giovedì 3 settembre 2015

L'APPENNINO LIGURE



Le sue montagne sorgono su cinque regioni: Liguria (province di Savona, Genova e La Spezia), Piemonte (provincia di Alessandria), Lombardia (provincia di Pavia), Emilia-Romagna (province di Piacenza e Parma) e Toscana (provincia di Massa e Carrara).
Si estende, convenzionalmente, fra il colle di Cadibona o bocchetta di Altare, in provincia di Savona, ed il passo della Cisa, al confine tra la provincia di Parma e la provincia di Massa e Carrara. Il colle di Cadibona lo separa dalle Alpi Liguri, mentre il passo della Cisa lo divide dall'Appennino tosco-emiliano. Tuttavia, dal punto di vista geologico, la separazione tra Alpi e Appennini, invece che all'altezza del colle di Cadibona, è situata alcune decine di km più a est, in provincia (e, in parte, nel comune) di Genova, all'altezza del passo della Bocchetta, in corrispondenza di quella che viene chiamata la linea Sestri-Voltaggio; pertanto, i monti situati in provincia di Savona e nella parte più occidentale di quella di Genova sono geologicamente derivati dall'orogenesi alpina.

La fascia di territorio in questione è rappresentata dalla propaggine montana delle valli dell’Oltrepò pavese.
La capitale storica di questo territorio è da sempre stato il borgo di Varzi, luogo di convergenza delle strade del sale e notevole centro di commerci, quando si facevano a dorso di mulo. Il salto culturale, nonostante la vicinanza delle valli del Curone e della Trebbia, rispetto alla tradizione ligure, è notevole. La sentiamo subito nella lingua, ma anche negli usi e costumi, in particolare quelli alimentari, dove possiamo rimarcare con assoluta facilità i tratti tipici della cucina lombarda e, al contempo, la mancanza di quei sapori, ad esempio di quello del pesto, che marcano con così forza la cucina delle valli circostanti. Dominante, in quest’area, il sapore delle carni brasate e stufate, dei salumi e della polenta di mais, che, invece, è rara lungo le valli confinanti e comunque estranea alla tradizione autoctona.
Per altro, la cittadina di Varzi è nota universalmente per il suo salame che viene stimato essere uno dei migliori del nord Italia. Di contro non possiamo non tenere conto anche dell’altra importante componente culturale della zona che è quella del vino. Sebbene coltivati notevolmente più in basso lungo la fascia collinare, la quantità e la qualità dei vini dell’Oltrepò hanno sicuramente influenzato l’intera cultura culinaria delle valli appenniniche lombarde, venendo usati oltre che come bevanda, anche come ingrediente di una quantità di piatti e di sughi.
Invece prodotto tipico della montagna è il nisso di Menconico, detto anche il formaggio che salta. Si tratta di una caciotta di latte di vacca e di pecora, a lunga stagionatura, che prende un sapore inconfondibilmente piccante.

La Pietra Corva o Pietra di Corvo (1.078 m s.l.m.) è una montagna dell'Appennino ligure posta sul confine tra la Provincia di Pavia e quella di Piacenza. Con il vicino Monte Penice, il Pan Perduto e il Monte Mosso fa parte dello spartiacque che divide la val Tidone dalla val Trebbia. Appartiene, amministrativamente, al comune di Pecorara e a quello di Romagnese.

Similmente alla vicina Pietra Parcellara si tratta di un lembo di mantello terrestre, di natura serpentinica, finito sul fondo dell'oceano (allora oceano ligure) prima della sua chiusura (circa 200 milioni di anni fa) a seguito di una frana sottomarina (olistostroma) che ha interessato un rilievo impostato sul mantello che costituiva il fondo dell'oceano.

Ai suoi piedi, in località Praticchia si trova il Giardino botanico alpino di Pietra Corva.

