Samolaco è un comune alle porte della Valchiavenna. Qui le alpi Lepontine vengono a spegnersi precipitando, quasi, nella bassa piana della Mera, faccia a faccia con le alpi Retiche, che mostrano il loro volto più aspro e selvaggio, ed insieme solare, nel versante orientale della Valchiavenna. Qui le estreme propaggini del lago di Como si incontra(va)no con la piana posta sul limite meridionale della Valchiavenna: Samolaco, appunto, da “summo lacu”, “alla sommità del lago”, e così era in passato, prima che disastrose alluvioni portassero, nel 1520, alla separazione dell’attuale lago di Novate Mezzola dall’alto Lario ed allo spostamento a sud della sua estremità superiore.
Qui celebrano le loro eterne nozze acqua e terra, in un connubio che è insieme esplosione di aspri dissidi e tessitura di profondissime armonie: le abbondanti precipitazioni (oltre 3000 mm annui) regalano al versante montuoso di Samolaco una straordinaria ricchezza di corsi d’acqua e sorgenti, che, insieme all’azione dei ghiacciai del quaternario, terminata 30.000 anni fa, ne hanno modellato la ricca venatura di valli e vallecole ed il ritmico alternarsi di colline moreniche presso il piano.
Qui la civiltà della parola ha disegnato uno dei più singolari confini fra le parlate del “bric(h)’” (così suona il “no” sul lato occidentale della Mera) e del “minga” (il diniego sul lato orientale del fiume), confine forse meno perentorio di quanto comunemente si crede, ma di certo ben radicato nell’immaginario popolare.
Qui la storia di grandi movimenti d’arme, dalla calata del Barbarossa a quella delle dei Lanzichenecchi nella funesta guerra dei Trent’Anni, si è incontrata, come una tangente incontra una curva, toccandola, solo, senza reciderla, con i quieti e faticosi ritmi di un’antichissima civiltà contadina, impegnata a La chiesa di S. Pietro a Samolaco. Di qui passava l’antichissima strada regia (poi denominata “Regina”) che da Como saliva a Chiavenna, per poi valicare le alpi e portare a Coira: vi transitavano, incrociandosi, incontrandosi, mercanti, pellegrini, soldati.
Qui la fede cristiana si è, per la prima volta, incontrata con i remotissimi culti dei “pagi”, attraverso la figura del martire Fedele, soldato della legione Tebea martirizzato nel 298 d.C. in località Torretta. Qui il curioso camminatore può incontrare i molteplici segni di una vita al cui ricordo siamo forse ancora affezionati, come il vivente può essere affezionato a ciò che non vive più.
In origine il termine Samolaco si riferiva ad un nucleo di pescatori posto sulla rive settentrionali del Lario, probabilmente poco distante, ad ovest, degli attuali resti della chiesa di S. Giovanni all’archetto, di origine romanica (fu edificata probabilmente intorno al 1000). Ne parla già un resoconto di viaggio di Antonino Pio, imperatore romano dal 138 al 161 d.C., e lo citano documenti successivi, nelle varianti di Summus lacus, Summolaco, Somolego, Semolego e Samolico. Nel Medioevo Samolaco fu importante pieve (cioè circoscrizione religiosa che unificava più parrocchie, ma anche unità La Mera nei pressi della confluenza nel lago di Novate Mezzola. Della pieve di Samolaco facevano parte anche Gordona e Colorendo. Essa, a sua volta, apparteneva alla porta San Lorenzo, insieme alle pievi di Sondrio, Berbenno, Chiavenna, Ardenno, Olonio. Nel secolo successivo, però, e precisamente nel 1335, con la dominazione dei Visconti, che erano divenuti signori di Como, fu assorbita da Chiavenna. Un documento del 1436 attesta che l’“universitas loci et territori Semologo, Vallis Clavenne” faceva ormai parte, amministrativamente, della Valchiavenna.
