giovedì 31 dicembre 2015

PIURO

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Piuro è un comune situato a nord-ovest del capoluogo della provincia di Sondrio. Parte del suo territorio non appartiene alla Regione geografica italiana essendo idrologicamente compreso nel bacino del mare del Nord.

Il nome deriverebbe dal latino plorare (piangere) in ricordo di un'antica catastrofe, che distrusse l'antico borgo di Belforte nel secolo IX, secondo quanto ci narra Johann Guler von Wyneck.
Successivamente Piuro, raggiunta una notevole prosperità economica, venne sconvolto da un'altra catastrofe, il 4 settembre 1618, quando il Monte Conto franò sul paese cancellandolo dalle mappe. Questo evento ebbe vasta eco in tutta Europa, data la fama dei mercanti piuraschi. I pochi superstiti fondarono il nucleo di Borgonuovo, nelle vicinanze della chiesetta di Sant'Abbondio e delle cascate dell'Acquafraggia.

Attualmente non esiste più un paese di nome Piuro, ma vi sono diverse frazioni sul territorio che hanno mantenuto la vecchia denominazione a livello comunale. Il Comune e le maggiori attività produttive si trovano in località Prosto.

Il territorio comunale di Piuro si estende su due diverse valli: a sud nella Val Bregaglia, tra i comuni di Chiavenna e di Villa, ove vi sono svariati nuclei abitati su entrambi i fianchi della Valle, sulla strada che conduce da Chiavenna al Maloja. A Nord la Val di Lei appartiene quasi totalmente a Piuro, in virtù di antichi diritti di pascolo. Dal 1961 buona parte della valle è occupata da un lago artificiale. In virtù di questa particolare disposizione, Piuro è uno dei pochi comuni italiani che si estende al di là dello spartiacque alpino, con il Reno di Lei. Dal lato meridionale, oltre al Mera, corso d'acqua principale, vi sono svariati torrenti, il più noto dei quali è l'Acquafraggia.

