Edolo sorge all'inizio dell'Alta Val Camonica, alla confluenza con la Val di Corteno, lungo la Linea Insubrica.
Sarebbe qui esistito un tempo un Idolo pagano dedicato a Saturno, da cui proviene il nome Edolo (in latino: Iduli).
Dalle origini Edolo si impone come luogo cruciale di passaggio tra vari valichi alpini che collegano l’attuale provincia di Brescia al Trentino (e da qui all’Austria) e alla provincia di Sondrio da cui si accede alla Svizzera.
Alcune incisioni rupestri sono state ritrovate nel territorio.
Le prime notizie certe risalgono al periodo celtico in cui Mù (attuale frazione di Edolo) fu il vicus (villaggio) principale del pagus (circoscrizione rurale a capo di un territorio) che comprendeva questa zona. Per secoli il centro più importante è stato Mù, soppiantato poi da Edolo da cui è stato inglobato.
Durante l’epoca romana è attestato un insediamento, in corrispondenza di un guado sul fiume Oglio, che fungeva da stazione di posta. La strada che passava da qui (la Via Valleriana) si dirigeva con varie diramazioni verso i Passi del Mortirolo, del Gavia, del Tonale, del Montozzo e, tramite i passi di Guspessa e Aprica, verso i Passi del Bernina e dello Stelvio.
Al crollo dell’Impero Romano (476 d.C.) anche Edolo vide l’affacciarsi di distruttive orde barbariche (Eruli, Goti, Ostrogoti e Longobardi).
Al regno della regina longobarda Teodolinda risale la cristianizzazione della valle. La forte tradizione pagana perdurerà però per secoli tanto che nell’VIII secolo a Edolo veniva ancora adorato il dio Saturno.
Con l’avvento dei Franchi di Carlo Magno il cristianesimo si affermerà tramite il beneficio, concesso dal re sulla valle, al Monastero di S. Martino di Tours in Francia. I monaci provvederanno oltre alla cura della anime, alla bonifica dei terreni paludosi del fondovalle.
Nel periodo medievale la rocca e i territori di Mù e Edolo passarono sotto il controllo politico e amministrativo del vescovo di Brescia.
Al vescovo andarono le decime e gli affitti raccolti dalla curia costruita nelle vicinanze dell’antica pieve (attuale chiesa parrocchiale di Santa Maria Nascente).
Nel 1200 la rocca (di cui rimangono pochi resti) passò sotto i Federici, potente famiglia ghibellina della valle.
I ghibellini della zona rivendicavano l’indipendenza della valle, già concessa nel 1164 da Federico Barbarossa, mentre i guelfi professavano fedeltà alla città di Brescia.
Nel Trecento i Federici si allearono ai Visconti di Milano contro la guelfa Brescia e vennero ricompensati, a inizio Quattrocento, con la concessione dei pedaggi applicati all’attraversamento del Ponte Alto, fino ad allora dovuti al vescovo di Brescia.
Quando Venezia, nella sua espansione nell’entroterra nella prima metà del Quattrocento, conquistò la città e la Valcamonica, i Federici vennero privati di ogni potere politico e giurisdizionale e i loro beni, in parte, confiscati.
Sotto il dominio veneto si stabilì un periodo di pace che favorì il fiorire delle arti e dei mestieri.
Edolo confermò il suo ruolo tradizionale (sorgendo lungo importanti strade) diventando zona di confine della Repubblica Veneta.
Nel 1476 a Edolo è attestato il funzionamento di alcuni mulini, di tre fucine con magli a acqua, di una segheria e di una tintoria.
Il 1510 costituisce una data nefasta per il paese e l’intera vallata, in questo anno arrivarono gli inquisitori domenicani che portarono al rogo una sessantina di “streghe” in tutta la valle. Si riteneva che, nel vicino Tonale, si svolgessero i sabba demoniaci.
