Scaldasole è un comune situato nella Lomellina meridionale, nella pianura tra il Terdoppio e l'Erbognone (affluente dell'Agogna).
Il paese è noto per il suo imponente castello medioevale, una delle più importanti architetture fortificate della Lombardia.
Il toponimo Scaldasole, che si trova anche in altri luoghi in Lombardia, deriva probabilmente dalla voce longobarda sculdascio indicante un giudice locale: se è corretta questa ipotesi, Scaldasole doveva essere già un centro di qualche importanza in epoca longobarda (secoli VI - VIII). La prima citazione risale al X secolo; appartenne alla Contea di Lomello, dipendente dai Conti Palatini. Nel 1250 è incluso nell'elenco delle terre del dominio pavese, nell'ambito della Lomellina. Nel XIV secolo il paese era sotto la signoria dei Campeggi di Pavia, che nel 1334 lo subinfeudarono ai Folperti, anch'essi di Pavia. Il feudo rimarrà in seguito ai Folperti, salvo alcuni anni (1436-1451) in cui ne sono investiti gli Avalos. Nel 1456 però Stefano Folperti lo vendette a Francesco III Pico della Mirandola, che risiedette nel castello e vi morì nel 1461.
Gli sopravvisse la figlia Taddea, Signora di Scaldasole, sposa di Giacomo I Malaspina di Fosdinovo, marchese sovrano di Fosdinovo e Signore di Massa. Ciò diede l'occasione per il potente Malaspina di acquistare anche il vicino vasto feudo di Sannazzaro de' Burgondi, di cui avrà in seguito la signoria una linea dei Malaspina che ne prenderà il nome. Invece Scaldasole, primo feudo malaspiniano in Lomellina, sarà ceduto nel 1577 da Giulio Cesare Malaspina, discendente di Giacomo I, al conte Rinaldo Tettoni, che lo rivendette nel 1582 al cardinal Tolomeo Gallio, nella cui famiglia (Gallio duchi di Alvito, con titolo di Marchesi dal 1613) rimase fino all'abolizione dei feudi (1797).
Scaldasole, con tutta la Lomellina, nel 1713 fu incluso nei domini di casa Savoia, e nel 1859 entrò a far parte della provincia di Pavia.
Il castello di Scaldasole comprende oltre al castello vero e proprio anche un ricetto secondo uno stile architettonico raro in Lombardia ma molto comune in Piemonte.
Ha origini antichissime si stima sia stato costruito verso la fine del X secolo. Fu presto utilizzato come dimora signorile e vennero presto integrati nel complesso un portico ed una loggia. Il complesso comprende sette torri medioevali, diverse volte e camini rinascimentali, alcune sale ottocentesche, la cappella e il giardino dove si conservano ancora due enormi magnolie.
Degne di nota sono la quattrocentesca Camera Longa adibita fino all'inizio del XIX secolo all'amministrazione del feudatario e alle riunioni del Consiglio della Comunità locale, la sala da ballo in stile Luigi Filippo affrescata nel 1846 dal Maggi, allievo dell'Appiani. Inoltre all'interno del ricetto si possono inoltre ammirare delle carrozze del XIX secolo, splendidamente conservate, un'armatura medievale ed una raccolta di armi d'epoca.
Una sala del castello è riservata alla raccolta archeologica Antonio Strada (1904-1968), ispettore onorario alle antichità e ai beni librari per la Lomellina, comprendente reperti di varia tipologia ed epoca, dall'età neolitica al periodo longobardo.
Il castello fu costruito alla fine del X secolo. Nel 1404 Ardengo Folperti, alto funzionario visconteo, appartenente ad una nobile famiglia pavese, fece realizzare il ricetto dagli architetti Milanino de Saltariis, Bernardo e Martino de Soncino, per utilizzarlo come rifugio popolare, mentre il castello fungeva da dimora signorile. Nella seconda metà del secolo i marchesi Malaspina divennero nuovi feudatari di Scaldasole e lo arricchirono di un portico ed una loggia.
Nella sua lunga storia il castello di Scaldasole ha prestato la sua ospitalità a importanti personalità come nel 1491 Isabella d'Aragona, figlia di Alfonso duca di Calabria e promessa sposa di Gian Galeazzo Sforza, nel 1497 l'imperatore Massimiliano I d'Asburgo e nel 1533 Carlo V d'Asburgo; nel XIX secolo anche il ministro Camillo Benso conte di Cavour.