È proprio in questo secolo che Samolaco, come nucleo a sé stante, scomparve, probabilmente per le conseguenze di violenti fenomeni di origine alluvionale (frane e smottamenti) provocati dai torrenti Casenda e Meriggiana. Di questa scomparsa parla anche Giovanni Guler von Weinceck, governatore di Valtellina per le Tre Leghe nel 1587-88 ed autore di una nota descrizione di Valtellina e Valchiavenna edita a Zurigo nel 1618, con il titolo di “Raetia”. Scrive, al riguardo: “Proseguendo verso nord s’incontrano le rovine di un borgo, in antico assai rinomato, detto Samolaco: che significa all’estremo del lago… Di Samolaco fa menzione Antonino Augusto nel suo itinerario, dove egli scrive che da Muro, I ruderi della chiesa di S. Giovanni all'Archetto. In antico questo paese fu assai fiorente; ma nel Medio-evo le intemperie e le altre cause aprirono a poco a poco, in alto sul monte, un pauroso scoscendimento che di quando in quando franava in basso, non cessando la sua opera deleteria sino al giorno in cui col pietrisco minuto, con ciotoli e con enormi macigni distrusse totalmente ogni edificio del borgo: così che oggi si può scorgere a mala pena dove il paese sorgesse. Restano soltanto, sul posto dell’antica Samolaco, i ruderi di alcune torri ed una parte della chiesa che era stata eretta in onore di S. Giovanni. In questo luogo fu martirizzato S. Fedele dai sicari di Massimiano".
Dopo la rovina del nucleo originario, il termine “Samolaco” passò a designare l’insieme, l’intarsio, si potrebbe dire, dei nuclei posti a nord-ovest, nord e nord-est di quello originario, che incontriamo percorrendo l’attuale strada provinciale Trivulzia che corre parallela alla ss. 36 dello Spluga sul lato occidentale della piana della Mera. Nel secolo XV sono già attestati, infatti, gli abitati di Monastero, Sorboggia, Silvaplana, Paiedo, L’Era, Ronco, Roncilione (Ronscione), Fontanedo, Pozzolo, Bedolina, Nogaredo, Casenda, del Manco, Cusciago, del Bono, Pedemonte, Cadampino, Casaccia, Cesura. Ronscione e Monastero formavano una vicinanza a sé, con propri boschi e alpeggi, e proprie adunanze.
Il comune di Samolaco compare per la prima volta in un documento del 1301 insieme a quelli di Chiavenna, Mese, Prata, Valle (Val San Giacomo), e viene citato negli Statuti di Como del 1335 come “comune loci de Somologo”. Sulla base dei suoi ordinamenti, capo della comunità stava il console, eletto dai capifamiglia, durava in carica un anno, proveniva di volta in volta dalle diverse frazioni, convocava e presiedeva i consigli, riscuoteva e amministrava le entrate e rappresentava il comune nei consigli di giurisdizione e di contado. Era assistito, nella sua opera di governo, dai maggiorenti delle principali frazioni, che si riunivano, con intervento del notaio, a Silvaplana (l’attuale San Pietro). Si riuniva, inoltre, periodicamente anche un consiglio generale degli uomini del comune o del popolo di Samolaco, che era formato dai capifamiglia del comune, i quali erano convocati dal console nella piazza “avanti la chiesa di Sant’Andrea”, per discutere ed approvare le questioni fondamentali della vita della comunità: l’elezione del console e del consiglio di comunità, l’incanto per il dazio del pane, l’affitto dei beni comunali, la lettura degli ordini comunali.
Il consiglio generale decideva anche in alcune materie di culto ed eleggeva il consiglio di comunità di Samolaco, il quale, a sua volta, provvedeva all’elezione degli ufficiali (officiali) di comunità: tre stimatori (uno per terziere) “per formare le liste e cavare li conti”; due provisionari, con il compito di La bassa piana della Mera (versante occidentale). La validità dell’assemblea era condizionata dalla presenza della “maggior parte” dei capifamiglia.
Modesto era il rilievo economico di Samolaco agli inizi del Cinquecento: gli estimi ne valutavano il “reddito” in 2 lire, decisamente inferiore a quello dei vicini comuni di Mese e Prata (entrambi con 13 lire) e di Gordona (12 lire). Un’economia, dunque, di sussistenza o poco più, centrata sulla coltivazione del castagno e di orzo, miglio, segale, panìco e legumi, cui si univa l’essenziale integrazione dei latticini e della carne degli animali allevati; del resto, ancora al tempo dell’inizio della dominazione viscontea, nel 1335, la totalità della popolazione apparteneva al ceto dei servi della gleba o al più a quello degli artigiani, mentre assenti erano i nobili.
