Voghera, grazie alla sua favorevole posizione geografica, è facilmente raggiungibile sia via strada sia via ferrovia.
La città è attraversata dalla Strada statale 10 Padana Inferiore, dalla Strada statale 35 dei Giovi ed è origine della Strada statale 461 del Passo del Penice. Nel territorio comunale si trova il casello autostradale di Voghera, sull'Autostrada A21 Torino-Piacenza-Brescia mentre nel limitrofo comune di Casei Gerola si trova l'omonimo casello sull'Autostrada A7 Milano-Genova.
La città dispone anche di un piccolo aeroporto turistico situato a 5 km a sud, nel territorio comunale di Rivanazzano.
A causa dell'aumento del traffico automobilistico, ed in particolare dell'aumento del numero di pendolari, si è provveduto alla costruzione di un autoporto, entrato in funzione nel 1986, dove una volta passava la ferrovia Voghera-Varzi. L'autoporto può contenere fino a 700 vetture, di cui 100 nel piazzale situato ai lati dell'ingresso ed altre 109 auto sul terrazzo, al 6º piano. Inoltre, al piano seminterrato, è presente un parcheggio per autobus, di cui 13 posteggi all'esterno.
Il centro storico è caratterizzato da chiese e palazzi di interesse storico, che testimoniano un passato ricco di arte e cultura. Tra i personaggi illustri della città: il famoso stilista Valentino ed il pianista e compositore Pino Calvi.
La Chiesa di San Giuseppe (XVIII secolo) è dotata di una pregevole facciata barocca; la
Chiesa del Carmine (XVII secolo), rappresenta una transizione tra il rinascimentale ed il barocco; la Chiesa di San Sebastiano (XVI secolo), costruita come Oratorio, dove un tempo sorgeva la Chiesa annessa alla Confraternita della Misericordia (che si occupava dei condannati a morte); la Chiesa di San Rocco (XVI secolo), custodisce un braccio e due snodi di dita di San Rocco, compatrono della città.
Il duomo di Voghera è dedicato a san Lorenzo ed eretto dove già in tempi precedenti sorgeva una chiesa parrocchiale. Oggi è accessibile da via Cavour e visibile nella piazza principale della città. Dell'antica chiesa è sopravvissuta soltanto la base del campanile.
Il duomo fu ricostruito a partire dal 1605 e riprogettato da Antonio Maria Corbetta che si ispirò all'impianto bramantesco del duomo di Pavia. La facciata, per mancanza di fondi rimase incompiuta per molti anni. Finalmente tra il 1874 e il 1881 su progetto dell'architetto Carlo Maciachini si costruì un'ultima campata all'interno dell'edificio e si realizzò la facciata definitiva con due spazi laterali rispetto all'ingresso maggiore, gestiti come cappelle: a destra la cappella di Maria Bambina e della Madonna Immacolata ed a sinistra la cappella del fonte battesimale. L'interno è costituito da una navata centrale e due laterali. Nella navata centrale troviamo un affresco della Madonna del Soccorso, mentre conservato in un altare del Collegio Notarile è un dipinto raffigurante la visita di Scipione Crespi (XVI-XVII secolo). I pittori Gambarini e Morgari riaffrescarono l'altare, il coro e la cupola. Di recente è stato ristrutturato.
Nel centro della chiesa si innalza una cupola semisferica, alta più di 47 metri, poggiante su quattro piloni, in ciascuno dei quali è ricavata una nicchia dov'è possibile ammirare una statua colossale di Evangelista con alla base lo stemma della città e l'aquila romana. La cupola, sormontata da una lanterna e arricchita da un tiburio ottagonale, è stata progettata dall'architetto Corbetta e affrescata tra il 1906 e il 1908 dal torinese Luigi Morgari e da Rodolfo Gambini.
Esternamente il tiburio, di forma ottagonale, è il simbolo più caratteristico del profilo urbanistico vogherese.
Una delle più antiche opere che testimonia gli splendori del passato è un piccolo reliquiario contenente un frammento della Sacra Spina. Si tratta della spina della corona di Cristo depositata in cassaforte e custodita a Voghera da circa 700 anni; oggi proprietà della parrocchia e riconducibile all'oreficeria gotica d'Oltralpe. Si dice che la reliquia sia giunta a Voghera con i Cavalieri crociati, in seguito alle guerre in Terra Santa, attraverso un marchingegno sofisticato, un carrello elevatore chiamato la "Nuvola" e spinto a mano da una lunga serie d'ingranaggi. Sul basamento del reliquiario visconteo un dipinto ricorda la figura di san Giovanni, patrono del Sovrano militare ordine ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta. Durante la festa di san Bovo veniva mostrata al popolo dal Vescovo e migliaia di persone si inginocchiavano per ottenere una benedizione.
La navata sinistra presenta tre altari: l'altare di sant'Antonio Abate, originariamente in cotto e successivamente ricostruito nel 1953 in marmo e legno dorato, l'altare del Collegio notarile e della Visitazione di Maria a sant'Elisabetta anch’esso in marmo e con impostazione rinascimentale e l'altare del Crocifisso detto anche altare del Suffragio, realizzato in marmi policromi nella seconda metà del Settecento. Nella navata di destra sono presenti tre altari: l'altare di santa Caterina da Siena, l'altare della Madonna del soccorso e l'altare di san Michele arcangelo. Tutti sono stati realizzati in marmo policromo e risalgono alla fine dell'Ottocento. Raffigurano tutti e tre delle scene religiose: nel primo è raffigurata santa Caterina a piedi nudi in abito monacale, nel secondo san Taddeo con la Vergine e nel terzo il trionfo di san Michele.
