mercoledì 7 ottobre 2015

VARZI



Varzi è un comune situato nell'Oltrepò Pavese, in una conca al centro della valle Staffora, alla destra del torrente omonimo, sulla ex Strada statale 461 del Passo del Penice.

Di probabile origine ligure, Varzi è noto dal 993, quando era possesso dell'abbazia di San Colombano di Bobbio; in quell'epoca non era che una dipendenza della curtis di Ranzi, attualmente una piccola località nel territorio comunale. Presso Varzi sorgeva l'antica pieve di San Germano, della diocesi di Tortona, da cui dipendevano molti paesi della valle. Come il resto della vallata, cadde sotto il potere dei Malaspina, che ne ebbero regolare investitura nel 1164. Il diploma imperiale non cita ancora Varzi, ma i castelli circostanti. Probabilmente il paese cominciava a svilupparsi grazie ai traffici dei mercanti che, percorrendo la via del sale, dalla pianura risalivano la valle per raggiungere la costa ligure attraverso i passi del Pénice, Brallo e Giovà. La fortuna di Varzi iniziò nel XIII secolo: le successive divisioni ereditarie tra i Malaspina determinarono nel 1221 la separazione tra i Malaspina dello Spino Secco (in Val Trebbia) e dello Spino Fiorito (in Valle Staffora); questi ultimi si divisero nel 1275 tra altre tre linee; il marchese Azzolino, capostipite della linea di Varzi, vi prese dimora, vi fece costruire il castello e fortificò il borgo, facendone il capoluogo di una vasta signoria. Essa comprendeva, oltre che gran parte del comune di Varzi attuale (tranne le frazioni Cella, Nivione e Sagliano che appartenevano al marchesato di Godiasco), il comune di Menconico e parte di quelli di Santa Margherita di Staffora e di Fabbrica Curone. Nel 1320 i Malaspina diedero a Varzi gli Statuti, compilati dal giurisperito cremonese Alberto dal Pozzo.

I Malaspina, seguendo il diritto longobardo che prevedeva la divisione ereditaria tra tutti i discendenti maschi, si suddivisero in molteplici linee, ognuna delle quali aveva poteri sempre più limitati: o su frazioni del territorio (Menconico, Santa Margherita di Staffora, Fabbrica Curone, Pietragavina, Monteforte ecc.) o su quote del capoluogo, che finì per essere amministrato in condominio da una pluralità di marchesi Malaspina, non di rado rissosi e turbolenti. Ne derivò inevitabilmente la rovina del marchesato: non solo dovette riconoscere la supremazia del Duca di Milano, che prese a disporne a proprio piacimento malgrado i diplomi imperiali, ma finì per cadere sotto il dominio di un estraneo, il conte Sforza di Santa Fiora, che dopo aver ottenuto l'investiture del terziere di Menconico in cui si era estinta la locale linea dei Malaspina, a poco a poco acquistò la maggior parte delle quote feudali finendo per essere riconosciuto unico feudatario di Varzi. Ai Malaspina rimaneva solo il titolo di Marchesi, la proprietà del castello e una serie di redditi dispersi e sempre più esigui.

La progressiva rovina dei Malaspina comunque non diminuì la prosperità di Varzi, che rimase il centro dei commerci della valle e uno dei maggiori centri dell'Oltrepò. Il marchesato di Varzi era una delle principali giurisdizioni dell'Oltrepò, cioè uno dei grandi feudi dotati di larga autonomia giudiziaria e fiscale. Nel XVIII secolo, passato ai Savoia nel 1743, fu sede di uno dei tre cantoni giudiziari in cui era divisa la provincia dell'Oltrepò. Il regime feudale ebbe termine nel 1797. In quest'epoca il territorio comunale era molto più piccolo di oggi. All'inizio del secolo successivo furono uniti i soppressi comuni di Bosmenso e Monteforte, che avevano costituito una signoria, nell'ambito della giurisdizione di Varzi, rimasta sempre ai Malaspina.

Unito con il Bobbiese al Regno di Sardegna nel 1743, in base al Trattato di Worms, entrò a far parte poi della Provincia di Bobbio. Nel 1801 il territorio è annesso alla Francia napoleonica fino al 1814. Nel 1859 entrò a far parte nel Circondario di Bobbio della nuova provincia di Pavia e quindi della Lombardia.

Nel 1872 fu unito a Varzi il comune di Pietra Gavina. Nel 1923 venne smembrato il Circondario di Bobbio e suddiviso fra più province. Nel 1929 vi furono uniti i comuni di Sagliano di Crenna, Cella di Bobbio (in parte, il resto del territorio aggregato a Santa Margherita di Staffora) e Bagnaria (che riacquistò l'autonomia nel 1946).