Il Giardino botanico alpino di Pietra Corva si trova nel comune di Romagnese e in parte nel comune di Pecorara sulle pendici del monte Pietra di Corvo a 950 metri s.l.d.m. È stato fondato da Antonio Ridella, veterinario e naturalista, e nel 1967 è stato aperto al pubblico. Scopo del giardino è di «conservare ed adattare piante d'alta quota provenienti da sistemi montuosi di tutto il mondo». Il Giardino ha anche scopi didattico–educativi, di ricerca, e turistico–economici.

Simbolo del giardino è la rara Meleagride minore detta anche Fritillaria montana.

Attualmente è gestito dalla provincia di Pavia e fa parte della Associazione internazionale giardini botanici alpini. Dal 2004 ospita il Centro studi dell'Appennino settentrionale.

Caratteristica del giardino è la presenza di circa cinquanta specie tipiche di ambienti ofiolitici, dovuto al fatto che il monte Pietra di Corvo è un antico affioramento di roccia vulcanica di colore nero. Le specie presenti nel giardino sono circa 1200.

Il monte Pénice, il cui nome deriva dal toponimo latino Saltus Boielis, con i suoi 1460 m d’altezza s.l.m. è una delle montagne più elevate, al confine fra il territorio dell’Oltrepò Pavese della valle Staffora ed il Piacentino della val Trebbia e val Tidone. La sommità è facilmente raggiungibile con la strada carrozzabile, ultimata nel 1927 su disegno del canonico Carlo Muzio, che si stacca dalla ex strada statale 461 del Passo del Penice, ora strada provinciale.

Lo scenario che si apre al visitatore spazia da un lato su Bobbio, adagiata sul fondovalle e sul fiume Trebbia, dall'altro sull'arco delle Alpi; da una parte l'Appennino ligure, dall'altra i contrafforti che scendono verso la pianura padana e le città che vi si stendono. Da Bobbio e da Varzi le strade salgono inizialmente tra dolci declivi disseminati di casali e piccoli nuclei; rimontano le pendici più ripide, ammantate da dense boscaglie, e giungono al passo del Penice a 1149 metri; da qui si stacca la strada che porta verso la vetta del monte, ove si trova un antico santuario. Parte del territorio la strada per la vetta e la sommità sono comprese nei comuni di Bobbio e Menconico, confinante fra il Passo penice e nel comprensorio sciistico anche il comune di Romagnese con le frazioni di Casa Matti e Pozzallo. Il Santuario si trova interamente nel comune di Bobbio, mentre il sottostante bar e la casermetta dei Carabinieri nel comune di Menconico.

La fondazione del santuario dedicato alla Madonna risale al VII secolo, la chiesetta attuale al XVII secolo. Si può salire fino al santuario anche percorrendo l'antico sentiero medievale che sale da Bobbio passando per la Moglia e San Cristoforo, nella valle del Carlone.

Sulle sue pendici in tempi recenti sono stati eretti impianti per gli sport invernali; queste attività possono essere praticate in località Passo Penice.

Sui suoi versanti sono presenti principalmente boschi di faggio e di conifere, queste ultime introdotte nel dopoguerra. Sono comuni anche altri tipi di piante, tra le quali alcune varietà di querce, il carpino ed il nocciolo.

Per quanto riguarda la fauna del luogo, tra le specie in cui ci si può imbattere ci sono: cinghiale, capriolo, daino, lepre, tasso, volpe, riccio, istrice, faina, donnola, scoiattolo, ghiro, ecc. Vi sono diverse varietà di uccelli: merlo, picchio, corvo, gazza, fagiano, pernice, upupa, civetta, passero, rondone, rondine, pettirosso, scricciolo, usignolo; fra i rapace più comuni: poiana, gheppio, sparviere, falco pecchiaiolo e ghiandaia. Fra i rettili: lucertola, ramarro, fra gli anfibi il rospo e la rana, fra i vari serpenti vi è anche la vipera comune.

Recentemente ha fatto nuovamente la comparsa il lupo, quasi scomparso a fine '800, ora presente fra i monti dell'appennino.

