La Chiesa di S.Pietro di Brebbia è una delle chiese romaniche più belle della zona di Varese, di essa si ha documentazione dal X secolo, in cui viene specificato che fu edificata nel V.
La pieve di Brebbia o pieve dei Santi Pietro e Paolo di Brebbia (Plebis Brebiae o Plebis sancti petri et pauli brebiae) era il nome di un'antica pieve dell'arcidiocesi di Milano e del ducato di Milano con capoluogo Brebbia.
I patroni erano i santi Pietro e Paolo che vengono ancor'oggi festeggiati in città il 29 giugno. A loro è tuttora dedicata la chiesa prepositurale di Brebbia.
Il primo documento storico che riporta esplicitamente la presenza di un'organizzazione plebana a Brebbia è un atto di permuta del 22 giugno 999, ma il nome di un prevosto ci perviene solo in epoche più tarde.
Nel 1148 la pieve accolse per la prima volta una dipendenza monastica del monastero di Sant'Ambrogio di Milano che si sviluppò attorno al santuario di San Sepolcro di Ternate, il quale passò poi agli agostiniani e nel XV venne definitivamente ceduto ai benedettini di San Pietro in Gessate. Altrove, sempre nella pieve, si instaurarono carmelitani e cluniacensi che fecero crescere sempre più il prestigio dell'antica pieve.
Secondo la "Notitia cleri" del 1398, la canonica di Brebbia comprendeva a quell'epoca un prevosto e ben diciotto canonici, il che si può dire che fosse quasi un unicum in tutta la regione lombarda, anche se alcuni critici moderni hanno ritenuto essere troppo elevato questo numero e quindi poco verosimile dal momento che solo nel 1455, l'arcivescovo Gabriele Sforza valutò appena otto canonici ed il prevosto. Già quando la macchina del concilio di Trento si era avviata, alla visita del visitatore apostolico Melchiorre Crivelli del 1545, era stata ravvisata la presenza di un vicecurato che aveva funzioni di sostituire il prevosto, il quale quindi non risiedeva in paese, contravvenendo a quelle norme che San Carlo Borromeo avrebbe in seguito fortemente voluto.
Malgrado la ricchezza della sua pieve, la città di Brebbia era quasi praticamente spopolata e tale si trovava all'epoca della visita dell'arcivescovo milanese Carlo Borromeo nel 1574. Giudicando quindi inadatto l'assetto urbano per ospitare un'istituzione tanto importante come la pieve, fu egli stesso il 6 ottobre di quello stesso anno a stabilire che le funzioni plebane venissero trasportate a Besozzo. Oggi il suo territorio ricade sotto il decanato di Besozzo e comprende 28 parrocchie su un'area di 98,04 km² e una popolazione di 42.701 abitanti nel 1972.
Diversa sorte ebbe invece la coestensiva pieve secolare e laica nella quella si articolava la Provincia del Ducato di Milano: la pieve civile raccoglieva ventiquattro comuni. I mutamenti ecclesiastici non influenzarono infatti per nulla l'ambito amministrativo civile, rispetto al quale Brebbia fu il capoluogo della propria pieve per altri due secoli: fu l'invasione di Napoleone del 1797 e la conseguente riforma amministrativa voluta dai rivoluzionari giacobini al suo seguito a determinare la soppressione dell'antico compartimento territoriale, sostituendolo con un nuovo e moderno distretto avente sede a Besozzo.
Risalente alla fine del XII secolo, la chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Brebbia è degna di nota per la raffinatezza del paramento murario che, costituito da blocchi di serizzo, granito e pietra d'Angera, crea piacevoli effetti cromatici.
Secondo la tradizione, la prima chiesa di Brebbia sarebbe stata fondata, intorno al V secolo, da S. Giulio, l'evangelizzatore, insieme al fratello Giuliano, del lago Maggiore e di quello di Orta.
La decorazione ad affresco di questa chiesa, che si sviluppa soprattutto nella zona absidale e sulla parete destra, è cresciuta e si è completata nel tempo, con l'apporto di singoli artisti, come risultato di un'attività e di un sentimento collettivi, scegliendo via via il linguaggio più aggiornato e meglio collaudato. Il desiderio di aggiornamento degli artisti vuole, infatti, anche in queste chiese "di periferia", che il linguaggio della pittura sia efficace, comunicativo dei temi e della sensibilità dell'epoca, sino alla massima espressività possibile.