Venezia, alcuni anni dopo, si trovò costretta ad intervenire con una indagine sul comportamento degli inquisitori: da più parti giungevano accuse di sentenze dettate solo dalla brama di appropriazione dei beni che sarebbero stati requisiti alle condannate.
Nel corso del XVI secolo sorse a Edolo un Monte di Pietà che, con la sola richiesta della restituzione delle derrate prestate entro l’autunno successivo, concedeva grano, miglio e segale per la semina e per la consumazione.
Nel Seicento una serie di carestie, alluvioni, pestilenze e stanziamenti di truppe (a carico degli abitanti) misero in ginocchio il paese. La peste del 1630, per fare un esempio, uccise 720 persone. Sarà proprio il suo ruolo chiave nei commerci che permetterà a Edolo di risollevarsi.
L’epoca giacobina, sull’onda della Rivoluzione Francese, vide l’erigersi anche a Edolo di un albero della Libertà, all’imbocco del ponte alto, a testimoniare la liberazione da Venezia. Gli edolesi, tuttavia, si mantennero fedeli a Venezia provocando varie sommosse. Tra il 1797 e il 1800 si fronteggiarono nel territorio l’esercito francese e quello austriaco.
Nel 1801 la Valcamonica venne annessa alla provincia di Bergamo, sotto cui rimarrà per una cinquantina di anni, e Edolo diventò il capoluogo di uno dei tre Cantoni in cui la valle venne divisa.
Nel 1814, col Congresso di Vienna, anche Edolo seguì la sorte toccata a tutta la Lombardia venendo annesso all’Austria che instaurerà un regime tirannico.
Nel marzo 1848 alcuni patrioti edolesi istituirono la Guardia Civica che, nel giro di due settimane, costrinse i gendarmi austriaci alla resa. Gli austriaci rientrarono nel paese nello stesso anno.
Nel 1859, durante la Seconda Guerra di Indipendenza, alcuni giovani in seguito al breve soggiorno di Garibaldi a Edolo si arruolarono nei Cacciatori delle Alpi.
Nel 1873 l’ex-convento dei Cappuccini ospitò la Tredicesima Compagnia Alpini, nucleo originale del Battaglione Edolo.
Nel 1850 venne aperto il tratto in galleria tra Marone e Pisogne, affiancandosi così al trasporto via acqua sul lago di Iseo che fino ad allora costituiva la via più agevole di collegamento tra Valle Camonica e Brescia.
Nel 1860 venne aperta al traffico la strada che dall’Aprica portava allo Stelvio e fu eretto il nuovo ponte tra Edolo e Mù, che sostituirà nella funzione l’antico Ponte Alto.
Nel 1894 arrivò la luce elettrica e nel 1864 il telegrafo. Il telefono seguirà nel 1914. A Mù giungerà solo nel 1959.
Nel 1909 venne inaugurata la ferrovia, fortemente voluta dall’allora ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Zanardelli, che congiungeva Edolo con Brescia.
Dal 1885 Edolo fu sede del prestigioso Battaglione Edolo del Corpo degli Alpini che prenderà parte, in entrambe le guerre, alla difesa dei confini con Svizzera e Austria.
Durante la Prima Guerra Mondiale a Edolo si stanziarono diversi comandi che coordinarono le operazioni sul vicino fronte dell’Adamello e del Tonale. Cesare Battisti arrivò a Edolo il 30 maggio 1915 come membro della 50° Compagnia del Battaglione Edolo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Edolo fu sede della Resistenza e venne più volte circondato da tedeschi e fascisti muniti di artiglieria pesante. Il 13 marzo 1945 il paese fu bombardato dagli Alleati. L’obiettivo probabilmente era il Comando tedesco ma le bombe colpirono una casa nelle vicinanze provocando 9 morti.
