martedì 1 settembre 2015

AGNOSINE

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Agnosine è un comune italiano della Comunità Montana della Valle Sabbia.

Il territorio del comune di Agnosine è situato nella zona centro-occidentale della Val Sabbia, nella cosiddetta "Conca d'Oro", dove scorre il fiume Vrenda. Il territorio è prevalentemente montuoso ed è compreso tra i 320 metri ed i 1000 metri sul livello del mare.

Attualmente il comune comprende le frazioni di Trebbio (da trivium, cioè incrocio di tre vie), Renzana (da fundus arentianus dal nome gentilizio romano Arentius), Binzago (da blandus), S. Andrea e Casale.

Il nome del paese non ha etimologia sicura. Dialettalmente il toponimo suona Gnusen. Anche se probabilmente di origine ben più antica, il suo nome appare nella storia bresciana solo dopo l'XI secolo con Agnoseno, poi Agnosino(secolo XIV) e in seguito Agnosen (secolo XVII).
Alcune voci del luogo vogliono la sua derivazione da agnus (agnello), poichè qui venivano a pascere mandrie e armenti; per altri, invece, il nome deriva da noce e altri ancora avanzano l'ipotesi che l'origine sia da ricercarsi nella voce longobarda agno (ontano).
Si è notato anche che in provincia si hanno i toponimi Esine, Tremosine e, sulla sponda veronese del Garda, Malcesine, i cui suffissi manifestano una probabile comunanza di origine, forse etrusca.
Nel Medioevo, Agnosine fu sede del feudo vescovile tenuto dalla famiglia Guazoni.
Dopo la morte dell'ultimo discendente, il vescovo Raimondo di Brescia nel 1157 lo donò al monastero benedettino di Serle, che a sua volta lo concesse al vassallo Uchicione Basaguerra.
Entrato a far parte dei domini viscontei nel 1388, passò alla Quadra di Val Sabbia, con privilegi poi confermati dalla Repubblica di Venezia nel 1452.
Essendo ricco di foreste e selvaggina, era un territorio appetito e pare che, ancora nel 1608, un tale Bernardino Soldo vi invitasse i suoi illustri amici bresciani alla caccia della lepre.
Nel 1440, il borgo di Agnosine venne concesso in feudo da Venezia ad Alberghino da Nozza, insieme con le terre di Bione, Preseglie e Odolo.
Negli anni del 1500, ad Agnosine, zona contadina di pascolo e allevamento, emerse un'attività manifatturiera che trasformò il paese in un importante centro industriale.
Vi funzionavano ben 36 folli per purgare i panni di lane grosse, che venivano portati anche dai paesi limitrofi.
L'aumento del dazio, imposto dalla Repubblica di Venezia, e la conseguente crisi dei panni-lana sconvolse anche Agnosine, dove molti folli fallirono e all'epoca del Catastico del 1609 ve n'erano in attività solo 6.
Furono secoli tristi e si concluse così la prima parentesi di attività artigianale e industriale; di conseguenza la popolazione tornò alla antica vita rurale.

Nell'ultimo secolo, grazie all'opera di alcuni "pionieri" dell'industria, Agnosine si seppe però riscattare. Si assistette, infatti, ad un rapido sviluppo sul mercato dei prodotti di locali industrie, operanti nei settori della metallurgia e della lavorazione del legno, che riuscirono a soddisfare la domanda di monodopera.
Negli ultimi anni si è avuto un rapido fiorire di aziende minori, addette alla lavorazione dei metalli, che hanno fatto di Agnosine "la patria delle maniglie".

Il percorso del Fontanino che mira alla valorizzazione e rivalutazione di una parte del paese che un tempo era una meta abituale degli abitanti del luogo.
La zona prende il nome de il Fontanino (in dialetto "Funtanì") ed è facilmente raggiungibile da una strada costeggiante il rio Bondaglio.
Sia il percorso che la zona stessa risultano estremamente suggestivi, affascinanti e caratteristici. L'importanza dell'area risiede, come fa intendere il nome, nella disponibilità di una preziosa risorsa, l'acqua, che dagli abitanti di Agnosine, così come dagli abitanti dei paesi vicini, era vista come un vero e proprio "tesoro".
Dalla località "Funtanì" è poi possibile portarsi in un bosco di faggi lungo una stradina che passa per la Santella Mora. In questo luogo, in base ad antiche credenze, era possibile recarsi per richiedere grazie ed intercessioni ai santi ed alla Vergine Maria.