Proprio l'immissione di vegetali ed animali non autoctoni, come per esempio il cinghiale, è ritenuta una delle concause della riduzione di alcune delle specie locali, un tempo molto diffuse nella zona.

Alle pendici del monte Penice, sui versanti opposti dello stesso, si trovano due piccole cittadine turisticamente interessanti: Bobbio e Varzi. La prima, in provincia di Piacenza, è un borgo di origine medievale, che fu sede di un'abbazia fondata nel 614 da san Colombano e che porta ancora numerose tracce del suo passato (tra cui il Ponte Gobbo o Ponte Vecchio), la seconda in provincia di Pavia nota per motivi gastronomici, infatti nella zona viene prodotto un celebre salume, il salame di Varzi.

Lo Scrivia è un torrente del nord-Italia, affluente di destra del Po, che scorre in Liguria, Piemonte e in Lombardia.

Nasce in Liguria nel territorio della Città Metropolitana di Genova dalla confluenza presso il comune di Montoggio (GE) del torrente Laccio e del torrente Pentemina, entrambi provenienti dal monte Prelà (Appennino Ligure) percorrendo poi un tratto lungo circa 88 km. Se si considera come ramo sorgentizio principale il torrente Laccio (che nasce nel comune di Torriglia), la lunghezza totale del torrente sino alla foce sale a 117 km.

Dalla confluenza, lo Scrivia scorre inizialmente incassato in direzione nord-ovest fino a giungere nel comune di Montoggio (GE) dove riceve a destra il torrente Laitona poi fino a Casella (GE) dove riceve un altro importante affluente, il torrente Brevenna, si allarga notevolmente formando un ampio conoide alluvionale e verso il comune di Savignone riceve il torrente Camiasca alla sua sinistra.

Bagnato il comune di Busalla (GE) e ricevuti rispettivamente da destra il torrente Seminella e da sinistra il Busalletta, compie poi una chiara deviazione (l'unica veramente rilevante del suo intero percorso) verso nord. Prosegue per alcuni km sino a toccare Ronco Scrivia (GE), dove, nella frazione di Borgo Fornari, riceve da sinistra il torrente Traversa e da destra il torrente San Rocco proseguendo poi la sua corsa incassato in una profonda forra.

In questo tratto bagna alcune frazioni e il centro di Isola del Cantone (GE) ricevendo da destra il torrente Vobbia e da sinistra il torrente Borlasca. Da qui in poi scorre nuovamente incassato in una suggestiva gola sino nei pressi di Pietrabissara (GE) dove entra in territorio piemontese.

Subito forma un vastissimo conoide alluvionale e bagna il comune di Arquata Scrivia (AL) ricevendo da destra il torrente Spinti e più a valle sempre da destra, il suo principale affluente, il torrente Borbera che gli raddoppia la portata d'acqua. Da qui la valle si restringe nuovamente nell’attraversamento di Serravalle Scrivia (AL) dopodiché esce dal suo tratto vallivo rallentando la sua corsa e scorrendo alla sua destra idrografica ai piedi dei Colli Tortonesi.

Giunto a Cassano Spinola (AL), il letto del torrente si allarga enormemente raggiungendo anche il km di ampiezza e divagando in molti rami secondari. In questo tratto il torrente non riceve tributari significativi ma solo alcuni modesti corsi d'acqua in destra idrografica come il torrente Castellania-Bruto, proveniente dai Colli Tortonesi. Dopo aver bagnato la città di Tortona (AL) e aver ricevuto da destra il piccolo torrente Ossona, il fiume entra in pianura approfondendo il proprio letto.

Giunto a Castelnuovo Scrivia (AL) riceve sempre da destra il suo ultimo affluente, il Grue, piccolo corso d’acqua. In seguito, con caratteristiche ormai di fiume di pianura, prosegue bagnando Alzano Scrivia (AL) e Molino dei Torti (AL), entrando in Lombardia presso Cornale (PV) sino a confluire da destra nel Po.