Il paese vanta un presidio ospedaliero, un eliporto dei soccorso alpino e ospita rilevanti manifestazioni fieristiche e commerciali. Il suo centro storico testimonia l’importanza, nel corso dei secoli, di questo crocevia posto tra Valle Camonica, Valtellina e Trentino. Eleganti palazzetti, chiese dai pregevoli affreschi e stradine acciottolate riportano indietro nel tempo.
Chi ama la natura e le escursioni in montagna, a piedi o in mountain bike, troverà quanto cerca. Le montagne circostanti sono la gioia di escursionisti ed alpinisti. Una pagina della storia dell’alpinismo è stata scritta nel complesso dell’Adamello e la prima Guerra Mondiale ( la cosiddetta Guerra Bianca ) ha lasciato numerose testimonianze (trincee, strade ferrate, ecc.).
Gran parte dei territorio circostante è salvaguardato attraverso l'istituzione di parchi naturali: il Parco dell'Adamello e il vicino Parco Nazionale dello Stelvio. Si possono così riscoprire i tradizionali alpeggi e i sentieri che portano alle cime più famose del gruppo dell’Adamello e agli splendidi laghetti di cui queste montagne sono costellate.
Salendo in altitudine troviamo un ambiente alpino che sa divenire aspro, scolpendo i rilievi nella roccia viva e aprendosi infine sui ghiacciai che permettono lo sci estivo, nonché escursioni di sci alpinismo o con le racchette da neve.
Escursioni e gite nelle magnifiche vallate circostanti si compiono a piedi e in mountain bike; ma è possibile dedicarsi anche alle passeggiate a cavallo.
Edolo è un ottimo punto di partenza per visitare l’intera Valle Camonica e le località limitrofe. Dalla montagna al lago, dalle terme ai campi da golf e da sci, dalle chiese ai musei, ampio è il ventaglio di opportunità tra cui scegliere.
Percorrendo le stradine più antiche del paese non è raro imbattersi in angoli di un tempo passato: qualche androne, portali in granito o marmo, inferriate e ringhiere finemente lavorate.
Testimoni della maestria artigianale locale, e della relativa ricchezza che ne ha permesso la realizzazione, questi piccoli capolavori ci parlano dell’importante ruolo di crocevia che Edolo ha rivestito nella storia.
Tra i palazzi presenti spicca Casa Zuelli. Dichiarata monumento nazionale, è un mirabile esempio di architettura di transizione tra gotico e rinascimento.
Nell’imponente facciata il portale centrale, a sesto acuto, è affiancato da quattro grandi bifore. I pilastrini con colonnette addossate, che dividono le bifore, spiccano per l’originale decorazione e alleggeriscono la mole del palazzo.
Anche la modernità ha lasciato nel paese un segno notevole: la centrale idroelettrica dell’Enel spicca per l’armonico inserimento nel contesto ambientale che la circonda.
La centrale di Edolo, di proprietà dell’Enel, rappresenta uno dei principali impianti idroelettrici d’Italia e d’Europa.
E’ in grado di sviluppare una potenza di 1.000.000 kW grazie al salto di 1265 metri a cui è sottoposta l’acqua proveniente dai due bacini in quota.
La centrale è costituita da 3 serbatoi (due in quota e uno a valle per l’accumulo delle acque scaricate dalle turbine), da una stazione elettrica in caverna e da una esterna (entrambe a 380 kV).
Nella realizzazione della centrale si è cercato di minimizzare l’impatto ambientale costruendone una buona parte interrata e utilizzando come serbatoi due laghetti preesistenti, i laghi Benedetto e Avio, a cui si sono alzati gli argini.
Per ovviare all’eventuale mancanza d’acqua nei periodi siccitosi, si è realizzata una vasca di accumulo da cui le acque possono essere riportate (nelle ore notturne o nei giorni festivi quando minore è la richiesta di energia) ai serbatoi superiori grazie alle turbine in grado d’invertire il senso di rotazione trasformandosi così in pompe.
