Robbio è un comune di Pavia.
Tracce di frequentazioni risalenti al neolitico e il ritrovamento, nella zona anticamente denominata "Prià" (l’odierno Borgo Nuovo), di asce risalenti all’età del bronzo, testimoniano la presenza dell'uomo in epoca preistorica. Nella stessa zona sono state rinvenute anche tombe romane e monete risalenti al 230-270. L'esistenza di un centro romano, Redobium, è attestato inoltre da Plinio il Vecchio.
In seguito fu occupata dai Longobardi, ai quali si deve la fondazione della chiesa dedicata a san Michele Arcangelo. Fu quindi in possesso della diocesi di Vercelli e, intorno all'anno mille, passò alla famiglia dei De Robbio, che ne furono feudatari e dominarono fino al XIII secolo anche sui paesi vicini (Palestro e Confienza). Fu contesa a lungo tra Vercelli e Pavia: al 1202 risale l’episodio più cruento, con la presa e la distruzione del castello da parte dei pavesi. Solo nel 1220 Robbio fu assoggettata definitivamente a Pavia da un diploma imperiale di Federico II, mentre il resto della Lomellina era pavese già dal 1164.
Fece quindi parte del ducato di Milano e passò sotto altri feudatari, dai Porro (1387-1432) ai Crotti (fino al 1654 e dal 1532 parte del contado di Vigevano), ai Trotti, con il titolo di conti fino al XVIII secolo, brevemente ai Belcredi di Pavia e dal 1730 ai De Roma di Milano (che sostengono una parentela con la celebre famiglia romana degli Orsini). Come il resto della regione fu a partire del XVI secolo sotto la dominazione prima spagnola e poi austro-ungarica e nel 1748 passò al Regno di Sardegna. Nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia nel Regno d'Italia.
Nel 1875 venne costruito il Municipio e sempre nel XIX secolo vi passò la linea ferroviaria tra Vercelli e Mortara e venne aperto il Canale Cavour, dando impulso al settore agricolo, in particolar modo per la produzione del riso. A partire dal XX secolo vennero impiantate sul territorio anche alcune industrie.
Nel 1998 Robbio ha ottenuto, per decreto dell'allora Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, la qualifica di città.
Il concentrico di Robbio è una importante tappa della Via Francigena in Lomellina, con la visita alla Chiesa di S.Pietro, presso cui sorgeva un punto di accoglienza e sosta dei pellegrini.
Il percorso proviene da Palestro e prosegue successivamente verso Nicorvo e Mortara.
La chiesa parrocchiale di S. Stefano è stata consacrata nel settembre del 1795 dopo una critica edificazione durata decenni. E' stata costruita sui resti dell'antica pieve la cui adiacente canonica è ancora ben rilevabile nei resti incorporati in una dipendenza della casa parrocchiale.
Lo stile architettonico evidenzia i molteplici e differenti interventi operati nel corso della sua costruzione. Nel 1965 sul frontale è stato apposto un bassorilievo opera dello scultore Cassino. Nell'interno sono da rilevare il bellissimo altare barocco della Madonna del Rosario, con i 15 medaglioni dei misteri e i Santi Domenico e Caterina in legno scolpiti, l'altare di S. Bovo, che gli sta di fronte, il coro ligneo, provenienti dalla soppressa chiesa della Madonna delle Grazie. Preziosissime sono le tavole dell'Assunta di Giuseppe Giovenone (1573). Altrettanto prezioso è il pavimento in mosaico molto elaborato, del 1851, che caratterizza, nella sua grande maestosità, l'interno dell'unica navata. La chiesa è sede delle nobili sepolture di cinque familiari dell'ultimo feudatario, il marchese Orsini Roma, da Milano. Nella prima cappella a destra dell'entrata, è stata posta una lapide con la cronologica successione dei prevosti robbiesi, dal 1057.