L'Organo attuale è stato installato dalla ditta Mascioni nel 2013, ma si tratta di fatto della ricostruzione dell'organo Balbiani acquistato dal duomo di Pavia. L'organo è tutto nuovo, dalla trasmissione al prospetto, mentre tutto il materiale fonico è stato recuperato e restaurato. Trasmissione elettrica, ha tre tastiere di 61 note e pedaliera 32 note. Le canne sono più di 5000, distribuite su 74 registri
Parte non molto conosciuta e di sicuro grande interesse artistico e culturale in possesso del duomo di Voghera, sono gli Antifonari medioevali. Si tratta di grossi libri conservati all'interno del Duomo e contenenti le partiture del contro canto alla voce principale, riservata al celebrante durante le messe cantate. I capilettera degli antifonari del duomo di Voghera sono attribuiti al famoso Maestro delle Vitae Imperatorum che ha operato negli anni trenta del XV secolo e donati al duomo di Voghera dalla famiglia Visconti di Milano. All'inizio dei versi di questi canti, vi sono queste raffigurazioni, dette capilettera, nella quali è presente la rappresentazione di un tema relativo ai vangeli, o alla vita dei santi(es rappresentazione di profeti o degli apostoli). Le miniature dei capilettera sebbene resi più realistici dalla presenza di barbe e rughe, mantengono in tutti i volti la stessa espressione immutata anche al variare del personaggio e del tema trattato. Come in tutti gli altri dipinti dell’Oltrepo’ Pavese è interessante notare che negli antifonari del Duomo di Voghera si preferisce utilizzare colori accesi, vivaci e non realistici, non solo nel realizzare sfondi o architetture per gli affreschi, ma anche per i motivi decorativi e in questo caso per i volti dai colori molto forti ma con un effetto di chiaroscuro abbastanza efficace. Purtroppo dei capilettera sono rimasti soltanto una piccola parte degli originali, poiché molti furono rubati durante la seconda guerra mondiale, probabilmente da un ufficiale tedesco, intento a reperire tutto ciò che avesse un minimo di valore, come per esempio, gli sfondi oro delle miniature.
La chiesa dell'Arma di Cavalleria Italiana è la più antica di Voghera. Questa chiesa, sorta in epoca longobarda nell'VIII secolo per opera dei monaci colombaniani dell'abbazia di San Colombano di Bobbio, presenta una storia molto singolare: dopo essere stata sconsacrata nel 1805, diventò deposito delle polveri per i militari e successivamente fu abbandonata e quasi distrutta. Dopo i necessari lavori di restauro, resi possibili solamente grazie ai contributi di enti e di privati, è divenuta il tempio sacrario della Cavalleria Italiana con intitolazione ai santi Ilario (titolare originario della chiesa) e Giorgio (patrono dell'Arma di cavalleria italiana). Essa, inoltre, venne chiamata "chiesa rossa" per via del colore dei suoi mattoni.
L'edificio viene fatto risalire al XII secolo, anche se vi è chi ha proposto l'anno 732 attribuendone la fondazione al re dei Longobardi Liutprando, mentre alcuni studiosi locali hanno voluto proporre suggestivi rimandi a epoche precedenti. La costruzione sorgeva entro proprietà terriere del monastero di Santa Maria e Aureliano di Pavia, volgarmente detto del Senatore, che aveva succursale in Voghera con propri edifici in porta Sant'Ilario.
I primi documenti, risalenti al XII secolo, testimoniano che la chiesa di Sant'Ilario fu indipendente dall'ingerenza temporale e spirituale della curia di Tortona e della pieve di San Lorenzo di Voghera. Dalla seconda metà del XII secolo la chiesa viene citata in documenti che riguardano, per lo più, controversie tra la badessa e il vescovo di Tortona, a proposito dell'indipendenza del rettore di Sant'Ilario, lite che si protrasse sino al 1195 e che vide l'interesse di tre papi: papa Alessandro II, papa Lucio III e papa Celestino III. La lite riesplose nel periodo 1205-1208 tra gli stessi soggetti, con l'aggravante in questo caso della scomunica comminata dal vescovo Opizzone ai parrocchiani di Sant'Ilario.
La composizione della nuova vertenza riconfermò il diritto all'autonomia della cappella sottoposta al dominio monastico. Va detto che la presenza del monastero a Porta Sant'Ilario fu determinante per lo sviluppo urbanistico della zona, che ebbe nei possedimenti delle suore tutte quelle strutture produttive (forni, mulini, torchio ecc.) che ne fecero un centro di potere finanziario, determinando così anche diatribe con il comune di Voghera. Dai documenti contabili sappiamo del ruolo avuto dai rettori in campo amministrativo, mentre non ci viene fornita alcuna notizia sull'insieme della chiesa. Solo in due casi abbiamo informazioni, anche se indirette, sullo stato dell'edificio:
1243, con la nomina, da parte della badessa, del rettore Giovanni Anguissola, si evince una situazione abbastanza florida, per cui è lecito dedurre che alla cappella furono certamente riservate particolari cure;
1327, in tale anno il rettore (di nuova nomina) Ottone si impegnava alla cura e manutenzione dell'edificio.
L'ultimo atto di nomina a noi pervenuto è del 1478.
Scarsissime le testimonianze riguardanti i secoli XV-XVI-XVII; per lo più trattasi dei rapporti intrattenuti dal cenobio con il comune di Voghera a proposito di diritti, doveri e affitti (tracce nell'archivio civico - notarile). Tra il 1445 e il 1533 si trovano annotazioni relative al pagamento di somme spettanti al sacerdote concelebrante la messa in occasione dell'anniversario di sant'Ilario, per cui la chiesa era certamente adibita ad attività religiose. Altra conferma di attività religiose nell'edificio riguarda l'invito rivolto dal sindaco Bonamici, su istanza della badessa, al consiglio comunale a che questi doni all'oratorio, nel 1543, una campana di piccole dimensioni necessaria per l'uffizio divino che si celebra nei giorni festivi. Situazione del tutto mutata nel 1561. In questo anno, infatti, dai documenti di una visita pastorale si legge: "La cappella è stata abbandonata", cosa che viene anche confermata negli scritti relativi alla diatriba con la curia di Tortona a proposito di decime. Quanto sopra ci induce a credere che l'edificio fosse in decadenza e che probabilmente in quegli anni le mura presentassero lesioni e crepe. Durante la peste detta di san Carlo - 1630 - nel cimitero annesso e nella stessa chiesa trovarono riposo i borghigiani deceduti a seguito del morbo. Dai registri di natalità, mortalità e matrimoni, conservati presso il duomo cittadino, si deduce che sino al 1736 la "chiesa rossa" è stata testimone dei relativi riti. Nel 1685 la chiesa viene menzionata, a proposito della visita del vescovo di Ceva, come intitolata a sant'Enrico, ma nulla sappiamo del cambio di denominazione; nella relazione si parla anche d'un recente e pregevole restauro. Nello scritto che ricorda la visita del vescovo di Resta, avvenuta nel 1742, si precisa che la cura della cappella è affidata alla signora Angelica Richini, affittuaria degli annessi terreni agricoli, e che vi si officia oltreché alla festa di sant'Ilario anche in altre rare occasioni. È molto dettagliata la relazione sull'edificio redatta a seguito della visita del vescovo Andujar (1754) contenente un'accurata descrizione, corredata di misurazioni di ogni porzione dell'edificio.