La chiesa, dedicata al patrono di Edolo, S. Giovanni Battista è di origine rinascimentale. Sulla facciata troviamo un pronao affrescato e di fianco è situato un campanile, di origine romanica, ma ricostruito nel 1954. All’interno sono perfettamente conservati gli affreschi di Paolo da Caylina il Giovane, che vi lavorò intorno al 1530-35. Sulla parete di fondo sono raffigurati la Crocifissione, il Battesimo di Gesù e la Decollazione del Battista; nella volta è rappresentato il Padre Eterno con Santi e le Storie di Adamo ed Eva, mentre sulle pareti laterali vi sono le Storie del Battista e nel sottarco la Sibilla e Profeti. Le figure affrescate sono inserite nell’architettura dell’edificio con atteggiamenti dinamici, grazie anche ad un uso sapiente della prospettiva.
Sulla volta dell'arco d'ingresso al presbiterio appaiono alcune belle figure di sibille e di profeti.
Gli affreschi, oggetto di un accurato intervento conservativo e di ripulitura concluso nel 2005, furono eseguiti intorno al 1530 e sono quasi unanimemente attribuiti a Paolo da Cailina il Giovane, nato a Brescia nel 1485 e morto dopo il 1545, conterraneo e contemporaneo quindi del Romanino, a cui si è ispirato per la propria pittura, assimilandone i canoni con grande maestria.
Per il colore tonale che conferisce plasticità alle immagini, per l'architettura equilibrata, costruita secondo un gioco sapiente di piani prospettici, per l'atmosfera limpida, non priva di lirismo, per la carica psicologica interiore delle figure, prive di teatralità, per il valore complessivo e per l'impegno costruttivo, il ciclo pittorico di San Giovanni è, secondo eminenti studiosi, una delle più convincenti opere del Cailina.
L'attuale struttura della navata della chiesa, che contrasta con le linee architettoniche snelle ed eleganti del presbiterio, è dovuta ad un intervento di fine Settecento, poco avveduto, almeno secondo i criteri moderni, che tendono a recuperare e a conservare le opere originali.
Nell'estate del 1781 invece, gli Edolesi, riuniti in "Generale Vicinia", "vedendo che siccome il coro era involtato ed ornato di antiche e bellissime pitture, così si sarebbe abbellita la chiesa, se si fossero involtati gli altri due campi" (della navata e della balconata), con "plauso" decisero di provvedere in tal senso e di ripudiare la copertura esistente, che era in legno, con travi a vista sostenute da mensole lavorate e intervallate da due archi gotici, simili a quello d'ingresso al presbiterio. Il risultato fu quello di creare una struttura tozza e appiattita, resa in parte meno sgradevole dalle finestre aperte sulla facciata nel 1885, "allo scopo di dare alla chiesa maggior luce e aria, reclamate da anni dalla divota popolazione" e in seguito abbellite con vetrini tondi, antiche e costose gocce veneziane, racimolate pazientemente qua e là.
Anche i recenti interventi strutturali hanno contribuito a riqualificare la navata e l'intera chiesa. Si era reso ormai indispensabile eliminare l'umidità che, risalendo lungo le pareti, provocava danni sempre più gravi alle pitture e agli arredi; molti danni provocava anche l'impianto di riscaldamento ad aria, per la polvere che sollevava. Si tolse quindi la pavimentazione, che era di poco pregio, si risanò il sottosuolo e si posò un nuovo impianto di riscaldamento a pavimento; il tutto fu ricoperto con formelle di cotto antico, lavorato a mano, molto più adatto all'edificio.
Per il pavimento del presbiterio si scelse il pregiato marmo rosso di Verona, che bene si raccorda con i gradini dell'accesso e con la balaustra.