Dopo l'8 settembre del 1943, come in tutto l'Oltrepò Pavese, si formarono le prime bande partigiane e Varzi divenne, sul finire del settembre del 1944, il centro di una zona libera (le cosiddette 'repubbliche partigiane'), comprendente 17 comuni circostanti. Rimase territorio libero fino al 29 novembre.

Pietragavina è uno dei castelli citati nel diploma imperiale del 1164; appartenne ai Malaspina di Varzi, poi di una linea detta di Pietragravina, estinta nel XV secolo. Passò allora ai Dal Verme, signori di Bobbio; nel 1723 fu venduto ai Tamburelli di Bagnaria.
Sagliano apparteneva al Marchesato di Godiasco, ed era feudo di una linea dei Malaspina di Oramala e Godiasco. Nel 1863 ebbe il nome Sagliano di Crenna.
Cella è nota sin dall'835, quando dipendeva dall'abbazia di Bobbio; è pure uno dei luoghi citati nel diploma imperiale del 1164. Nelle divisioni ereditarie tra i Malaspina toccò al ramo di Godiasco, da cui derivò il ramo dei Malaspina di Cella. Il marchesato di Cella comprendeva una lunga striscia di terra sul lato occidentale della valle Staffora, nei comuni di Varzi e Santa Margherita, con centri quali Nivione, Capo di Selva, Casale, Castellaro, Cegni, Cignolo e Negruzzo. Il marchese Barnabò Malaspina si ribellò agli Sforza nel 1514 e finì squartato a Voghera; il marchesato fu confiscato e dato agli Sforza di Santa Fiora, feudatari di Varzi. Nel XVIII secolo il marchesato comprendeva molti comuni (i centri già citati), che all'inizio del successivo furono concentrati nel comune di Cella, il quale nel 1863 prese il nome di Cella di Bobbio (essendo Bobbio il capoluogo del circondario cui il comune apparteneva).

La chiesa dei Cappuccini, dedicata a san Germano è una delle chiese più antiche della Valle Staffora.

Questo edificio sostituì la preesistente pieve presente a Varzi fin dal V secolo; fu quindi per quattro secoli parrocchia di Varzi e pieve dell'alta valle Stàffora e cioè fino al 1594, quando fu inaugurata l'attuale chiesa parrocchiale. Lasciata per qualche decennio in stato di abbandono, riprese vita nel 1623, quando vi si stabilirono per la prima volta i cappuccini. Essi vi edificarono a fianco il convento, incorporandovi la vecchia canonica esistente. Dopo 180 anni di attività monastica nel 1802 Napoleone soppresse convento e chiesa, che furono venduti all'asta e poi affittati ai contadini. Nel 1903 i cappuccini riscattarono il convento e riconsacrarono la chiesa che è tuttora in loro possesso.

La chiesa, costruita nel XII secolo, segna il passaggio dall'età romanica a quella gotica. Nella prima parte della navata, a partire da semipilastri di sezione composita, i cui capitelli sono stati scalpellati e sono pertanto illeggibili, si sviluppano arcate a doppia ghiera in mattoni; quella settentrionale, al centro della ghiera interna, verso la navata centrale, include un rilievo con quadrupede a testa in giù. Queste arcate ricadono su pilastri circolari con basi attiche; quelle successive sono a ghiera semplice, laterizia con conci in pietra inseriti in chiave e alle reni. La coppia di sostegni che segue è di sezione rettangolare e a base semplice. Su ogni lato si ha poi la sequenza di due arcate a doppia ghiera in pietra; poggianti su pilastri che si caratterizzano per le basi con inserti figurati. L’ultima campata, infine, presenta ghiera in pietra, ma più ampia delle precedenti; i sostegni in corrispondenza di questa si fanno di sezione complessa e i capitelli sono a crochet, tipicamente gotici, così come l’arcata trionfale a sesto acuto. L'area presbiteriale,modificata secondo stilemi gotici, era in origine un corpo dotato di absidi semicircolari, come testimoniato dalle tracce rinvenute durante i lavori degli anni settanta. Anche la facciata testimonia questa natura composita. Il prospetto presenta un profilo a salienti, in cui la parte inferiore, in muratura lapidea listata, si differenzia nettamente dalla superiore, laterizia, per tecnica e materiali impiegati. La porzione superiore della facciata è ornata da un fregio ad archetti intrecciati, rampanti e a sesto acuto, con peducci per lo più a decorazione geometrica o con protomi umane; se per le porzioni inferiori si può proporre una datazione nell'ambito del XII secolo, questo coronamento è certamente appartenente ad una fase cronologicamente più avanzata.

