Lomello è un comune situato nella Lomellina centrale, alla destra dell'Agogna.
L'antica Laumellum fu un importante centro romano, forse preceduto da un insediamento preromano. I vecchi eruditi, basandosi su una supposta etimologia (Laumellum da Laevum mellum), lo attribuivano ai Levi, fondatori di Pavia insieme ai Marici. Alla fondazione potrebbero aver contribuito anche i Libìci, insediati nel Vercellese. Si tratta comunque di popolazioni Liguri piuttosto che celtiche. In epoca romana Laumellum fu noto soprattutto perché vi transitava la strada che da Piacenza, per Pavia, portava a Torino e ai passi alpini nelle Alpi Cozie. Il luogo è nominato in parecchi itineraria, che indicano la distanza di 22 miglia da Pavia; l'Itinerarium Burdigalense precisa che si tratta di una mansio, cioè di un luogo di sosta, non di una semplice mutatio (cambio di cavalli). In questo punto l'importante arteria superava il fiume Agogna. Lomello è anche citato da Ammiano Marcellino (XV.8.18), sempre a motivo dell'importante strada che vi passava: il futuro imperatore Giuliano viene accompagnato dall'augusto Costanzo II fino a un locum duabus columnis insignem, qui Laumellum interiacet et Ticinum (un luogo celebre per due colonne, che si trova tra Lomello e Pavia), e da qui, seguendo la nota strada, Giuliano prosegue per Torino.
In epoca longobarda il luogo diviene ancora più importante, trovandosi sulla strada che da Pavia, ora capitale del Regno, porta verso la Francia. Qui avvenne nel novembre del 590 il matrimonio tra la regina Teodolinda ed il duca di Torino Agilulfo. Nella successiva epoca franca, nell'847, Lomello divenne sede di Comitato (contea). I suoi conti, nel 1001, divennero conti palatini e poi anche conti di Pavia. La città ben presto si ribellò alla loro autorità, costringendo i Conti Palatini ad asserragliarsi nei loro domini ereditari, difesi da potenti castelli: il loro staterello assunse allora una ben precisa identità, prendendo nome di Lomellina. Pavia, diventata ormai un potente Comune, negli anni 1140-1146 sferrò l'attacco finale contro i Conti Palatini, espugnando Lomello e costringendoli a stabilirsi in città. L'imperatore Federico I, se da un lato confermò a Pavia la supremazia sulla zona, dall'altro assicurò ai Conti Palatini la signoria su una serie di località, che appartennero poi ai vari rami in cui si divise nei secoli seguenti l'antica casata. Tra questi però non c'era Lomello, che rimase sotto il diretto dominio pavese, e poi dei Visconti; sotto di loro Lomello fu sede di podesteria.
Nel 1450 Francesco Sforza concede Lomello e Dorno in feudo ad Antonio Crivelli di Milano. Ai marchesi Crivelli il feudo resterà fino all'abolizione del feudalesimo (1797). Nel 1707 Lomello, con tutta la Lomellina, viene annesso ai domini dei Savoia. Nel corso del XVIII secolo al comune di Lomello è annesso il territorio di Cascina Grua, che costituiva in precedenza un comune autonomo nel feudo di Lomello.
Il centro conserva resti delle antiche mura ed insigni monumenti medievali, quali il complesso religioso formato dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, notevole costruzione del primo periodo romanico lombardo (XI secolo) e dal Battistero di San Giovanni ad Fontes (VIII secolo), un antichissimo edificio longobardo a forma ottagonale, con i resti dell'originale fonte battesimale. Nella tradizione popolare lomellina, la basilica viene chiamata la "chiesa del diavolo": la leggenda racconta che la costruzione fu distrutta dal Maligno e da lui stesso riedificata in una sola notte di lavoro febbrile, ma, a causa del sorgere del sole, fu lasciata incompleta. Ecco perché oggi si vedrebbe la facciata parzialmente crollata e le prime due campate senza il tetto.
L'etimologia del nome sembra fare riferimento da un lato alla popolazione dei Levi, antichi abitatori del borgo, e dall'altro al radicale Mel o Millum, che potrebbe riferirsi, con il suo significato di cinto o collare, ad un'antica cerchia di mura che cingeva l'abitato.
Il toponimo appare citato per la prima volta da Tolomeo nel II secolo Laumellum, chiaramente indicato anche nella Tabula Peutingeriana, era dunque centro già ben noto in età romana e occupava una posizione strategica, politica ed economica di rilievo nella regione, denominata allora Cottuta (Strabone, Geografia, libro V cap. II) e Alliana (Plinio, Storia Naturale, libro XIX cap. II) e che solo più tardi dal suo più importante borgo prenderà il nome, divenendo Laumellina.
Fra le tante versioni sulla costruzione della Chiesa di Santa Maria da parte del diavolo, la più bella e la più suggestiva è riportata su un dattiloscritto rinvenuto fra le carte del Comm. Attilio Baratti di Mortara.
"Teodolinda volle celebrare nella Chiesa di S. Maria in Lomello le sue seconde nozze con Agilulfo duca di Torino. Una curiosa leggenda vuole che queste nozze non andassero a genio al demonio perché i Longobardi erano ariani e Teodolinda era cattolica. Con re Autari, il dia volo aveva potuto ottenere che fosse vietato ai Longobardi il Battesimo Cattolico, ma questa volta era la regina stessa che si eleggeva lo sposo acquistando una potenza diretta, che avrebbe poi adoperata a favore della causa cattolica; e per il diavolo il grosso guaio era lì. Allora pensò di farne una delle sue. Il giorno prima delle nozze portò sul cielo di Lomello tutte le nubi più cariche di tuoni e di lampi che aveva in riserva e scatenò un tremendo temporale. I fulmini caddero sulla chiesa già preparata per le nozze, suscitando un grave incendio e in poche ore la chiesa di Lomello fu un mucchio di rovine.