La chiesa di S. Michele è di antica tradizione locale per la sua dedicazione al Santo e potrebbe risalire all'epoca longobarda. La si ritiene sorta su quella primitiva edificazione. L'attuale edificio é riferito al tardo romanico o al primo gotico - lombardo. Di particolare interesse il cotto del rosone di facciata e di quello del portale. All'interno, interessanti affreschi tappezzano la parete sinistra e mostrano, pur nei limiti del livello artistico dei pittori, la buona mano della scuola vercellese se non proprio specificamente della bottega laniniana. Qualche studioso ha ipotizzato che l'affresco della Madonna insediata, del 1544, subito all'ingresso a navata sinistra, sia addirittura opera del maestro. Ad epoca anteriore (sec. XV), è attribuito l'affresco della natività. Altri dipinti scoperti nel sottotetto ci propongono una lettura più attenta della sua origine. La chiesa è stata sempre gestita dalla Comunità robbiese formata da piccoli e medio proprietari terrieri che vi insediarono, nel sec. XVII, la confraternita del SS. Sacramento. In fondo alla navata sinistra, l'altare detto di S. Giuseppe, porta l'insegna araldica del Comune di Robbio ed un grande quadro con i santi protettori del paese: S. Giuseppe, S. Valeriano, S. Sebastiano, S. Gioachino e S. Rocco. A proposito dell'insegna araldica robbiese, uno scudetto con due ruote e un albero al centro, si trova inciso all'esterno, in una finestra della stessa chiesa, datato 1557. La chiesa funzionava da succursale della parrocchia per 6 mesi dell'anno, durante la stagione invernale. Fu utilizzata per i giuramenti di fedeltà dei capi di casa quando venivano i feudatari a prendere possesso del loro feudo. Nel corso dei secoli, subì manomissioni e rifacimenti come nel 1700 quando furono costruiti il coro ed un nuovo campanile di chiaro stile barocco come alcuni stucchi dell'interno che forse ci occultano altri interessanti affreschi. Si salvò dalle perquisizioni napoleoniche dimostrando di essere proprietà comunale ed in sua vece finì nelle mani del demanio la secentesca chiesa della Madonna delle Grazie in piazza Marliano. Durante la prima guerra mondiale la Croce Rossa la utilizzò come ospedale militare. A tale uso era già stata destinata in occasione della battaglia di Palestro, nella seconda guerra di indipendenza.
Gioiello d'arte romanica, la chiesetta di S. Pietro, restaurata e riportata al suo primitivo aspetto architettonico nel 1960, si presenta ora bellissima e perfetta nella nobiltà del suo disegno millenario. Viene datata 1125-1150. Opera delle mani esperte delle maestranze lombarde operanti nella padania nord-occidentale, trova qui la sua espressione migliore anche se il campanile è stato elevato posteriormente. Prezioso è il cotto del portale e gli affreschi dell'interno che, sparsi sulle superfici dei pilastri e del catino absidale, ci offrono una melodiosa e colorita visione delle più significative scene evangeliche e immagini di santi il cui culto era localmente molto diffuso. Riconoscibile nella semicalotta centrale, in mandorla, il Cristo Salvatore attorniato dai simboli dei 4 evangelisti e scene sacre, la così detta bibbia dei poveri, per una facile lettura pedagogica agli analfabeti abitanti del borgo, S. Pietro con le chiavi, S. Pietro da Verona martire e S. Giovanni Battista. Caratteristico è l'affresco rappresentante la SS. Trinità, datato 1507, con le tre immagini uguali del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo che racchiudono, nel loro simbolismo grafico, accese diatribe teologiche, risolte solo con i decreti del Concilio di Trento che stabilì non doversi più rappresentare la Trinità con le tre figure dai volti, dai gesti e dal portamento, uguali. La chiesetta è proposta spesso come tipica espressione del romanico, nei testi di storia dell'arte e del Touring Club Italiano. Nei pressi era ubicato, come si rileva da documenti del XIII secolo, un ospitale: "Hospitale quod est iuxta portam S. Petri de Rodobio", di servizio ai pellegrini che, numerosi percorrevano la Via Francigena e che non si fossero fermati presso i monaci del vicino monastero cluniacense di S. Valeriano.