Dal 1798 al 1799 le monache del monastero del Senatore avanzano insistenti e ripetute proteste per il sequestro dei frutti dei loro possedimenti in Voghera. È questo il definitivo segnale della dissoluzione del dominio monastico, a cui si accompagnerà l'oblio non solo del prestigio, ma anche della struttura materiale della chiesa.
Nel 1821 il "locale detto la Chiesa Rossa", divenuto di proprietà comunale, è soggetto a quelle riparazioni che si ritengono indispensabili per consentirne l'utilizzo come magazzino, vale a dire: restauro del tetto e della porta ed otturamento in pieno di cinque finestre necessario per le difese di pericolo d'incendio. Da alcuni scritti del 1841 e 1848 emerge che l'edificio è affittato alle Regie Gabelle e che è molto trascurato: l'edificio è fatiscente, «...con una porta di legno assai vecchia e malferma ed il tetto rotto vecchio e forato».
Lamentele si hanno ancora nel 1857 e anche nel consiglio comunale si comincia a discutere della pericolosità dell'edificio; c'è chi propone di non affittarlo più e di costruire per le polveri un altro magazzino fuori città. Non essendoci però in Voghera altro luogo adatto all'utilizzo come magazzino, la città riceverebbe un grave danno economico. Pertanto si istituisce un corpo di guardia e si eseguono alcuni lavori intorno alla polveriera, allo scopo di garantire una maggiore sicurezza. Anche se con qualche problema di insolvenza, la Chiesa Rossa resta affidata alle Regie Gabelle fino al 1871. Dal 1878 Sant'Ilario diventa polveriera del Distretto Militare e, per adattarla a questo uso, sono necessari nuovi lavori che la modificano e la devastano.
Solamente nel 1916 ci si rese conto dello scempio fatto e che era necessario salvaguardare il monumento da ulteriore degrado; le vicende belliche non consentirono di porre mano al progetto. Al termine della prima guerra mondiale iniziarono i lavori per il recupero della struttura originaria; infatti, a causa delle piene dello Staffora, era stato giocoforza rialzare i pavimenti e di conseguenza i muri perimetrali, la copertura inoltre era stata trasformata a volte rinascimentali. Il 27 gennaio 1933 la Soprintendenza, dopo un sopralluogo, dette il beneplacito ai lavori per il restauro analogico, lavori che si protrassero sino al 1938. Le vicende belliche connesse al secondo conflitto mondiale determinarono, purtroppo, una sosta forzosa ma, quando la situazione economica generale lo consentì, si tornò di nuovo ad interessarsi al monumento. A seguito di un'iniziativa della sezione culturale dell'Ente pro Oltrepò d'intesa con la Presidenza Nazionale dell'Associazione Nazionale dell'Arma di Cavalleria, il consiglio comunale - con delibera del 24 giugno 1952 - destinava la "Chiesa Rossa" a Tempio Sacrario col titolo di sant'Ilario, l'antico patrono, e di san Giorgio celeste, patrono dei cavalieri italiani.
Con le prime offerte, provenienti dai cavalieri di tutta Italia, si dava inizio nella primavera del 1953, sotto il controllo della Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia, all'opera paziente di restauro; iniziavano così i definitivi lavori di restauro al cui termine la chiesa si presentava così come oggi appare. Il 21 aprile 1956 il Tempio venne riconsacrato ed il 22, presenti i sette Stendardi dei Reggimenti ricostituiti nel dopoguerra, celebrante il cardinale Piazza, già cappellano militare dei "Cavalleggeri di Padova", venne inaugurato dal Capo dello Stato Giovanni Gronchi.
Sulla parete vicina all'arco trionfale vi sono ancora tracce di decorazioni, come il motivo a "pelte" o quello a semicerchi, ma tutti molto rovinati e di difficile osservazione. Sull'arco trionfale vi sono ancora alcuni frammenti di affreschi; in uno, sebbene piuttosto danneggiato dal tempo, è rappresentato il volto di un vescovo, forse lo stesso sant’Ilario, con fattezze e proporzioni già incontrate nelle altre chiese dell’Oltrepò Pavese, soprattutto per la forma degli occhi e del viso. Per caratteristiche del tratto, molto morbido e sinuoso, e il cromatismo acceso, questi frammenti sembrano risalire al XII-XIII secolo.
Alla chiesa, oggi tempio sacrario della Cavalleria Italiana, anticamente dedicata a sant'Ilario, si può giungere da via Verdi o via Garibaldi, imboccando la strada trasversale che deriva il proprio nome dall'intitolazione moderna dell'edificio. La Chiesa Rossa si presenta come un tetto che si intravede oltre le siepi e gli alberi di un giardino pubblico. Avvicinandosi si possono vedere una porzione del lato sud e la parte superiore della facciata. Essa si trova infatti per circa un terzo della sua altezza al di sotto del livello della strada attuale. Solo scendendo i gradini del moderno sagrato possiamo esaminare con attenzione la facciata nella sua interezza: due contrafforti di sezione rettangolare, in grandi blocchi di pietra, che sporgono solo lievemente dal piano di facciata, si legano senza soluzione di continuità alla fascia di coronamento ad archetti pensili, che segue l'andamento del tetto, ed in cui sono contenuti bacini ceramici di restauro, collocati secondo una scansione che rispetta quella originaria. Sopra questi una fascia a dente di sega, contenuta entro due cornici piane, di cui l'inferiore è sostenuta da mensoline, sottolinea i due spioventi. Il partito decorativo attua così un inquadramento della facciata, ed il suo valore di "cornice" è ribadito fortemente proprio dal legame diretto dell'ultimo archetto di ogni lato con il margine interno dei contrafforti, oltre che dall'ovvia coincidenza della fine della fascia a dente di sega con il loro margine esterno. Inoltre una zoccolatura modanata in arenaria delimita alla base l'intero prospetto.