La portata media annua dello Scrivia presso la foce è di circa 23 m³/s. Il regime è nettamente torrentizio con piene talvolta disastrose in autunno (in particolare quella del 1968 che raggiunse il suo massimo storico di oltre 2.000 m³/s; durante quella invece dell'autunno 2002 il fiume travolse un ponte tra Arquata Scrivia e Vignole Borbera, ripristinato e riaperto poi solo nel 2005; da citare anche le piene del 4 novembre 2011 e del 9-10 ottobre 2014, tra le massime che si ricordano) e magre quasi totali in estate (totali nel tratto compreso tra Cassano Spinola e Casei Gerola dove può rimanere addirittura asciutto anche per mesi).

Ad accentuare questa caratteristica sono i tempi di corrivazione essenzialmente brevi nel caso di forti piogge a monte: le onde di piena della Scrivia infatti possono essere particolarmente tumultuose e devastanti anche se di breve durata. Proprio per le sue caratteristiche è classificato come torrente, nonostante le dimensioni siano molto maggiori rispetto a ciò che normalmente viene definito torrente.

Le specie ittiche che si possono più comunemente trovare in questo fiume sono: il cavedano, il ghiozzo, il barbo, la savetta la lasca e nel tratto più alto dello stesso (soprattutto in provincia di Genova) la trota fario, la trota iridea, il salmerino ed il vairone.

La Valle Scrivia è una delle vie preferite per le rotte migratorie dei volatili che, partendo dall'Africa per raggiungere il nord Europa, trovano un transito molto favorevole nel corso rettilineo e sgombro di questa valle, che per l'appunto è posta in direzione nord-est, sud-ovest.

Tra le specie di uccelli locali vanno segnalati: il nitticore, le garzette, gli aironi cinerini, il rarissimo tarabuso ed il cavaliere d'Italia. Nelle zone umide ricoperte da canneti vi sono germani, mestoloni e morette. Nei tratti di fiume dove la vegetazione si fa più rada si possono osservare allodole, gruccioni e cappellacce mentre gli alberi ospitano usignoli, capinere, sterpazzole, upupe, ghiandaie e picchi. In crescita la popolazione di martin pescatori.

La valle Staffora è una vallata lombarda formata dal torrente Staffora situata nell'Oltrepò Pavese. Rientra nel bacino idrografico del fiume Staffora anche la frazione Samboneto di Zerba, in provincia di Piacenza, e parte del territorio comunale di Pozzol Groppo in provincia di Alessandria.

Questa valle appenninica si incunea tra la val Curone (provincia di Alessandria) ad ovest, l'Oltrepò di Santa Maria della Versa, la val Tidone e la val Trebbia (provincia di Piacenza) ad est e la val Boreca, sempre in provincia di Piacenza, a sud. Inizia alle pendici del passo del Giovà e si estende per una prima parte impervia circondata dai monti: Penice (1460 m s.l.m.), Cima della Colletta (1494 m), Lesima (1724 m), Tartago (1688 m), Chiappo (1700 m), Garave (1549 m), Bogleglio (1492 m). All'altezza di Varzi attraversa una zona collinare e giunge fino alla pianura dove il torrente omonimo confluisce nel Po.

Nel medioevo era possesso dell'abbazia di San Colombano di Bobbio. Cadde sotto il potere dei Malaspina, che ne ebbero regolare investitura nel 1164. Nel 1743 passò ai Savoia sotto la Provincia di Bobbio fino all'unità d'Italia.

Quattro valichi la mettono in comunicazione con la val Trebbia: il passo del Penice con la Strada statale 461 del Passo del Penice, il passo della Scaparina, il passo del Brallo e il passo del Giovà attraverso la val Boreca.

La comunicazione con la val Borbera vede un passaggio di un paio di chilometri, dopo il passo del Giovà, in provincia di Piacenza, per scendere poi attraverso le Capanne di Cosola.
Attraverso la vallata transitava la via del sale lombarda, percorsa da colonne di muli che trasportavano sacchi di sale, percorrendo il fondo valle raggiungevano Genova risalendo il monte Bogleglio e percorrendo il crinale fino al monte Antola per scendere a Torriglia.

