L'aggressività è un fenomeno complesso, che rientra nelle problematiche legate al manifestarsi della violenza negli esseri umani. Le dinamiche psichiche e biologiche che conducono ai conflitti violenti tra le persone, il loro legame con gli istinti primari sono questioni che da due secoli psicologi e altri studiosi analizzano e che solo recentemente si stanno chiarendo.
Nell'etologia in generale (e nell'etologia umana in particolare) col termine aggressività s'intende l'impulso istintuale ad aggredire animali di altre specie o della propria al fine di attentare alla loro esistenza, per cibarsene nel caso di specie predatorie carnivore, o comunque di provocare loro lesioni o danni diffusi. In altri termini, l'aggressività è letta dagli etologi come funzionale alla soddisfazione degli obiettivi primari: mangiare e copulare. Si ha aggressività per difendere un territorio, per proteggere i propri piccoli, per organizzare la scala sociale gerarchica all'interno di un gruppo nelle specie sociali. Konrad Lorenz ha studiato l'aggressività all'interno del comportamento animale, pubblicandone un primo saggio nel 1966 con il titolo Il cosiddetto male.
In psicologia ed in altre scienze sociali e comportamentali, con il termine aggressività ci si riferisce all'inclinazione a manifestare comportamenti che hanno lo scopo di causare danno o dolore ad altri da sé. L'aggressione in ambito umano può attuarsi sia sul piano fisico che verbale, ed una certa azione viene considerata aggressiva anche se non riesce nelle sue intenzioni di danneggiamento. Al contrario, un comportamento che causa solo accidentalmente un danno non è da considerarsi aggressione.
L'aggressività è stato un argomento sempre trattato dalle scienze sociali (psicologia, sociologia, antropologia) ed infatti esistono varie teorie. Per alcuni studiosi l'aggressività dipende da fattori innati, cioè sostengono che si nasce con l'istinto di aggredire, per gli ambientalisti, invece, l'aggressività è un fattore acquisito.
La frustrazione è una condizione psicologica di sofferenza che nasce dalla impossibilità di soddisfare un'esigenza fondamentale di natura psicologica o fisica a causa di un ostacolo esterno. Grazie ad alcuni esperimenti di Leonard Berkowitz si dimostra che non solo la frustrazione può rendere aggressivi ma anche la presenza di indizi aggressivi. L'esperimento di Berkowitz, infatti, mette in evidenza che la causa dei comportamenti aggressivi, oltre alla frustrazione, è anche il modo in cui viene interpretata una situazione; se sono presenti armi, ad esempio, si è portati a credere che la situazione è pericolosa, pertanto frustrati o no si reagisce in modo aggressivo.
La scuola dell'apprendimento di pensiero si basa sulla teoria per cui si diventa aggressivi quando si hanno dei modelli aggressivi nell'ambito familiare o a scuola o tra gli amici; è quindi un fattore acquisito. La psicologia sociale afferma che in un gruppo di amici esiste la mentalità di gruppo, ovvero tutti compiono delle azioni perdendo la propria obbiettività, quindi se nel gruppo si aggredisce e se gli altri aggrediscono, noi componenti di quel gruppo siamo portati a fare altrettanto.
Per la sociologia l'aggressività è un fattore ambientale, conseguenza di contesti sociali negativi che spesso portano a comportamenti collettivi che si hanno quando migliaia di persone agiscono allo stesso modo, facendo la stessa cosa (ad esempio negli stadi).
Gli antropologi partono dal presupposto che l'aggressività è una predisposizione del genere umano che si manifesta nei diversi popoli in modo diverso. Il popolo eschimese, ad esempio, ha una forma di aggressività passiva, ovvero il quiquq, che si ha quando una persona viene ignorata o presa in giro e quindi isolata dal gruppo pensando che quella persona provochi del male a tutti. Per l'antropologia, quindi, l'aggressività è innata, è un comportamento che si ha dalla nascita.
Quanto all'origine dell'aggressività e dell'eventuale parentela dell'uomo con gli animali sotto questo riguardo, si possono distinguere grosso modo due gruppi principali di teorie con una gamma di posizioni intermedie. Per il primo l'aggressività è un istinto che l'uomo ha in comune con gli animali; per il secondo, invece, è qualcosa di specificamente umano, tanto più se si considera l'aggressività intraspecifica (cioè all'interno della specie), che presso gli animali, tranne rare eccezioni, non ha carattere distruttivo, mentre fra gli uomini non si ferma neppure dinanzi all'omicidio, alla strage, al genocidio. Secondo i sostenitori di quest'ultima concezione, l'origine dell'aggressività degli uomini è da ricercare nella lunga storia della loro evoluzione come specie. Al primo gruppo di teorie si sogliono ascrivere anche, sempre in via di generalizzazione e accantonando perciò una serie di distinzioni secondarie, la teoria delle pulsioni di Freud e la concezione esposta da Lorenz nell'opera "Il cosiddetto male" (ampliata con il titolo L'aggressività, 1963).