Al limite superiore di ciò che resta del portale, una cornice marcapiano ripartisce orizzontalmente la facciata in due parti. Quella superiore è divisa in tre parti uguali da due piccoli salienti di sezione grosso modo semicircolare, dei quali uno ha perduto il suo coronamento, l'altro conserva le tracce di un capitellino. La porzione centrale così individuata è quella su cui più hanno pesato gli interventi di restauro svoltisi dagli anni trenta fino alla metà del XX secolo, che vi hanno realizzato una piccola apertura a croce greca e una bifora; una fonte della metà del XVIII secolo, nel descrivere l'edificio, parla invece di una trifora proprio in quella posizione. L'abside, semicircolare, scandita da due semicolonnine laterizie, è stata ricostruita sulla base dei pochi resti di quella antica.
L'interno è ad aula unica con copertura a capriate; nel settore superiore della parete sono murate due file di grosse formelle in ceramica, raffiguranti gli stemmi dei reggimenti di cavalleria. Meritano di essere osservati, inoltre, i lacerti di affreschi nell'intradosso dell'arcata trionfale (prima metà del XIII secolo), unici resti di una decorazione pittorica di cui non siamo in grado di precisare l'estensione originaria. I tre frammenti più significativi si trovano nel sottarco dell'arcata trionfale, uno verso il lato nord e due poco più in alto delle reni. Nel primo si riconosce il volto di un santo vescovo, forse sant'Ilario, circondato da un'ampia aureola rossa con una sottile fascia di contorno bianca.
Il tempio dalla sua costituzione, è retto da un priorato, diretto da un priore, nominato dal presidente nazionale dell'Associazione arma di cavalleria su indicazione del suo consiglio nazionale. Il priore, nell'ordinaria amministrazione, è assistito da un vice priore e da un cancelliere /tesoriere, di nomina diretta del priore, nonché dai patroni, cioè i sostenitori di questa istituzione, presenti nel direttivo (giunta esecutiva) con un loro rappresentante. Le decisioni che esulano la normale attività del tempio, sono adottate da un consiglio generale composto dai membri della predetta giunta, nonché dal presidente nazionale dell'Arma di cavalleria, dal consigliere nazionale ANAC per la Lombardia e dal sindaco della città di Voghera.
Santa Maria delle Grazie è una delle più antiche chiese di Voghera, inizialmente sorta come monastero di monaci benedettini, ricostruita come luogo di culto e convento domenicano, e ora appartenente all’ordine francescano, insediatosi nel 1820.
La storia di questa chiesa trova una prima testimonianza nel 1153 in una bolla di Anastasio IV che cita un insediamento di monaci benedettini. La chiesa attuale, intitolata a Santa Maria della Pietà si deve alla congregazione dei frati domenicani, e deve essere attribuita in particolare a un intervento di Vincenzo Bandello (1435-1506). L’edificio fu consacrato nel 1511 con la dedicazione a Santa Maria del Rosario. L'ordine dei predicatori rimase stabilmente in questa sede fino alla soppressione napoleonica (1805). Seguì un periodo in cui la chiesa venne utilizzata come abitazione dei carabinieri e successivamente come stalla e magazzino, ma dopo molteplici trasferimenti tra questa e altre sedi vogheresi i religiosi francescani riuscirono a ottenere definitivamente il convento nel 1927.
Il santuario di Santa Maria delle Grazie, situato nelle vicinanze dell’ex Caserma della Cavalleria, ha un orientamento singolare: l’ingresso è rivolto a nord-est, verso la città, anziché ad ovest come impone un’antica e radicata simbologia liturgica. L’edificio ecclesiale espone solo il fianco sinistro, inglobando nel convento l’abside e l’altro lato. È edificato secondo uno stile gotico - lombardo, che si può notare soprattutto nella facciata.
La facciata, presentando un partito decorativo in cotto, fa presumere una sua realizzazione nella prima metà del XV secolo. Questa è scandita da quattro contrafforti, dei quali i due centrali non corrispondono ad un'effettiva scansione interna, ma sembrano avere il compito di contenere, anche dal punto di vista visivo, il rosone e il portale.
L’interno è costituito da un’unica navata scandita da ampie arcate a sesto acuto che si aprono a loro volta sulle 15 cappelle, sette per lato, più il presbiterio, che ricordano i quindici misteri del rosario, in coerenza con l'originaria dedicazione della chiesa. Entrando lo sguardo è colpito dall'affresco sull’arcata trionfale, realizzato da C. Secchi nel 1941, che fa da cornice all’altare maggiore, il quale in forme di aspra essenzialità, richiama le figure del pane spezzato e della lucerna. L’organo posto sulla controfacciata fu costruito nel 1927, con le sue 1500 canne e 25 registri reali.
Nel 1445 il comune di Voghera ottenne dal capitolo di San Lorenzo la chiesa di San Michele in Albofassio, nei dintorni dell'ex-manicomio, ed il terreno circostante per fondarvi il convento dei frati minori dell'Osservanza. I frati dimorarono in questo luogo dal 1459 al 1802 e qui ebbe la sua prima sede l'immagine che oggi possiamo venerare nel coro della chiesa. La tradizione vuole che si tratti di un'immagine miracolosa e sacra che, quando nel 1876 iniziarono gli scavi per la costruzione del manicomio provinciale, siano state le suppliche e le lacrime di un'umile donna, figlia dell'ortolano di Santa Maria, a salvare l'immagine sacra dalla distruzione, garantendo che venisse trasferita in un altro edificio religioso. Nella chiesa attuale l'immagine si trova dal 1927.