Ecco cosa scrive nel resoconto dei suoi viaggi in Valtellina e Valchiavenna, intitolato “Raetia”: “Piuro è un bellissimo borgo, che si potrebbe benissimo paragonare a una cittadina per i suoi architettonici palagi, per i campanili, le chiese ed altre costruzioni, se fosse anche cinta di mura. Il suo nome deriva dalla parola latina “plorare”, ossia piangere, a cagione di un lacrimevole disastro che ivi accadde in antico. Narra infatti una vecchia leggenda che nei tempi andati questo borgo sorgesse più addentro nella stretta gola della valle, dove una tremenda ed improvvisa piena del fiume lo travolse, distruggendolo totalmente. In seguito i superstiti trasferirono le loro dimore nel luogo dove sorgono oggidì, e mutarono pure al paese l’antico nome di Belforte in quello attuale: ad eterna memoria della passata sciagura. Piuro è il capoluogo del territorio circostante, donde vengono gli abitatori per ricevere giustizia… Gli abitanti sono gente operosa che attende per lo più ai traffici; e poche piazze commerciali ci sono in Europa dove essi non esercitino qualche industria; perciò hanno guadagnato grande ricchezza. Ma la sventura potrebbe di bel nuovo abbattersi su questo paese, prostrandolo una seconda volta”.
Il von Weineck si riferisce, nelle sue note, ad un primo disastro che si compì, probabilmente, molti secoli prima, forse nell’VIII secolo d. C. A Piuro non seppe delle lodi del viaggiatore di lingua tedesca, e neppure ebbero modo di inquietarsi del suo monito finale. E neppure se avessero potuto leggere quelle parole, con tutta probabilità, si sarebbero preoccupati: la fama del von Weineck non era quella di profeta. Eppure, due anni dopo, nel 1618, in un piovoso scorcio d’estate, accadde qualcosa di incredibile, come se un destino inscritto nella denominazione di paese del pianto si compisse inesorabilmente.
Il mese di agosto volgeva al termine, quando una decina di giorni di pioggia ininterrotta parvero porre bruscamente fine all’estate. Una pioggia torrenziale, insistente, preoccupante. I montanari sanno che piogge violente e concentrate posso riservare amare sorprese: la Mera sarebbe potuta straripare di nuovo, come quando si portò via l’antica Belforte, oppure dal monte sarebbero potuti scendere smottamenti e frane. Ma poi la fitta coltre di nubi cominciò a diradarsi, il cielo finalmente si aprì, mostrando un sole ancora caldo, in quell’inizio di settembre.
Le apprensioni rientrarono, si ringraziò il cielo perché nulla di grave era accaduto, nonostante la Mera, con le sue acque limacciose e turbolente, si precipitasse ancora verso Chiavenna con una violenza impressionante. Altri segni avrebbero dovuto indurre a non ritenere cessato il pericolo: alcune crepe inquietanti si erano aperte sul fronte montuoso meridionale, in diversi punti le piante avevano assunto un’inclinazione anomala, le api, con comportamento inspiegabile, erano sciamate ad est, verso Villa di Chiavenna, le bestie davano segni insistenti di inquietudine. Si trattò di segni che non furono, però, colti, ed allora accadde l’imponderabile. Un intero pezzo di monte, il monte Conto, venne giù, una massa immensa di materiale calcolabile nell’ordine dei milioni di metri cubi. Era il 4 settembre, secondo il calendario gregoriano (ma, secondo il calendario imposto a Piuro dal dominio protestante dei Grigioni, che, in opposizione a Roma, non avevano accettato la riforma gregoriana, si era ancora al 25 agosto).
Fu un disastro immane, la cui notizia corse per l’Europa, quell’Europa nelle cui piazze commerciali, come notava il von Weineck, erano ben conosciuti i mercanti di quel borgo sperduto nella bassa Val Bregaglia. La notizia suscitò ovunque grande impressione e commozione, e la frana che aveva sepolto Piuro venne raffigurata anche in diverse stampe. Potremmo tranquillamente paragonare l’impatto emotivo di quel che accadde a ciò che, in tempi assai più vicini a noi, è accaduto con la frana del monte Coppetto, in val Pola, durante la tragica alluvione del luglio 1987. Si salvarono le frazioni di Prosto, Cranna, S. Croce, ma nel centro del paese un migliaio di persone rimasero sepolte sotto l’enorme frana. Vennero, poi, iniziati gli scavi per cercare di recuperare qualche segno del paese sepolto, ed ancora oggi l’area di questi scavi è ben visibile: si tratta della zona detta di Ruina, segnalata da cartelli ben visibili, che si incontrano, sulla destra (per chi proviene da Chiavenna), mentre si attraversa il paese.
La cultura popolare ben poco sa del fatale concorso di cause naturali, dell’instabilità geologica di versanti che, magari senza dare segno di sé per secoli, può rovinosamente manifestarsi in pochi minuti: la cultura popolare associa il grande disastro naturale ad un’idea di giustizia cosmica, o divina, che si serve anche degli eventi naturali per punire una colpa. Già, ma quale colpa? Una ben nota leggenda ("Leggenda sulla distruzione di Piuro", di Romerio Zala, in "Quaderni Grigionitaliani", Poschiavo, 1965, pp. 12-13, e "Alcune memorie sulla magnifica comunità di Piuro", del celebre storico Crollalanza), nata per spiegare la tragedia della Piuro sepolta, parla di una colpa relativa ad una delle più antiche leggi di umanità, conosciuta presso tutti i popoli, una legge non scritta che prescrive di offrire asilo allo straniero, di ospitare il viandante, di soccorrere il mendicante. Il tema della leggenda è semplice e classico: la ricchezza aveva indurito molti cuori, fra gli abitanti di Piuro, rendendoli insensibili al bisogno dei poveri e dei mendicanti, una colpa che doveva essere pagata nel modo più terribile.