Il monumento più rappresentativo del paese è la parrocchiale, dedicata ai Ss. Ippolito e Cassiano, già ricordata in un documento del 1037, anche se l'attuale edificio venne costruito nel 1711 e fu terminato nella facciata, su progetto di Rodolfo Vantini, nel 1840.
La chiesa fu consacrata nel 1872 da Mons. Verzeri e in seguito decorata con affreschi del Trainini. Presenta un interno caratterizzato dalla vigorosa classicità dell'ordine e degli elementi decorativi, fra i quali spiccano i festoni e le pale degli altari.
A Casale, sulla statale per Lumezzane, forse luogo di presidio militare longobardo, sopra un dosso, sorge il Santuario di San Giorgio.
Di origini antiche, nel 1700 venne ampliato e, ancor oggi, conserva l'antica abside di sicure caratteristiche romaniche e che funge da cappella laterale.
Particolare è l'affresco, di una certa efficacia popolaresca, raffigurante S. Giorgio con il drago sotto i piedi, tra S. Rocco e S. Sebastiano.
Visitata da ignoti, la chiesetta è stata privata di alcune tavolette votive, di due tele e di due angeli in legno del Settecento. Il santuario è stato completamente ristrutturato nel 1976.
L'organo ad un manuale reca la targa Fabbrica d'Organi Bianchetti-Facchetti Brescia, corso Montebello, anno 1899. Ha 25 canne in stagno.
A nord-ovest, verso Bione, vi è la frazione di S. Andrea, caratteristica per le sue stradette con archi e voltoni dei secoli XIV e XV: Nel centro della frazione sorgeva la vecchia chiesa (1457) e, nel 1700, ne fu edificata una nuova sopra il paese.
Caratteristica è la soasa del 1715 che incornicia una pala, raffigurante il martirio di S. Andrea, del Voltolini.

Binzago, che deriva da Blandus, è raggiungibile imboccando una strada stretta e tortuosa ai piedi del Colle di S. Eusebio.
Qui sorge la "chiesa parrocchiale dell'Annunciata" del 1673 che, dietro una facciata modesta, presenta un interno con una notevole armonia decorativa.
Di fianco sorge il campanile che risale al 1744.
Poco prima di giungere a Binzago si incontra un raggruppamento di case sorto nei pressi di una chiesetta dedicata a S. Lino.

Antecedente al secolo XIV; il santuario è un singolare esempio di edificio a pianta circolare. È dubbio a chi fosse inizialmente consacrato e, comunque, dal 1646 viene mantenuto il titolo di S. Lino. Nel 1630, durante la peste, sorse qui un lazzaretto e la chiesa divenne sicura meta per i fedeli. Di valore è la pala raffigurante la Deposizione con i santi Lino, Antonio Abate e Lucia, incorniciata da una ricca soasa.

