La chiesa di San Biagio è una chiesa cattolica di Monza costruita tra il 1965 e il 1968 accanto a una chiesa preesistente che crollò nel 1977.
La prima chiesa di San Biagio viene considerata da Giuseppe Marimonti esistente ai tempi di Innocenzo II nel 1141, sottoposta nel 1169 alla basilica di San Giovanni Battista da Papa Alessandro III, restaurata ed eretta a parrocchia da san Carlo Borromeo.
La parrocchia di san Biagio ha radici cristiane profonde, sviluppatesi in oltre 420 anni di storia: la parrocchia è stata fondata, infatti, nel 1584 (18 giugno 1584, cardinale arcivescovo Carlo Borromeo).
Una tradizione, dunque, ‘importante’, di cui la comunità parrocchiale di san Biagio è orgogliosa custode.
Nel groviglio delle vicende medioevali, mentre l’Italia sopportava le lotte per l’emancipazione comunale, la Brianza viveva uno dei periodi più dolorosi, agitata da guerre intestine durante le quali città come Milano e Como si fronteggiarono anche per l’assegnazione dei Vescovati. Erano i tempi del “timor delle streghe”, delle superstizioni,dei”giudizi di Dio”, in cui di poco conto era tenuta la vita umana, tanto che un nobile per l’uccisione di un plebeo era punito “con pena di libbre sette…” A nulla erano valse le prediche dei riformatori: le cose di religione erano lasciate in condizioni miserevoli. Monza, caduta nell’orbita milanese, era in attesa del grande Federico Barbarossa.
S. Biagio viveva la sua vita di borgo, che sarà chiamato “fuori le mura” quando fu cinta e fortificata la città. Acquistando man mano importanza sia perché era luogo di passaggio verso la terra di Brianza, sia perché era considerato luogo di sosta e ospitalità. Nella carità e nella socialità affonda pertanto le sue radici la comunità di S. Biagio.
Nella borgata, presso una piccola chiesa sorgeva un “ospizio-ospedale” e una “confraternita” laica animava e amministrava l’opera caritativa. Come era uso in quel tempo, che vedrà prima sorgere e poi diffondersi l’operosità dell’ordine degli Umiliati. È noto infatti che nel medioevo presso molte comunità religiose erano esercitate funzioni di assistenza sociale attraverso l’opera svolta per mezzo di ospedali e senodochi (ospizi) che si ritengono di origine orientale e importati in Italia dai monaci. Questi luoghi sorgevano presso le strade più battute, aperti ai pellegrini e ai poveri: erano per lo più autonomi rispetto al monastero ed esercitavano, in periodi di barbarie, la carità cristiana.
Probabilmente con lo stesso stile, e secondo le forme che ormai erano consacrate dall’uso, sarà stato condotto anche l’ospedale di S. Biagio, che era gestito da una comunità formata di uomini e donne, anche uniti in matrimonio.
Fatto peculiare, però, è la donazione dell’ospedale S. Biagio alla Santa Sede. Infatti, essendo papa Innocenzo II, questi, con bolla del 15 ottobre 1141, si rivolge “al dialetto figlio Adamo maestro dell’ospitale che è presso S. Biagio vicino a Monza ed ai suoi fratelli, presenti e futuri, che sono da sostituire in perpetuo”. E, dopo aver detto che per divina disposizione il Papa deve accogliere i pii voti e “inclinare le orecchie alla giuste domande”, afferma: ” … perciò considerano che tu, figlio diletto nel Signore, offri a me e al B. Pietro il nominato ospitale con tutti i suoi appendizi, con l’assenso di Arnaldo e di Giovanni e di altri vicini dello stesso luogo, sotto il censo dei denari di moneta antica di Milano, pagando annualmente a noi ed ai nostri successori, accettiamo con paterna benignità e con questo scritto lo confermiamo, stabilendo che tutti i beni, lo stesso ospitale ora possiede e che potrà acquistare, rimangono fermi al medesimo ospitale e ai poveri”. Questa donazione fa sospettare tentativi di ingerenze esterne, forse locali, nella conduzione dell’ospedale; infatti non si può non pensare agli avvenimenti che alcuni anni prima interessarono il monastero monzese di “Ingino”, anch’esso posto sotto la protezione pontificia nel tentativo di evitare intrusioni da parte dei Canonici monzesi. La situazione di dipendenza dall’ospedale verrà, per così dire, giuridicamente confermata prima da “Eugenio Vescovo Servo dei servi di Dio al diletto figlio Adamo…e ai fratelli di Lui…” con bolla del 24 aprile 1151, e poi da “Adriano Vescovo Servo de;servi di Dio alla diletta figlia in Cristo Citegemma, direttrice dell’ospitale che è situato presso S. Biagio vicino a Monza”.