La proprietà del castello passò dai marchesi Sannazzaro ai nobili Campeggi e, nel XIV secolo, ai Folperti. Nel 1436 fu da Filippo Maria Visconti ceduto a messer Jñigo d'Avalos conte di Ribaldeo e nel 1444 a Giovanni Pietro da Sesto. Nel 1451 ritornò ai Folperti per poi pervenire poco dopo a Francesco Pico della Mirandola conte di Concordia e nel 1461, per atto di successione, a suo genero Giacomo Malaspina marchese di Fosdinovo. Nel 1577 divenne proprietà del conte Rinaldo Tettoni, il quale la vendette al cardinale Tolomeo Gallio di Como nel 1582. Gli eredi, i Gallio Trivulzio duchi d'Alvito, alienarono le proprietà locali al loro livellario Carlo Brielli nel 1799 che, tre anni dopo, le diede in investitura perpetua al nobile Giovanni Antonio Strada.
Nei registri delle rationes decimarum del 1322-1323 redatti per la diocesi pavese è annoverata la chiesa di San Giuliano di Scaldasole (Chiappa Mauri 1972), che venne istituita nel XVI secolo come parrocchia; sia il Pianzola che il Bergamo sostengono fosse un'antica cappellania, di patronato nobiliare, sotto il titolo di San Giuliano martire con rettore dipendente da Dorno (Bergamo 1995).
Secondo quanto riportato dal Pianzola, nel XVI secolo apparteneva al vicariato di Galliavola; e nel XVIII secolo a quello di Dorno (Pianzola 1917).
Con la bolla 17 agosto 1817 di Pio VII "Beati Petri apostoli principis" (bolla 17 agosto 1817) e con il breve 26 settembre 1817 "Cum per nostras litteras" (breve 26 settembre 1817), sempre di Pio VII, venne aggregata alla diocesi di Vigevano (Diocesi di Vigevano 1987); rimase inserita nel vicariato di Dorno (circolare Toppia 1819), mentre nel sinodo del vescovo di Vigevano monsignor Giovanni Toppia del 1823 è attestata appartenere al vicariato di Sannazzaro (Sinodo Toppia 1823).
Dagli atti della visita pastorale del 1845 del vescovo di Vigevano monsignor Vincenzo Forzani, si desume che la popolazione della parrocchia di San Giuliano martire, di patronato del principe di Colobrano duca d'Alvito di Napoli e dei marchesi Malaspina, era composta da 212 famiglie per un totale di 1.101 persone. I redditi della parrocchia assommavano a 90 lire piemontesi, date dalla comunità a titolo di rimborso spese; il reddito del beneficio parrocchiale era composto da 2.850 lire piemontesi. Nel territorio parrocchiale esisteva la chiesa dei Santi Rocco e Bernardino, la cappella di Santa Lucia presso il cimitero, e quella privata della famiglia Strada presso il castello. Nella chiesa dei Santi Rocco e Bernardino aveva sede l'omonima confraternita (Visita Forzani 1845).
Nel 1924, la parrocchia di Scaldasole fu elevata a prepositura con decreto del vescovo di Vigevano monsignor Angelo Scapardini (Rivista diocesana vigevanese 1924).
Nel 1971, la parrocchia di Scaldasole venne assegnata alla zona pastorale est, con decreto 6 gennaio 1971 del vescovo di Vigevano monsignor Luigi Barbero (decreto 6 gennaio 1971) (Rivista diocesana vigevanese 1971); dal 1972 vicariato di Sannazzaro, con decreto 1 gennaio 1972 del vescovo di Vigevano monsignor Mario Rossi (decreto 1 gennaio 1972) (Rivista diocesana vigevanese 1972).
Il Bosco Scaldasole occupa un dosso sabbioso ed è una delle pochissime zone forestali residue della Lomellina. Occupa una superficie di 73 ettari circa.
Questa riserva naturale deve la sua importanza alla compresenza di due fattori; costituisce, infatti, una delle pochissime zone forestali residue della Lomellina, e inoltre il bosco occupa un dosso sabbioso.
Nella fascia di rispetto si trovano prevalentemente seminativi, come, il mais, il frumento e l'erba medica, mentre il bosco è occupato in parte da giovani robinie affiancate da specie arbustive, quali il rovo, il sambuco, il nocciolo e il biancospino.
Interessante è la presenza della farnia con esemplari di 20 metri di altezza, la cui esistenza è però minacciata dall'attacco di parassiti che sono un segnale del grave stato di compromissione del bosco.
In generale la limitatezza che qui si riscontra nelle specie vegetative, riflette la povertà floristica tipica dei boschi xerofili su dosso e influenza negativamente anche la presenza faunistica, soprattutto dei volatili.
Nonostante tutto nel Boschetto trovano fissa dimora i colombacci, la tortora, l'usignolo di fiume, la capinera, le cince, oltre alle specie più comuni come i fagiani, gli storni e le cornacchie grigie.
Unico rapace è l'allocco, mentre tra i picchi si trova soltanto il picchio rosso maggiore. Infine sono presenti numerosi conigli selvatici, specie tipica di questi ambienti sabbiosi dove possono costruire le loro tane sotterranee.
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