Posto sul lungo crinale che separa la Valle della Berga dal Lago d’Idro, il Monte Suello diede il proprio nome a una famosa battaglia della terza guerra d’indipendenza che vide contrapposti fra loro due reggimenti dei Volontari Italiani di Garibaldi e gli austriaci dell’8° Divisione del generale Von Kuhn.
Il generale von Kuhn aveva predisposto un piano offensivo per espugnare la Rocca d'Anfo in tre direttrici d'attacco ordinando al tenente colonnello Heribert Höffern von Saalfeld di occupare il 30 giugno Riccomassimo, Monte Macao, Vessil e Col Bruffione e di proseguire il 1º luglio a Bagolino, facendo delle diversioni verso il Passo del Maniva e Passo di Crocedomini sopra Breno; al centro dello schieramento, al capitano Ludwig von Gredler con quattro compagnie della brigata di Bruno Freiherr von Montluisant e una compagnia di volontari viennesi-tirolesi, di attestarsi, per la giornata del 2, nella Valle del Chiese a Monte Suello con il compito di sbarrare il passo alla fortezza di Rocca d'Anfo e infine a sud, al tenente colonnello Hermann Thour von Fernburg con la sua mezza brigata, dopo essersi assicurato il controllo di tutti i passi della Valle di Ledro (Passo Nota e Tremalzo), di occupare Magasa, Turano e la Val Vestino, il 1º luglio, e il 2, per il monte Vesta e Manos, rispettivamente sopra Bollone e Capovalle, di procedere al completo accerchiamento della Rocca d'Anfo scendendo a Treviso e a Idro. L'operazione in Val Camonica fu invece affidata alla mezza brigata del maggiore Alexander von Metz.
Il generale Giuseppe Garibaldi, la mattina del 3 luglio, osservando da Rocca d'Anfo i movimenti degli austriaci che occupavano la chiesetta di Sant'Antonio nei pressi di Ponte Caffaro ordinò perentoriamente al colonnello Clemente Corte, comandante della 4ª Brigata Volontari Italiani, composta dal 1º e dal 3º Reggimento, supportata dal 1º Battaglione Bersaglieri genovesi del maggiore Antonio Mosto e una Batteria di artiglieria da montagna del Regio esercito, di “cacciare quei mosconi” dalle loro posizioni.
Alle 14.00 del pomeriggio si accesero i primi violenti scontri. Il colonnello Corte avanzò con sei compagnie del 1º Reggimento in colonna per quattro sulla strada che sale a Bagolino fiancheggiato a sinistra, sulle falde del monte, dalla compagnia di Bersaglieri genovesi, e sostenuto alle spalle da una sezione di artiglieria e dalla riserva del 3º Reggimento di Giacinto Bruzzesi. Gli austriaci, circa 868 uomini, inquadrati in quattro compagnie di Kaiserjäger, la 31ª, 32ª, 35ª e 36ª, del VI Battaglione della mezza Brigata del colonnello Heribert Höffern von Saalfeld comandati dal capitano Ludwig von Gredler, appostati strategicamente sulle falde del monte e distesi lungo la strada cominciarono a sparare all'avanzata delle camicie rosse.
Alcuni ufficiali furono subito uccisi o colpiti, lo stesso generale Garibaldi accorso sul posto fu ferito alla coscia sinistra da un maldestro suo soldato e, sostenuto dal capitano Ergisto Bezzi, fu immediatamente trasportato nei pressi di un casolare di San'Antonio per essere curato dal medico palermitano Enrico Albanese e da Jessie White Mario e successivamente trasferito all'interno della Rocca d'Anfo.
