domenica 2 agosto 2015

GARDONE VAL TROMPIA



Gardone Val Trompia è una comune della media Val Trompia, in Lombardia.

Nel 1927 al comune di Gardone Val Trompia vennero aggregati i comuni di Inzino e Magno, attualmente frazioni.

Il 17 settembre 2001 a Gardone Val Trompia è stato conferito il titolo di città, assegnato dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in virtù della sua importanza storica e civica. Dal 2002 infatti allo stemma di Gardone Val Trompia è stato aggiunto la corona muraria dorata con cinque torri che rappresenta il titolo di città.

Il territorio è costituito da un andamento da Nord a Sud costituente il fondo valle al centro del quale scorre il fiume Mella che bagna Gardone Val Trompia e la frazione di Inzino. A Est e Ovest l'andamento del territorio è montuoso con quote che raggiungono e superano i 1000 metri di altitudine. Infatti il territorio del Comune di Gardone Val Trompia è caratterizzato, per la maggiore sua estensione, dalla media montagna che culmina con i 1391 metri di altitudine della Punta Almana e che si estende con le valli tributarie sino ai versanti sud del Monte Guglielmo.

Le due valli secondarie, la valle di Gardone e la Valle di Inzino o Rendena sono percorse rispettivamente dai torrenti Tronto e Re.

La preistoria “gardonese” e le testimonianze che possono documentare un insediamento umano nel territorio compreso negli attuali confini del comune di Gardone, risalgono alle ultime fasi del neolitico (8000-1000 a.C.) epoca in cui gli abitanti erano ormai cacciatori tanto abili da spingersi per le loro imprese in alta montagna dove, probabilmente, piantavano campi stagionali dimostrando estrema capacità di adattamento all’ambiente d’alta quota.
Intorno a questi campi si cacciava e nei bivacchi si commerciava la selce grezza ed i preziosi utensili da essa derivati. La ricerca archeologica, impostata più su scoperte casuali che su campagne di scavo scientificamente organizzate, ci ha restituito alcune preziose testimonianze.

La Valle Trompia, dopo una lunga e feroce resistenza, dovrà cedere, nel 15 d.C., alle legioni di Druso ed il Cippo di La Turbie (Monaco) che celebra la vittoria romana, cita al primo posto fra le tribù sconfitte quella dei Trumplini. I valligiani sono ridotti in schiavitù e considerati venales = vendibili.

Il territorio della valle diventa un vivaio di schiavi in potere del demanio imperiale. La dominazione romana dà inizio però (contrariamente alle premesse) allo sviluppo di una fiorente economia che si accompagna al rispetto che Roma riserva ai culti indigeni. I prodotti del lavoro delle miniere e massicci arruolamenti di giovani nelle legioni, nel giro di pochi anni attutirono i terribili provvedimenti adottati all’atto dell’occupazione e la Valle divenne mezzo per una grandiosa realizzazione civile a vantaggio della città: l’acquedotto in muratura fatto costruire per volontà di Augusto e del successore Tiberio da Lumezzane, dopo 25 chilometri, portava l’acqua a Brescia.

La romanizzazione si diffuse anche in Alta Valle ed in altri centri. Il territorio gardonese ci ha restituito numerosi reperti di epoca romana fra i quali spicca un elegante bronzetto di scuola ellenistica, raffigurante secondo la comune interpretazione, il dio Giove nei suoi attributi di Conservatore dell’ordine e delle istituzioni. La statuetta, rinvenuta in una zona non precisata delle pendici montane gardonesi è stimabile di epoca imperiale e fu donato all’epoca del ritrovamento (1840) al Museo Romano cittadino. Ripetuti i ritrovamenti di tombe e corredi funebri romani dal 1800 fino ai giorni nostri. Di notevole importanza i reperti lapidari e di are votive che testimoniano il permanere in Valle di culti indigeni ( nella frazione di Inzino in particolare) anche dopo il trionfo delle armi romane. Si ricorderanno quattro iscrizioni votive dedicate a Mercurio, Minerva, Tullino e al Genio del Popolo (o del Pago) ed una, perduta, alle Ninfe.

