lunedì 13 luglio 2015

LA CHIESA DI SANTA MARGHERITA A CASARGO



La leggenda narra che  Santa Margherita aveva otto fratelli, di cui uno morì per un atto di scherno e di poca fede nella Provvidenza. Gli altri fratelli colpiti dalla tragedia sarebbero divenuti eremiti, e avrebbero scelto la loro dimora in luoghi solitari sui monti intorno alla valle di Casargo. I tempietti costruiti in questi luoghi avrebbero preso il nome dell'eremita che vi si era stabilito. Solamente Margherita, unica sorella, si sarebbe fermata in un luogo pianeggiante della valle (Somadino) e si recava a visitare ciascuno dei fratelli nelle rispettive località. Dai singoli romitaggi i santi erano in grado di comunicare, accendendo dei fuochi. Nelle varie versioni della leggenda l'identità dei vari santi (quindi dei rispettivi oratori montani) cambia. Fra i nomi più ricorrenti,oltre naturalmente a Santa Margherita, c'è quello di san Sfirio, il cui tempietto si trova sul culmine del Legnoncino, a quota 1714, in un punto eccezionale di osservazione del lago e della prima parte della Val Varrone; Sant'Ulderico, la cui chiesa è collacata sulle pendici settentrionali del monte Muggio (a quota 1392) e facilmente comunicante con San Sfirio; San Grato, nella Muggiasca e prospiciente sul lago; San Fedele sulla Alpe di Paglio, scomparsa da molto tempo. Altri santi, citati di volta in volta, sarebbero Defendente, Girolamo, Eusebio, Bernardino ecc.
Queste "chiese emeritiche" facevano parte di un fittissimo tessuto paramilitare-strategico di origine medioevale con chiari scopi di avvistamento e segnalazione. San Sfiro comunicava con Sant'Ulderico e questo con Tremenico e Pagnona, nella Val Varrone. Dalla torre di quest'ultimo paese (i cui resti sono tutt'oggi ancora visibili) si poteva scavalcare la sella di Piazzo ed entrare in comunicazione ottica con la zona più a valle del Pioverna o con la soprastante Muggiasca.

Santa Margherita a differenza di tutte le altre chiese del territorio, che hanno subito molteplici trasformazioni nel corso dei secoli, conserva tuttora gran parte delle antiche forme romaniche, soprattutto nella parte absidale, dove è custodito il ciclo di affreschi più antichi della Valsassina. La sua costruzione, secondo gli studiosi, è da collocarsi tra la fine dell'XI ed i primi del XII secolo. Il piccolo oratorio è comunque citato nel "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani" del 1266 di Goffredo da Bussero, in cui viene riportato l'elenco delle chiese presenti all'epoca nell'arcidiocesi di Milano ("In Vasaxina, loco Somadino, ecclesia sancte Margherite").

Ancora oggi l'edificio si presenta con forme omogenee se si esclude il portichetto aggiunto in epoca più tarda ed è composta da una piccola navata suddivisa in due campate con volte a vela rivolta ad oriente e da un'abside semicircolare sovrastata dal catino. La facciata, stando sotto il portico, ha un portale di accesso e due finestre munite di grata. Sul lato meridionale c'è un'apertura di dimensioni maggiori che illumina l'interno. Intorno all'abside sono visibili gli archetti sotto gronda e le tre monofore. Il tetto a due falde e la conica copertura dell'abside sono rivestite da spesse piode locali. In corrispondenza della facciata svetta un campaniletto a vela senza campana. I muri esterni, per la caduta degli intonaci, mettono in luce, nella zona absidale e nella parete meridionale, una tessitura muraria di pietre a vista.

La costruzione originaria, senza portico e con una piccola porta sul lato nord, ha comunque subito nei tempi rimaneggiamenti e aggiunte. Infatti è solo tra la metà del XIII e il XV secolo che viene aggiunto il portico in dimensioni più piccole dell'attuale e sostitute le primitive capriate interne del tetto con una duplice volta sorretta da pilastri sporgenti dal muro (lesene). Nel XVII secolo vengono chiuse le monofore e la porticina laterale, su ordine di Carlo Borromeo e ricavata una finestra sul lato meridionale e due gradini nel presbiterio all'epoca di Federico Borromeo. Nel settecento viene ampliato il portico con l'aggiunta di sedili in pietra e aperta una finestra di sinistra nella facciata. L'altra finestra della facciata, la riapertura delle monofore e di una nicchia interna per gli olii santi risalgono all'epoca contemporanea (fine XX secolo).