I primi indispensabili restauri del locale furono curati dal padre guardiano Pier Girolamo Cavagna da Cervesina e dai suoi confratelli personalmente (1818-1819). Vari benefattori consentirono il rifacimento dell'altar maggiore e dei vari altari laterali, ma non tutti i quindici altari furono rifatti: due cappelle furono adibite a stanze, due a confessionali e due rimasero vuote. Seguirono poi lavori, durante l’occupazione dei militari, che portarono alla trasformazione della chiesa in un edificio adibito ad un uso esclusivo della Cavalleria e infine si ebbero solo operazioni di ordinaria manutenzione. Con il ritorno dei frati, nel 1927, la chiesa riacquistò la sua funzione liturgica. Il progetto di restauro attuato in quelle circostanze mirava al ripristino dei tratti originali dell’edificio, che a causa della manomissioni avvenute durante i numerosi cambi di proprietà e d'uso, risultava tutt’altro che facile. La chiesa mostrava ancora una buona consistenza statica e architettonica, quindi, fu ritenuto sufficiente sostituire i mattoni deteriorati e rifare gli intonaci. Appartiene a questa campagna di restauro anche la costruzione del campanile. A partire dal 1989, fu attuata la ristrutturazione dell’intera area presbiteriale: la linea, come si può notare nel nuovo altare, che ricorda le figure simboliche del pane spezzato, diventa scabra e semplice, e le figure sono caratterizzate da un volume compatto e da tagli netti. Il progetto di padre Costantino Ruggeri (1925-2007) prevede un'opera in cui lo spazio sacro viene riscoperto e riorganizzato, al fine di valorizzare gli elementi più semplici e simbolici, riscoprendone così la forza “sacramentale”. Dal 1992 ad oggi, sono stati attuati lavori di manutenzione e di restauro, sia della struttura architettonica sia degli arredi, e quest’opera di valorizzazione è ancora in corso.
Casa Nava è stata ricostruita nel 1903 in stile tardo medievale; il Palazzo della Tela (ex Albergo Reale d'ltalia), costruito dai Conti Della Tela nel XVII secolo e restaurato nel secolo successivo; Palazzo Baldi, fu fatto costruire nel 1824 da Francesco Porta su disegni dell'architetto Gaetano Cattaneo; la Casa del Fascio, costruita negli anni trenta del XX secolo in stile razionalista; il Palazzo dell'ex Banca d'ltalia, è un ottimo esempio di architettura Liberty, costruito dal 1906 al 1911. Attualmente è sede dell'Archivio storico e di alcuni uffici comunali;il Palazzo Dattili, realizzato nel Settecento e restaurato nel secolo successivo, ha ospitato personaggi famosi come Napoleone Bonaparte, Papa Pio VII e Napoleone III;il Quartier grande, costruito nel 1749 e ampliato nel XIX secolo, ospitava fino a quattrocento cavalli e quattro compagnie di fanti, attualmente ospita gli uffici del Giudice di pace; l'ex Manicomio Provinciale, edificio di 24.000 m² costruito su un'area di 50.000 m² dagli ingegneri architetti Vincenzo Monti e Angelo Savoldi.
Il castello Visconteo di Voghera è una struttura fortificata particolarmente suggestiva situata nella cittadina lombarda. Alcune fonti ritengono che il castello sia sorto all’epoca dei Berengari ovvero in un periodo compreso fra l’888 e il 950; in ogni caso la presenza nell’antico borgo di una fortificazione munita di mura e torrioni sembra plausibile già al tempo delle invasioni barbariche. Considerata una delle roccaforti più robuste dell’Oltrepò, venne ulteriormente rinforzata per volere dei due podestà di Voghera nel 1330 per poi diventare dimora di Galeazzo Visconti nel 1372. In seguito, su iniziativa di Galeazzo II Visconti il castello fu sottoposto ad ulteriore potenziamento e poi ad altre modifiche nel 1361 per contrastare gli intenti di conquista del marchese di Monferrato. Nel XV secolo, oltre ad accogliere l’Imperatore d’Oriente in visita, si ha notizia che il maniero fu dimora prima di Filippo Maria Visconti poi del signore e conte di Voghera da lui nominato. Successivamente nel corso dei secoli divenne residenza di diverse famiglie nobili, dagli Sforza ai Gonzaga; nel XVII secolo venne occupato dalle truppe francesi mentre nel XVIII secolo la città subisce la dominazione austriaca. Sotto Carlo Emanuele III, la città diviene provincia e il castello viene trasformato anche in ufficio fiscale e sede della magistratura. Comincia poi un periodo di degrado e nel XIX secolo viene adibito a penitenziario. I vari tentativi di recupero nel Novecento culminano, infine, nel 1952 quando viene presa la decisione di utilizzarlo come sede del Museo Civico e di altri Enti Culturali dell’Oltrepò.
Storicamente importante per la cittadina di Voghera è il Palazzo Municipale, situato nella centralissima piazza del Duomo. Eretto nell’area dove precedentemente era collocato l’antico pretorio, il palazzo comunale nel suo maestoso stile neoclassico assume un ruolo centrale nella piazza distinguendosi per le quattro massicce colonne del prospetto. Il progetto dell’edificio venne commissionato nel 1829 direttamente dall’amministrazione comunale all’architetto milanese Giacomo Maraglia ma venne poi portato avanti, con qualche aggiustamento al disegno originale, dall’architetto torinese Gioacchino dell’Isola Del Borghetto che lo realizzò tra il 1844 al 1847. Questo palazzo è anche famoso alla cittadinanza con l’appellativo di Palazzo Gounela che sembra derivargli dalla folcloristica personalità di Giuseppe Gonnella, il noto civico furiere eminente figura della società vogherese del XIX secolo. Le pareti della sala consiliare sono abbellite dalle decorazioni del pittore Angelo Moia mentre sul soffitto spicca l’affresco raffigurante la celebrazione della nomina di Voghera a città realizzata dal pittore torinese Paolo Emilio Morgari.
La caserma Vittorio Emanuele II è un complesso monumentale di natura militare, edificato tra il 1857 e il 1864.