Teodolinda che da santa donna si era preparata alle nozze con la preghiera, si mise a piangere e a supplicare il Signore. Ed il Signore accettò la preghiera della sua serva fedele. Ed eccolo a ordinare al diavolo che sghignazzava in mezzo al fumo, di rifabbricare durante la notte, prima del suono dell'Ave Maria, quello che era stato distrutto, pena la costruzione di tre nuove chiese con la badia. La pia Regina Teodolinda, sentite le parole del Signore, andò tutta felice incontro allo sposo per comunicargli la lieta novella. La notizia udita dai cortigiani corse di bocca in bocca, e tutti aspettavano che si facesse notte per assistere al miracolo. Ma il diavolo, per nascondere la sua vergogna, sull'imbrunire fece calare una nebbia così fitta e fredda da costringere tutti i cortigiani a starsene chiusi in castello. Quel che capitò nel buio fitto, nessuno lo poté sapere. Il diavolo pescò nel fondo dell'inferno i migliori ingegneri, architetti e muratori che poté trovare e diede loro l'ordine di rifare la chiesa in tutta fretta. Ma, senza una direttiva unica, senza ingegnere capo, ciascuno fece a modo suo. Intanto l'Ave Maria era lì per suonare. Mancava di portare a termine la facciata. Ma il Signore che dall'alto stava ad osservare, diede l'ordine di tralasciare: "Lascia di finire la Chiesa, perché si sappia che le cose belle e buone il diavolo non le sa fare; ma farai viceversa il Battistero, dove il figlio di Agilulfo prenderà il Battesimo Cattolico. Non volevi che la mia Chiesa trionfasse, sarà quel Battesimo lo scorno tuo più pungente". Suonata l'Ave Maria, il corteo nuziale si mosse dal castello. Quando il corteo regale, composto di conti, paladini, duchi longobardi, passò il vasto portone della Chiesa, ed entrò nel tempio di S. Maria, poté notare come in quella bellissima Chiesa c'era un curioso disordine di costruzioni: le muraglie non correvano parallele, i colonnati erano di forme e dimensioni diverse nei fusti, nei capitelli, nel giro dell'arco e nell'altezza dei piedi. E, meraviglia ancora più grande, ebbero, all'uscita di Chiesa, quando a fianco di essa, trovarono lì, nuovo di zecca il Battistero, regalo nuziale di Belzebù!".
La "Chiesa del Diavolo" esiste solo nella leggenda, ma alcuni simpatici irriducibili sussurrano che la Basilica attuale fu rifatta sul tracciato dell'antica per conservare la memoria del miracolo ed infatti, la sua magica asimmetria ricorda quell'altra costruita dal diavolo in quella notte favolosa. Certamente le leggende ci tra mandano un fondo di verità, condito da una meravigliosa fantasia che travalica i secoli.
Il Battistero di San Giovanni ad Fontes è, senza dubbio, il monumento più antico e più prezioso di Lomello.
È un edificio a forma di croce, della lunghezza, sull'asse est-ovest di 16 metri circa; di larghezza, sull'asse nord-sud, di 13 metri circa. È alto 13 metri. Ha un tamburo ottagono nel quale si aprono otto finestre a montanti diritti, con arco a tutto sesto, affiancate da due nicchie rettangolari, delimitate, in alto, da un angolo i cui lati sono messi in evidenza da due mattoni in rilievo. Al piano del davanzale delle finestre corre una cornice di mattoni orizzontali dentellati; una cornice simile, ad incastro, tra due corsi di mattoni sporgenti, e costituita da denti di sega, trovasi sotto la gronda dell'edificio.
Al culmine del tetto si eleva un piccolo tiburio, a due piani, ornato da monòfore sormontate da bifore. Richiama i motivi che si notano sul fianco della basilica e può essere stato costruito su finire del sec.X.
La muratura esterna della parte inferiore del Battistero è costituita da mattoni sesquipedali (latino, "sesquipedalis", letteralmente 1 piede e mezzo) e pare risalire al V-VI secolo. La muratura della parte superiore è più tarda e rivela laterizi più piccoli e più scadenti, ma comunque riconducibili a epoca paleocristiana.
Posto a sud della Basilica di S. Maria, distante da essa circa 4 metri, è orientato, come la basilica stessa, da oriente a occidente.
Presenta due porte d'ingresso: una a occidente considerata principale e larga quanto il braccio; una minore, a settentrione, che rende spedito l'ingresso alla basilica. I bracci della croce sono raccordati da grandi nicchie a ferro di cavallo. Guardando la pianta del battistero, si rileva che i bracci della croce non sono uguali. Così le nicchie a ferro di cavallo non sono uguali, quella di sud est è minore delle altre. La presenza dell'arco a ferro di cavallo è senza dubbio un influsso orientale (così G. Chierici e E Soliani Raschini). Lomello infatti, era posto su strade di grande comunicazione ed era aperto a influssi artistici, indubbiamente a quello bizantino, ed a varie altre tendenze venutegli dalle popolazioni barbare.
Le nicchie rettangolari hanno la volta a botte.
Il braccio orientale, di dimensioni maggiori degli altri, funge da abside. Il centro architettonico del battistero è costituito da un ottagono, sul quale si imposta la cupola.
L'interno del Battistero, completamente intonacato dopo il restauro, presta il fianco a varie critiche. Secondo il parere di parecchi studiosi, il soprintendente prof. Chierici, avrebbe dovuto mantenere visibili le murature interne. Testimoni al tempo dei restauri hanno confermato che gran parte delle pareti interne presentavano un intonaco primitivo.