Dopo la pace di Costanza del 1183, i comuni ricevono la pubblica sanzione dell’imperatore ed in Valle iniziano a dotarsi di propri Statuti che verranno poi in seguito confermati dall’occupazione del territorio bresciano da parte dei Visconti. Delle prime Vicinie trumpline si hanno notizie dai vari Statuti comunali (Pezzaze, 1318 - Bovegno, 1341 - Cimmo e Tavernole, 1372 ).
Non sono stati ancora ritrovati gli ordinamenti della Vicinia gardonese, ma si dovrebbe essere vicini al vero pensando che essa fosse già attiva nella seconda metà del secolo XV. Gardone fino al 1422 non ebbe un proprio ordinamento civico codificato, il che è dimostrato da un’ordinanza del Podestariato di Brescia che nel giugno di quell’anno obbligava i comuni della Valle Trompia a riparare la strada valligiana. Nell’ordinanza non è citato Gardone, verosimilmente ancora legato amministrativamente ad Inzino. Probabilmente lo Statuto gardonese che il Cocchetti, scrivendo nel 1858, vuole custodito in copia da una famiglia Bianchi di Gardone, risale al 1436 e la sua redazione fu senza dubbio incoraggiata dal governo veneto, notoriamente propenso a favorire le autonomie locali. Il Feudalesimo vero e proprio non trovò in Valtrompia sviluppi notevoli anche se non vi fu del tutto assente. Potenti feudatari del luogo furono gli Avogadro con vasti possedimenti in Valle, i Confalonieri (Bovegno), i Negroboni, i Nassini ed i Lavellongo.

Le aspre lotte tra guelfi e ghibellini porteranno nel ‘300 alla distruzione dei castelli trumplini e alla Signoria dei Della Scala che con Mastino II dal 1332 al 1337 deterrà il potere su tutto il territorio. Gli succederanno i Visconti che nel 1354 assegneranno a Bernabò i territori delle Valli Trompia e Sabbia. Il suo successore Gian Galeazzo emana nel 1385 Capitoli di sudditanza bresciana.

Nello stesso anno per porre ordine nell’amministrazione territoriale, il Visconti divide il Bresciano in Quadre, ordinando poi un estimo generale nel quale vengono nominati tutti i comuni appartenenti alla circoscrizione. Nella Quadra di Valtrompia, Gardone non è ancora citato mentre ha evidenza la "Castelanza di Inzino". Al dominio visconteo si sostituisce dal 1404 al 1420 la signoria di Pandolfo Malatesta che si distingue nel tentativo di favorire l’economia valligiana.
Con il privilegio in data 8 aprile 1406 la Valle ottiene il permesso di commerciare in ferrarezze confermando come a Gardone sin dal secolo XIV sia iniziata la produzione di canne favorita dalla presenza in loco delle miniere da cui si estrae il ferro spatico, elastico e facilmente lavorabile nelle fucine che sorgono lungo le rive del Mella e che traggono forza dalle sue acque. Nel Codice Malatestiano 67, nel 1418 fra i comuni trumplini è citato "Gardone sive Castelanza de Inzino" citazione a conferma che Gardone non si sia ancora dato un autonomo statuto, ma che ormai abbia una preferenza su Inzino che gli deriva da una produzione a questo punto affermata, all’interno dei confini della Signoria. Il potere dei Malatesta terminerà nel 1420, con l’intervento armato del Carmagnola condottiero delle truppe di Filippo Maria Visconti.

Dopo il periodo dei Visconti seguirà il dominio della Serenissima (1426-1797) che sarà accolto con largo favore dai trumplini ed in particolare dai gardonesi. I valligiani sono stati tra i primi a dichiararsi a favore ella Repubblica e molto hanno contribuito al successo delle armi di San Marco quando si è trattato di infliggere il colpo definitivo al domino dei Visconti mal tollerato in tutta la Valle.

Concluse le vicende belliche, Venezia, si dimostra immediatamente benevola verso i suoi sostenitori concedendo loro larghe esenzioni fiscali ed ampi privilegi riguardanti il traffico del vino, dell’olio, delle biade e delle ferrarezze. Speciali disposizioni proteggono il lavoro degli archibusari e queste provvidenze del governo veneto vengono graditissime ai gardonesi. Per onorare S. Marco, patrono della Repubblica, secondo la tradizione, pare che i gardonesi avrebbero dedicato all’evangelista la loro chiesa orientata, in quel tempo, in modo diverso dall’attuale, ma edificata su un’area assai prossima a quella occupata dall’odierna prepositurale. Durante la lunga dominazione veneta, Gardone diventa il centro al quale naturalmente si riferisce la produzione delle armi richieste dalla Serenissima che da esse trae una fonte di ricchezza e di inimmaginabile potere politico e strategico. L’importanza cui, nel volgere di pochi decenni, assurge il paese è dimostrata anche dall’intensa attività dei notai del luogo, documentata dal 1490. Il governo veneto è evidentemente interessato a favorire la produzione armiera per suo uso e consumo, ma se da un canto non sempre i frangenti politici richiedono una larga quantità di prodotto, dall’altro la Repubblica non può permettere che le armi eccedenti il suo fabbisogno prendano indiscriminatamente la via dell’estero.