Gli inizi del Cinquecento segnarono, però, un momento di fondamentale importanza per questa terra: proprio nel 1500 i Francesi si impadronirono di Milano ed estesero per dodici anni il loro dominio sulla Valchiavenna. Gian Giacomo Trivulzio, condottiero al loro servizio, venne nominato conte di Chiavenna e promosse un ampio lavoro di bonifica del piano di Samolaco, facendo scavare due canali dal lago verso nord per lo scolo delle acque e la canalizzazione del basso corso dei torrenti Boggia e Mengasca. Si costituì, così, sui terreni bonificati, un’ampia fattoria che venne denominata “La Trivulzia”. Nel 1512 ai Francesi si sostituirono le Tre Leghe Grigie, signore di Valtellina e Valchiavenna fino al 1797, e la meritoria opera si interruppe: erano, però, poste le basi per un primo moto di spostamento al piano di parte della popolazione contadina, anche perché i Grigioni concessero, nel 1541, la Trivulzia in enfiteusi perpetua ai comuni della valle, suscitando le proteste del Vescovo di Como.
Della Trivulzia e del suo progressivo degrado parla, nella già citata “Raetia”, anche Giovanni Guler von Weinceck, scrivendo: “Tornando dalla montagna verso il piano, vediamo sorgere alcune case, dette la Trivulzia, perché furono costruite da G. Giacomo Trivulzio, per lo sfruttamento della vasta pianura circostante, la quale allora era pingue ed asciutta, mentre in seguito si ricoprì in parecchi punti di canneti, di muschi e paludi. Dal lago giunge fino alla Trivulzia un canale navigabile: per cui si può accedervi tanto per terra che per acqua. Qui ancora il Trivulzio, usufruendo di questi ottimi pascoli, Era. Foto di Massimo Dei Cas www.paesidivaltellina.itteneva un allevamento di stalloni e cavalli. Ma quando questi terreni pervennero nelle mani dei Grigioni, il canale, di cui non c’era più bisogno, si interrò e le fattorie caddero in rovina.”
La collocazione della Trivulzia, però, potrebbe anche essere diversa: forse coincide con l'ampia piana più a sud, denominata "prèe dal pòort", fra la frazione di Nogaredo e la Mera. Quel che è certo è che il Trivulzio pensò di sfruttare la tenuta anche a fini militari, introducendovi l'allevamento di una razza pregiata di cavalli andalusi, che fu, molto dopo, incrociata con quella avelignese dell'Alto Adige, dando origine al pregiato ceppo "Samolaco-avelignese" che è uno dei vanti locali.
Nel secolo successivo, il Seicento, la vita della comunità fu segnata dai grandi eventi che toccarono ed anche sconvolsero le valli dell’Adda e della Mera, soprattutto durante la rovinosa Guerra dei Trent’Anni, che le vide per un lungo periodo al centro delle contese geopolitiche fra l’asse cattolico dell’Impero asburgico e della Spagna, da una parte, e l’alleanza fra protestanti e Francia, dall’altra. Le due forze si contendevano il controllo strategico delle vie di accesso dal milanese ai territorio di Germania e parte del loro confine coincideva proprio con quello meridionale di Samolaco: il comune, infatti, dal 1512 era, con Valtellina e Valchiavenna, possesso delle Tre Leghe Grigie, di confessione riformata ed alleate della Francia, mentre a sud del confine, che passava per la Val della Porta e saliva fino alla cima del monte Belinghera (m. 1930), si aprivano i possessi del Ducato di Milano, dominato dagli Spagnoli. La popolazione contadina si strinse alla sua terra, sul versante montuoso, fra Paiedo, Piazzaberdogna e Sorboggia, mentre il piano era percorso dalle soldatesche delle due parti ed interessato a La facciata della chiesa di S. Pietro.