Al centro, di grande rilevanza, il fonte battesimale datato ai sec. VII-VIII, in epoca longobarda, a forma di esagono irregolare con l'asse centrale spostato rispetto a quello dell'ottagono. Secondo Chierici denota la volontà nel costruttore di orientare con precisione il fonte a oriente.
La forma ad esagono appariva raramente nell'arca occidentale, mentre era tipica nelle regioni di Aquileia e dell'Istria.
La vasca ha il parapetto in muratura intonacata. Nel lato sud c'è il gradino di accesso al fonte, usato, sempre secondo il Chierici, "non già per immergersi nell'acqua lustrale, che non vi venne mai immessa, come provano le pitture delle pareti, ma per ripetere la forma di una cerimonia tradizionale". Sul lato est, al centro, un pozzetto alto cm 60.
Lo studio del fonte, eseguito direttamente sul manufatto, ha permesso a F. Soliani Raschini di mettere in luce alcuni particolari, di cui la critica non ha mai tenuto conto. Anzitutto il parapetto: la struttura muraria presenta una disposizione disordinata del materiale nell'esecuzione del lavoro. Il materiale è tutto di recupero. Il pozzetto sembra aggiunto in epoca posteriore.
La risega (rientranza dovuta a una interruzione brusca dello spessore in una struttura muraria), invece, si presenta di ottima fattura e perfetta nelle misure dei lati. La studiosa, sulla testimonianza dei sigg. Gambini e Cattaneo, sostiene che, sotto il piano di base del pavimento del Battistero, fu trovato il canale di scolo delle acque, la cui presenza fu negata dal Chierici e da quasi tutti gli studiosi. Il canale era costituito da una tubazione a spigolo quadrangolare, formata da due mattoni scavati e ravvicinati, di 20 cm di lato, e si dirigeva dal pozzetto del fonte verso la nicchia di sud est. La presenza di questo canale è un segno di come la vasca funzionasse, in un primo tempo per il battesimo ad immersione.
La più importante scoperta, fatta dalla Soliani Raschini, è, senza dubbio, il rinvenimento di una risega 50 centimetri circa sotto quella precedentemente descritta, della larghezza approssimativa di circa 15 cm. e della profondità di cm 50. Un tempo doveva essere allo scoperto e rivestita di lastre di marmo, come tutto il fonte, dando così origine ad una vasca predisposta per il battesimo ad immersione. Rovinatosi il parapetto di marmo, si ignora il motivo, venne rifatto con le pareti intonacate ed affrescate, dato che l'acqua non veniva più immessa nella vasca, e si costruì il pozzetto, adatto al battesimo per aspersione.
Sul pozzetto, con bordi a color rosso vivace, vi è una croce rossa su fondo grigio, attraversata dalla scritta: "Piscina".
Le parti interne del parapetto sono decorate a losanghe rosse e fasce grigio azzurre, motivi geometrici prossimi a quelli di basiliche bizantine (si veda Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna). Attraverso le losanghe è rimasta una iscrizione "in Re...".
Nel braccio sud del Battistero, sulle pareti, si nota un panneggio grigio con croci greche rosse inserite in circoli e losanghe.
Nella nicchia semicircolare di sud est, resti della pavimentazione ad "opus sectìle" (esagoni e rombi connessi in modo irregolare). Sistema in uso nella tarda antichità romana e nel primo medioevo.
Il Battistero ha offerto moltissime difficoltà agli studiosi, per la quasi completa mancanza di documenti e di notizie storiche. Il Battistero di Lomello si stacca dalle caratteristiche degli altri esempi di edifici battisteriali esistenti, tutti simmetrici.
Esso ha una evidente asimmetria delle nicchie che determinano una pianta a croce latina accorciata. Questo per la parte inferiore, mentre nella parte superiore, con perfetta simmetria ascensionale rispetto al suo asse, si eleva il corpo ottagonale. Nella struttura occorre considerare che le condizioni statiche sono tuttora perfette; lo spessore dei muri è costante. Se si considera l'altezza dell'edificio (13 metri circa), si deve concludere che vi è una ripartizione di carichi di estrema esattezza. Per quanto riguarda la datazione del Battistero gli studiosi non sono molto concordi. Noi ci limitiamo a riportare le due principali datazioni: secolo V- secolo VIII, anche perché, l'esame degli elementi costitutivi del Battistero, non esclude tale datazione. Dobbiamo però precisare che, in mancanza di nuovi scavi, è estrema mente difficile esprimere un giudizio definitivo circa il Battistero, che costituisce veramente, insieme con la sua vasca battesimale, un complesso unico nel suo genere.
Il Battistero di Lomello fa parte dei "Battisteri lombardi", eretti secondo i canoni della scuola architettonica tardo romana di Milano, sviluppatasi fra il IV e il V secolo. Questa scuola fiori, in gran parte, per volontà di Sant'Ambrogio, vescovo di Milano.
Gli edifici battesimali di questo periodo hanno una pianta ottagonale con nicchie. Si citano alcuni battisteri che hanno analogie o differenze con quello di Lomello: Battistero Neoniano, o degli ortodossi (V sec.) e Battistero degli ariani (VI sec.) entrambi a Ravenna; San Giovanni ad Fontes (IV sec.) in Milano; quello di San Ponzo Canavese in Piemonte (VI secolo); Albenga (IV-V sec.); Chieri (V sec.); San Giovanni in Atrio a Corno ed il Battistero di Novara datato alla metà del V secolo. La pianta ottagonale del Battistero può essere ricondotta a ragioni simboliche. Il numero otto rappresenta per alcuni studiosi le otto Beatitudini, mentre per altri rappresenta il simbolo della Resurrezione, ricordando l'avvicinamento ideologico che era maturato nella Chiesa fra Morte, Battesimo e Resurrezione. I Battisteri sorti nella giurisdizione ecclesiastica milanese sono derivati dalla forma dei mausolei romani. Sant'Ambrogio nel sec. IV d.C., in un suo epigramma esalta l'idea di: "fare sorgere l'aula del Sacro Battesimo" ottagonale in memoria del giorno della Resurrezione di Cristo (cioè l'ottavo giorno).