Non raramente il Senato deve dunque trovare una conciliazione tra gli interessi politici dello Stato e quelli dei gardonesi, che, ben consci della qualità delle loro canne, sanno far la voce grossa quando necessita o più spesso riescono a sfuggire beffardamente ad ogni rigorosa legge governativa. Il contrasto di interessi tra la Repubblica ed i produttori di armi provocherà, tra le altre cose, ripetute emigrazioni di maestranza, cui la Serenissima cercherà in ogni modo di porre freno e rimedio. Un primo accenno a tale fenomeno si ha già in un dispaccio, spedito dai Rettori bresciani al Consiglio dei Dieci in data 3 aprile 1505. Nella lettera si riferisce a Venezia che alcuni maestri d’archibugi, schioppetti e ballotte, sono usciti dai confini dello Stato spingendosi sino a Domodossola, terra soggetta alla giurisdizione dei conti Borromeo. Il documento pubblicato da Marco Morin, riveste notevole importanza in quanto costituisce l’atto più antico certificante esplicitamente la predilezione gardonese nella produzione di armi. Uno sguardo, anche molto fuggevole e parziale, alle licenze di esportazione concesse dai Rettori veneti ai maestri di canne bresciani, informa che intorno alla metà del Cinquecento il prodotto gardonese è richiesto oltre che in tutti i principati della penisola anche sui principali mercati europei. Fra i più importanti acquirenti si annoverano l’imperatore Carlo V, i re di Francia e d’Inghilterra ed i Cavalieri di Malta.

Gli archibugi ed i moschetti figurano tra le armi più vendute ma non mancano anche ordini per corsaletti, celate e ferri da pica. Negli atti degli archivi ricorrono con insistenza i nomi delle più antiche famiglie gardonesi che, mentre si creano una propria fortuna, contribuiscono al miglioramento generale dell’economia del paese. Sono cognomi notissimi agli studiosi delle armi antiche: gli Acquisti, i Belli, i Chinelli, i Cominazzi, i Daffini, i Franzini, i Garbelli, i Manenti, i Moretti, i Mutti, i Piccinardi, i Rampinelli, i Savoldi, i Timpini e gli Zambonardi per non parlare dei Beretta, titolari di un’azienda sin dal Cinquecento. In una relazione spedita al Senato Veneto il 20 settembre 1553, il podestà di Brescia scrive che a Gardone tutti gli uomini girano armati d’archibuso e perfino le donne ne portano uno in mano e uno alla cintola. Ciò non significa che la popolazione sia sempre e soltanto occupata intorno al ferro e al fuoco delle sue fucine. Una voce non irrilevante dell’economia gardonese del tempo, è data dallo sfruttamento delle zone boschive e da pascolo: la tutela di questo patrimonio è cura gelosa del comune e dei privati. A delineare poi, anche se in modo sommario la realtà socioculturale del paese nel secolo XVI si aggiunga che Gardone è probabilmente l’unico comune valtrumplino che mantiene un maestro di scuola; inoltre coloro che fabbricano le canne sanno quasi tutti leggere e scrivere.

E’ lecito vedere in questo impegno di alfabetizzazione, che peraltro non raggiunge tutti gli strati sociali, un intento anche utilitaristico in relazione diretta con gli interessi legati alla principale attività produttiva, ma considerati i tempi, non pare veramente poco. Anche nelle vicende politico- istituzionali Gardone è parte importante. Appartiene alla sua comunità uno dei due ufficiali che, secondo lo Statuto di Valtrompia, deve mantenere i rapporti con gli altri comuni e con il Consiglio di Valle. Il grande sviluppo economico ha rapidamente condotto il paese ad un notevole incremento demografico che fin dalla seconda metà del secolo XV si mantiene largamente superiore a quello del più antico centro d' Inzino. Questo sviluppo indurrà la popolazione a chiedere con insistenza la separazione dalla Pieve madre ed il raggiungimento dell’autonomia parrocchiale. Il dominio veneto fu dunque largo nella concessione di privilegi che però tentò in continuazione di togliere con qualsiasi pretesto. I valligiani non tardarono a comprendere la situazione ed a cogliere i vantaggi che derivavano da un modo di governare amministrativamente rigoroso, saldamente centralizzato nelle sue istituzioni di governo e che si accorda con un indirizzo politico che tutela le autonomie locali e sostiene le economie più povere nel rispetto delle varie esperienze delle province soggette; istanze e principi che troveranno la loro sintesi legislativa nella compilazione degli Statuti di Valtrompia la cui prima stesura risale al 1436.