Dopo la dichiarazione di guerra all'Impero austriaco da parte del Regno di Sardegna nella prima guerra di indipendenza italiana, sull'onda dell'entusiasmo l'amministrazione comunale di Voghera (piccola porzione dell'ex Ducato di Milano all'epoca appartenente appunto al Regno di Sardegna) il 4 aprile 1849 rivolse un'istanza al governo piemontese perché fosse restituita in pianta stabile alla città la già assegnata guarnigione del 1º Reggimento "Nizza Cavalleria". In seguito si occupò del reperimento delle terre da adibire alla costruzione di una nuova e ampia caserma, in modo da disporre di spazi adeguati in cui alloggiare in modo permanente le truppe, in precedenza ospitate in vari e vetusti edifici militari. Si sperava in tal modo di favorire una risposta positiva da parte delle autorità preposte ed evitare che località concorrenti potessero ottenere l'assegnazione della guarnigione. Poiché per casa Savoia il vogherese era una provincia relativamente recente (acquisita con il trattato di Worms del 1743 e recuperata con il congresso di Vienna del 1815), "calda" e strategicamente rilevante in quanto a ridosso del confine austro-ungarico, la richiesta fu accolta senza particolari difficoltà.
Nel 1850 venne scelto l'ampio appezzamento di terreno (circa 45 000 m²) di proprietà di Domenico Pezzi ubicato ad ovest della città, fuori della cinta muraria, poco distante da porta Rossella dove confluivano le strade provenienti da Mortara a nord e da Piacenza a sud. In seguito si passò alla formazione di una commissione per il reperimento dei fondi necessari all'impresa. Il progetto ottenne un ottimo consenso popolare facendo sì che i cittadini partecipassero alla spesa attraverso una sottoscrizione di offerte: 600 000 lire in cartelle, oltre a 100 000 lire da parte dell'Ospedale di Voghera e un mutuo di 150 000 lire della Cassa depositi e prestiti. Il costo definitivo dell'opera, però, supererà alla fine il milione di lire.
Nel 1854 vennero presentati dall'ingegnere vogherese Paolo Cornaro (vincitore tre anni prima del relativo concorso) i progetti che, dopo la dichiarazione ministeriale di "opera di pubblica utilità" (3 ottobre 1855), furono approvati dal re nel 1856. In quello stesso anno venne posta la prima pietra, anche se i lavori veri e propri ebbero inizio nel 1857. Il 26 maggio 1858, durante una visita alla città, re Vittorio Emanuele II ne inaugurò i locali già pronti insieme a Cavour e accettò l'intitolazione al suo nome della caserma nella quale, alla vigilia della seconda guerra di indipendenza italiana, si era stanziato il reggimento dei "Cavalleggeri di Alessandria". La prima parte dell'edificio (il maneggio) fu collaudata nel 1860 e la seconda, conclusiva, nel 1864.[
Al 1880 risale il primo ampliamento della caserma, cui ne seguirono altri compresa la costruzione di una nuova ala (la casermetta Montebello) sul lato meridionale (via Marsala) nel 1929-1931. Durante la prima guerra mondiale l'ampia struttura vogherese fu utilizzata come deposito militare dei "Cavalleggeri Guide" e dei "Cavalleggeri di Roma"; i "Cavalleggeri del Monferrato" furono invece l'ultimo reggimento di cavalleria di guarnigione a Voghera e vennero sciolti dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Durante la successiva Repubblica Sociale Italiana, il 4 febbraio 1944 la caserma cambiò denominazione venendo intitolata al tenente Attilio Bonfiglio Zanardi, medaglia d'oro al valor militare. Otto mesi dopo, la ribattezzata caserma fu teatro di una clamorosa azione dei partigiani che, nella notte del 5 ottobre 1944, vi penetrarono in una ventina travestiti da tedeschi, sorpresero nel sonno i militi del battaglione San Marco e, senza colpo ferire, nel giro di tre ore se ne andarono portando con sé alcuni automezzi carichi di prigionieri (76 in tutto, compresi 9 ufficiali), armi pesanti e leggere, munizioni d'ogni genere, medicinali, uniformi e coperte.
Terminata la seconda guerra mondiale, cominciò la riconversione a uso civile del vasto immobile ormai pressoché inutilizzato e dal 1948 la casermetta Montebello ospitò la Scuola media governativa, intitolata dal 1951 al poeta Giovanni Pascoli. Dismesso ufficialmente dai militari nel 1964, il "grandioso complesso monumentale" divenne monumento vincolato dalla Sopraintendenza nel 1966 e venne parzialmente e progressivamente ristrutturato dal comune che adibì il lato orientale, con ingresso da via Gramsci, a sede della Biblioteca Civica Ricottiana, del Museo storico militare "Giuseppe Beccari" e del Museo di scienze naturali. Nel lato settentrionale, con ingresso da corso Rosselli, col tempo hanno invece trovato posto numerosi uffici comunali (Polizia Locale, Servizi Sociali, Lavori Pubblici, Commercio, Economato ecc.). In attesa di un imponente intervento di ristrutturazione che consenta il trasferimento di tutti gli uffici comunali nell'ex caserma e la realizzazione di un parcheggio interrato, attualmente i suoi ampi piazzali ospitano ogni anno, oltre a vari concerti di musica leggera, i padiglioni e le attrazioni della Sensia, la Fiera dell'Ascensione che, risalendo al 1382, è la più antica di tutta la Lombardia.
La caserma Vittorio Emanuele II presenta alcune differenze peculiari rispetto a quelle delle zone limitrofe. Fin dall'inizio, infatti, venne concepita specificatamente come alloggio per le truppe e non subì quindi alcuna "riconversione" a tale scopo, com'era invece accaduto in precedenza anche nella stessa città di Voghera. Inoltre era l'unica caserma di proprietà e di costruzione interamente comunale.