Resti di affreschi si trovano sull'arcata trionfale. Dalla tipica posizione della Madonna con testa reclinata su un fianco e le braccia incrociate, possiamo dedurre che il soggetto rappresentato è l’annunciazione. L’espressione del volto della Madonna e la presenza di oggetti in prospettiva lasciano pensare che il frammento sia di epoca posteriore rispetto alla costruzione. A completamento dell'opera, si scorgono ancora frammenti esterni al soggetto principale. Si tratta di una decorazione semplice, con i resti di una striscia, di righe intrecciate, che costituiva la cornice. Essa presenta un cromatismo molto forte (rosso acceso alternato al giallo ocra) che probabilmente caratterizzava tutta l'opera.

La storia del Tempio della Fraternità è strettamente legata al ricordo della II Guerra Mondiale. Un cappellano, reduce dalla guerra, trovandosi nella necessità di dover ricostruire la piccola chiesa del suo paese sui monti, ebbe l'idea di raccogliere le rovine del conflitto e con esse ricostruire il tempio come simbolo ed auspicio di una ricostruzione più grande: quella della fratellanza umana.

Questo prete-soldato ebbe la fortuna di incontrare casualmente a Parigi l'allora Nunzio Apostolico Mons. Angelo Roncalli che divenne poi Papa Giovanni XXIII.
Il futuro Pontefice prese subito a cuore l'iniziativa, l'incoraggiò e l'aiutò inviando anche la prima pietra, tolta dall'altare frantumato di una chiesa nei pressi di Coutances, distrutta durante lo sbarco degli Alleati in Normandia nel giugno 1944.
Dietro quella rovina ne seguirono molte, inviate da tutte le città dove maggiormente infuriò la guerra: da Berlino , da Londra, Dresda, Varsavia, Montecassino, El Alamein e anche da Hiroshima e Nagasaki. Un centinaio di località hanno contribuito all'erezione dell'altare maggiore inviando ognuna una rovina del loro monumento più significativo. Milano inviò alcune guglie del Duomo, cadute durante i bombardamenti.

La fama di questo comune nasce da un incredibile cocktail di bellezze naturali, dolcezza del clima, cieli azzurri, profumi, sapori, colori, suggestioni. E' difficile trovare una cittadina dai panorami più vari di Varzi: le montagne e le colline coperte di lussureggiante vegetazione, le acque dello Stàffora che scorrono allegre, i tetti e i muri dai delicati colori dolcemente smorzati dal tempo. Il centro storico medioevale merita su tutto una visita. E' così caratteristico che ciascuno può inventarsi un itinerario diverso: via del Mercato, via della Maiolica, vicolo Dietro le Mura, Via Roma, via Di Dentro. Qui batte il "cuore" più antico di Varzi, qui si intuisce il disperato anelito a serbare le tracce di un passato denso di segni architettonici. Dappertutto si respira aria del passato: otto secoli di storia documentati nelle testimonianze delle sue chiese, delle sue torri, del suo castello.
La "Torre Malaspina"è il simbolo misterioso e potente che da secoli domina Varzi. Il monumento, del secolo XIII, è alto m. 29 (lato Piazzetta Moro), ha un perimetro di m. 32,80, lo spessore dei muri varia da m. 1,70 a m. 0,65; la sommità si raggiunge con i 41 gradini esterni alla struttura della torre e con gli 89 gradini ricavati nell'intercapedine perimetrale.
Voluto dai Malaspina, rimase di loro proprietà fino alla seconda metà del secolo XV. Successivamente passò, insieme a parte del Feudo agli Sforza di Santa Fiora, divenuti nel XVII secolo "Cesarini Sforza". Ora è di proprietà comunale. Le quattro stanze, dislocate l'una sopra all'altra e collegate da una lunga, ripida e stretta scalinata, furono adibite a prigione, prima per la giurisdizione feudale (nel 1460 vi furono rinchiuse venticinque donne ed alcuni uomini - accusati dall'Inquisizione di stregoneria - e bruciati nella vicina piazza), in seguito come carcere del "Mandamento" di Varzi e successivamente per il territorio di competenza della locale Stazione dei Carabinieri.
La sua funzione originaria si esaurì negli anni Sessanta, quando i Carabinieri allestirono due "camere di sicurezza" all'interno della loro nuova Caserma.
Dopo un primo impatto così particolare con il paese, sarà ancora più affascinante andare alla scoperta del centro storico: portici, viuzze, torri, campanili, palazzi medioevali, bottegucce ricche di prodotti locali (salame, torta di mandorle, funghi, mele, pere, formaggi,ecc.).


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