All'interno, a sinistra per chi entra, nella prima campatella della navata è presente un affresco che rappresenta la Vergine con Bambino, santa Margherita alla sua sinistra e un santo martire alla sua destra, che il Borghi identifica con San Giorgio. I sacerdoti Pasetti e Uberti nel 1911, denunciando lo stato di precarietà del dipinto, così lo descrivono: "Le figure sono a circa due terzi della grandezza naturale. A sinistra (per chi osserva) è ritto un giovane soldato, in clamide verdognola, e gambe rosse. Colla destra regge l'asta di un gonfalone spiegato, recante la croce; la manca è poggiato sull'elsa di un enorme spadone con la punta verso terra, Guarda verso la Madonna, che campeggia un po' più in alto, nel mezzo della scena. La Vergine è molto bella, sebbene volgaruccia; ha tinta rossigna, veste rossa, manto azzurro. Colla destra si tien sul petto un libro legato in verde, colla sinistra tien saldo il Bambinello, in vestina color carne, meno leggiadro della divina sua Madre. Egli è in atto di benedire, e nella sinistra regge la palla che rappresenta il mondo. A destra vi è santa Margherita, ritta in piedi, con lungo abito tutto di un pezzo; presso il collo spunta una camicia a ricami. Qui il colore è più morbido che nelle altre figure, ricciuti i capelli, gentile l'aspetto e il portamento. Nella destra la Santa stringe una crocetta semplicissima di legno lunga quasi mezza la persona. Vicino ai piedi della Santa c'è una specie di vilucchio o roveto, ma coperto in parte da una grossa macchia rossa, sovrapposta. Può darsi che vi fosse dipinto un diavolo. Qua e là, mani irriverenti e rozzissime hanno da secoli segnato date: 1519; 1548, colla parola Hispania 1570;1604; 1654". I sacerdoti richiamano l'attenzione su un cartiglio a fianco del dipinto che indica la data di esecuzione e che interpretano come "1470, die 7 augusti" ma con dubbi nella interpretazione delle cifre perché propongono anche 1420 o 1429. Dubbi giustificati secondo Zastrow ("Repertorio di arte medioevale in Alta Valsassina", Noseda Editrice, Como, 1976) perché la seconda cifra deve essere letta come "5" e non come "4" (le ultime due cifre sono illeggibili). Considerando lo stile compositivo, il dipinto è concordemente collocato nell'ambito della produzione rinascimentale (XVI secolo), cioè successivamente all'epoca dei lavori di voltatura della navata. C'è chi sulla scorta dei collegamenti tra la Val Varrone e Venezia, ipotizza possibili influenze della pittura veneta. Nei primi anni settanta, è stato portato alla luce, sotto lo spesso strato di imbiancature e ridipinture, un ciclo di affreschi nell'abside scandito dalle tre monofore riccamente decorate da motivi fitomorfi. Nel catino absidale, separata da una marcata fascia rossa dal ciclo sottostante, si intravede all'altezza della monofora centrale un piede poggiato su una bassa pedana. Questo dettaglio presumibilmente è da identificare con un Cristo Pantocratore, anche se alcuni documenti delle visite pastorali parlano di un Cristo crocefisso. Solo i futuri restauri potranno sciogliere il dubbio e mostrare se ai lati di questa figura siano rappresentati, come è stato ipotizzato da Zastrow, i simboli apocalittici degli Evangelisti. Sul semicilindro absidale, partendo dalla parte sinistra, è possibile osservare la rappresentazione di un santo identificato come San Quirico; tra questa e la prima monofora si vedono semplici ornamentazioni vegetali, mentre di seguito trovano posto la raffigurazione della Madonna con Bambino. La postura dei personaggi sacri (il Bambino appoggia dolcemente la tempia sulla guancia della Madre, che abbraccia con affetto) avvicina questa rappresentazione al tipo iconografico della Madonna della Tenerezza, che si caratterizza per una maggiore intensità espressiva e umanità. Nell'intervallo tra la seconda e la terza finestrella sono rappresentate due sante: sono Santa Margherita, e Santa Brigida. Infatti due chiare iscrizioni hanno permesso di identificarle con certezza. Nell'ultimo spazio sono affiorate le figure aureolate di due santi: le scritte "Holomeus" e "As", sotto i volti delle figure maschili hanno fatto supporre che riguardino San Bartolomeo e Sant'Andrea.