Venne edificata sull'esempio del Quartier Grande di Venezia, ovvero con una grande piazza d'armi centrale racchiusa da un numero variabile di corpi di fabbrica. Il complesso venne infatti progettato in modo da alloggiare un intero reggimento di cavalleria (quattro squadroni); pertanto doveva ospitare 600 cavalli e altrettanti soldati, senza tralasciare le camere per gli ufficiali di sorveglianza, magazzini per foraggi, corpi di guardia, camerini di disciplina, maneggio coperto e porticati. Grazie alla vasta estensione dell'area messa a disposizione e all'ubicazione fuori città, quindi senza particolari vincoli urbanistici da rispettare per il progettista, la caserma di Voghera risultò infine la più ampia di tutto il regno sardo.
Come detto, il complesso si sviluppa su una vasta superficie che ha consentito un'organizzazione spaziale di grande respiro anche se rispettosa delle diverse esigenze funzionali delle sue parti, secondo gli stilemi "razionalistici" del Neoclassicismo; nella fattispecie, il piano terra era ovviamente destinato alle stalle per i cavalli e alle diverse attività legate alla loro presenza, con una inusuale attenzione agli aspetti igienici (ad esempio, l'utilizzo dei ciottoli di fiume per la pavimentazione delle scuderie o l'accorpamento dei servizi igienici nelle torrette cilindriche interne, ben distinte da camerate, uffici e locali di uso collettivo). I principi dell'architettura neoclassica sono rispecchiati sia nella pianta, caratterizzata da una linearità rigorosa e dalla corrispondenza simmetrica dei corpi di fabbrica, sia negli alzati in cui predomina lo sviluppo orizzontale delle composizioni volumetriche con modestissime concessioni agli elementi decorativi.
La facciata principale (su via Gramsci), racchiusa fra due delle quattro torrette quadrangolari esterne, presenta una muratura bugnata al pian terreno scandita da finestre ad arco e una muratura liscia ritmata da finestre rettangolari incorniciate al piano superiore; al centro, l'avancorpo con l'ingresso è leggermente sporgente, qualificato da sette arcate, di cui solo le tre mediane aperte, e sormontato, al di sopra del cornicione a mensole, da un grande fastigio marmoreo con stemma, stendardi e cavalli in posa araldica cui è conferito il compito di visualizzare la destinazione dell'edificio. La spaziosa corte interna è caratterizzata da una serie di ampi loggiati a due ordini sovrapposti, aperti con archi a tutto sesto voltati su pilastri.
Piazza Duomo, la piazza principale della città, è circondata da portici per tre lati. Su di essa, oltre al Duomo, si affacciano Palazzo Gounela e Casa Nava. È luogo in cui si svolge il mercato cittadino ogni martedì e venerdì.
Piazza della Liberazione, a nord del castello, e per questo comunemente chiamata "Piazza Castello", è una piazza quadrangolare decorata con giardini all'italiana.
Via Emilia, il "salotto buono" della città, in cui, insieme con numerose attività commerciali, si trovano alcuni tra i palazzi più significativi della città.
Il Museo Storico di Voghera “Giuseppe Beccari” conserva cimeli, documenti, armi, medaglie, uniformi militari, dal periodo napoleonico ad oggi. Tra le collezioni del Museo, il bene più famoso è la pistola Beretta 34 calibro 9, che fu impiegata a Dongo il 28 aprile 1945 per uccidere Benito Mussolini e Claretta Petacci.
Celeberrima anche l‘automobile A112 su cui trovarono la morte in un agguato di mafia, nel 1982, il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e la moglie, Emanuela Setti Carraro.
Sono conservate, e in buona parte esposte, uniformi italiane e di Forze Armate straniere, con centinaia di armi da fuoco e bianche, leggere e pesanti; la biblioteca di storia militare ha un patrimonio di migliaia di volumi, diari, numeri unici di reparti militari. Nell’archivio dei documenti cartacei si conservano lettere di soldati e Ufficiali dal fronte, diari e memorie di combattenti, migliaia di cartoline militari e civili. Molte cartoline conservano l’affrancatura, per cui si deve tener conto anche del valore filatelico della raccolta.
Per l’aspetto iconografico bellissimi i calendari militari e le centinaia di stampe e manifesti. Unico è l’archivio di fotografie di momenti e di protagonisti delle guerre della storia italiana. Unica è la collezione di tempere originali di Tino Vescovo, una delle firme più prestigiose della grafica militare e una quadreria di pittori locali di spessore nazionale, su tutti Mario Maserati. E ancora, vi è un’eccezionale collezione di medaglie, tra cui una raccolta rarissima di distintivi militari dell’Impero Austro–Ungarico. Completano il patrimonio museale migliaia di oggetti di varia natura: stampe, quadri, manufatti, strumenti di lavoro, equipaggiamento e oggettistica di valore civile e militare, legati alla storia di Voghera, dell’Oltrepò, dell’Italia intera.
Il museo di scienze naturali di Voghera nacque nel 1971 da un gruppo di amici appassionati di paleontologia e mineralogia. Il museo fu completamente terminato nel 1978 e la prima sezione ad essere attivata fu quella di paleontologia. In seguito furono allestite altre sale, dedicate ad esempio alla mineralogia, collezione incrementata recentemente da una cospicua donazione di materiale. Solamente agli inizi degli anni ’80 il museo divenne civico dato che tutto il materiale venne donato al Comune di Voghera.
Dall’anno di fondazione del museo, annualmente viene pubblicata la rivista "Quaderni", raccolta di articoli scientifici riguardanti il territorio locale.
La sala dedicata alla zoologia possiede una considerevole collezione ornitologica. Si possono osservare vari esemplari, tra cui volatili diurni e notturni, anatidi, rapaci e numerosi limicoli. In questa sala si possono osservare altri vertebrati come pesci, anfibi e rettili conservati sotto alcool e mammiferi imbalsamati; parte di questa sala è dedicata agli invertebrati tra cui molluschi ed insetti.
La sezione di paleontologia fu la prima ad essere attivata. Comprende una parte introduttiva e altre due dove sono esposti i resti fossili di invertebrati e di vertebrati provenienti dal territorio. Anche se non mancano reperti provenienti da tutto il mondo. Per esempio l’omero di plesiosauro trovato nelle vicinanze di Zavattarello (PV); si tratta dell’unico resto appartenente a questi grandi rettili marini mesozoici, trovato In Italia. Altro resto importante è il cranio femminile di megacero proveniente dalle alluvioni padane. Oltre questi reperti archeologici sono presenti altri fossili sempre provenienti dal territorio locale.