La chiesa di S. Valeriano faceva parte di un antico priorato cluniacense del sec. XI. La grandiosità della sua struttura è indice dell'importanza della sua funzione sulle rotte europee per la Francia ed il Nord - Europa ed in senso inverso per Roma, la così detta "via francigena o romea". Ricco di donazioni terriere imperiali e feudali, il monastero con tutte le sue strutture, doveva garantire gratuitamente sosta e ristoro materiale e spirituale, ai messi imperiali e papali. Più volte fu saccheggiato dalla soldataglia dei vari eserciti che si combattevano. Anche la chiesa fu sacrilegamente violata e distrutta nel corso dei secoli come dimostra l'incisione leggibile sull'ultimo pilastro a destra che recita: "1216 1 die... septeb fuit destructo monaster....". L'interno è a tre navate e il suo schema planimetrico riflette il disegno a croce latina. Comparata ad altre similari costruzioni in Piemonte ed in Lombardia, riflette un disegno tardo romanico lombardo sia per il modello a "sala", che per la facciata riconducibile alla tipologia "a schermo" come ad altri fondamentali canoni architettonici del romanico classico. L'apparato monastico è totalmente cancellato e non ne rimane traccia alcuna, come dell'esistenza del campanile, ancora ricordato in carte dei sec. XVII. Non soggetta alle autorità ecclesiastiche locali e diocesane per la nota autonomia cluniacense, rifiutò parecchie volte le visite pastorali dell'ordinario. Declassata in Comenda dopo la crisi della Casa Madre di Cluny e passata in proprietà laica, questa non si curò più della sua manutenzione, ritenendo superato il suo destino primario di luogo sacro. Fu divisa in due piani con scala esterna d'accesso e utilizzata come deposito e magazzino. Non porta tracce d'affreschi se non qualche medaglione nell'incrocio dei cordoli di volta in cui si legge la figura di un vescovo che potrebbe essere quella del Santo titolare, S. Valeriano. Questo Santo, vescovo di Abbenza (Tunisia), morì nella persecuzione di re Genserico nel 460. I cristiani, all'epoca dell'invasione musulmana, ne portarono la salma, con quella di S. Agostino, prima in Sardegna e poi a Pavia. Qui rimasero i resti del Santo Dottore; quelli di S. Valeriano vennero inviati a Robbio. La chiesa, diroccata nella parte absidale, è stata resa officiabile con la chiusura operata a termine delle navate e utilizzando lo spazio disponibile per le funzioni sacre.
La chiesetta campestre di S. Rocco, piccolo oratorio di preghiera, venne eretta forse senza una particolare e imperiosa giustificazione rintracciabile nei documenti. Si potrebbe ipotizzare, però, una emotiva sollecitazione venuta dalla terribile peste detta di S. Carlo del 1578. Edificio costruito in mezzo ai campi ad un Km dal paese e forse al limite di una strada campestre poco battuta, in zona molto paludosa ancora nel XIX secolo, potrebbe essere stato un insediamento isolato per un eventuale utilizzo come lazzaretto.
L'edificio si presenta oggi col suo rustico mattonato murario e con la maestosità dell'avanportico. Nata con specifica dedicazione a S. Rocco per l'evidente sua caratteristica devozionale, la chiesetta conobbe nei secoli gli alti e bassi delle vicissitudini locali, quindi è stata sostanzialmente legata alle grosse epidemie che periodicamente minacciavano il paese, fino a dover inglobare un avancorpo da utilizzare come ospedale o lazzaretto, costruito dalla comunità nel corso del sec. XIX per il minacciato annuncio dell'arrivo del colera. Così composita, continuò ad espletare compiti devozionali e sanitari a seconda delle necessità, fino a servire come magazzino di deposito, casa per sfollati ed ufficio per la vigilanza rurale ed urbana. All'interno presenta affreschi secenteschi come sulla parete sinistra, una Madonna con S. Antonio abate e S. Francesco attribuibili a mani di bottega vercellese del Lanino o di Giovenone; sono visibili le incisioni di contorno delle figure e altri interventi con diverse datazioni. L'abside ci offre una bellissima Madonna insediata con bambino, con a lato i santi Rocco e Sebastiano attribuibili alla stessa scuola e coevi all'erezione dell'edificio. L'oratorio è di proprietà Comunale.