Il punto più basso di questo periodo oscuro coincise certamente con la calata dei famigerati Lanzichenecchi (mandati dall’imperatore Ferdinando II per difendere i propri diritti sul Ducato di Mantova) lungo la Valchiavenna: costoro, nonostante fossero cattolici e portassero spesso al seguito le proprie donne e bambini, operarono tali razzie e violenze, durante la sosta che precedette la calata nel Milanese, da essere definiti, dal Lavizari, le soldatesche “più barbare e rapaci, che da molto tempo inondassero l’Italia”. L’esito più funesto del loro passaggio fu, però, la terribile epidemia di peste, descritta a Milano dal Manzoni, che infierì dal 1629 al 1631, riducendo, secondo alcuni, la popolazione di Valtellina e Valchiavenna a poco più di un quarto. La stima più attendibile parla, comunque, di una riduzione della popolazione della Valchiavenna da 18.000 a poco più di 8.000 abitanti.
Venne, infine, la sospirata pace, con il capitolato di Milano, del 1639, che sancì che “nella Valtellina e nei due contadi (sc. di Chiavenna e di Bormio) non vi dovesse essere altra religione, che non fosse la cattolica”.
Un quadro sintetico di Samolaco nella prima metà del Seicento è offerto dal prezioso manoscritto di don Giovanni Tuana (1589-1636, grosottino, parroco di Sernio e di Mazzo), intitolato “De rebus Vallistellinae” (Delle cose di Valtellina), databile probabilmente alla prima metà degli anni trenta del Seicento (edito nel 1998, per la Società Storica Valtellinese, a cura di Tarcisio Salice, con traduzione delle parti in latino di don Abramo Levi). Vi leggiamo: “La terza parochia del lato dritto si chiama Samolico, perché quivifinisce il Lario. Questa terra, se bene ha un decano, è però parte della comunità di Novato. È vicecura et la chiesa è di S. Pietro: ha alcune contrate alle radici del monte et nel monte ancora, verso Gordona, dalla quale dista quatro miglia: cioè Vigazolo, Casendro, Fiera (dov'è unmonticello con un oratorio di S. Andrea, dove altre volte v'era un castello delli Triulsi di Milano, nel qual luoco ancora, secondo la traditione dell'antico, v'era il tempio di Venere); Paié con l'oratorio di S. Francesco, in mezzo la montagna sopra Samolico, dal qual luoco per sentieri et longhi si va a Sorico; Chiesa di S. Andrea ad Era. .
L'aria è cattiva: il territorio è assai fertile di grano et di castagne, non però di vino, essendo puoco et cattivo. A Samolico fu amazato dalli littoridi Diocletiano et Massimiano, imperatori, S. Fedele martire, il corpo delquale finanzi 700 anni fu transportato a Como da Ubaldo vescovo.
Tra Gordona et Samolico, a mezzo il monte, sopra una acuta rupe si vede una torre del pan perduto, quale serviva per avisar la città di Milanocon fumo et fiamma, notata nell'altre torri subsequenti di quella valle et del lago di Conio et del castello Baravetello , sì che in termine d'un'hora si sapea se v'era qualche novità di guerra, o pericolo delli vicini Reti, over Francesi. Appresso questa torre scorre un grosso rivo dalla montagna, qual si chiama Boggia, nel letto del quale altre volte si cavava l'argento. Nel piano puoco lontano dalla Boggia, v'è Selvapiana con una chiesa di S. Pietro, quale appartiene a Samolico. Et con il territorio di Samolico finisce il contado di Chiavena nel fianco dritto della Mera.”
La ripresa demografica, dopo il tracollo dovuto alla peste, si fece sentire solo a partire dal Settecento, anche grazie all’introduzione dal milanese della viticoltura, della patata e del granoturco. Questo, detto dialettalmente “formentóom”, divenne ben presto un elemento fondamentale della civiltà contadina, ancora oggi spesso identificata con l’alimentazione a base di polenta; del resto, un antico detto popolare afferma “desc’ dòt puléent e pö l’è fésc’ta”, cioè “diciotto polente, poi è festa” (nel senso La chiesa di Sant'Andrea al Mot. che per sei giorni si mangia polenta tre volte al giorno, poi viene la domenica). Queste brevi note sull’economia agricola di Samolaco non sarebbero complete senza la menzione dell’allevamento del baco da seta, introdotto nel Cinquecento, e di quello dei cavalli avelignesi, di cui sopra si è detto, apprezzati, per docilità e resistenza, soprattutto sui percorsi di montagna.