Nel 1454 la Valtrompia otterrà l’autonomia e l’esonero dai dazi per una popolazione di circa 17 mila abitanti suddivisa in una trentina di abitati e 17 comuni in cui s’ergevano sette forni fusori ed una quarantina di fucine che lavoravano il ferro. Nel 1495, accampando diritti di parentela per il Ducato di Milano, il re di Francia Luigi XII scenderà in Italia, si alleerà con Venezia, solerte ad occupare Crema e Lodi, suscitando le preoccupazioni del Papa che indirà contro la Serenissima la Lega di Cambrai. Le truppe venete, fra le cui fila militavano centinaia di trumplini e di gardonesi, saranno sconfitte. Venezia sarà quindi ammessa nella Lega divenendo avversaria dei francesi che, entrati in Brescia nel 1509, si trovarono a combattere contro gli ex alleati. Sempre i francesi, costretti a ritirarsi nel Castello cittadino dalle truppe comandate dal bovegnese Negroboni, dopo aver ricevuto consistenti aiuti dall’arrivo di Gastone de Foix, divennero artefici di una strage crudelissima. Alla morte di Giulio II, Venezia si alleerà nuovamente con i francesi ed il suo domino sul Bresciano durerà senza interruzioni sino alla fine del secolo XVIII.

Questi anni rappresentano un periodo vitale per l’economia gardonese dato che la richiesta di armi, in seguito alle contingenze nazionali, si fa sempre più pressante. Il Senato veneto ha deciso d’accettare la sfida turca per il controllo delle acque dell’Adriatico e dell’Egeo.
La produzione di canne diviene alacre e tra il 1570 ed il 1573 Gardone, dove si lavora nelle fucine giorno e notte, quotidianamente produce ben trecento canne d’archibugio. I produttori locali approfittando della situazione vendono le loro canne anche fuori il domino veneto (Milano, Roma, Spagna) con ben più alte remunerazioni: la Serenissima interviene prontamente nel tentativo di frenare l’illegale commercio. Nella Battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571, combatterà anche il caporale gardonese Graziadio Franzini ed al comando del capitano Camillo Brunelli figureranno numerosi altri trumplini. La vittoria delle truppe e della flotta venete sarà ricordata nella nuova edizione degli Statuti di Valtrompia (1576) dove si stabilirà che il 7 Ottobre (Santa Giustina) debba considerarsi in perpetuo giorno festivo. Gli anabattisti continuano a costituire una notevole preoccupazione per l’autorità ecclesiastica, ma la loro esperienza va avvicinandosi alla conclusione che verrà decretata dalla visita apostolica di Carlo Borromeo nel 1580. Vincenzo Antonini, convisitatore, giungerà a Gardone in aprile trovandovi una situazione pesantemente legata al movimento ereticale. Numerose saranno le denunce raccolte nei confronti degli eretici alcuni dei quali sono già fuggiti in Valtellina (Girolamo Aiardi, Antonio Beretta ed altri); nel paese è praticata l’usura anche dalle Confraternite laicali, la scuola di dottrina si tiene saltuariamente, il Rettore di San Marco non ha licenza per la cura d’anime ed i luoghi destinati al culto ed alla preghiera sono poco rispettati.
Vengono dettate le prime disposizioni e s’inizia l’iter previsto contro gli eretici. S. Carlo giunge a Gardone il 18 agosto e trova un paese ostile; se ne allontana dopo tre giorni e vi ritorna alla fine di ottobre quando i provvedimenti canonici ed il timore di nuove denunce rendono maggior osservanza alla cortesia e all’ospitalità. I processi intentati ai gardonesi si risolveranno, mediatrice Venezia, con lievi condanne. Passati i tempi della Guerra di Cipro e della Battaglia di Lepanto, durante la quale,il tiro dei micidiali archibugi gardonesi e sei navi della flotta veneta armate di potenti bombarde prodotte a Gardone hanno decisamente contribuito alla vittoria ed all’annientamento di una flotta molto più esperta ed agile nelle manovre, il commercio armiero si mantiene per qualche anno ancora in auge. La produzione dei maestri di canne che però, secondo i dettami di Venezia, era strettamente e rigidamente ereditaria, si vede affiancare l’opera di mercanti il cui intento è solo quello d’accaparrarsi prodotti e manodopera a basso costo anche in opposizione alle antiche e consolidate distinzioni tra maestro-padrone ed operaio produttore. Gli ultimi decenni del secolo vedono un declino della produzione cui non è estranea la politica della Serenissima costretta, per proprie necessità, a ricorrere a tassazioni straordinarie ed a provvedimenti restrittivi che si riflettono pesantemente e negativamente sull’economia della Valle. Per evitare nuove fughe produttive verso altri stati il Senato dispone un prestito di 30.000 ducati, vietando però l’esportazione del ferro da armatura e delle canne non incassate (decisione drammatica dato che all’estero erano ricercate le famose canne gardonesi e non certo le incassature in legno, disdegnate da molti acquirenti).
