Abusare dello stato di debolezza psichica di una persona è illecito penale: la circonvenzione di incapace, infatti, scatta tutte le volte in cui si tende a influire sulla volontà di una persona con una patologia clinica accertata che ne riduce la capacità di intende e volere.
Una recente sentenza della Cassazione, tuttavia, ha notevolmente ampliato i confini di questo illecito. La Corte ha infatti chiarito che non è necessario che l’incapacità della vittima sia clinicamente e legalmente accertata. È sufficiente, per incorrere nel rischio di un procedimento penale, approfittarsi di uno stato di depressione altrui, tale da far mancare capacità critica. Non serve quindi una vera e propria infermità psichica, ma basta anche una più lieve deficienza psichica o una alterazione dello stato psicologico, come può essere quello di un disagio esistenziale dettato dalle sofferenze della vita (così, per esempio, la solitudine, lo stress o la depressione).
Il rapporto con persone che si trovano in uno stato di inferiorità è penalmente rilevante solo se connotato da induzione da parte del soggetto “forte” e abuso di tale stato in cui si trova il soggetto “debole” (cfr. C. pen., Sez. III, sentenza 9 maggio 2007, n. 33761): in tal caso, la vittima presta un consenso che è viziato, in considerazione del differenziale di maturità sessuale rispetto al partner.
In ordine alle modalità con cui questa forma di delitto si manifesta, la pronuncia in commento precisa che se da una parte l’induzione si realizza quando – con un’opera di persuasione sottile e subdola – il soggetto attivo spinge, istiga o convince una persona debole ad atti sessuali che diversamente non avrebbe compiuto o subito, dall’altra parte, l’abuso consiste in un doloso sfruttamento della menomazione della vittima e si verifica quando le condizioni di inferiorità sono strumentalizzate per accedere alla sua sfera intima, così riducendola a un mezzo per l’altrui soddisfacimento sessuale [in dottrina, cfr. Cadoppi, sub. art. 3, in Cadoppi (a cura di) Commentario delle norme contro la violenza sessuale e contro la pedofilia, 4° ed., Padova, 2006, p. 83 ss].
Tale comportamento, pertanto, risulta tipico proprio in quanto si lega con l’abuso, giacché, attraverso la strumentalizzazione, l’autore della condotta delittuosa trasforma la relazione sessuale – che di norma intercorre tra due persone in grado di autodeterminarsi nell’esplicazione della propria libertà sessuale – in mera fruizione del corpo della persona che si trovi in condizione di vulnerabilità soggettiva dovuta a infermità psichica, ridotta così al rango di “oggetto” sessuale. E considerate tali premesse, è compito del Giudice di merito verificare, con un’indagine adeguata e dandone conto nella motivazione, la situazione di inferiorità della vittima, le modalità con le quali l’agente ha posto in essere condotte di induzione all’atto sessuale, abusando delle predette condizioni, e la consapevolezza di abusare della stessa vittima per fini sessuali.
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