Oggi la via del sale, perso il suo valore commerciale, è divenuta meta di escursioni e trekking, snodandosi in un ambiente di particolare interesse naturalistico.

La parte montana di questa valle fa parte del territorio culturalmente omogeneo delle quattro province, caratterizzato da usi e costumi comuni e da un repertorio di musiche e balli molto antichi. Strumento principe di questa zona è il piffero appenninico.

Molte sono le frazioni che portano avanti questa tradizione, in particolare Cegni festeggia il carnevale con un rito molto antico, il sabato grasso e il 16 agosto per il carnevale bianco ripropone la storia della povera donna coinvolgendo sia i paesani che i molti forestieri, anche stranieri, che partecipano ai festeggiamenti e ai balli.

Amministrativamente è divisa tra i comuni di Bagnaria, Brallo di Pregola, Cecima, Cervesina, Godiasco, Menconico, Montesegale, Ponte Nizza, Pozzol Groppo, Retorbido, Rivanazzano Terme, Santa Margherita di Staffora, Val di Nizza, Varzi, Voghera, Zerba.

Principalmente a carattere agricolo, molto importante la produzione di vino, vede svilupparsi zone artigianali e industriali soprattutto nella parte pianeggiante. Nell'alta valle grazie all'ambiente incontaminato si è sviluppato il turismo, sia residenziale che di passaggio, con mete quali il monte Penice, il passo del Brallo e del Giovà, e le molte montagne.
Fa parte della Comunità montana Oltrepò Pavese, tranne la frazione Samboneto di Zerba (PC) che fa parte della nuova Unione Montana Valli Trebbia e Luretta ed il territorio di Pozzol Groppo appartenente alla Comunità montana Terre del Giarolo

Il lago di Trebecco è un lago artificiale situato in media val Tidone. Viene formato da uno sbarramento chiamato diga del Molato che, intercettando le acque del torrente Tidone, forma un bacino situato per la sua parte nord sul territorio comunale di Nibbiano, in provincia di Piacenza e per la parte sud su quello di Zavattarello in provincia di Pavia.

Oltre il Tidone altri torrenti contribuiscono all'alimentazione: il Morcione che scende da Zavattarello e i più piccoli, il rio Cabarato e il fosso della Fega a est e il fosso del Vago e il fosso delle Carrare a ovest.

Il suo nome deriva dall'antico borgo di Trebecco, oggi frazione di Nibbiano, che al tempo della costruzione della diga era un comune autonomo, sito all'interno della giurisdizione provinciale pavese, di cui faceva parte la porzione di vallata interessata dalla costruzione del bacino.

Il lago viene costeggiato dalla strada provinciale ex SS 412 della Val Tidone.

I lavori di costruzione della diga del Molato incominciarono nel 1921 con una comunanza di intenti: in primo luogo regolare il corso del Tidone, che con le sue piene causava danni all'agricoltura nella parte bassa della val Tidone, e in secondo produrre energia elettrica e costituire una riserva d'acqua per l'irrigazione. Il progetto fu preparato dall'ingegner Augusto Ballerio e i lavori furono diretti dall'ingegner Guido Comboni. L'opera, che fu conclusa nel 1928, risultò molto laboriosa a causa dei limitati mezzi tecnici dell'epoca; per esempio la ghiaia veniva trasportata con carretti dal paese di Caminata. La diga, costruita in calcestruzzo, ha un aspetto architettonicamente interessante: sul fronte presenta più livelli di archi multipli con speroni e le costruzioni annesse sono realizzate con il medesimo stile. È alta 55 m, lunga 180 m alla base e 322 m sul fronte, comprese le strutture laterali. La sua capacità iniziale di 12.5 milioni di metri cubi si è considerevolmente ridotta fino a circa 10.5 milioni in conseguenza dell'inevitabile processo di interramento del bacino.


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