In questa bolla che è del 4 novembre 1157 il Papa assicura che “conviene che non manchi l’Apostolico presidio a coloro che eleggono una vita religiosa…” e che accondiscende “…alle giuste domande” seguendo “l’esempio di Innocenzo ed Eugenio Romani pontefici…” e accetta “…la predetta Casa Ospitale in cui siete obbligati al divino ossequio sotto del Beato Pietro…”.
“Ad indizio di questa protezione conseguita dalla Sede Apostolica” dovranno essere pagati “sei denari”.
Da questo documento si ricava una notizia particolare:l’ospedale di S: Biagio, nell’anno 1157 è diretto da una donna, Citegemma, dal Papa chiamata “diletta figlia in Cristo”: è documento ufficiale che ne legittima la funzione. Dallo stesso documento poi risulta chiaro che gli “ospedalieri”,uomini e donne, conducevano vita religiosa.
Comunque, ancora una volta, viene salvaguardato integralmente il patrimonio dell’ospedale, che era di una certa consistenza.
Conferma indiretta della dipendenza dell’opera caritativa di S. Biagio dalla S. Sede si ha con la bolla del 30 marzo 1169 di Alessandro III: tra le chiese assegnate alla Basilica di S. Giovanni Battista di Monza, figura anche “S. Biagio”, senza però l’aggiunta, come avviene per le altre chiese, della dicitura “cum hospitali”. Divisione netta dunque tra l’uno e l’altra: questa sotto la giurisdizione ecclesiastica locale, quello sotto la protezione diretta della S. Sede romana.
Alessandro III con bolla del 5 giugno 1170 confermerà le precedenti decisioni papali e lo stesso Papa nominerà, non si sa però in quale anno amministratore dei beni dell’ospedale un certo canonico Martino. Forse le cose cominciarono a non andar bene. Di certo, però nel 1215 due laici erano ancora ministri dell’ostello di S. Biagio: sono Angelo Fornicati e sua moglie Libera che ricevono del grano da parte dello stesso ospedale . Se certa è la presenza di quest’opera caritativa nel borgo monzese, mancano però precise notizie sul tipo di conduzione e sulle sue strutture. La S. Sede dà tutela garante ma se da una parte protegge da interferenze esterne ed interessante, dall’altra proietta l’opera di carità di S. Biagio in un gioco molto più vasto di interessi. Infatti, quando forse incuria, insensibilità, indifferenza caratterizzarono la conduzione dell’ospedale, cioè verso l’anno 1233, da Roma venne chiara, e con durezza di parole, la soppressione, “…abbiamo considerato essere più opportuno che i beni, totalmente appartenenti alla S. Sede e che sono intestati all’ospedale di S. Biagio, nel quale, come abbiamo saputo,non viene osservata la dovuta ospitalità, siano tramutati in finalità pie…”.
Il tutto pertanto viene devoluto a favore delle monache del “Monastero di S. Maria delle povere alle chiese di Milano” al fine di provvedere al “mantenimento di quelle persone che, avendo rinnegato la vanità del secolo rinunziarono al mondo con i vizi e le concupiscenze e crocifissero se stesse per il mondo….”.
E cosi l’ospedale di S. Biagio passa al “Monastero, con tutti i possedimenti e le pertinenze in perpetuo… Con l’impegno tuttavia che ivi si facciano celebrare i Divini Uffici da alcuni uomini religiosi”. È soppresso dunque l’ospizio e con questo tutto quello che in S. Biagio di Monza era per la carità della popolazione locale e di passaggio: dal 1233 fino al secolo XVIII ogni cosa sarà per il “mantenimento” delle suore di S. Apollinare in Milano.