Le pitture e le decorazioni, spesso grossolane, che si sono sovrapposte sulle pareti e sulla volta della navata nei secoli scorsi, furono ricoperte con una tinteggiatura uniforme e linda, che, senza compromettere quelle già in essere, mettesse in maggior risalto, insieme al nuovo sistema di illuminazione, gli affreschi del presbiterio e i frammenti di quelli quattrocenteschi, riaffiorati sulle pareti della navata stessa.
Nella navata non ci sono opere di notevole pregio artistico. L'altare più vicino al presbiterio è dedicato a S. Giovanni Nepomuceno: resta da comprendere il motivo dell'antica devozione per un santo poco conosciuto, quasi esotico per gli Edolesi. Sull'altare è posta una statuetta di S. Antonio di Padova, opera di Antonio Sandrini, scultore e restauratore di Ponte di Legno. Le due tele ai lati sono del pittore bresciano Oscar Di Prata e raffigurano S. Antonio abate e S. Rita da Cascia. Il paliotto è costituito da una tela del 1600, dal chiaroscuro di notevole effetto: rappresenta la Vergine addolorata e ai lati S. Rocco e S. Lucia.
Il secondo altare è dedicato alla Madonna di Pompei. Di notevole bellezza è la piccola tela del 1700 posta sopra l'altare stesso, raffigurante la Madonna col Bambino. La statua del Cristo morto, ai piedi dell'altare, un tempo veniva esposta solo durante la Quaresima. Sul fianco sinistro della navata, sopra la porta laterale, si trova una tela del 1700, di buona fattura: "La dolcezza del cielo dorato e la levità della veste celeste della Vergine, balzano dall'oscurità in cui è immerso il drago" (Gazzoli); nella parte bassa sono raffigurati S. Paolo e un santo non identificato. Nella lapide cinquecentesca murata accanto alla porta, è riportato l'atto di costituzione dello ius patronatus sulla chiesa, eretto il 19 febbraio 1574 da parte della Comunità di Edolo e dei fratelli Federici, che ne avevano promosso la ricostruzione e contribuito alla probabile importante spesa degli affreschi.
Di pregevole fattura e di epoca imprecisata sono le statue di S. Lucia e di S. Rocco che si incontrano poco oltre. Di puro stile classico è la piccola nicchia cinquecentesca, murata e in attesa per ora di una statua consona alla sua finezza. Apprezzabili per la tecnica pittorica, per il colore e per l'espressività, sono i quadri su tela della Via Crucis, che risalgono al 1700. Quando sia stata costruita, la chiesa di S. Giovanni, resta ancora da scoprire; per ora risulta soltanto che già nel 1395 vi si celebrava una messa votiva nella festa di S. Rocco. La struttura attuale risale ai primi decenni del '500 e il rifacimento fu radicale, perché la precedente era malridotta e ormai inadeguata all'aumentata popolazione: fu riconsacrata il 7 settembre 1532.
Il campanile di stile romanico, "meritevole per la sua bella architettura del secolo XV, caratterizzata dalle finestre bifore, dalle merlature di finimento e dalle murature di pietra a vista scalpellata" (Canevali), fu costruito tra il 1542 e il 1545 dal capomastro Bortolo Boninchi di Mù. Con il passare dei secoli però si inclinò sempre di più verso la chiesa, a cui era accostato sul lato sud, fino a costituire un vero pericolo: già alla fine dell'800 presentava uno strapiombo di 80 centimetri. Nel 1954 il Genio Civile, nel contesto del risarcimento dei danni di guerra, ne ordinò l'abbattimento e la ricostruzione. Si numerarono le pietre della sede campanaria, delle finestre e dei merli, perché il nuovo campanile risultasse il più possibile fedele all'originale.
La pieve di S. Maria Nascente, che domina l’abitato di Edolo, è frutto di una ristrutturazione risalente al XIV secolo e di vari ampliamenti successivi, databili a partire dal XVII secolo. All’interno si trovano numerose opere lignee, tra cui il pulpito attribuito a Pietro Ramus, alcune opere del Bate e l’ancona ed il paliotto dei Ramus. Gli affreschi più antichi si trovano nel presbiterio: sulla parete sinistra si trova raffigurata la Presentazione di Maria al tempio di Paolo da Caylinia il Giovane. Il campanile della chiesa, spostato dalla sua sede primaria, con i suoi 68 metri di altezza è il più alto della Valcamonica.