In cerca di possibili ripieghi e soluzioni ad una situazione sempre più grave, Venezia istituisce a Gardone un Fondaco (1601) concedendo il prestito governativo direttamente ai maestri, che eleggono alla gestione del fondaco Bartolomeo Lorando. Quest’ultimo, con le disponibilità governative, acquista il materiale grezzo necessario alla fabbricazione delle canne. E poi lo distribuisce ai maestri dell’arte. Non vengono richiesti pagamenti per il materiale ceduto, ma, al contrario, si aprono larghi crediti. Gli armaioli, ultimata la loro opera, la devono consegnare finita al fondaco. La procedura presenta alcuni vantaggi: si ottiene di calmierare la produzione ed, attraverso una corretta distribuzione della materia prima, viene offerta agli artigiani un’ equa possibilità di lavoro. Ma esistono anche svantaggi. Appena, infatti,il fondaco è saturo e rifornito oltre ogni limite di capienza, eccedendo alle richieste della Repubblica, le possibilità di lavoro sfumano non essendo ammessa un’ occasione di trattativa privata per la commercializzazione del prodotto. A questi elementi, non di scarso valore, si aggiunge una scorretta gestione del fondaco da parte del Lorando che approfitta della situazione per pagare le maestranze non in moneta contante, ma con merce sopravvalutata rispetto ai prezzi correnti. Di fronte ad una tale situazione molti maestri, che non rientravano nelle "grazie" del Lorando si videro costretti ad esercitare rischiosamente il contrabbando mentre altri per sopravvivere, nonostante la sorveglianza veneta, si allontanarono dal paese prendendo la via dell’esilio ed altri infine abbandonarono la loro arte dedicandosi ad attività diverse.
Nel 1626 il Da Lezze, capitano di Brescia, fa presente al Doge che i pochi artigiani rimasti sono costretti a vivere in grande miseria e che la crisi si riflette anche sulle attività delle miniere che riesce però a mantenersi in discrete condizioni. In questi anni gli aspri contrasti tra produttori e mercanti, sfociano spesso nelle vie di Gardone, diviso fra la fazione dei Rampinelli e quella dei Ferraglio (sostenuta dai Chinelli), in aspre, violente e sanguinarie contese. Nel 1629-1631, la situazione è aggravata ulteriormente dalla carestia e da una lunga e grave pestilenza che mette a dura prova i bilanci dei comuni e falcia le popolazioni della Valle privando Gardone di un terzo della sua popolazione. Già nel 1632 inizierà la ripresa favorita da un accordo politico dei veneziani che permetteranno il ritorno in paese dei colpiti da bando per fronteggiare i tremendi effetti della pestilenza che ha colpito anche l’alta Valle e le miniere (basti ricordare il caso di Bovegno che nel 1626 vantava 2600 abitanti e nel 1640 lo vedeva ridotto a 900). A Gardone per produrre armi si doveva ricorrere, ad indubbio scapito della qualità, a rottami ferrosi importati da altre terre. Nel 1634 riprende a funzionare il Fondaco e grossi ordinativi di armi da parte della Serenissima miglioreranno decisamente la situazione produttiva. Il fondaco tornerà però a chiudere nel 1640. In paese riprendono le lotte interne con nuove sparatorie e nuovi omicidi. La situazione peggiora con il ritorno dal bando di Pietro Franzini che si farà parte attiva di molti scontri sanguinosi.
Le inchieste giudiziarie non sanno risolvere le situazioni e scovare i colpevoli ed alla Serenissima non resta che presentare a tutti i ricercati ed ai sospetti una drastica soluzione: il perdono giudiziario in cambio dell’arruolamento nell’esercito veneto per la guerra contro i turchi. La proposta è subito accolta e vengono in breve tempo formate due compagnie di "banditi" gardonesi: la Ferraglia e la Rampinella che per circa vent’anni sapranno far risaltare il loro valore agli ordini della Serenissima e contro gli eserciti della Mezzaluna. Nel 1686, l’8 dicembre, la parrocchia di Gardone è eretta in prepositura e primo prevosto è Francesco Martinelli. Il secolo diciottesimo inizia, per l’economia gardonese, in modo sicuramente non positivo: nuove proibizioni all’esportazione limitano la produzione a pochi ma continui