Non fu la pioggia torrenziale, allora, ma un mendicante, capitato la sera del 3 settembre 1618 a Piuro, la causa vera della frana distruttrice. Questo mendicante aveva bussato inutilmente alla porta delle famiglie più ricche del paese: nessuno aveva avuto compassione per la sua povera e stanca figura. Solo presso una famiglia umile e misera trovò ospitalità. Cenò, quindi, nell’umile casa dei contadini, O meglio, condivise la loro profonda miseria e la loro fame. Non c’era, infatti, da mangiare a sufficienza per le numerose bocche da sfamare, ed i bambini non si saziavano del poco che veniva dato loro come cena. La madre, allora, mestamente, metteva sul fuoco una pentola d’acqua, aggiungendo dei sassi ed invitando i figli a pazientare: alla fine anche quelli, cotti, si sarebbero potuti mangiare. I bambini attendevano, affamati, finché il sonno li vinceva, e la madre poteva gettar via i sassi di quel triste inganno. Questo vide il mendicante, e fu lui ad essere preso dalla compassione. Non si trattava, in realtà, di un mendicante qualunque. Era una figura che veniva da Dio, e quella sera accadde un prodigio che lo attestava: la madre, accingendosi a gettar va i sassi, si accorse, incredula, che questi si erano tramutati in profumate patate, una manna per la povera famiglia contadina. Svegliò, ebbra di gioia, i bambini ed il mendicante, che si era ritirato con discrezione, e servì le patate fumanti a tutti, che ne mangiarono con gusto, a sazietà. Il mendicante ringraziò e disse che ora poteva andare.
Ma prima di lasciare la casa, pronunciò alcune frasi misteriose: quella notte, disse, si sarebbero uditi rumori violenti ed impressionanti, ma per nessun motivo gli abitanti della casa avrebbero dovuto affacciarsi alla finestra per guardare o, peggio ancora, uscire all’aperto. Poi scivolò via, nel cuore della notte, e, dopo non molto tempo, accadde proprio quel che egli aveva detto: un boato sordo ed immane scosse le mura della casa. Tutti balzarono in piedi, e la madre non resistette alla curiosità: non guardò dalla finestra, come le era stato raccomandato, ma almeno un’occhiata dal buco della serratura volle gettarla. Vide solo per pochi istanti la frana che si precipitava su Piuro: poi non vide più nulla, perse la vista.
Le case dei ricchi furono sepolte, ma la casa che aveva dato ospitalità al viandante rimase intatta. Una seconda versione della leggenda racconta che non fu la madre, ma il padre a non resistere alla curiosità: guardò alla finestra e rimase cieco.
Piuro fu davvero, allora, il paese del pianto, e tale, forse, appare ancora oggi a chi visiti la zona degli scavi, circa duecento metri oltre Borgonuovo: qui è venuto alla luce un tratto di strada, con cinque scheletri, resti delle mura di abitazioni ed il pavimento di un’officina di tornitura.
Una leggenda riportata nel bel volume di Antonio Colombo "Piuro sepolta" (L'Ariete, Milano, 1969, pg. 84), racconta di un capitano che agli inizi del settecento giunse allo sbocco della Val Bregaglia deciso ad intraprendere degli scavi per portare alla luce l'immenso tesoro che, si favoleggiava, fossero rimasti sepolti sotto la frana. Gli scavi cominciarono, ma ben presto, una notte, mentre il capitano si accingeva a tornare alla locanda nella quale dimorava, si vide sbarrare la strada da un pauroso fantasma, che gli intimò di interromperli e di lasciare in pace i morti. Così fece e nessuno più, dopo di lui, osò profanare la terra della tragedia per cercare di portare alla luce le ricchezze sepolte.
Don Peppino Cerfoglia, nella "Sintesi di storia e vita valchiavennasca" (Edizioni S.A.G.S.A., Como, 1948, pg. 178), riporta un'analoga leggenda: gli spiriti dei morti nella tragedia tornerebbero, nel cuore di alcune notti, a danzare fra i vigneti ed i macigni del Pian della Giustizia a Piuro.
Nei pressi della chiesa di S. Abbondio a Borgonuovo si trova il museo degli scavi della frana di Piuro; i pannelli illustrativi così ricostruiscono l'immane catastrofe:
"Appare difficile immaginare quanto sia potuto accadere la sera del 4 settembre del 1618, quando una frana staccatasi dal versante settentrionale de "il Mottaccio" distrusse l'intero paese di Piuro, seppellendo tutti i suoi abitanti. Non appaiono chiari elementi che ci aiutino a ricostruire un fenomeno così rapido e disastroso; il fondovalle degrada infatti dolcemente verso il fiume Mera.
L'evento è stato perciò ricostruito sulla base dell'analisi della ricca documentazione bibliografica e di indagini e rilievi condotti sul terreno.
La settimana che precedette la frana fu caratterizzata da prolungate ed intense precipitazioni che ingrossarono sia la Mera che i torrenti delle valli laterali. Le acque dei torrenti che scendevano erano torbide fangose. Nei giorni precedenti la frana era stata osservata l'apertura di fessure nel terreno, in località "Prato del Conte". I contadini che lavoravano in questa zona sentirono tremare il terreno sotto i piedi con intensi rumori. Un uomo che era intento a tagliare un albero notò con grande stupore il rapido aprirsi di una profonda frattura; corse ad avvertire gli abitanti che, riluttanti ad abbandonare la propria terra, non fecero caso alla notizia.
Lo sera del 4 settembre del 1618 (corrispondente al 25 agosto dell'antico calendario) si verificò la frana. Nel giro di qualche minuto l'abitato di Piuro fu investito da una valanga costituita da massi, blocchi e terriccio che distrusse e seppellì il fiorente abitato.