Alcuni studiosi affermano che l’aggressività è solo un tipo di comportamento influenzato dalle norme e dalle regole di ogni cultura. In quest’ottica la violenza dei gruppi giovanili va calata nel contesto di regole e norme che essi considerano appropriate al comportamento. Le ricerche hanno dimostrato che, ad esempio, i membri di una banda commettono atti aggressivi quando questi sono visti come “la cosa giusta da fare” in una data situazione.
Secondo la teoria dell’apprendimento sociale, il comportamento viene appreso attraverso l’osservazione, l’imitazione, le ricompense e le punizioni che riceviamo, mettendo in luce la parte appresa del comportamento aggressivo. In tal senso i mass-media, in particolare la televisione, sono una fonte di modelli per i bambini. Se ad esempio un bambino vede l’eroe di un cartone o di un telefilm che picchia e uccide una banda di persone che lo minacciano, poi potrà valutare di usare quel copione come guida per il proprio comportamento nelle situazioni in cui gli pare appropriato.
La valutazione su ciò che è giusto o meno fare dipende anche dall’educazione e dalle spiegazioni che i genitori danno ai figli riguardo a determinate scene di violenza. Rimanendo sempre nell’ambito della famiglia, in genere i bambini fisicamente aggressivi hanno avuto genitori fisicamente punitivi che hanno impartito loro la disciplina mediante un modello aggressivo, con urla, schiaffi e percosse. Questi genitori hanno spesso avuto a loro volta genitori fisicamente punitivi. Tale comportamento punitivo può giungere fino al maltrattamento e, sebbene la maggior parte dei bambini maltrattati non sviluppi comportamenti criminali o non si trasformi in un genitore che maltratta i propri figli, il 30% finisce per adottare comportamenti violenti.
Anche l’eredità genetica influenza la sensibilità del sistema neurale alle sollecitazione aggressive. Il nostro temperamento, ossia il nostro livello di intensità e di reattività emotive, ci viene in parte donato alla nascita ed è influenzato dalla reattività del nostro sistema nervoso. Il temperamento di un individuo osservato durante l’infanzia di solito perdura anche in età adulta. Un bambino non aggressivo a 8 anni sarà molto probabilmente anche a 50 anni un uomo non aggressivo.
L’aggressività può anche essere stimolata dall’ambiente (caldo, rumore, sovraffollamento e inquinamento). Il fattore climatico più irritante è il caldo e le persone possono diventare più nervose quando il tempo è afoso. La correlazione tra temperatura e aggressività non costituisce una prova.
La presenza di alcuni composti chimici nel sangue può essere un altro fattore che influenza la sensibilità neurale alla stimolazione aggressiva. Molte ricerche indicano che il consumo di alcol scatena l’aggressività quando gli individui vengono provocati. L’alcol incrementa l’aggressività riducendo l’autoconsapevolezza delle persone e la loro capacità di valutare le conseguenze; infatti esso funziona da disinibitore, in altre parole riduce le nostre inibizioni sociali. Pertanto, sotto l’influsso dell’alcol, emergono con più forza le tendenze primarie di una persona, per cui chi è portato a mostrare affetto diventerà più espansivo e chi tende alla violenza diventerà aggressivo. Analogamente, dopo l’ingestione di alcol, le persone che sono soggette alla pressione sociale verso l’aggressività o che sono frustrate o provocate, avvertono minori restrizioni o inibizioni a commettere atti violenti.
Altri ricercatori sostengono che la frustrazione, cioè qualsiasi cosa che impedisca di raggiungere uno scopo, evoca uno stato di istigazione ad agire in maniera aggressiva e che l’aggressività è sempre preceduta da un qualche tipo di frustrazione. Non è detto che l’energia aggressiva esploda direttamente contro ciò che l’ha originata. Secondo il meccanismo della dislocazione, si impara a inibire le ritorsioni dirette, soprattutto quando altri potrebbero disapprovarci o punirci, e a trasferire l’ostilità dislocandola su bersagli più sicuri.