La Pieve è attualmente dedicata alla Natività di Maria ma probabilmente questo non è il titolo primitivo poiché, se così fosse, bisognerebbe far risalire la sua fondazione ad un'epoca relativamente tarda: circa il secolo XI, quando il culto verso questo mistero ebbe la sua particolare diffusione. Si ritiene invece che essa sia stata fondata verso la fine del VII secolo, o al principio del IX e quindi con un titolo diverso.
Risultano ignoti i rifacimenti ai quali fu soggetta, dalla sua fondazione sino al secolo XVI, quando la Pieve quasi sicuramente fu oggetto di ampliamento. Un rifacimento ancora più radicale della chiesa plebana si ebbe alla metà del XVII sec.
Non si conosce con precisione il luogo dal quale furono cavati i blocchi di granito per le sei colonne monolitiche che dividono le navate perché le tradizioni non sono concordi: secondo alcuni a Naiù, secondo altri a Trangulù, secondo altri ancora a Sessana (tutte località sopra Mù). Il vescovo Mons. Marco Morosini la consacrò nel 1652 insieme all'altare maggiore, benché non fosse terminata in tutte le sue opere. Nel 1682 si fabbricò l’attuale sagrestia.
Nel 1718 si pensò di ampliare il coro: si dovette perciò demolire l'altare maggiore, una parte di canonicato di S. Caterina e il campanile.
IL campanile inizialmente si ergeva nell'area dell'attuale sagrestia piccola; nel 1763 si diede compimento alla fabbricazione della nuova imponente torre. Il campanile è alto 68 metri, dal suolo alla croce, ed è il più alto della valle. La prima parte, fino alla cella campanaria, è quadrata, tutta in blocchi di granito, con quattro angoli modellati; sopra la cella campanaria è a cuspide. Le attuali campane risalgono al 1898 e costituiscono il miglior concerto della valle ed uno dei migliori della diocesi.
Con il coro venne innalzata l'elegante cupola e per sostituire l'altare demolito, nel 1749 fu deliberata l'erezione di uno nuovo.
Ritocchi ed abbellimenti furono apportati alla chiesa in tempi più recenti.
Nel 1892 si provvide ad innalzare la navata centrale, si poterono quindi aprire i quattro finestroni per ciascun lato.
Si procedette poi con l'internamento dei due altari laterali della Madonna e del Presepio e l'apertura dei quattro archi, due corrispondenti all'altare delle madri e del Crocifisso o Battistero. In seguito si procedette alla decorazione e dipintura della chiesa compiute tra il 1928 e il 1935; la prima fu eseguita da Giuseppe Trainini di Brescia, la seconda da Vittorio Trainini pure di Brescia, che ornò di figure tanto la cupola, quanto la navata principale, mentre i dipinti delle navate laterali furono eseguiti dal noto pittore Luigi Morgani di Torino. Rinnovato l'interno si procedette poi a un rifacimento della facciata.
La chiesa è ricca di otto altari ed un altare maggiore, la cui pala ha una cornice di buon intaglio, ma abbastanza recente e una tela che rappresenta la Natività di Maria di buon autore ignoto di scuola veneta. Sopra l'altare maggiore troneggia il Crocifisso in bronzo dello scultore contemporaneo prof. Federico Severino, ivi posto nel febbraio 1993. Pure dello stesso autore sono l'Altare della Celebrazione, l'ambone e la Sede Presidenziale, realizzate nel 1995. I due altari frontali, in capo alle navate laterali, sono due belle opere d'intaglio attribuite a Pietro Ramus o alla sua scuola.