Fra Seicento e Settecento il comune di Samolaco si organizzò in terzieri: il terziere di sotto (o di San Pietro, dal 1719) era formato dalle squadre di Selvapiana e Monastero; il terziere di mezzo (o di Sant’Andrea, dal 1741) era formato dalle squadre di L’Era e Nogaredo, Fontana e Montenovo; il terziere di sopra, infine, era costituito da Paiedo.
Un quadro sintetico della situazione del paese a metà del settecento ci viene offerto dallo storico Francesco Saverio Quadrio, che, nell’opera “Dissertazioni critico-storiche intorno alla Rezia di qua dalle Alpi oggi detta Valtellina” (Edizione anastatica, Bologna, Forni, 1971), scrive: ”A chi giù naviga per l'Adda, gli si presenta davanti, Sommo Laco, come Antonino Augusto nel suo Itinerario l'appella, o sia Samolico, come corrottamente fu poi nominato, così detto perchè stà in capo del Lago, e giace a gradi 46. minuti 8. di latitudine secondo l'Anville. Le sue Vicinanze sono Vigazzolo, Gasenda, Era, Pajedo, Selvapiana, Monasterio, Rogoredo, Roncione, e Monte Novo. In Era era un Castello detto di S. Andrea, edificatovi dal Magno Trivulzio. Nel Monte Novo era pure una Torre Panperduto appellata, poco distante dal Fiumicello chiamato Bogia, che mette capo nella Mera: e nella Pianura son tuttavia molte Fabbriche, che si chiamano alla Trivulzia, per esser tutti que' Luoghi un tempo da esso Magno Trivulzio posseduti.”
Poi, alla fine del Settecento venne la bufera napoleonica, che ridisegnò la carta politica dell’Europa. La Valchiavenna venne inserita nella Repubblica Cisalpina prima e nel regno d’Italia poi. Nell’assetto definitivo della repubblica cisalpina, del maggio del 1801, Samolaco era uno dei settanta comuni che costituivano il distretto III di Sondrio del dipartimento del Lario. Nel successivo regno d’Italia (1805), Samolaco venne ad appartenere al IV cantone di Chiavenna, come comune di III classe, che contava 1.321 abitanti. Nel 1807 figurava costituito dalle frazioni di San Pietro o Selvapiana (150 abitanti), Roncilione (125), Monastero (63), Schenone (41), Nogaredo (17), Era (44), Montenuovo (28), Fontanedo (25), Casenda (22), Vigazolo (36), Paiedo (176), Somaggia (95).
Caduto Napoleone, la Valchiavenna fu inglobata nel regno Lombardo-Veneto, dominio degli Asburgo d’Austria. Samolaco era comune del VII distretto di Chiavenna e, nel 1853, con le frazioni di Somaggia, San’Andrea e Pajedo, contava 1179 abitanti. I nuovi dominatori promossero la costruzione della prima carrozzabile per lo Spluga (1818-1822), da cui trassero grandi vantaggi gli allevatori di cavalli di Samolaco. L’altra faccia della medaglia era, però, il temutissimo servizio militare nell’esercito imperiale, cui dovevano sottostare, per ben sette anni, i giovani sorteggiati, una vera iattura per le famiglie che si vedevano sottrarre per così lungo tempo una manodopera preziosissima. Dopo la seconda guerra di Indipendenza gli Austriaci furono cacciati dal milanese e nel 1861 venne proclamato il Regno d’Italia, nel quale entrò anche Samolaco, con i suoi 1305 abitanti.
La Ca' Pipeta, o Pipetta, nei boschi sopra S. Pietro. Foto di Massimo Dei Cas www.paesidivaltellina.itLa seconda metà dell’Ottocento, tuttavia, non fu facile per la comunità samolicana: anche per effetto di nuove tasse, la precarietà della situazione economica di molte famiglie determinò un’accelerazione del flusso migratorio, ora indirizzato verso le americhe, tanto che, come scrivono Amleto Del Giorgio, Andrea Paggi nell’Inventario dei toponimi di Samolaco (cfr. nota bibliografica), “negli ultimi decenni del secolo, si può dire, praticamente tutte le famiglie samolachesi avevano almeno un membro in America”. Il flusso emigratorio ebbe però un risvolto di cui tutti gli abitanti di Samolaco sono estremamente orgogliosi: Martino Illia partì da Ronscione, presso S. Pietro, per emigrare in Argentina nel 1882, dove divenne artigiano ed imprenditore; suo figlio, Arturo Umberto Illia, nato nel 1900, si laureò in medicina e nell'ottobre del 1663 divenne presidente della Repubblica Argentina. Purtroppo la sua presidenza fu prematuramente interrotta, nel giugno del 1966, da un golpe militare, ma lasciò un indelebile ricordo di onestà e rettitudine.