La nicchia di distacco è stata localizzata sul versante idrografico sinistro della Val Bregaglia, in corrispondenza del versante settentrionale de "il Mottaccio" (1925.2 m slm), poco ad est della località "Prato del Conte" (1436.8 m slm). I crolli successivi all'evento principale hanno determinato l'arretramento verso l'alto della nicchia, sino al raggiungimento del crinale del versante, in accumuli ancor oggi individuabili morfologicamente a partire da metà versante sino a sotto la nicchia stessa. Il volume totale franato è stato stimato nell'ordine di 6 milioni di metri cubi.
La tipologia del fenomeno franoso è riconducibile ad una valanga di roccia, ovvero ad un movimento in massa di tipologia complessa, nel quale si distinguono almeno due stadi: in una prima fase si ha il distacco e/o lo scivolamento del volume di roccia; 'successivamente il detrito prodotto si muove rapidamente lungo il versante, nel caso specifico su un dislivello di 1000-1200 metri, in un movimento simile a quello di un fluido. La massa in movimento ha coinvolto più o meno direttamente una fascia di versante diretta nord-sud ed estesa lateralmente 200-300 metri che presenta una pendenza media del 55-65%, ed è costituita da diversi gradini (salti) in roccia.
Lo spostamento d'aria provocato dalla massa in rapida discesa ha raggiunto il versante opposto, arrecando danni e distruzione anche in quell'area. L'accumulo di frana ha sbarrato le acque del fiume Mera. Il livello dell'acqua ha iniziato così a salire ed ha invaso la piana retrostante lo sbarramento, creando un lago (estensione 4-6 ettari) di aspetto simile a quello formatosi in Valtellina a seguito della frana di Val Pola del 1987. Nel giro di un paio d'ore è stata raggiunta la quota di massimo invaso ed è iniziata una lenta, naturale tracimazione delle acque.
Se si osserva oggi l'accumulo di frana, presente in fondovalle, si può valutare come la sua estensione verso nord raggiunga la strada statale e la parte di "Borgonuovo" posta in destra al fiume Mera (420-430 m slm). L'estensione massima in direzione sia nord-sud che est-ovest raggiunge i 700-800 metri.
La topografia di questa zona, ad esclusione della presenza di alcuni promontori costituiti da blocchi rocciosi, si presenta praticamente pianeggiante e degradante dolcemente verso il fiume con pendenze medie del 4-5%.
Singolari sono l'appiattimento dell'accumulo nel fondovalle e l'assenza di una fascia di detrito di raccordo al pendio retrostante.
Il giorno successivo alla frana iniziarono i soccorsi fra le rovine dove si udirono lamenti per due giorni e due notti. Una grida stabiliva che si dovesse dare sepoltura alle "creature" trovate "in Mera, lagho, et ogni altro luogo d'essa Giurisdizione".
Gli scavi per il recupero dei beni sepolti seguirono su iniziativa del governo grigione e del comune di Piuro. Gli scavatori, sotto giuramento, si impegnavano a consegnare il ritrovato, con pena, per chi non avesse obbedito, di 10scudi "et squassi tre di corda in publico" per volta. Furono recuperate ferramenta, legnami, suppellettili, biancheria oltre ad arredi sacri: una pianeta in broccato d'oro, un bacile d'argento, una croce capitolare e cinque calici d'argento. Gli scavi proseguirono anche per iniziativa degli eredi e dei preti di Piuro che incoraggiarono la ricerca delle campane, recuperate nel 1618, 1639 e 1767.
Il campanone ("la Piura") venne ritrovato nel 1859 da una società di scavo costituita da gente delle borgate vicine. In questi anni l'organizzazione civile e religiosa di Piuro rimase distribuita fra le frazioni che attorniavano la "rovina" (S. Croce, Savogno, S. Abbondio e Prosto) mentre nel territorio devastato si succedevano attività private di scavo e bonifica di terreni con ripristino di colture.
L'attività di estrazione e lavorazione della pietra ollare procedette fino alla metà dell'800; nel 1851 sorse la contrada Borgonuovo sulla sponda destra della Mera, a nord della rovina.
Anche nell'ottocento e nel novecento si fecero ritrovamenti più o meno occasionali di reperti dell'antica Piuro: ossa umane, utensili, suppellettili e monete. Nel 1963 e nel 1966 campagne di scavo vennero condotte su iniziativa dell'Associazione italo-svizzera per gli scavi di Piuro ed il materiale recuperato fu esposto a partire dal 1972 nel Museo di Piuro. Un ulteriore arricchimento di reperti si ebbe nella breve campagna di stavo eseguita nel 1988 dall'Amministrazione comunale e in occasione di scavi edilizi.
A tutt'oggi dell'antica Piuro è visibile una piccola parte emersa con gli scavi del '63: un tratto di strada ed i resti di un'officina di tornitura testimoniano il borgo sepolto dalla montagna.
Fra le attuali frazioni, S. Croce conserva un antico impianto urbanistico con due chiese del XII secolo, il palazzo del pretorio o "Ca de la giustizia", costruito dopo la frana ed un grande torchio da vino settecentesco; S. Abbondio, significativo nucleo di architettura rurale, è poco discosto dal campanile isolato nella Valle Duana privato della chiesa nel 1755 in seguito ad un'alluvione (ospita, presso la chiesa costruita successivamente, il Museo degli scavi); Prosto, sede comunale, conserva antichi edifici ed il sontuoso palazzo Vertemate, oggi Museo, ricco di affreschi ed arredi cinquecenteschi, dove è custodito il dipinto che raffigura Piuro prima della rovina.
Da Prosto, oltre il ponte sulla Mera, dalla chiesa di S.Maria si dipartono i sentieri che salgono alla montagna dove si trovano sparse le antiche cave di pietra ollare ,il cui commercio, insieme a quello della seta, contribuì alla ricchezza della Piuro scomparsa.