A Renzana (Fundus Arentianus, dal nome gentilizio romano Arentius) si può ammirare la chiesa dedicata a tutti i Santi, già menzionata nel 1566 negli Atti della visita Bollani.
Nella parte alta del paese sorge un santuario intitolato alla Madonna delle Calchere, singolare costruzione con accanto una fontana di acqua che ha fatto credere alla popolazione ad una apparizione.
Il santuario è composto da un'unica navata e dipendeva un tempo dalla parrocchia di Binzago.
Fu costruito agli inizi del '600, almeno secondo il libro della Madonna delle Calchere, esistente nell'Archivio Parrocchiale di Agnosine.
Ma l'attuale costruzione risale al 1674, come testimoniano gli Atti della visita pastorale di Marin Giorgi, ed avvenne sopra una preesistente cappelletta.
Il 21 maggio 1716, la vicinia, riunita nella chiesa di Tutti i Santi a Renzana, decise la costruzione di un campaniletto, isolato dalla chiesa e in cima al dosso del Dossolo.
I quarantadue presenti motivarono la scelta del campanile isolato per sentirne il suono delle campane; il campanile unito alla chiesa avrebbe dovuto essere troppo alto, per rispettarne la funzione, e quindi avrebbe richiesto una ingente spesa.
Nel 1725 il vescovo Barbarigo annota che il santuario si mantiene con le elemosine dei cristiani. Un custode alla chiesa fu posto dalla vicinia nel 1750.
Poco più tardi, nel 1758, fu commissionata ad un certo B. And Severo di Preseglie una nuova soasa, che ha richiesto una spesa di 35 scudi bresciani.
La pala è firmata nel 1711 da Bernaldino Piana Rossa della Valle di Enna ed abitante in Brescia. Raffigura la Madonna che presenta Gesù Bambino a S. Antonio da Padova, circondato dai santi Antonio Abate, Rocco, Bernardino.

Al centro di Trebbio (da Trivium: località posta all'incrocio di tre vie) è situato l'antico santuario di S. Maria Assunta del Campello. L'originaria costruzione è di incerta datazione. La si attribuisce al secolo XV.
Nel 1566 il Bollani annotava la celebrazione di messe e funzioni, pur non possedendo la chiesa alcun beneficio.
Il libro dello Stato e diritti della chiesa brescia, del 1578, riporta la stessa notizia e giustifica le celebrazioni in base alle elemosine, segno di una profonda devozione alla Vergine.
S. Carlo, nel 1580, trova il santuario piccolo e del tutto spoglio di suppellettili.
Anche, ed è l'anno 1651, il vescovo Morosini riferisce dello stato precario del luogo sacro, ordinandone un pronto rinnovamento delle pareti e un restauro delle immagini dipinte, vetustate squallidae.
Evidentemente i sindaci, cui era affidato il santuario, gravati da incipienti preoccupazioni economiche per un irrigidimento fiscale di Venezia, lo avevano lasciato nell'incuria e nell'abbandono, usando anche il denaro e il pur povero patrimonio della piccola chiesa.
Il mese di tempo dato alle autorità dal vescovo Morosini, per intervenire ai restauri, non fu preso in considerazione, se sette anni dopo, nel 1658, il cardinale Ottoboni rivolge nuovamente un appello alle stesse.
Economicamente il santuario non fu mai nell'agiatezza. Nel 1703 aveva legati per farvi celebrare sei messe alla settimana, diventate, nel 1715, solo quattro.
Interviene anche il vescovo Barbarigo, annotando la presenza di un cappellano e richiamando all'esecuzione degli ordini impartiti dal suo antecessore Dolfin di togliere un altare laterale della Madonna.
Il Libro nuovo contenente tutti li capitali della Vergine di Campello e del Ss. Rosario riporta meticolosamente le spese sostenute per il decoro, gli abbellimenti, le cerimonie dal 1732 al 1829.
Nella festa del 15 agosto, particolarmente sentita e frequentata, vi si celebrava una solenne messa, con musiche varie.
Durante le guerre, e soprattutto nell'ultima, la devozione a Maria si espresse con frequenti visite al santuario, con consacrazioni, petizioni di grazie, voti solenni privati e pubblici.
Nel 1946 Mario Pescatori e Giuseppe Simoni eseguirono un completo restauro degli affreschi.
In località Villa, secondo alcune voci, doveva trovarsi una chiesetta dedicata a S. Caterina d'Alessandria, citata anche negli Atti della visita Bollani, che scomparve ben presto a causa della franosità del luogo.
Sempre qui sorge ancora oggi un fabbricato che la tradizione popolare chiama con mistero fienil de le strée de Vila, ma che in realtà rappresenta il più antico e prezioso edificio presente in loco.
Poco rimane invece in tutto il paese dei caratteristici loggiati e porticati delle antiche dimore rurali, ristrutturate non sempre secondo canoni idonei.



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