ordinativi e l’obbligo del possesso di una regolare licenza per le armi da caccia non ne facilita la diffusione. I decenni seguenti vedono la chiusura di molte fucine e di molti scavi minerari condizioni che contribuiscono inevitabilmente allo scadere della qualità produttiva delle armi che lascia grandi spazi alla concorrenza tosco-emiliana prima, ed a quelle marchigiane e napoletane poi. Si creano in questa metà del secolo le tristi condizioni che porteranno ad un progressivo asservimento delle maestranze da parte dei padroni-commercianti che ormai stipuleranno direttamente con i richiedenti, i contratti di fornitura. A queste infelici condizioni si accompagna nel 1676 una tragica alluvione che distrugge buona parte delle fucine e delle strutture operative annesse. E’ il crollo dell’industria gardonese ed il Governo veneto, per salvare il poco salvabile, concede un prestito di 6000 ducati da ripartirsi fra i maestri di canne nella proporzione normalmente osservata per la divisione del lavoro.
Il denaro dovrà essere restituito in partite di canne senza alcun interesse. I gardonesi, duri e forti come il ferro che quotidianamente lavorano riescono a affrontare con successo anche questo triste frangente ed a superare faticosamente la dura prova facendo nuovamente risorgere quella produzione che è per tutti i gardonesi ragione di vita. Il fine secolo si presenta abbastanza tranquillo nei suoi aspetti economici, favorito dalle nuove operazioni belliche intraprese dalla Serenissima, mentre un po’ meno tranquilla è la convivenza all’interno della comunità gardonese sempre turbata da violenze fazionarie che lasciano nelle strade alcune illustri vittime. Ancora una volta Venezia offre ospitalità nelle file dei suoi eserciti ai più facinorosi ed è del 1697 una comunicazione inviata al Senato veneto dal Consiglio Generale di Valtrompia con la quale si informano i Rettori che numerosi gardonesi hanno chiesto di poter prendere parte alla guerra in Morea. I primi decenni del Settecento vedranno i gardonesi ed altri trumplini marciare su Brescia in occasione di una gravissima carestia. Un notevole aiuto ai bisognosi sarà offerto in questi anni dalle Confraternite laicali e dalle associazioni di beneficenza, come è testimoniato in una relazione del prevosto della parrocchia gardonese di S Marco, Gian Antonio Baldassare Cattaneo. Purtroppo dopo la conclusione della estenuante serie di guerre contro i turchi, Venezia, che si ritrova gli arsenali pieni di armi, sospende la fabbricazione dei pezzi da guerra affidando la sopravvivenza dei gardonesi alle solo armi da caccia che non garantiscono molto. Ricominciano le emigrazioni.
Delle 29 fucine in attività nel 1715, nel 1724 solo 12 traggono forza dalle acque del Mella e solo 3 o 4 fuochi funzionano con regolarità. Nel 1730 il capitano veneto Pietro Vendramin, in un dispaccio al Senato, sostiene che i gardonesi non hanno più garantito nemmeno il misero pane quotidiano. Una nuova alluvione del Mella nel 1738 arreca danni gravissimi agli impianti produttivi gardonesi. Con sforzi immani si rimettono in sesto le fucine, i ponti, le travate, i carbonili ed un paio d’anni dopo nuovi ordinativi (12.000 fucili e 6.000 pistole per il regno di Napoli) possono essere evasi a pieno ritmo di produzione. Si accolgono anche le richieste di Genova per una grossa partita di fucili ed un gruppo di maestri gardonesi è convocato a Venezia per riparare le armi in deposito. Il guadagno di questa notevole massa di lavoro non cade però su tutta la stratificazione sociale del paese; l’antico contrasto tra mercanti e maestranza si aggrava sempre di più. I primi vogliono rendersi padroni assoluti e controllare ogni produzione inserendo nelle fraglie gente non esperta che, in quanto incapace, è in loro piena balia. Così operando non è più garantita la qualità del prodotto anche se i vantaggi per i mercanti sono economicamente sensibilissimi. Girolamo Grimani, Segretario di Stato alla Guerra, evidenzia come a danno delle maestranze si impieghino villici e coloni oziosi nella stagione d’inverno. Nel 1757, per le riserve dell’Arsenale di Venezia, vengono ordinati 18.000 nuovi fucili la cui consegna sarà scandita mensilmente con regolarità fino al 1765. Questo sarà l’ultimo consistente ordinativo statale alla industria gardonese. Gli artefici gardonesi sono ormai asserviti senza scampo agli interessi dei pochi commercianti che hanno saputo monopolizzare la produzione.