Gli austriaci imbaldanziti, credendo di avere la vittoria a portata di mano, iniziarono ad avanzare minacciosamente lungo le pendici del monte con tutte le loro forze, cinque compagnie di 7-800 uomini, costringendo i garibaldini a mettersi “al coperto dai fuochi troppo micidiali del nemico ed a cui era impossibile di rispondere”. Poco prima, alle ore 13.00, una colonna austriaca al comando del capitano Schiffler era avanzata minacciosamente sulla strada di Ponte Caffaro fino alla chiesa di San Giacomo, ove era caduta sotto il tiro di due cannoncini delle due imbarcazioni della Dogana di confine operante in prossimità delle sponde del lago d'Idro. Alle 15.00 gli austriaci furono fermati da il contrassalto di una Compagnia dei Bersaglieri genovesi con il concorso di quattro pezzi di artiglieria.
Tutto sembrava perso per gli italiani premuti dall'ultimo assalto nemico, anche se tra le file degli austriaci si annoveravano caduti e feriti tra cui il capitano Spagnoli, comandante della 31ª e 32ª Compagnia, che ferito ad un occhio dovette ritirarsi dal combattimento cedendo il comando al capitano Walter. La giornata fu salvata, come ebbe a dichiarare Giuseppe Garibaldi, per “il sangue freddo e il coraggio” del colonnello Giacinto Bruzzesi che occupate le alture di Sant'Antonio vi posizionò due cannoni della Batteria da montagna del Regio esercito iniziando un tiro micidiale sulla colonna degli austriaci e infine lanciò un ultimo risolutivo assalto con sette compagnie. Gli austriaci cedettero all'impeto e in breve furono costretti, verso le 19.00, a ritirarsi sul dosso del Monte Suello che poi abbandonarono furtivamente nel corso della notte, coperti in retroguardia dal capitano Schiffler e dalla 1ª Compagnia Tiragliatori volontari viennesi-tirolesi (Wien-Tiroler Scharfschützen), riparando a Ponte Caffaro e Lodrone e poi successivamente una parte nei forti di Lardaro, l'altra in quello d'Ampola.
Più a nord anche il colonnello Heribert Höffern von Saalfeld, che aveva tentato inutilmente da Bagolino di raggiungere la Valle di Levrazzo per piombare alle spalle degli italiani, aveva cominciato la ritirata su posizioni più arretrate, azione completata il 4 luglio sulla malga di Bruffione e la retrocessione successiva verso Roncone e i Forti di Lardaro.
Lo stesso generale Giuseppe Garibaldi descrisse così nelle sue "Memorie" i fatti accaduti in quella giornata: "Per un pezzo tutto andava bene, ed il nemico ripiegava davanti alla bravura dei nostri; ma essendo esso rinforzato dalle riserve che coronavano le alture di monte Suello, e trovando i nostri militi posizioni sempre più formidabili, furono alla fine fermati nel loro slancio. Infine la giornata restò indecisa, e si rimase nelle posizioni sotto monte Suello. Ferito alla coscia sinistra, fui obbligato a ritirarmi".
L’esito della battaglia rimase in ogni modo incerto per molte ore e il Corte, temendo un contrassalto della mezza brigata del colonnello Hermann Thour von Fernburg a Moerna, ordinò l’immediata ritirata di tutti reparti operanti nella Val Vestino al comando del maggiore Luigi Castellazzo e quella dei suoi uomini nella Rocca d'Anfo.
Durante la notte dal 3 al 4 arrivarono di rinforzo ad Anfo i primi reparti del 9º Reggimento di Menotti Garibaldi, e nel giorno successivo, il 1º Battaglione di questo comandato dal maggiore Enrico Cairoli, occupò la vetta di Monte Suello, mentre il 2º Battaglione si stabilì a presidio di Bagolino.
Con quest'ultima operazione si concludeva quasi completamente il piano predisposto dal generale Von Kuhn che non raggiungeva gli obiettivi preventivati, ossia la cacciata degli italiani dal Trentino mediante l'accerchiamento della Rocca d'Anfo, mentre l'unica azione austriaca ancora in atto e di una certa entità rimaneva quella in Valcamonica. Gli italiani con la vittoria occupavano la piana del fiume Chiese, la Val Vestino apprestandosi a porre l'Assedio del Forte d'Ampola e la marcia di avvicinamento verso i forti di Lardaro.