Fu S. Ambrogio a dare al luogo del Battesimo l'aspetto dell'edificio sepolcrale più nobile del mondo antico, nel quale erano sepolti personaggi illustri, ad esempio gli imperatori (si pensi al mausoleo di Diocleziano a Spalato). Non era cosa strana per i fedeli del tempo del Santo, entrare per il Battesimo in un edificio che aveva la forma della tomba, mutata nella sede della Resurrezione.
La forma architettonica adottata da S. Ambrogio s'impose, fu largamente accettata e continuò ad essere applicata per diversi secoli sebbene con alcune variazioni di pianta e di elevazione.
Nel fonte battesimale del Battistero di Lomello è importante ed illuminante la frase che si sviluppa dalle lettere: "IN RE...": "Nisi quis renatus fuerit ex aqua et Spiritu Sancto non potest introire in regnum Dei". "Se uno non è nato dall'acqua e dallo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio" (Gesù a Nicodemo nel Vangelo di Giovanni cap. 3,5). La forma irregolare esagonale del Fonte è senza dubbio un sistema costruttivo orientale con influsso diretto di Aquileia, dell'Istria e di Ravenna, territori a lungo soggetti all'Impero Romano d'oriente, o "bizantino". Potrebbe essere collegata ai sei giorni della Creazione; oppure, poichè Gesù Cristo morì il venerdì, sesto giorno della settimana, potrebbe alludere alla Morte del Cristo; e la morte, intesa come morte al peccato, è una premessa indispensabile alla rinascita operata dal Battesimo.
Nel corso del sec. X si registrò nella società medievale un movimento di espansione demografico, economico, di superamento della società feudale, unito ad un grande anelito di rinnovamento spirituale. La riforma religiosa verso l'anno Mille con il movimento cluniacense, irradiatosi dal monastero di Cluny in Francia si propagò rapidamente anche in Italia. Questo fervore religioso propiziò la costruzione di chiese e di monasteri in quello stile che noi possiamo ammirare nella Basilica di S. Maria Maggiore di Lomello: il Romanico; architettura nota quasi esclusiva mente attraverso edifici religiosi, che ebbe inizio dalla lenta trasformazione della basilica paleocristiana, avvenuta dal IV al IX secolo d.C. attraverso elementi bizantini (influsso di Ravenna, Grado, Istria) e si sviluppò nei secoli X, XI, XII, con esempi anche nel sec. XIII.
L'arte romanica parte dall'anima e ad essa ritorna. Concepita, costruita, rinnovata di giorno in giorno da fedeli plasmati dalla contemplazione calma e grandiosa di Dio, di Gesù Cristo, incarnato nel ventre della Vergine per opera dello Spirito, non si rivolge all'interesse superficiale degli esteti, ma prima di tutto alla moltitudine cristiana che si riversa nelle sue chiese per cantarvi le lodi del Signore. Nell'edificio sacro ogni mattone è diverso dagli altri, ma tutti contribuiscono alla unità della costruzione, così come i cristiani, pur diversi gli uni dagli altri, costituiscono l'unità della Chiesa. Dopo tanti secoli l'architettura romanica non ha perso nulla della sua forza rivelatrice di Dio. Per questo l'incontro con la Basilica può far percepire quanto essa è stata e vuole continuare ad essere segno visibile ed efficace della Sua Presenza.
L'importante non è solo pellegrinare lontano, quanto l'entrare nella comprensione profonda e viva del messaggio dell'arte che eleva a Dio.
L'ingresso principale della Basilica, quello di ponente, ci permette di ammirare le linee dell'antica facciata, che insiste su un tratto delle mura tardo romane, ornata da un arco cieco, due lesene laterali e cinque finestre con arco a tutto sesto, senza strombatura. Entriamo attraverso un'apertura del sec. XVIII, praticata nella vecchia cinta muraria, e ci troviamo fra i ruderi delle prime tre arcate della chiesa. Quando fu distrutta questa parte della chiesa non è dato dire, poiché mancano in assoluto documenti. Il Nigra accenna al terremoto che nel 1117 rovinò molte chiese in Lombardia.
Dopo pochi passi ci troviamo davanti la facciata eretta nel sec. XVIII, nella quale si nota l'arcone trasversale della navata maggiore e sopra di esso, ai due lati, le bifore e due finestrelle al centro.
Si entra in chiesa attraverso un portone. La basilica è a croce latina ed ha tre navate. Le navate laterali sono asimmetriche, le arcate non sono uguali e la posizione dei pilastri e delle colonne non corrisponde alla posizione dei pilastri e delle colonne opposte. La navata di sinistra è più corta di quella di destra. Questa è ritenuta una caratteristica delle chiese romaniche più antiche (proto romaniche). Santa Maria Maggiore ha un grandissimo fascino, che è dovuto, sia alla sua impressionante nudità, sia alle sue imponenti proporzioni. I pilastri solo uno ogni due di essi regge un grande arcone trasversale a tutto sesto, destinato a portare l'armatura del tetto che copre la navata centrale. I pilastri intermedi si spingono, con lesene poco sporgenti, fino al tetto. Sopra tutti i pilastri si innestano anche gli archi portanti i muri longitudinali della navata centrale e che la separano dalle navate minori, mentre verso le navate minori, sulla parte rettangolare di essi, poggiano gli archi trasversali, che reggono le volte a crociera delle navatelle. Queste volte, nate con la chiesa, sono state rifatte, a detta del Porter, nel secolo XIII. La disposizione alterna degli arconi predetti è una caratteristica fondamentale dell'architettura romanica di quel periodo ed è messa in grande evidenza proprio nella basilica.