Gli affreschi della zona absidale della chiesa di S. Pietro, vera e propria "mescolanza e composizione" di diverse mani di maestri, sono quelli meno leggibili, a causa della caduta di vaste zone di colore e del sovrapporsi di strati di intonaco, elemento, questo, che ricorre di frequente negli affreschi di tipo devozionale.
Il catino absidale è dominato dalla figura centrale di Cristo, racchiusa all'interno di una mandorla dai colori dell'arcobaleno, circondata da un concerto angelico; nel registro superiore dell'abside si trova una serie di Apostoli, disposti a coppie, ai lati di una Crocifissione; nel registro inferiore, sono affrescate coppie di Santi, tra cui riconosciamo S. Antonio Abate, S. Sebastiano, S. Vittore e S. Bernardino da Siena; un'altra Crocifissione, in alto a destra accanto alla finestra centrale, compare "bruscamente" nello spazio absidale, slegata stilisticamente e tematicamente dalle altre figure dipinte; sotto di essa troviamo un'altra scena frammentaria, con lo stesso soggetto, ma con differenti caratteri stilistici, infine, sul lato sinistro della stessa finestra ci sono una Madonna in trono con Bambino e S. Pietro.
Un gruppo di santi, ritrovati durante i restauri del 1963-1964, si trova sulla parete di fondo nella navata destra. Un tempo sovrastavano un altare addossato a questa parete e dedicato a S. Stefano, più volte nominato nelle visite pastorali della fine del Cinquecento. I santi raffigurati sono Paolo, Antonio Abate, che compare due volte consecutivamente, Stefano e Bartolomeo.
L'immagine di Bartolomeo santo taumaturgo e guaritore di infermi, è molto ben conservata nel disegno e soprattutto nei vivaci e squillanti colori.
Proseguendo lungo la parete della navata destra, troviamo un brano affrescato particolarmente interessante: si tratta di un'architettura dipinta con discreto senso spaziale, composta da un loggiato sorretto ai lati da due esili colonnine, con al centro la Vergine in trono con il Bambino, affiancata da quattro santi. Il motivo architettonico, che illusionisticamente imita la struttura di un altarolo per la preghiera, appare unificato dal pavimento con losanghe di colore rosa chiaro. La Madonna è affiancata da S. Rocco e S. Sebastiano, tradizionalmente invocati contro la peste, e da altri due santi: un guerriero, forse S. Giorgio e un imperatore, forse identificabile come S. Enrico. Ai lati, esternamente al finto loggiato, ci sono infine le due immagini di S. Antonio a destra e di un Santo Vescovo a sinistra.
La parte superiore del finto altare è costituita da un timpano dominato al centro dalla figura di S. Pietro con ai lati due committenti inginocchiati.
Ai lati del timpano notiamo altre due scene. S. Giulio compare in alto a destra e, secondo un'iconografia tradizionale, è in atto di scacciare dall'Isola d'Orta i mostri che la infestavano, uno dei quali è dipinto sotto le sembianze di un drago marino. Il culto di San Giulio è molto vivo nella zona del Lago d'Orta e nell'Alto Partic.
Nella scena a sinistra, invece, è rappresentato un Santo vescovo, con la mano levata a benedire, davanti ad un cavallo condotto da un uomo in armatura. Si tratta sicuramente di S. Eligio, ricordato non solo per la sua attività di orafo e monetiere di corte, prima della consacrazione, ma anche per una leggenda diffusa a partire dal XIV secolo, che gli attribuisce la facoltà di guarire e proteggere i cavalli. Nel contado a sud Ovest di Varese restano ampie tracce iconografiche della devozione verso Eligio: a Monate un affresco evoca la potenza taumaturgica del Santo, all'eremo di Santa Caterina del Sasso compare Sant'Eligio affiancato dalla figura di Sant'Antonio.
Più volte nominato è anche l'altare di Simonino, posto a destra della porta del coro, oggi scomparso insieme con gli affreschi che ritraevano il martire "infante nudo flagellato dai Giudei".
Forse essi si trovano tuttora sotto lo strato di intonaco che ricopre la parte finale della navata, e da cui affiorano i resti di una composizione con S. Nicola e il miracolo dei tre fanciulli. Questo soggetto, era abbastanza diffuso nella zona: ne abbiamo un esempio nel battistero di Varese e uno tardo-quattrocentesco nell'abside di S. Donato a Sesto Calende, che presenta notevoli analogie con il frammento di Brebbia.
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