Molto ricche sono le raccolte di mineralogia e litologia composte oltre che da 221 esemplari esposti, valorizzati grazie ad un allestimento essenziale, anche da circa 1800 campioni conservati nei depositi del museo. Tutte le classi sistematiche sono ben rappresentate da minerali provenienti da diverse località giacimentologiche sparse in tutto il mondo, in parte acquisiti grazie a donazioni di importanti collezionisti.
La sezione dedicata alla botanica è stata allestita con la nuova inaugurazione del museo. Per ora presenta una ricca raccolta micologica in cui si possono osservare una numerosa varietà di specie dalle più familiari, come il Boletus edulis, detto comunemente porcino, o la famosissima Amanita muscaria conosciuta per il caratteristico colore rosso con macchie bianche; a quelle più rare e particolari come il Clathrus ruber. La collezione può essere usata anche come punto di riferimento per tutti coloro che sono interessati a conoscere quali funghi sono commestibili e quali invece sono tossici.
Il Cinema Teatro Arlecchino, inaugurato dalla Società Operaia di Mutuo Soccorso (S.O.M.S) nel 1914 come Teatro Cinema Popolare, è l'unica sala cinematografica ancora attiva in città. Oltre alla proiezione di film, ha curato la stagione teatrale "A porte aperte" per conto del Comune.
In passato erano attivi anche il "Cinema Roma", in via Agostino Depretis, e il "Cinema Galvani", situato nel tratto orientale della via Emilia.
Il Teatro sociale fu adibito a opere liriche, operette, rappresentazioni teatrali, sede di conferenze e cinema.
Lunghi ed infruttuosi si sono dimostrati nel corso degli ultimi decenni i tentativi, più volte messi in atto sia dalla Società del Teatro sia dal Municipio di Voghera per un opportuno recupero strutturale dell’immobile, al fine di fermare il progressivo degrado di questo monumento della città di Voghera.
Per la storia del teatro sociale di Voghera è fondamentale il fondo archivistico della società che gestiva l’immobile contenente gli atti amministrativi, contabili e tecnici di progettazione dal 1845 al 1960 circa. Tale fondo è stato donato dalla stessa società al Dott. Giuseppe Mazza, direttore della biblioteca civica. Con la costituzione dell’archivio di Voghera negli anni 90 del Novecento, tale fondo è passato a quest’ ultimo ente che ha provveduto all’inventariazione a cura del Dott. Montagna.
La storia del teatro è abbastanza conosciuta perché ad essa hanno messo mano numerosi studiosi, primo fra tutti Alessandro Maragliano, che scrisse un saggio su I Teatri di Voghera nel 1901.
Il Teatro Sociale di Voghera sorse tra il 1842 e il 1845 sull'area delimitata da piazza Duomo e via Emilia, tra la casa Boccardi e l’attuale via Gioacchino Dell’Isola, dopo un’iniziale proposta di collocarlo nell'area di piazza San Bovo, avanzata dall'ingegner Vincenzo Pozzone, al quale la Società del Teatro aveva affidato l’incarico di studiare la miglior soluzione. Una seconda proposta di erigerlo in contrada San Bernardino, sostenuta da Francesco Porta, fu causa nel 1829 dell’abbandono di ogni proposizione per la sua realizzazione, forse per evitare i contrasti tra i soci azionisti.
Ripreso il progetto sette anni dopo, si decise di scegliere l’area di via Emilia, affidando il progetto all'architetto Felice Moraglia di Lodi. Sull'elaborato del Moraglia intervennero criticamente alcuni azionisti che indussero il Consiglio di Amministrazione a modificare il progetto, affidandone l’incarico all'architetto Gioacchino dell’Isola Molo del Borghetto, che volle collocare l’ingresso sul lato di via Emilia.
L’opera fu finanziata con un sussidio di 25.000 lire, messe a disposizione dal Comune di Voghera, che si sommò al guadagno proveniente dalla vendita dei palchi, mediante estrazione a sorte tra gli azionisti. Negli anni seguenti il Municipio vogherese s’impegnò nell'ampliamento dello stabile attraverso l’acquisto delle case ad esso adiacenti.
La sala teatrale, progettata per circa 1200 persone, presenta un triplice ordine di palchi, con sovrastante loggione e platea. Il piano di platea era originariamente mobile e molto inclinato, e in occasione delle esibizioni di danza era rialzato a livello. Le decorazioni della sala a rilievi dorati sono in legno e cartapesta, come pure le membrature attorno ai cassettoni del proscenio, molto simili a quello del Teatro alla Scala.
La maggior rappresentante del calcio cittadino è stata, fino al fallimento nell'estate 2013, l'Associazione Calcio Voghera, che vantava un passato fra i professionisti avendo militato in Serie C2 negli anni ottanta e novanta. Oggi il calcio vogherese è rappresentato dall'Associazione Sportiva Dilettantistica OltrepoVoghera, che milita in Serie D. La squadra si allena nello Stadio Comunale, dedicato al pugile Giovanni Parisi.
Tra le principali strutture sportive cittadine ci sono un palazzetto dello sport da 1007 posti ("Palaoltrepò"); il centro natatorio comunale "Riccardo Dagradi" che, con due vasche interne e tre esterne, ospita gli allenamenti dell'ASD Iria Pallanuoto; la palestra dell'Associazione Pugilistica Voghera, in cui si allenò il campione olimpico e campione del mondo Giovanni Parisi; il "Campo Giovani", sede della Società Atletica Iriense; il "Centro Adoloscere", sede di una polisportiva attiva nel settore della pallavolo.
Diverse associazioni sportive, principalmente di calcetto e tennis, varie palestre di arti marziali, l'associazione ASD Rugby Voghera e lo Sci Club arricchiscono il patrimonio sportivo vogherese.
Voghera è stata sede di partenza di tre tappe del Giro d'Italia (1956, 1977 e 1989), per una volta arrivo di tappa (1979) ed è inclusa nel percorso della classica Milano-Sanremo.
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