I bracci del transetto hanno volta a botte e si aprono, sulla crociera, attraverso due archi più alti e più larghi di quelli del colonnato. Ciò permette una maggiore luminosità. Da notare la disposizione delle absidi laterali (o absidiole); esse coprono tutta la parete orientale dei bracci del transetto. Maestoso l'arco trionfale del presbiterio, sopra il quale si aprono due finestrelle rotonde (òculi); sotto l'arco, nella parete che scende fino al catino dell'abside, altri due òculi creano, con i precedenti, sciabolate di luce, che rendono ancor più suggestivo l'interno della chiesa, immerso nella penombra. Dietro, il catino dell'abside maggiore che conserva dipinti del principio del 1900. L'altare maggiore è di stile neoclassico ed è del 1791. All'esterno, sia la fiancata meridionale che quella settentrionale mostrano l'imponenza della basilica. Il tetto della navata centrale e di quelle minori è coperto con tegole ed embrici. Il sistema decorativo e costruttivo dei fianchi delle navate minori, è costituito da lesene di circa mezzo metro di larghezza, che racchiudono molte e strette finestre, con arco a tutto sesto e a doppia strombatura. Dette lesene sono affiancate, all'altezza della gronda, da gruppi di tre archetti pensili. I fianchi superiori della navata centrale portano lesene più strette, unite alcune da gruppi di due archetti pensili; finestre uguali a quelle delle navatelle. Le testate della navata trasversale, o transetto, formano quasi delle facciate, e si nota, sia in queste, che nell'arco trionfale, un sovralzo di laterizi più scadenti (forse quando si costruì la volta). Girando attorno all'abside centrale, possiamo ammirare i bellissimi archetti a forno, che indicano il carattere proto romanico dell'abside stessa.
All'interno l'unica figura, acéfala, di grandezza naturale, di stucco, rimasta al suo posto nella basilica, è collocata sulla parete meridionale della navata centrale, tra l'arco trionfale e la prima monòfora da est.
La Chiesa di San Michele Arcangelo è del secolo XII, di stile romanico, a forma di croce latina con un bellissimo tiburio ottagonale, che s'innalza sopra la crociera, ornato da trifore e da loggette in cotto. L'interno è a tre navate con volta a botte che insiste su colonne di mattoni. Ha due altari in nicchia ai lati di epoca barocca, e due altari laterali in cappelle di stile secentesco, dei quali quello a destra è dedicato alla Beata Vergine del Carmelo e, quello a sinistra, costituisce la cappella della Croce. Fu Parrocchia dall'origine, ma meno antica di Santa Maria Maggiore, e non per questo però, meno illustre. In una piastrella in cotto, graffita, posta nella navata destra, si legge: "1121 S.Michael". Potrebbe trattarsi della data di costruzione della chiesa. Nella parte sinistra, seconda campata, è inserito un mattone romano con croce latina incavata, attraversata dalla data: CCCCXXXXI (441). Sulle pareti destra e sinistra e nel coro tracce di affreschi di santi risalenti ad epoca medievale.
San Michele fu per secoli Chiesa collegiata, retta cioè da un capitolo di canonici, presieduto da un "Praepositus". La visita pastorale Amicus de Fossulanis testimonia che ancora nel 1460, in San Michele c'erano: un prevosto, due canonici e due cappellani. Nella cappella della Croce, sulla parete sinistra è murata una piastrella in cotto; misura cm 40x30 c.a. scolpita rozzamente. Prima dei restauri degli anni cinquanta, condotti dall'arch. Mina, era murata nell'andito che immette nel campanile. E' incisa in latino medievale con le abbreviature d'uso nell'epoca. La traduzione: "Qui giace il corpo del Reverendo Guglielmo de Grossis, francese della città di Sant'Egidio (oggi Saint Gilles), il quale donò alla presente chiesa il legno della Santa Croce. Morì il 4 maggio 1370. Il nipote Guido pose". Non vogliamo qui fare la storia della venerata Reliquia, munita di tutte le autentiche ed il cui culto "vetustissimus" è da tutti riconosciuto, poiché l'ha già fatto egregiamente Giuseppe Papetti da Ottobiano, pubblicando nel 1982, un ottimo e chiaro volumetto dal titolo: "L'insigne Reliquia della Santa Croce in San Michele di Lomello".
La cappella della Beata Vergine del Carmelo esisteva già nel 1600 con questo titolo e con questa forma. Quella attuale della Croce, sino al 1777, era, con probabilità, una piccola abside, con altare eretto a San Francesco. Nell'estate 1777 s'iniziò la costruzione di una cappella consacrata al culto della Croce. L'altare di S.Francesco fu collocato nel luogo in cui sorge attualmente quello di San Giuseppe, e nella sua vecchia sede fu costruita la cappella. Tutto questo, fatto per ordine del prev. Carlo Grossi de' Cani, citato a proposito del convento di S. Agata, che fece eseguire anche i due medaglioni in stucco delle pareti laterali della cappella e nelle quali si ricordano storia e culto della Reliquia. In Lomello, tutti gli anni, si celebra la festa della Santa Croce, attualmente la seconda domenica di maggio. L'insigne reliquia è portata in processione solenne e con essa vengono benedetti i campi e i prodotti della terra.