Le truppe volontarie italiane accusarono 70 morti (3 ufficiali), 266 feriti (14 ufficiali), 22 dispersi. I dati sono discordanti per quanto riguarda le perdite nemiche che, secondo fonti italiane, furono di 15 morti (1 ufficiale) e 43 (2 ufficiali) feriti mentre le relazioni militari austriache riportano 10 morti e 18 feriti.
Il sacrario di Monte Suello venne eretto a ricordo dei caduti garibaldini.
Il 19 marzo 1879 per iniziativa di alcuni patrioti e veterani della battaglia si teneva un’adunanza nel teatro di Vestone al fine di pianificare l’edificazione di un sacrario per raccogliere le spoglia dei volontari che non avevano ancora ricevuto degna sepoltura: infatti i caduti vennero seppelliti all’indomani dello scontro del 3 luglio frettolosamente sotto pochi centimetri di terra in nove fosse comuni contrassegnate da croci di legno a lato della strada per Bagolino e li rimasero fino al 1879 quando i poveri resti furono portati nella chiesa di San Giacomo posta sulla strada per Ponte Caffaro e ricomposti grazie all’interessamento del dott. Luigi Riccobelli di Vestone. Nella chiesa di San Giacomo per un certo periodo si celebrò messa per commemorare la battaglia, la cui data “3 luglio 1866” è dipinta sul campanile della stessa.
Nell’adunanza del 1879 venne deciso di creare due comitati, uno onorario a Firenze presieduto dal generale Clemente Corte ed uno esecutivo a Vestone presieduto dal ex maggiore Giuseppe Guarnieri, anima del progetto. Nel 1883 dopo regolare bando vinse il progetto dell’architetto Armano Pagnoni, tecnico del comune di Bagolino e cominciarono i lavori di costruzione dell’Ossario che terminarono nel 1884.
L’imperversare di una epidemia di colera fece slittare l’inaugurazione al 5 luglio 1885, giornata nella quale i feretri furono traslati dalla chiesetta di Sant’Antonio, (lì portati nella precedente giornata del 4 luglio dalla chiesa di San Giacomo) fino all’ossario e con atto notarile lo stesso giorno la proprietà passava alla Deputazione provinciale di Brescia, la quale ne assumeva la custodia e relativa manutenzione. Nel 1907 il monumento venne dotato di una cancellata su tre lati che fu completata sul lato a lago nel 1914.
L’ossario di Monte Suello sorge sul luogo dove l’architetto Armanno Pagnoni venne catturato dagli austriaci proprio nella battaglia del 3 luglio 1866. Infatti ancora giovanissimo e all’insaputa della famiglia prese parte alle operazioni belliche e fatto prigioniero. Dopo un anno di detenzione nel castello del Buon Consiglio a Trento venne liberato in uno scambio di prigionieri e poté rientrare in patria.
Il monumento in stile bizantino si presenta esternamente in pianta quadrata rivestito di graniti e piastre in calcare, sormontato da un tetto conico di forma piramidale, ricoperto di piastre in piombo. Sono presenti una serie di lapidi che ricordano gli scontri avvenuti a Monte Suello nel 1848 e nel 1866. La sala interna o edicola è di forma ottagonale con intercolonne in lavagna e avelli riportanti i nomi dei caduti in marmo di botticino. Al centro dell’edicola campeggia un busto in marmo di carrara raffigurante Giuseppe Garibaldi, interessante opera dello scultore rezzatese Pietro Faitini. Il cancello di entrata in ferro e ghisa fu disegnato e donato da Francesco Glisenti. Nella parte semi-interrata è presente una cripta con volta a botte che racchiude i resti dei caduti.
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