La catastrofe del 4 settembre 1618 (nei Grigioni, non essendo stato adottato il calendario gregoriano, era il 25 agosto) vide l'immane frana del Monte Conto, sovrastante Piuro, che venne in tal modo cancellato: non vi fu nulla da fare, nonostante i tempestivi soccorsi dalla vicina Chiavenna, coordinati dal commissario grigionese Fortunato Sprecher. Le vittime furono valutate dallo stesso Sprecher nel numero di 900, mentre lo storico contemporaneo Benedetto Parravicini aumentò questa cifra di 300 unità, per un totale di 1200 persone. La frana cancellò non solo il paese e le sue ricchezze, ma anche intere famiglie. I pochi superstiti e i piuraschi scampati alla rovina fondarono Borgonuovo. Il disastro ebbe vasta eco in tutta Europa, finendo per essere citato, a distanza di secoli da Ludovico Antonio Muratori e Immanuel Kant. Da quel momento Piuro non ebbe più alcuna rilevanza politica, seguendo in tutto le vicende della vicina Chiavenna.

Le cascate dell´Acquafraggia si trovano a Borgonuovo e le parti visibili anche dalla strada sono solamente le più suggestive, ma non le uniche.
Il bacino dell´Acqua Fraggia è situato all´imbocco ovest della Val Bregaglia.
Il torrente omonimo nasce dal pizzo di Lago a 3050 msm, in un punto di spartiacque alpino dal quale scendono fiumi che sfociano nel mare del Nord, nel mar Nero e nel Mediterraneo. Scendendo verso il Fondovalle percorre due valli sospese, ambedue di origine glaciale, l´una sui duemila e l´altra sui mille metri di altitudine. L´Acqua Fraggia forma quindi una serie di cascate, di cui quelle più in basso, con il loro doppio salto sono solo le più suggestive. Si capisce così l´origine del nome Acqua Fraggia, da "acqua fracta", cioè torrente continuamente interrotto da cascate.