Il Monastero di Sant' Agata delle Suore Benedettine della Congregazione Cassinese ha un'origine antichissima, forse contemporanea o di poco posteriore a quello di S. Pietro.
Del convento di S. Agata si sa che era già fiorente nella seconda metà del secolo XII. La testimonianza è data dalla lite insorta tra il Vescovo di Lodi e l'Abate Oggerio del monastero di Percipiano o Precipiano, posto in diocesi di Tortona. Costui vantava diritti di giurisdizione sul monastero di S. Agata. Seguiva tutta una serie di ricorsi e contro ricorsi, dopo di che fu aggiudicato, con sentenza, definitivamente il possesso del monastero di S. Agata in Lomello ad Alberico II, Vescovo di Lodi, adducendo a ragione la giurisdizione e i diritti di censo che da tempo antichissimo vantavano la chiesa di Lodi e gli antecessori di Alberico. Questa sentenza fu poi solennemente confermata da Papa Alessandro III, con bolla del 28.4.1177. Il monastero di S. Agata rimase sotto la giurisdizione dei vescovi lodigiani sino al principio del secolo XVII; ciò spiega, perché il vescovo di Pavia nel 1404, dando la sua benedizione alla nuova madre badessa di S. Agata, dichiarasse di farlo con la licenza del vescovo di Lodi.
Il Monastero di Santa Maria in Galilea delle Suore Benedettine della Congregazione Vallombrosana: il più antico documento che ricorda questo monastero è del 19 novembre 1375: una splendida pergamena dell'Archivio di Stato di Milano, nella quale, sulla fede giurata di quattro fra i più vecchi di Lomello, si testifica del possesso di varie terre, edifici e giurisdizioni che quel monastero aveva da lungo tempo. Nell'anno suddetto il monastero aveva quindi una esistenza più che secolare, risalente forse al XII secolo.
Nel 1463 avvenne nel detto convento un fatto sconvolgente. Fu rinvenuta cadavere, dentro la peschiera, la madre badessa. Si parlò di disgrazia, di delitto, o di suicidio. Fatto sta che un certo "frate Nigro" fu fatto arrestare dal Podestà di Lomello, che scriveva immediatamente al duca di Milano, Francesco Sforza. Questi, a sua volta, informava, in data 11.9.1463, il Vescovo Corrado di Terracina, vicario del Cardinale Piccolomini di Pavia, invocando l'intervento dell'autorità ecclesiastica, affinché disponesse, sotto buona scorta, il trasferimento dalle carceri di Lomello del "frate Nigro", e provvedesse a farne giustizia. Che fine abbia fatto costui e se fosse veramente colpevole del delitto imputatogli, non ci è dato di sapere.
Il Duca in un post scriptum alla sua lettera, raccomandava che a nuova badessa fosse eletta madonna Elena di Sannazzaro. Questo episodio richiama un certo rilassamento morale nei costumi di quel monastero. Dopo il fatto luttuoso, risulta che il generale dell'ordine vallombrosano, alla cui regola apparteneva il monastero, era intervenuto per arginare e porre fine alla dissoluzione morale e religiosa di quel convento. Nella lettera, pare, diretta allo stesso Duca di Milano Francesco Sforza, si manifesta addirittura il proposito di sopprimere quel convento di religiose e di sostituirlo con una comunità di religiosi con titolo di priorato; a tal scopo s'invoca l'autorizzazione del principe ed il suo aiuto contro "un potente", per imposizione del quale era stata nominata a succedere, alla badessa uccisa, una monaca apostata. Non sappiamo chi fosse costei, forse la medesima Elena di Sannazzaro? Pare di sì. Il cumulo delle ricchezze, venuto sempre più crescendo, minava lo spirito religioso della Comunità. Alla pergamena del 1375, si aggiunge il 20 luglio 1392 in favore del monastero, il testamento di Antonio Bottigella, canonico di Santa Maria in Pertica di Pavia; il 23 settembre 1706, donna Maria Anna Teresa Lumelli; il 28 gennaio 1739 Caterina Vannosi. Il suo testamento nominava erede principale il dott. Cesare Corti di San Giorgio, con l'obbligo di far celebrare le messe festive nella Chiesa di Santa Maria in Galilea. Ciò fu oggetto di lunghe liti. Altri beni acquistò il monastero tra i quali quelli avuti, il 5.12.1669, dal Prevosto della Collegiata di Santa Maria Maggiore, Giovanni Battista Grandi. Tra l'altro aveva l'investitura dal Conte Giacomo di Gattinara di Sartirana di due ore d'acqua dal Cavo Biscossi. Il 24 aprile 1730 stipulava il cambio di un podere con la Confraternita del Santo Rosario di Galliavola e il 21 marzo 1754 acquistava un terreno con i denari forniti dalla suora professa donna Maria Leardi, la quale otteneva, con la rendita annua del podere, di introdurre in convento l'usanza di tenere accesa, di notte, la lampada nel dormitorio. Le notizie prese dagli Archivi di Stato di Milano, Torino, e Pavia non si esauriscono qui, infatti il convento possedeva beni anche in Mede, Ottobiano, Pavia, Semiana, Breme, Galliavola ed in altri Comuni limitrofi. Molte le liti nelle quali il monastero si trovava immischiato. Ricordiamo solo quella nel secolo XV insorta fra esso e Galeazzo di Grumello per il possesso di: "Buxiana" località nelle vicinanze di Lomello, occupata violentemente dal Grumello. Con le liti, nasceva il bisogno di nominare procuratori. Pochi esempi: Don Averardo Picchiotti, priore e confessore delle suore, è da queste e dalla loro badessa, Maria Rossanese Monaci, nominato procuratore con atto 27.8.1728. Nel 1759 era badessa donna Maria Saveria Mina. Nel 1777 la badessa donna Maria Cecilia Meardi, da Casale, nominava procuratore, con atto del 14 agosto, Vittorio Amedeo Rossi, procuratore in Torino perché comparisse davanti alla Regia Camera per difendere il diritto che il Monastero godeva "ab antiquo" di esigere dalla comunità di Rosasco in Lomellina, un censo annuo sul sale.