La fine della dominazione veneta è direttamente legata allo sviluppo della campagna militare napoleonica nella penisola, contro la quale, a nulla vale la via della neutralità scelta dalla Serenissima.
I giovani patrioti bresciani avevano già da tempo formato società segrete che inneggiavano ai principi ed ai valori affermati in Francia ed ai loro occhi l’oligarchia veneta era divenuta l’unico ostacolo da abbattere per realizzare anche nel Bresciano e nel resto della nazione una nuova fase storica.
L'Austria e l'unificazione italiana
Ed è così che il 18 marzo 1797 gruppi di cittadini danno l’assalto al Broletto, sede del governo veneto. Il palazzo è ormai abbandonato e deserto e gli insorti formano un Governo Provvisorio rivoluzionario che si costituirà in Repubblica Bresciana. Nel breve volgere di giorni emissari della nuova Repubblica raggiungono Gardone nella speranza di raccogliere nuove adesioni alla causa.
Il paese li accoglie con favore ed il Consiglio di Valle convocato con urgenza riconosce la legittimità del nuovo governo stabilendo la distruzione d' ogni simbolo del dominio precedente. Emerge però l’ostilità alla nuova istituzione da parte dell’alta Valle che obbliga i sindaci a riconvocare il Consiglio e a sconfessare le deliberazioni precedentemente assunte.
Truppe sono inviate a Carcina per la difesa della Valle. Le truppe francesi giungendo dal Lago d' Iseo aggirano le difese trumpline ed al comando del generale Cruchet sfilano nelle vie di Gardone tra due ali di folla festante. A Lodrino si verificano scontri tra francesi e valsabbini. I trumplini dell’alta Valle, alleatisi con i valsabbini meditano vendetta contro Gardone che il 27 aprile 1797 sarà assalito e saccheggiato.
Alcuni giorni dopo però i francesi costringeranno definitivamente alla resa le truppe fedeli alla Serenissima. Domate le ultime resistenze e pacificato il territorio il governo provvisorio bresciano organizza il piccolo stato indipendente della Repubblica Bresciana che avrà vita molto breve.
Il 17 ottobre 1797, a Passariano, Napoleone firma con l’Austria il trattato detto di Campoformio. La Repubblica di Venezia è cancellata dagli Stati d’Europa, cade la Repubblica Bresciana e nasce la Repubblica Cisalpina.
Gardone diventa capoluogo del Cantone del Mella che comprende l’intera Valtrompia. Dal 1805 al 1815, tutto il bresciano fa parte del Regno italico e proprio le necessità belliche dell’epoca napoleonica fanno rifiorire in Valle l’industria delle armi. Questi nuovi eventi determineranno in Gardone una rinascita dell’industria armiera che riceverà nel 1802 un ordinativo di più di 100.000 fucili. La visita del Viceré d’Italia, Eugenio de Beauharnais, a Gardone (29 dicembre 1806) porterà all’apertura dell’Arsenale di Brescia e del suo distaccamento di Gardone. La posizione geografica della Valle consente un rapido passaggio verso e dal Trentino ed è proprio per questa via che nel 1813, momento dell’inarrestabile declino napoleonico, giungeranno a Gardone truppe austriache comandate dal capitano Rakowski che dopo aver occupato il paese scenderanno in città. L’esercito del Regno Italico riprenderà il controllo della situazione fino al febbraio 1814 quando due colonne austriache, dopo aver sorpreso due compagnie francesi di stanza a Lavone, rioccupano Gardone. Una nuova inutile resistenza è tentata dalle truppe bresciane che devono però abbandonare nella giornata il paese faticosamente riconquistato. La situazione volge al peggio per i francesi. Il 27 aprile 1814 il maresciallo Von Fennenburg entra ufficialmente in Brescia ormai conquistata dalle armi imperiali austriache. L’Austria in seguito al Congresso di Vienna (1815), si vede annettere la Lombardia ed il Veneto costituendo il Regno Lombardo Veneto come provincia austriaca. Nella nuova organizzazione amministrativa Gardone è il capoluogo di un Distretto che comprende dieci comuni. Gardone è pure sede della Pretura che ha competenze sull’intero suolo trumplino.
Verrà favorita la produzione delle canne da guerra gardonesi e nelle frequenti visite al paese delle autorità imperiali, si susseguiranno ordini di fucili per l’esercito e verrà sancito per i gardonesi il privilegio di non assolvere il servizio militare. Lo stretto controllo esercitato sull’industria danneggerà però la prospettiva economica generale e porterà ad una crisi che divenne acuta nel 1831. Le Valli furono investite dalla bufera rivoluzionaria del 1848-1849. Alla dichiarazione della Prima guerra d’Indipendenza i distretti di Bovegno e di Gardone furono tra i primi a rendere disponibili uomini e armi. Questi uomini (che con i valsabbina raggiungevano le cinquemila unità) al comando del generale Durando si scontrarono ripetutamente con gli austriaci. Dopo la sconfitta di Custoza molti gardonesi e centinaia di valligiani accorsero, nel marzo del 1849, in città per dar man forte agli assediati delle Dieci Giornate. La dura repressione austriaca seguita alla sconfitta degli insorti bresciani, alienò definitivamente le restanti simpatie per l’Austria. Nel 1850 la Valtrompia (Gardone e Sarezzo in particolare) fu colpita da una spaventosa alluvione che distrusse da Bovegno a Brescia fucine, strutture civili e private arrecando pesantissimi danni. Vennero costituiti dei comitati di soccorso (le cui riunioni furono proibite dagli austriaci che ne temevano le spinte patriottiche) che raccolsero in un anno l’ingentissima somma di 365.000 lire (pari ad 80 miliardi del 1996). Nel 1859, sconfitti gli austriaci a Magenta, i Distretti di Bovegno e Gardone sono nuovamente i primi ad allearsi contro gli occupanti. La battaglia di Solferino e S. Martino del giugno 1859 consacrò definitivamente la vittoria dei franco-piemontesi e la Lombardia fu aggregata al Regno d’Italia.
Alla spedizione dei Mille di Garibaldi parteciparono anche sessanta bresciani di cui due trumplini ed uno gardonese: Crescenzio Baiguera. Nel 1861 è istituito il Regno d’Italia mentre, un anno prima, il governo, riconoscente al patriottismo bresciano aveva istituito a Gardone un grande Arsenale per la fabbricazione delle armi da guerra, realizzazione che diede impulso economico anche alle restanti strutture industriali della zona. Gli anni che separano l’Unificazione dalla Grande Guerra sono caratterizzati dal decollo e sviluppo dell’industrializzazione con notevoli effetti anche nella nostra Valle. Entra in crisi a Gardone il vecchio insediamento industriale d' origine familiare- artigianale e solo alcuni imprenditori di grandi capacità di programmazione e realizzazione riescono nell’opera di ammodernamento delle loro imprese. Ricordiamo i Glisenti a Carcina, i Gnutti a Lumezzane ed i Beretta a Gardone. A questi imprenditori locali si aggiunsero attività importate da altre città e da altre regioni: Fermo Coduri con le sue filande, il Mylius ed i suoi cotonifici ed i Redaelli con le loro fabbriche di cordami trafilati e di chioderie che incrementarono il patrimonio produttivo della zona. La consistente presenza di masse operaie vide i primi tentativi di organizzazione nelle Società Operaie di Mutuo Soccorso, la prima delle quali fu istituita, proprio a Gardone, nel 1861 dal prevosto Giovannelli, prete dai profondi slanci liberali. Da questi anni l’influenza su Gardone e sulla Valle di Giuseppe Zanardelli, deputato, ministro e presidente del Consiglio, sarà decisiva per una nuova fase di sviluppo economico ed il suo liberalismo dominerà per molto tempo la vita amministrativa di molti centri sino all’avvento delle nuove idee socialiste. Nel 1890 il re Umberto I visiterà la Valle (su iniziativa di Zanardelli) e a Gardone, dopo "aver seduto a banchetto di popolo" nel palazzo comunale, passerà in rassegna strutture e maestranze dell’Arsenale.