Le cascate, con il loro maestoso spettacolo, impressionarono pure Leonardo da Vinci che "trovandosi a passare per Valle di Ciavenna" ne ammirò la bellezza selvaggia e le menzionò nel suo "Codice Atlantico": "Su per detto fiume (la Mera) si truova chadute di acqua di 400 braccia le quale fanno belvedere...".
Dalla sommità delle cascate si percorre un sentiero attrezzato tra castagni, ginestre e rocce; di qui è possibile ammirare da vicino questo stupendo spettacolo naturale, unico nel suo genere per bellezza e imponenza. Una breve deviazione sulla destra porta ad un ampio terrazzo, a pochi metri dal fragoroso turbinio delle acque.

Si ha qui la sensazione di essere "dentro" la cascata stessa, di farne parte, tanto
sono forti il rombo e i forti spruzzi di acqua e di luce.

Geologicamente la zona è interessata dalla unità Tambò del pennidico medio, con gneiss biotitici, generalmente a grana fine. Nel settore botanico rilevanti sono gli ontani, l´abete bianco e la flora rupicale, tra cui la rara Oplimennus undulatifolia, l´erica arborea e, in un suggestivo castagneto alla base delle cascate, un esteso tappeto di Allium ursinum. Ma va segnalata anche una felce, la pteris cretica, che qui trova la stazione europea più settentrionale grazie alla costante nebulizzazione dell´acqua della doppia cascata.
Sulle sponde del torrente, circa a quota mille, sorgono i paesi di Savogno e Dasile.
Più in basso, a quota 558, il villaggio di Cranna.

Le cascate dell´Acquafraggia costituiscono un complesso naturale imponente.
Allo splendido assetto paesaggistico si somma il grande interesse geologico presentato dalla sua origine e le conseguenze ambientali che ne sono derivate.

Le due imponenti cascate, ben visibili da lontano, rappresentano un tipico esempio di escavazione glaciale ad "U" nella valle principale (la Valchiavenna), che ha lasciato "pensili" gli affluenti, che vi precipitano mediante un poderoso salto.
Sulle pareti della roccia, e principalmente al suo piede, cresce una flora rupicola particolare, favorita dal microclima che la nebulizzazione dell´acqua, cadente dalle cascate, determina.
Di eccezionale interesse è la presenza di una rara felce (Pteris cretica) che qui trova la sua stazione europea più settentrionale; frequenti erica arborea e altre specie. Al piede, sui prati non falciati, è presente la rara Oplismennus undulatifolia. Lateralmente alle cascate vi è un bellissimo castagneto con tappeto ad Allium ursinum.
Non sono state svolte ricerche faunistiche ma si presume che il microclima particolare, determinato dalle cascate, possa ospitare una fauna, specialmente micro e mesofauna, di particolare interesse. Non si nutrono eccessivi timori per la conservazione di questo interessante fenomeno naturale fatte salve le minacce, periodicamente incombenti, di captazione delle acque a monte.
È opportuno sottolineare l´importanza che le cascate rivestono, dal punto di vista didattico, quale completamento della notevole rassegna di fenomeni glaciali diversi, presenti nella zona di Chiavenna.

Geologicamente la zona è interessata dalla unità del Tambò del pennico medio, con gneiss biotitici, generalmente a grana fine.
Nel settore botanico rilevanti sono gli ontani, l´abete bianco e la flora rupicale, tra cui rara Oplimennus undulatifoglia, l´erica arborea, e in un suggestivo castagneto alla base delle cascate, un esteso tappeto di Allium Ursinum.

Ma va segnalata anche una felce, la pteris cretica, che qui trova la stazione europea più settentrionale grazie alla costante nebulizzazione dell´acqua della doppia cascata.
Sulle sponde del torrente, circa a quota mille, sorgono i paesi di Savogno e di Dasile permanentemente abitati a partire dal secolo XV allorché l´aumento della popolazione, l´insalubrità e l´insicurezza del piano spinsero ad abitare i nuclei di mezza costa. Essi sono raggiungibili da Borgonuovo percorrendo una mulattiera formata da oltre duemila gradini, che tocca dapprima gli interessanti nuclei delle stalle dei Ronchi e dei crotti di Savogno (nel primo nucleo, di particolare rilievo il mastodontico Torchio da vino).