Mù si trova sopraelevato rispetto l'abitato di Edolo, da cui è separato dal fiume Oglio. La parte a valle del paese, presso le sponde del fiume, era un tempo chiamata Capo di Ponte di Mù.
Il 6 marzo 1206 la famiglia Avogadro riceve dal vescovo di Brescia Giovanni da Palazzo l'investituta della corte di Cemmo, Mù, Pisogne e Gratacasolo.
La domenica 15 marzo 1299 Cazoino da Capriolo, camerario del vescovo di Brescia Berardo Maggi, inizia da Mù la stesura dei beni vescovili in Valle Camonica. Sono consoli della vicinia di Mù Giovanni Bonomini e Filippo Caveyate, che giurano secondo la formula consueta fedeltà al vescovo, e pagano la decima dovuta. Inoltre promettono di mantener pulito il canale che porta l'acqua al pratum de Botta, di proprietà della curia; il prato de Auru doveva essere irrigato con l'acqua che transitava per il paese di Mù. Inoltre Mù, Sonico ed Edolo dovevano provvedere al servizio di guardia del castello di Mù con due uomini giornalieri.
Il 14 ottobre 1336 il vescovo di Brescia Jacopo de Atti investe iure feudi dei diritti di decima nei territori di Incudine, Cortenedolo, Mù, Cemmo, Zero, Viviano e Capo di Ponte a Maffeo e Giroldo Botelli di Nadro.
Nel 1371 si firma presso la casa dei Federici di Edolo un accordo tra i pastori di Mù e quelli di Dalegno che vietavano loro di accedere alle malghe sul monte Avio.
Alla pace di Breno del 31 dicembre 1397 i rappresentanti della comunità di Mù, Ubertino Bertolini e il notaio Bertolino Ubertini, si schierarono sulla sponda ghibellina.
Nel 1432 Venezia fa smantellare la castello di Mù dei Federici.
La Chiesa dei santi Ippolito e Cassiano viene ricordata per la prima volta nel 1422.
La struttura attuale risale al 1700, ma la chiesa potrebbe essere esistita, secondo alcuni studiosi, già prima del Mille, poco tempo dopo la nascita della pieve. Il primo riferimento storico, per ora, si trova in un testamento del 1422, che registra un lascito per la "chiesa di Mù". Contemporaneamente alla chiesa di S. Giovanni in Edolo, anche qui è stato effettuato un profondo e accurato restauro, ormai indispensabile per il degrado edilizio molto avanzato, dovuto all'umidità. Anche qui scavi e drenaggi, risanamento dei muri, nuovo pavimento, con nuovo impianto di riscaldamento e di illuminazione; ma anche grande attenzione, come per S. Giovanni, al migliore recupero estetico dell'edificio.
I risultati hanno ripagato l'impegno. Le pareti interne, ripulite dalle eccessive decorazioni sovrapposte, hanno riservato preziose sorprese: le riquadrature delle lesene e del cornicione "a marmorino", di notevole qualità e suggestione estetica; ma soprattutto due affreschi nascosti da uno spesso strato di intonaco. Sono le due lunette che si vedono nel presbiterio: in quella della parete di sinistra sono rappresentati i santi Lucia, Apollonia, Rocco, Antonio abate e un altro Rocco, forse S. Rocchino; in quella di destra la parte pittorica è molto più ridotta e dovrebbe trattarsi di una Natività.
Anche il restauro della pala dell'altare maggiore, voluto, così come quello degli affreschi della volta e degli arredi lignei, per ridare alla piccola cheese tutte le sue peculiarità, ha dato risultati sorprendenti: rimovendo dalla grande tela, dopo le opportune indagini radioscopiche, le ridipinture fatte con tecniche e materiali scadenti, si è recuperata un'opera di ottima qualità pittorica e di significati diversi. La Vergine e gli angeli, che occupano la parte superiore del quadro, risultano essere quelle originali; is anti ritratti in basso, S. Giovanni Battista, S. Carlo Borromeo e S. Sebastiano erano stati trasformati nei santi Rocco, Ippolito e Cassiano, venerati quali protettori della Comunità di Mù.