Casalè, antico e popoloso insediamento rurale e religioso alto medioevale con convento, è in carta 1086 come Casalelio e comprendeva tre chiese: S. Maria, S. Saturnino e S. Pietro. L'attuale edificio di S. Maria è di stile romanico "ad aula unica absidata", porta segni evidenti di manipolazioni posteriori profonde di cui una importante è evidenziata nella "ricostruzione barocca" dell'elevazione dell'edificio e nella "riedificazione della zona presbiteriale". Un semipilastro del manufatto lo caratterizza proponendolo come "unicum nell'architettura romanica padana". Conserva all'interno un ciclo di affreschi molto significativo per la complessità del disegno, la famiglia delle figure e la mano degli artisti che vi hanno lavorato e per la conoscenza del culto dei santi rappresentati. Il tutto viene riferito a Giovenone il Giovane e alla sua bottega vercellese. Sono facilmente identificabili: San Cristoforo, San Sebastiano, S. Rocco, S. Defendente, San Giovanni Battista, S. Michele, Santa Liberata, S. Ignazio, Santa Caterina d'Alessandria, Santa Maddalena, Santa Brigida, Santa Chiara, S. Gerolamo, S. Antonio Abate, S. Onofrio, S. Barbara, S. Anna, S. Lucia, S. Agata, Santa Caterina da Siena, e una complessa raffigurazione della Madonna con bambino con a lato S. Bernardo da Chiaravalle, S. Stefano, S. Lorenzo, la rappresentazione della Morte (uno scheletro ghignante) e S. Francesco d'Assisi.
La storia del palio di Robbio ha inizio con l'abbattimento di un grande olmo che venne abbattuto dopo 220 anni di vita. Era situato davanti alla chiesa parrocchiale ed era considerato parte integrante del patrimonio cittadino. Piantato nel 1768 assieme ad altri olmi, rimase l'unico dopo che questi vennero abbattuti per reperire legname.
Nel corso degli anni settanta la pianta andò incontro a un processo degenerativo dovuto ad un fungo (graphium ulmi). Il 2 luglio 1983 il "grande vecchio" fu abbattuto e questo fu un evento che coinvolse emotivamente i Robbiesi. Inizialmente si decise di lasciare solo il tronco, un ricordo alto più di 3 metri e di quasi 5 di circonferenza, ma dopo qualche tempo anche quel troncone fu abbattuto ed il vecchio urmòn sparì per sempre. Alcune sezioni del tronco furono distribuite alle istituzioni e ai cittadini.
In ricordo del grande olmo abbattuto, si tiene il "Palio dl'Urmon", che si svolge durante una settimana a partire dall'ultima domenica di agosto. Durante la settimana, alla sera, gli otto rioni (Campagnola, Canton Balin, Castello, Ciot, Mulin, Muron, Piana, Torre) si sfidano in svariati giochi per stilare una classifica che sarà poi la griglia di partenza della Corsa delle Carriole (tre Carriolantes per ognuno degli otto rioni) , gara decisiva che stabilisce il vincitore del palio. La settimana del Palio ha inizio con l'arrivo della fiaccola che ogni anno parte da un santuario diverso e viene portata dagli atleti della Podistica Robbiese.
Robbio, nonostante le sue piccole dimensioni, può contare su un numero di quasi 1500 volontari, ossia oltre il 15% della popolazione locale. Numerose sono le associazioni di Volontariato tra le quali spiccano l’AVIS che, con quasi 700 donatori, si pone tra le primissime sezioni come indice di penetrazione nel territorio (la media italiana è dell'1-2%), la Croce Azzurra Robbiese, che con oltre 150 volontari garantisce il servizio 118 e il trasporto dei malati programmati per le visite negli ospedali più vicini, ed i Vigili del Fuoco Volontari che fonda le sue radici nel lontano 1843 ed oggi è uno dei distaccamenti con i mezzi più nuovi e all’avanguardia della provincia, acquistati grazie al contributo della cittadinanza e l'associazione Robbio nel Cuore, nata nel 2013 per diffondere la conoscenza delle manovre di rianimazione cardio-polmonare e la defibrillazione precoce sul territorio. Tra le altre associazioni si ricordano l’ADMO che conta diversi iscritti, l'AIDO, l’Agap, onlus nata per dare sostegno ai locali Vigili del Fuoco, il gruppo “Rosa dei Venti” della Protezione Civile, la Caritas, il Movimento per la Vita e Panta Rei.
Il 30 marzo 2010 è stata fondata a Robbio l'organizzazione di volontariato Robbio nel Cuore, nata, dall'idea di due giovani robbiese Enrico Baldi e Roberto Francese, per diffondere l'insegnamento delle manovre salva-vita BLS e BLS-D alla maggior parte dei cittadini robbiesi e dei paesi limitrofi e l'installazione di defibrillatori semi-automatici (DAE) nei punti strategici della città.
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