Il Monumento Naturale della Cascate dell´Acquafraggia, offre la possibilità di godere dell´affascinante spettacolo di questo angolo di natura ancora selvaggia nel cuore della Bregaglia italiana.
Un percorso attrezzato all´interno del parco permette di conoscere da vicino l´ambiente che circonda le cascate con rigogliosa vegetazione e rocce scure, ammirando, dalle terrazze panoramiche lungo il sentiero, la vista sull´intera vallata fin verso la piana di Chiavenna.
Diversi itinerari escursionistici hanno come punto di partenza le Cascate dell´Acquafraggia.

Il principale è la caratteristica mulattiera che sale all´antico borgo di Savogno con lenti tornanti. Il percorso è interessante dal punto di vista storico-culturale, perché fa rivivere momenti di storia delle genti di montagna. Savogno può essere raggiunto attraverso la variante del "sentiero di Pigion", che da S. Abbondio (Crotti della Cànoa) sale in diagonale fino a congiungersi con la mulattiera, e anche da Villa di Chiavenna (crotti di Motta), attraversando a mezza costa la Bregaglia fra i boschi di castagni e betulle.
A Savogno si trova un´accogliente rifugio, base di partenza per escursioni verso il vicino borgo di Dasile e per raggiungere gli alpeggi di Corbia e di Lago dell´Acquafraggia. Gli itinerari in quota affrontano le traversate dei passi alpini sovrastanti che portano alle mete di Avero e della Valle di Lei.
Savogno è tappa importante all´interno dell´itinerario storico escursionistico Via Bregaglia, che si snoda tra Italia e Svizzera, con partenza da Chiavenna ed arrivo al passo del Maloja.
Una segnaletica orizzontale e verticale (bandierina bianco-rossa e frecce di indicazione con relativi tempi di percorrenza) caratterizza la rete di sentieri di fondovalle, di mezza costa e in quota.

Il Palazzo Vertemate-Franchi: una delle poche testimonianze storiche della Piuro pre 1618, fu costruito in località Cortinaccio di Prosto dalla famiglia Vertemate come residenza di campagna. Dopo la catastrofe rimase come palazzo principale della famiglia, venendo via via restaurato ed abbellito da numerose opere d'arte. Attualmente è di proprietà del Comune di Chiavenna.
Il borgo di Savogno, nucleo abitato nella Valle dell'Acquafraggia (a circa 900 metri di quota), rimasto pressoché intatto dopo lo spopolamento avvenuto dopo il Secondo Dopoguerra. La locale chiesa fu una delle prime parrocchie assegnate al futuro santo Don Luigi Guanella. È raggiungibile solo a piedi, tramite una mulattiera di 2000 gradini.
La Chiesetta di Sant'Abbondio: fu costruita in località Borgonuovo ed ospita il Museo degli scavi dedicato alla Piuro pre 1618 e contenente i reperti ritrovati dall'Associazione Italosvizzera degli Scavi di Piuro.
Le chiese romaniche di S. Croce: in numero di due, si trovano nell'omonima frazione del comune di Piuro. In quella di S. Martino si conservano gli affreschi più antichi della Provincia di Sondrio risalenti al 1030-1050. Di autore ignoto, gli affreschi vengono attribuiti alla scuola del Maestro dell'Apocalisse di Civate e la sua squadra. La seconda chiesa romanica, dedicata all'invenzione della Croce, è ad insolita pianta circolare. Nominata la prima volta nel 1176, viene comunque fatta risalire al periodo precristiano, magari come tempio dedicato alla Dea Madre. All'interno si conserva l'ancona lignea di Yvo Strigel di Memmingen in Germania. Questo altare a sportelli, datato 1499, è l'unico altare ligneo giunto sino ai nostri giorni.
I torchi: lungo i sentieri e nelle antiche contrade di Piuro si possono trovare anche gli antichi torchi a trave pesante, utilizzati per la pigiatura dell'uva e la successiva pressatura delle vinacce. Uno si trova alle stalle dei Ronchi di Savogno, uno a S. Croce a pochi passi dalla chiesa Rotonda, e l'altro nella frazione montana di Cranna.
Belfort e il campanile di S. Abbondio: si possono ammirare sul luogo dell'antica Piuro, i resti di uno degli 8 palazzi dei Vertemate in Piuro. Questo luogo, Belfort o Pe dei Rovan, è raggiungibile attraverso le piste ciclabili, a poche centinaia di metri dal centro abitato di Borgonuovo, direzione est. Anche il campanile di S. Abbondio, datato 1600, è scampato alla furia delle frane piurasche. È visitabile.


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