D’altra parte quando una persona cova ira o rancore a causa di una precedente provocazione, persino un’offesa insignificante può innescare un’azione dirompente eccessiva. Questo fenomeno di aggressività dislocata aiuta a comprendere perché una persona precedentemente provocata e ancora in preda all’ira, una volta alla guida della sua auto, potrebbe rispondere a gesti o a comportamenti lievemente offensivi di altri guidatori con vere e proprie reazioni di rabbia intensa e con gesti sconsiderati oppure compiere atti violenti in seguito a lievi critiche da parte del coniuge.
C’è una condizione chiamata Disturbo Esplosivo Intermittente (DEI o IED in inglese) che è considerata una vera e propria malattia psichiatrica. Questa condizione si caratterizza per gli episodi violenti saltuari, ma ricorrenti, dovuti all’incapacità di resistere agli impulsi aggressivi. Questi eventi sono oggetto di gravi azioni aggressive nei confronti di altre persone e che possono includere minacce verbali o fisiche, nonché il colpire o ferire. In queste situazioni spesso l’ira trova sfogo anche contro oggetti e proprietà.
Per comprendere meglio cosa possa esserci dietro a questi episodi di esplosione d’ira incontrollata, i ricercatori del Dipartimento di Psichiatria e Behavioral Neuroscience presso l’Università di Chicago hanno condotto uno studio coinvolgendo 197 volontari, e i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista JAMA Psychiatry.
L’idea dei ricercatori era quella di documentare se e quanto vi fosse un rapporto diretto tra i marcatori dell’infiammazione e le ricorrenti, problematiche, aggressività impulsive nelle persone con diagnosi di DEI, in confronto alle persone con una buona salute mentale o coloro con altri disturbi psichiatrici.
«Questi due marcatori offrono una coerente correlazione con l’aggressività e l’impulsività, ma non con altri problemi psichiatrici – ha spiegato l’autore senior dello studio, dott. Emil Coccaro – Non sappiamo ancora se sia l’infiammazione a scatenare l’aggressività o se siano i sentimenti aggressivi a scatenare l’infiammazione, ma questa è una potente indicazione che le due situazioni sono biologicamente collegate, e che è una combinazione dannosa».
I ricercatori ricordano che il DEI è un disturbo in grado di sconvolgere la vita di chi ne soffre e di chi sta accanto a loro, come famigliari, amici e colleghi. Le persone con DEI reagiscono in modo eccessivo a situazioni stressanti, spesso con ira incontrollabile e rabbia.
All’inizio è difficile discernere da ciò che è un episodio isolato, dovuto magari proprio a un momento di elevato stress, e ciò che invece è indizio di un problema di salute mentale sottostante. Ma, questo genere di problema «ha invece basi genetiche e biomediche – sottolinea Coccaro – Questa è una grave condizione di salute mentale che può e deve essere trattata».
Il DEI poi non si limita a influire in negativo sulla qualità della vita sociale di chi ne è interessato, ma può predisporre le persone ad altre malattie mentali, comprese la depressione, l’ansia, la dipendenza dall’alcol o la tossicodipendenza. A livello fisico, si è evidenziato in uno studio del 2010, vi à anche un aumentato rischio per malattie coronariche, ipertensione, ictus, diabete, artrite, ulcere, mal di testa e dolore cronico.
In questo studio, Coccaro e colleghi si sono focalizzati sui livelli ematici di due biomarcatori dell’infiammazione: la proteina C-reattiva (CRP) e l’interleuchina-6 (IL-6), ciascuna delle quali è stata associata a comportamenti aggressivi impulsivi sia nell’uomo che in modelli animali.
I ricercatori hanno misurato i livelli di CRP e IL6 in 197 soggetti volontari fisicamente sani, di cui 69 con diagnosi di DEI; 61 con disturbi psichiatrici diversi e 67 con nessun disturbo psichiatrico.
I risultati delle analisi hanno mostrato che i livelli di CRP e IL-6 erano in media superiori nei soggetti con DEI, rispetto ai soggetti con diversi problemi psichiatrici o normali. Per esempio, i livelli medi di CRP erano il doppio in coloro affetti da DEI in confronto con i volontari mentalmente sani. Entrambi i marcatori sono stati infine trovati particolarmente elevati nei soggetti che hanno avuto le più abbondanti storie di comportamenti aggressivi.
Dai risultati i ricercatori deducono che un intervento sull’infiammazione possa dunque avere effetti anche sulle reazioni aggressive dei soggetti a rischio e che «i farmaci che riducono l’infiammazione possono anche ridurre l’aggressione». Il suggerimento è pertanto quello di provare a trattare i soggetti con DEI o a rischio di svilupparlo con farmaci antinfiammatori, anche semplici come l’Aspirina, per contrastare questo tipo di disturbo.
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