L'architetto Suor Paola Dell'Oro, che ha curato il recente restauro conservativo della chiesa, nella sua relazione storica così descrive l'affresco: "I personaggi realizzati con tinte di terra a tonalità calde comprese tra il rosso e l'ocra, con sottolineature bianche e verdi, emergono sopra uno sfondo blu che comincia all'altezza dei fianchi delle figure. Nella parte inferiore non è possibile vedere cosa è rappresentato, se non nel caso della Madonna che è posta su un trono bianco con inserti rossi...Partendo dal lato nord incontriamo la figura anonima (della santa) ; non è visibile nella sua interezza per la mancanza della pellicola pittorica sia per la presenza nella parte inferiore di un grossolano arriccio. È visibile essenzialmente il volto, di sembianze femminili aureolato. In posizione quasi centrale, ma non in asse con la chiesa, incontriamo la Madonna con il Bambino che è il frammento più completo e più raffinatamente realizzato. Sono infatti accuratamente sottolineati i profili delle sopracciglia, curvilinee e continue, del naso stretto e affilato e delle palpebre che definiscono nettamente l'arcata sopraccigliare. Il carattere più interessante è appunto l'uso della terra verde per gli incarnati, ben visibile sulla fronte, riscontrabile anche a Civate, dove però differisce per tratti meno sicuri e più chiaroscurati. Ancora, il viso è sottolineato da un'ombra di colore verde-grigio, la stessa che segna le occhiaie e le guance. Da notare anche gli zigomi definiti inferiormente da una linea che, partendo dall'angolo interno dell'orbita oculare giunge sotto la base dell'orecchio. I due personaggi hanno forme piuttosto affusolate sia nella foggia delle vesti, che del corpo, ma soprattutto per quanto riguarda il volto. I personaggi ritratti alla destra, Santa Margherita e Santa Brigida, come San Bartolomeo e Sant'Andrea ripetono le caratteristiche stilistiche appena denunciate. Santa Margherita rivolta leggermente di tre quarti verso Santa Brigida regge nelle mani degli oggetti non identificabili; Santa Brigida è posta simmetricamente, con un braccio piegato...Il campo che contiene San Bartolomeo e Sant'Andrea è nella parte inferiore, in parte scialbato e in parte lacunoso anche dell'intonaco; solo il volto di Sant'Andrea è chiaramente percepibile: secondo la diffusa iconografia presenta una folta barba e porge il libro in una mano".

L'identificazione dei personaggi permette di capire la ragione per cui è stato scelto di raffigurare assieme dei santi generalmente non in relazione tra loro: infatti nell'affresco essi rappresentano i santi patroni delle chiese del territorio limitrofo: Santa Brigida identifica Narro, San Bartolomeo Margno, Sant'Andrea Pagnona e naturalmente Santa Margherita Somadino. Del resto tutte queste chiese sono molto antiche e tutte sono citate dal "Liber Notitiae Sanctorum Mediolani" del 1266 di Goffredo da Bussero. Questo ciclo pittorico, che risente ancora dei rigidi schematismi della pittura bizantina, è datato tra il XII e i primi del XIII secolo e costituisce l'unico affresco romanico conservatosi in Valsassina. Certamente opera di un unico pittore, esso presenta, secondo Zastrow  delle particolarità significative rispetto ai diffusi canoni della pittura medioevale coeva. Infatti, sotto l'immagine del Cristo, è rara la presenza di un numero così ristretto di santi e ancor più quella della Vergine con il Bambino. Normalmente, secondo lo studioso, alla base dell'abside "era più comune incontrare le figure dei dodici apostoli, eventualmente anche in compagnia della Vergine e di altri Santi", magari ridotti in dimensioni, come nel non lontano tempietto di San Fedelino sul lago di Mezzola.