Apprezzabili sono anche i numerosi affreschi che ornano la volta del Presbiterio e della navata, ripuliti con apposite gomme sintetiche morbide e reintegrati in alcuni punti degradati; rappresentano episodi della vita di Gesù e della Sacra Famiglia, alcuni Dottori della Chiesa, gli Evangelisti e, nel riquadro maggiore, il martirio dei santi titolari della chiesa. Quelli della navata sembrano precedenti a quelli del presbiterio e di migliore fattura, ma non si conoscono né i tempi né gli autori.
Brilla di luce propria l'anconetta dell’altare della Madonna, eretto nel 1651: per lo stile e per il periodo della costruzione si può ragionevolmente attribuire ai Ramus. La ornava, secondo testimonianze che si tramandano, una intera ancona lignea distrutta dall'umidità. L'altare sul lato destro, un tempo dedicato a S. Biagio e ora al Sacro Cuore, fu eretto nella seconda metà dell'800. Il campanile di stile romanico, ben proporzionato, è simile a quello della chiesa di S. Giovanni e fu probabilmente costruito allo stesso capomastro Bortolo Boninchi, che abitava a Mù.
Il castello di Mù fu un'importante rocca costruita in posizione strategica per il controllo dell'alta Valle Camonica. Le rovine sorgono sul colle ad est di Mù, frazione del comune di Edolo, e presentano una forma trapezoidale con tratti di mura alti anche quattro metri.
Nel XIII secolo la rocca era di proprietà del vescovo di Brescia ed gli abitanti di Edolo, Mù e Sonico erano obbligati a sorvegliare il fortilizio durante la notte.
Il 29 aprile 1342 i Federici iniziano ad abitare la rocca di Mù. Una pergamena dello stesso anno ricorda un Girardi de Federicis de Erbanno, habitantis Roche de Mu.
Nel 1432 la Repubblica Veneta fa smantellare il castello di Mù dei Federici.
Al suo interno esisteva una chiesa dedicata a San Michele, demolita nel 1655.
La fontana di Piazza Martiri della Libertà fu eretta agli inizi del Novecento per dare decoro alla piazza principale, ne costituisce ancora oggi il fulcro.
Nella vasca ottagonale di granito si erge uno scoglio sormontato dall’emblema della Valle Camonica: un cervo adagiato sul terreno su cui è posata un’aquila.
Tre sono le bocche d’acqua: una che affiora appena e le altre due a collo di cigno, comode per attingere alla fonte con i secchi.
La fontana di via Porro è costituita da un apparato piuttosto imponente ed elegante. Pur trovandosi in una tra le vie principali rischia però di passare inosservata, confondendosi con le pareti delle case circostanti.
Forse costruita su disegno dello stesso ingegner Porro, che aprì nel 1856 la strada che da qui passa e che collega Edolo all’Aprica, la fontana fu concepita come elemento puramente ornamentale. L’inferriata che la chiude impedendo l’accesso all’acqua che vi sgorga lo attesta.
I piatti della cucina tradizionale camuna erano preparati soprattutto, come è ovvio, a partire da quanto reperibile in loco. La posizione, nel cuore delle Alpi, metteva a disposizione ingredienti “poveri” e portava alla necessità di non sprecare niente. I piatti che ne derivarono non sono particolarmente elaborati ma sono ricchi di sapore.
Polenta e formaggio costituivano il piatto forte e venivano utilizzati in modi diversi.
La carne, di maiale in genere, era usata con parsimonia e riservata a particolari occasioni.
La pesca (trote e anguille) e cacciagione (cervi, caprioli) costituivano un’importante fonte di sostentamento.
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