Le rimesse degli emigranti diedero un considerevole impulso all’economia del comune, così come un ruolo importante rivestirono l’arginatura della Mera, la costruzione della linea ferroviaria Colico - Chiavenna (1886) e quella del primo ponte sul fiume (póont de lera, chiamato anche ponte Nave, 1886). Qui, anticamente, il lago raggiungeva il suo punto più settentrionale, e di qui, dunque, passavano piccoli navigli (questo spiega la denominazione di ponte Nave). Nel medesimo periodo proseguì e venne completata la bonifica della piana della Mera (1880-1910).
Il Novecento si aprì in un clima complessivamente positivo, cui contribuirono la costruzione della strada comunale Somaggia – Era - S. Pietro - S. Cassiano (1911) e l’apertura della latteria sociale. Samolaco contava, nel 1901, 1920 abitanti. Venne, però, ben presto la prima guerra mondiale, che si portò via 30 soldati di Samolaco; ancor più grave fu l’effetto della terribile epidemia di influenza spagnola che infierì subito dopo la sua conclusione (1818), mietendo diverse decine di vittime.
Negli anni venti l’emigrazione cambiò la sua direttrice: non più le Americhe, ma l’Australia.
Negli ultimi anni ha ritrovato slancio il tradizionale allevamento del cavallo avelignese di Samòlaco, derivato da intricati incroci di razze, che garantisce resistenza. docilità e attitudine alla montagna.
L'antico nucleo di Casenda, ben conservato nella sua struttura tradizionale, si trova allo sbocco dell'omonima valle dove l'abitato di Paiedo (886 m), ora abbandonato, presenta tracce di notevole antichità.
A valle di Casenda, nei pressi di Vigazzolo sorgeva il porto romano di Summolacu (ossia "alla sommità del lago"), a cui si giungeva anche per via di terra, proseguendo lungo un tratto di strada Regina, poi completamente abbandonata, di cui si vedono ora solo delle tracce in vicinanza della chiesa, pure abbandonata; di S. Giovanni alI'Archetto, con resti di muri romanici.
Lungo una strada secondaria che passa dai nuclei abbandonati di Fontanedo, Ronco e Montenuovo, si può raggiungere Era (213 m), ricca di prati, sede comunale di Samolaco, da cui si sale alla chiesa medioevale di S. Andrea (400 m), che conserva interessanti affreschi del sec. XVI ed altri realizzati dal Macolino.
L'ampio panorama che vi si gode diede al luogo importanza strategica per il controllo sulla valle.
Si prosegue sulla Trivulzia, attorno alla quale sorgono frazioni nate con la bonifica del piano; fino a San Pietro (255 m), allo sbocco della vai Mengasca. Il nucleo più caratteristico si trova attorno alla chiesa secentesca dall'imponente campanile, mentre si dice che la torretta medioevale di Colombee abbia ospitato il Barbarossa.
Fra castagneti e alcuni vigneti si sale lungo la val Mengasca attraverso la 'via dei crotti', una mulattiera lungo la quale venivano e vengono tuttora utilizzate cantine naturali molto fresche con temperatura pressochè costante per tutto l'anno, denominate crotti, si può proseguire poi fino alle località di Monastero e di Santa Teresa, località un tempo abbandonate ed ora in parte recuperate, in un paesaggio ricco di bellezze naturali.
Lungo il sentiero che conduce alla torre di Segname, con breve una deviazione, è possibile visitare la Cà Pipeta, un grande riparo interamente costruito sottoroccia, anticamente adibito con molta probabilità anche ad abitazione, all'interno della costruzione, in stato di abbandono sono presenti diversi locali e sono ancora visibili i resti di una antica stufa.
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