La clausura del monastero si estendeva per sedici pertiche pavesi, con orto, giar dino, peschiera e vigna. La chiesa era pubblica ed antichissima. Fu rifabbricata nel 1417 dall'abate Eliseo Confalonieri O.S.B. Nel 1576 il visitatore apostolico la trovò: "in volta, ben ornata, con tre altari in ordine: il maggiore di marmo; uno dedicato a S. Benedetto; l'altro al riformatore San Giovanni Gualberto. Vi erano delle belle pitture". Nel 1645 il Vescovo di Pavia visitò la clausura. Nel 1760 il Cardinale Durini, vescovo di Pavia, visitò la chiesa, il coro, poi entrò nella clausura, ricevuto dalla badessa e dalle suore e trovò tutto in ordine. Nel 1615, il 1° giugno, papa Alessandro VII concesse l'indulgenza plenaria a chi visitasse la chiesa il 25 marzo, festa dell'Annunziata. Nel 1600 le monache velate erano 52 e le converse 12; nel 1700 le velate erano ridotte a 10 e le converse a 5. Le guerre e le liti rovinarono il convento. Le monache furono costrette, a più riprese, a fuggire ed a rifugiarsi a Pavia. Riuscirono sempre a tornare nel loro monastero per gli aiuti loro forniti dai Vallombrosani, sotto la cui giurisdizione rimasero sino al 20.7.1792. In quest'anno, essendo stata soppressa la badia di San Benedetto di Vercelli, il convento passò sotto la giurisdizione del vescovo di Pavia. Nel 1805, 6 di luglio, il monastero fu unito a quello di S. Agata di Lomello, con lo scopo di salvarlo dalla soppressione, decretata dalle leggi napoleoniche. Il monastero fu soppresso però nel 1810 e definitivamente chiuso il 3 giugno dello stesso anno fra le lacrime delle monache. Così riferisce al vescovo di Pavia, con lettera del 3 giugno dello stesso anno, il vicario foraneo, prevosto Antonio Maffei di S. Maria Maggiore: "Un bacio bagnato di lagrime, alcune parole interrotte da singhiozzi furono l'ultimo addio che le suore si diedero, e piangenti le une e le altre senpartirono al loro destino nel nome di quel Dio, che fedelmente servirono". Queste parole sono riferite dal padre Pianzola che fece una visita alla chiesa parecchi anni or sono: "...trovai ancora parte del fabbricato e la chiesa cadente ridotta a caseificio. E' lunga circa 30 metri e larga 8 con ampio coro. La struttura è romanica con rifacimento barocco...". Descrive poi l'interno dove ancora si scorgevano dei dipinti di santi. La facciata quattrocentesca. Traccia del chiostro. Tra i campi del convento, anticamente, vi era un oratorio detto: "S. Maria in Predio", appartenente a S. Maria in Galilea. Per il suo stato pericolante, ne fu ordinata la distruzione nel 1576.
La soppressione pose fine ad una vita quasi millenaria, nella quale si alternarono, come anche per il monastero di Sant'Agata, virtù eroiche, grandezze, lotte, delusioni ed anche episodi non edificanti. In essi, molti poveri trovarono sempre un'accoglienza umana ed il pane per sfamarsi.
La Chiesa di San Rocco, o meglio "oratorio" di San Rocco risale al 1524; costruito dal popolo di Lomello in voto alla Vergine ed intitolato a San Rocco, dal quale invocava protezione dal terribile morbo della peste.
La confraternita, ufficialmente denominata del Santissimo Sacramento, ma sempre comunemente chiamata dì San Rocco, ebbe la sua sede in questo luogo sacro. Le fonti documentarie manoscritte, relative alla confraternita ed alla chiesa che la ospitava, rivelano l'estraneità della confraternita laica ai circuiti di potere, incentrati nelle rendite dei benefici ecclesiastici, e la conseguente limitatezza delle sue risorse economiche, che erano esclusivamente costituite dalle offerte della popolazione, dall'acquisizione di qualche lascito, o, come nel 1614, da una continuità di piccoli introiti che vennero concessi dal pontefice Paolo V a seguito dell'affiliazione all'Arciconfraternita Romana di San Rocco.
La povertà dell'oratorio ci è tramandata nello scritto seguito ad una visita pastorale dell'anno 1563, che così cita: "...un unico altare con affresco, una croce, due candelieri dì ottone, un palio dì tela dipinta e uno di tela verde con tutti i paramenti", costituiscono i modesti arredi confacenti all'esiguo patrimonio della Confraternita che non dispone di rendite, ma può contare sulle sole elemosine dei fedeli. Tale pochezza di mezzi fece sì che, ben presto, l'oratorio dipendesse dalla Chiesa collegiata di San Michele e che lo preservasse dalla soppressione voluta dalle leggi napoleoniche, le quali invece segnarono irrimediabilmente il destino dei conventi di Sant'Agata e di Santa Maria in Galilea.