Una scrupolosa relazione dalla quale si ricava che la chiesa ha un altare “addossato al muro” e “rivolto a mezzogiorno”: non ha predella ed è cinto da balaustre; con la pietra santa ci sono un piccolo crocefisso, due candelabri di bronzo e due di legno ; la costruzione ha due porte, di cui una porta sulla facciata; c’è anche una porta per il custode. Ci sono, inoltre, due campane, ma una è rotta, e non si sa se la chiesa, come le campane, siano state consacrate. Eccetto la “cappella maggiore” che è protetta da un soffitto, il resto della chiesa è coperto dal solo tetto. Naturalmente non mancano le finestre che sono tre e sono protette da grate di ferro battuto e alcune hanno le tende per l’estate. La chiesa, però, non sorge isolata, poiché sulla sinistra c’è una casa e sempre sulla sinistra , ma verso la metà della chiesa, ci sono le rovine di un’antica cappella. Nell’interno della chiesa vi sono sepolcri con molti corpi di morti, ma il cimitero si trova fuori, davanti alla chiesa, recintato con barriere di legno. Sopra la “cappella maggiore” c’è un locale nel quale si “riunivano a tener consiglio quelli della scuola” che sono poi i disciplini. C’è anche un altro locale posto sul lato dell’epistola e, sempre da questa parte. Gio. Pietro Landriano aveva già, nel 1578, iniziato la costruzione di una cappella. La descrizione, seppur particolareggiata, risulta, in conclusione poco chiara, soprattutto se la si raffronta con lo schizzo, sommariamente tracciato nell’anno 1577, dove risultano indicati i muri perimetrali e il progetto di ampliamento: la piantina “S. Blasij. Modoetiae” è conservata presso la Curia di Milano. Pertanto risulta difficoltosa una precisa ricostruzione della chiesa del 1578. Infatti si parla di “cappella maggiore” e non pare esistessero cappelle minori, poiché non vengono descritte; si intende; si intende forse per cappella maggiore solamente la parte della chiesa dove si trova l’altare. Si parla di campane, ma non di campanile. La costruzione, con i ruderi della vecchia cappella, con la casa del custode, con i locali annessi, risulta piuttosto articolata, ma in modo scomposto: tutto sommato, si ha la sensazione che gli interventi siano stati sporadici e improvvisati. La chiesa è povera e questo è rilevabile dal fatto che i paramenti “come da inventario” si conservano in una sola casa. Ci sono anche dei piccoli redditi: la casa del custode dà un reddito di “venti lire”; un canone di “lire dieci” è a carico del sig. Gio. Battista Casati, e veniva incassato dai sindaci della scuola e adoperato per le necessità della chiesa. “Un certo Giacomo”, poi, pagava un canone alla chiesa per una “certa vigna fuori la porta di S. Biagio”, ma al momento della visita pastorale, i frati Domenicani (di S. Pietro Martire) erano subentrati a questo Giacomo e nessuno più pagava nulla. Ora, il monastero dei Domenicani “è in possesso di questa vigna e ne gode i frutti illecitamente”.
Una nuova chiesa fu costruita sempre in via Carlo Prina accanto alla vecchia tra il 1965 e il 1968 su progetto dell’architetto Luigi Caccia Dominioni: la prima pietra fu benedetta il giorno dell’ingresso ufficiale di don Mario Tomalino. Il progetto, ispirato alle moderne linee di architettura postconciliare, ricorda nella struttura la forma di una tenda.Dopo la seconda guerra mondiale l’antico edificio versava in condizioni precarie finché il 26 febbraio 1977 crollò su sé stesso, senza causare vittime, a causa di alcune debolezze strutturali; fu alla fine completamente abbattuto. ne resta ancora visibili la cupola in rame.
La chiesa è intitolata proprio a San Biagio, quel santo che la «Legenda Aurea» narra che un giorno una mamma portò a quest’uomo, un guaritore armeno eletto vescovo nel IV secolo d.C, il figlio che stava morendo a causa di una lisca di pesce conficcata in gola. Il medico armeno gli fece ingoiare una grossa mollica di pane che, rimuovendo la spina, salvò il ragazzo. Biagio morì decapitato sotto Diocleziano o, forse, Licinio.
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