Un'altra anomalia è la rappresentazione della Vergine proprio nell'abside, "quando principalmente la si nota lungo le pareti della navata e per lo più come affresco votivo". Del resto è inconsueta per l'epoca anche la "duplicazione della figura di Gesù" che torreggia nelle vesti del Pantocratore nel catino dell'abside e nel contempo più sotto è rappresentato nelle braccia della Vergine. Anche la stessa struttura della chiesetta presenta aspetti singolari. Per esempio il diametro dell'abside non è perpendicolare con l'asse della navata. Le stesse monofore inoltre non si trovano in posizione simmetrica e questo comporta che la figura della Madonna col Bambino, tra la prima e la seconda apertura, non sia al centro del semicilindro dell'abside come ci si aspetterebbe. Questa "apparente disarmonia", rilevata anche per la chiesetta di Sant'Ulderico, è stata spesso imputata alla "rozzezza" degli artefici medioevali che operavano in un'area marginale come quella dell'alta Valsassina. Zastrow invece, considerando i manufatti romanici di questa zona, tra cui anche San Rocco a Narro, e giudicandoli di livello qualitativo considerevole, propende per "una filtrazione personalizzata dei generali canoni creativi medioevali".

Un'altra particolarità di Santa Margherita, messa il luce di recente sempre dallo Zastrow ("La chiesa matrice di San Bartolomeo a Margno, Lecco, 2001) solleva invece interrogativi sulle originarie funzioni sacre di questo oratorio. Già in una relazione di una visita fatta nel 1579 da Mons. Luigi Sanpietro, delegato dell'arcivescovo, si suppone che la chiesetta fosse in antico l'unica chiesa parrocchiale di tutta l'Alta Valsassina. Nello studio del Mastalli viene riportato quanto si afferma nella relazione e cioè: "In essa si vede una buca o lavello de pietra rusticho... che si dice fusse l'anticho fonte battesimal". Negli atti della seconda visita pastorale di San Carlo Borromeo, nel 1582, descrivendo lo stato di abbandono della chiesetta, si prescrive di togliere il contenitore litico collocato in un angolo dell'edificio. Si tratta dello stesso contenitore di cui si era già fatto cenno negli atti della visita, nel 1579, dal delegato dell'arcivescovo che aveva indicato il suo utilizzo "pro baptisterio". Questa laconica notazione indicherebbe che Santa Margherita, fin dall'epoca medioevale, avrebbe avuto la prerogativa di chiesa battesimale, di norma riservato alla chiesa principale della pieve, nel caso della Valsassina a San Pietro a Primaluna. Secondo lo storico, per spiegare questa anomalia, rara nella diocesi ambrosiana, occorre prendere in considerazione "la particolare configurazione "di frontiera" e di luogo fortificato che ebbe a caratterizzare anticamente l'estremità settentrionale della pieve Valsassina: in particolare la valle di Casargo e l'alta testata della Val Varrone". Quindi, proprio per le caratteristiche di chiusura di questo territorio e il relativo isolamento rispetto alla sede prepositurale, nell'area "periferica" della val Casargo, si sarebbe realizzata una forma di autonomia ecclesiastica già dall'epoca feudale; l'oratorio di Santa Margherita ne sarebbe stato il principale tempio sacro e proprio per questo dotato di una prerogativa tanto importante. Tutto questo sembrerebbe essere avvenuto prima che si affermasse l'effettiva indipendenza (rispetto a San Pietro di Primaluna) della parrocchia di Margno (prima metà del XIV secolo) , sotto il cui controllo passeranno in seguito tutte chiese della val Casargo e Sant'Andrea a Pagnona. Alla luce di queste considerazioni, il ciclo di affreschi con i santi delle varie chiese della val Casargo e di Pagnona acquisterebbe un significato coerente: i santi chiamati a raccolta, sotto l'immagine del Cristo, intorno alla fonte battesimale rappresenterebbero le comunità religiose di questa area che riconoscevano in Santa Margherita, forse il più antico edificio sacro del luogo, il loro centro spirituale e religioso. Una ulteriore conferma della presenza nella chiesetta di un battistero è la scoperta, nel corso dei recenti restauri, di una fonte sotto il pavimento del presbiterio nella parte sinistra dell'abside, vicino alla piccola porta fatta chiudere da San Carlo. L'acqua sgorga ancora oggi direttamente da una frattura della roccia, su cui peraltro poggia l'intero edificio. Per il suo deflusso è stato necessario approntare una canaletta di scolo per portare all'esterno l'acqua e costruire un piccolo vespaio sotto il pavimento per consentire una maggiore aerazione e diminuire l'umidità sottostante.

Forse la presenza di questa fonte che sgorga dallo sperone roccioso non è del tutto estranea alla fondazione, proprio in questo particolare luogo, dell'edificio religioso. E forse era proprio questa l'acqua che serviva per il battesimo dei primi fedeli nell'antica comunità cristiana dell'alta Valsassina.


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