Il profondo legame della confraternita con la vita religiosa della piccola comunità, composta, alla fine del 1600, da circa 550 abitanti, soggetti alla giurisdizione del Conte Crivelli, sembra favorire nel 1630, dopo la grande epidemia di peste, la costruzione della nuova chiesa, che noi riconosciamo nell'attuale parte alta a navata unica.
Non si hanno notizie dirette sulle vicende riguardanti la costruzione dell'oratorio, tranne che nei documenti di un lascito di Lorenzo Carenzio, parrocchiano di Santa Maria Maggiore, che, nel 1627, istituisce un legato testamentario, ordinando di celebrare, in sua memoria, delle messe, nell'altare intitolato a San Lorenzo, da costruirsi nell'oratorio di San Rocco sul lato destro, imponendo agli eredi di ornarlo convenientemente e mantenerlo in perpetuo. La trascuratezza degli eredi fa sì che nel 1760, dopo una visita pastorale, venga sospeso dal culto e solo nel 1786 riabilitato.
L'ubicazione della chiesa di San Rocco è tale che la distanza tra l'edificio e le costruzioni circostanti, crea uno spazio che, nella sua geometria, sembra conservare una traccia dell'antico tessuto del borgo medievale, riconoscibile nella pianta catastale sabauda del 1759.
La parte più antica è riscontrabile nella costruzione più bassa che corrisponde all'attuale coro della chiesa e che è contraddistinta dal motivo ornamentale di mensoline a T, visibile sotto la gronda.
La parte più alta dell'edificio, costituita da un'unica navata, risale agli anni immediatamente successivi al 1630. La facciata, coeva alla costruzione della nuova chiesa, fu intonacata di nuovo nei primi anni del 1900.
Sul lato nord dell'edificio si eleva la torre campanaria, costruita sopraelevando il tratto corrispondente la muratura più antica (attuale coro).
Si parla dell'esistenza del campanile solo nella visita pastorale del 1675, anche se la muratura della torre, omogenea fino alla cella campanaria, risulta coeva a quella della nuova chiesa (1630), alla quale ben si adattano le proporzioni del campanile, eccessive se riferite al più antico oratorio.
Lungo lo stesso lato, a ridosso della seconda campata, si vede l'inserimento di una cappella dedicata alla Vergine, costruita nei primi anni del 1700.
Sullo stesso fronte si notano i residui della presenza della costruzione del forno della Comunità, come risulta dall'antico catasto già citato.
All'interno, la prima campata del coro è coperta da una volta a crociera che i documenti di archivio e le analisi di termoluminescenza confermano essere coeva alla muratura della parte più antica della chiesa, mentre la volta a botte della campata successiva è stata costruita in un secondo tempo.
Sotto la pavimentazione attuale sono stati rinvenuti altri due pavimenti; il più antico datato tra il XV e il XVI secolo.
Lomello venne in possesso di Gian Galeazzo Visconti che, nel 1381 incarica l'ingegner Giacomolo Albranelli di fortificare il Borgo con la sua rocca. Si deve intendere qui il castello detto "nuovo" dagli abitanti, nel quale lo stesso Gian Galeazzo incontrò i Duchi di Borgogna e di Touraine.
Nell'interno, al piano rialzato, due sale ornate da notevoli affreschi; nella prima un ciclo profano. Nella volta una immagine di donna che regge nelle mani una sfera celeste ed un compasso. La sua figura è inserita in un ottagono ai cui lati appaiono i nomi dei venti, secondo la rosa tradizionale, rappresentati da testine di putti in atto di soffiare. Sono poi raffigurate le stagioni con i relativi segni dello zodiaco. Nelle lunette laterali: i lavori dei campi nelle diverse stagioni. Gli affreschi sono di autore anonimo del 1500 e seguono la maniera dei pittori fiamminghi. Il paesaggio non è quello di Lomello, ma collinare o montano. I costumi dei personaggi sono di tipo nordico.
Nella seconda sala, più piccola della precedente, è raffigurato un ciclo religioso, con la storia ed il martirio di Santa Caterina di Alessandria in Egitto, nelle lunette laterali, ed il Paradiso, secondo Dante, con i cieli, i beati, la Trinità, nella volta. Questa sala era, forse, una cappella privata, si pensa, del Cardinale Crivelli. Tutti gli affreschi sono da ricondursi all'opera di restauro, voluta dal Cardinale. Nell'attuale sala della Biblioteca è conservato il mosaico romano.
Si può così ricostruire la topografia di Lomello nei secoli XVI, XVII e XVIII.
La terra era cinta, in parte, da fossati e da mura, con porte, sopra una delle quali, nelle vicinanze del Castello, innalzavasi una piccola torre, detta torrino o colombaia. Questa torre era stata costruita, pare, dalla Comunità allo scopo di collocarvi un orologio; ma questo non avvenne, anzi la torre fu causa di contesa tra il Conte e la Comunità. I Crivelli, infatti, non vedevano di buon occhio quell'edificio, che, in caso di conflitto, poteva diventare molto molesto.
A ponente della rocca scorreva una grossa roggia, di cui una parte riempiva la peschiera del Castello, e l'altra irrigava i campi del Comune, detti dal popolo "terrapieni".
La realtà più importante è la società calcistica A.C.D. LOMELLO 1919 che attualmente vanta un settore giovanile completo dai pulcini alla juniores. La prima squadra milita nel campionato regionale di prima categoria.
Altra notevole realtà è la Società ciclistica Lomello fondata nel 1975. Vanta notevoli successi ottenuti dai suoi giovani ciclisti, sia a livello provinciale che regionale, ottenuti negli anni passati continuano tuttora. Atleti che hanno militato nelle sue file sono arrivati al professionismo ( es. Cerri Claudio e Rampollo Gabriele )
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