La possibile entrata in guerra e la scelta degli alleati suscitarono a Gardone, primo comune trumplino amministrato dai socialisti, vivaci polemiche. Il sindaco e sette fra consiglieri ed assessori vennero arrestati e poi confinati in lontane regioni, per propaganda antimilitarista.

Gardone non fu seriamente toccato dagli eventi bellici, la sua industria conobbe uno sviluppo imponente con l’enorme crescita delle industrie esistenti e la nascita di nuove imprese. Alla fine della guerra un clima incerto si installò nella Valle, manifestazioni operaie, occupazioni di fabbriche mentre già si andava profilando l’avvento della reazione fascista esperienza che si concluderà nel secondo conflitto mondiale e con un importante accadimento della storia contemporanea: il tributo di vite umane offerto dalle Valli e dai paesi alla Resistenza. Nel 1927 con Regio Decreto in data 27 ottobre al comune di Gardone saranno aggregati quelli di Inzino e Magno che ne diventeranno frazioni.

L’occupazione tedesca di Brescia iniziò il 1 settembre 1943 con arresti e deportazioni. La prima resistenza si organizzò spontaneamente intorno al Monte Guglielmo che sovrasta con la sua mole Gardone e con un’incursione alla Beretta, dove furono asportati centinaia di mitragliatori e migliaia di proiettili. Al termine dei combattimenti, delle rappresaglie e delle fucilazioni iniziò anche per la Valle e per Gardone un periodo di pace e di ricostruzione morale e materiale.

La crescita positiva continuò anche nel secondo dopoguerra; crescita continuata fino agli anni ’70.

Non solo industrie sul territorio di Gardone, ma anche servizi. Nel 1969 nasce l‘ospedale, seguita poi, nel 1974, dalla nascita della nuova sede della comunità montana istituita nel 1971. oltre ad essere un polo produttivo di rilievo, è insieme a Sarezzo il centro scolastico più importante della Valle.


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