Morbegno attraverso la Val Biandino e la Bocchetta di Trona. Si legge in un documento: “(I Milanesi) furono sforzati fortificare in Colico il Monteggio (Montecchio Nord, dove esistono ancora le due torrette medievali) ed il passo di Fontanedo con torri ed altre fortezze”.

Dalla Santella, ancora visibile vicino alla Torre, è stato staccato un affresco raffigurante la Madonna col Bambino, probabilmente del sec. XV; ora è conservato nella chiesa di Curcio, Parrocchia cui appartiene la Torre. Da qua si può anche ammirare il lago, Colico e Gravedona. Dalla Santella, ancora visibile vicino alla Torre, è stato staccato un affresco raffigurante la Madonna col Bambino, probabilmente del sec. XV; ora è conservato nella chiesa di Curcio, Parrocchia cui appartiene la Torre.

Prendendo la strada sinistra, si raggiunge la "vera" Fontanedo, dove c'è anche una cappella medievale.

Borgonuovo è la parte più popolosa di Laghetto.

Fumiarga: prima della frazione Posallo, c'è quest' altra frazione, altra parte popolosa di Laghetto.

Baia di Piona si suddivide in due: quella dalla parte di Laghetto e quella dalla parte di Olgiasca, dove c'è anche l'abbazia.
Posallo ospita due trattorie ed è ai piedi del Monte Legnone. Confina con il comune di Dorio (località Sparesee, Vezzee, Perdonasco, Falgareu).

La Ca'è una piccola frazione posta dentro Laghetto, ha un panificio e una via di case (Via La Cà).

Corte è formata da tre vie strette, ci sono molte case antiche caratteristiche ed è la parte più piccola di Laghetto.

Palerma si divide in vecchia e nuova: la parte vecchia ha case costruite molto tempo fa, la parte nuova conta diverse villette a schiera. Questa frazione precede Curcio.

L'economia colichese è principalmente turistica, ma l'industria ottiene un ottimo secondo posto dall'imponenza della zona industriale, sempre in espansione, e inoltre vi è una numerosa presenza di banche. Il turismo è soprattutto incentrato sui numerosi camping, ma ci sono anche altre strutture ricettive quali hotel, agriturismi e bed & breakfast. L'industria vanta di importanti marchi di costruzione di autocarri (Iveco) e yacht (Cranchi). Colico è sede di molte banche grazie alla favorevole posizione e ai numerosi stabilimenti industriali.
La stazione di Colico è posta al terminale della prima linea elettrificata mediante il rivoluzionario metodo trifase a 3000 volt realizzato dalla ditta ungherese Ganz a partire dal 1901 e rappresenta un perfetto esempio architettonico delle stazioni costruite specificatamente per la linea Sondrio - Colico. Fra il 1885 e il 1886 Colico viene collegata con Sondrio e con Chiavenna, ma per vedere operativo il collegamento con Lecco (e quindi con Milano) si dovette attendere il 1894. La linea era allora esercita dalla Rete Adriatica, una delle tre grandi compagnie che resteranno attive fino al 1905, anno di nascita delle Ferrovie dello Stato.
Nel territorio comunale di Colico è presente anche la stazione di Piona, frazione Laghetto, a 100 metri dal laghetto di Piona, sulla riva opposta rispetto all'omonima Abbazia, raggiungibile salendo ad Olgiasca o con battello o aliscafo da Colico.

Vi sono due imbarcaderi a Colico: Colico piano e Piona.



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