La collina di Luine-Crape-Simoni (su cui è collocato il parco di Luine) è tagliata da un lato dal fiume Dezzo e dall'altra è delimitata dal fiume Oglio, mentre ad Ovest un leggero avvallamento la separa dalla collina su cui sorge il castello di Gorzone.
Sul pianoro, numerose sono le superfici rocciose affioranti che morfologicamente ne caratterizzano l'ambiente, creando piccole valli e segnandone gli spazi.
E' su queste grandi pagine rocciose che sono impresse le Incisioni Rupestri Preistoriche.
La collina di Luine si viene delineando in Epoca Paleozoica in seguito al deposito di sedimenti permiani (soprattutto arenarie) che si accumulano in questa fase; successivamente, vennero coperti, durante il Triassico-Giurassico, da un alto strato di carbonati.
I grandi movimenti vulcanico-plutonici del Terziario, lambirono anche la Valcamonica generando l'innalzamento del massiccio dell'Adamello e portando localmente, a Luine, limitati canali eruttivi.
La morfologia generale del luogo era già abbozzata nel Miocene: si deve tuttavia attendere il Quaternario, con il veloce scioglimento dei ghiacci, perché l'irruenza dei corsi d'acqua configurasse il corso vallivo ed anche l'attuale, spigolosa morfologia della collina, con "tagli" che i due fiumi determinano tuttora alle sue fiancate.
E' solo a partire dal XII-X millennio a.C. che si viene definendo l'attuale solco vallivo, con la flora che gradatamente ricoprì le pareti rocciose, ammorbidendole.
Poi, a partire dal XII-X millennio a.C., gruppi di cacciatori-raccoglitori epipaleolitici seminomadi penetrarono la Valle lasciando qui, a Luine, le prime istoriazioni rupestri.
Successivamente la zona fu momentaneamente abbandonata, per divenire nuovamente luogo istoriativo con la fine dell'epoca Neolitica (IV millennio a.C.) e soprattutto con l'età del Bronzo (II millennio a.C.) e del Ferro.
Questi ritorni successivi dell'Uomo in un medesimo contesto a distanza di millenni, porta ad ipotizzare che Luine rispondesse ad una serie di "requisiti" morfologici richiesti alle aree destinate ai riti istoriativi.
Luine divenne quindi, nella preistoria, una sorta di "collina sacra" per le popolazioni locali.
Le prime segnalazioni di istoriazioni rupestri risalgono agli anni 50 (Süss e Laeng) anche se si deve al Prof. Anati (Centro Camuno di Studi Preistorici) lo studio sistematico dell'area e la sua scoperta scientifica negli anni 70-80.
Sugli affioramenti di pietra Simona, dal caratteristico colore viola, si contano più di 100 pannelli istoriati.
A Luine si possono vedere le più antiche incisioni rupestri del ciclo camuno, risalenti al periodo mesolitico, forse eseguite da cacciatori seminomadi che hanno utilizzato la valle come territorio di caccia sul finire delle grandi glaciazioni. Successivamente la zona fu abbandonata per diventare nuovamente luogo di culto e incisione verso la fine del Neolitico e soprattutto nell’età del Bronzo e del Ferro.
Le rocce principali sono dotate di cartellonistica esplicativa e tutti i percorsi sono ben segnalati e mantenuti. La grande roccia 34 è un’enorme superficie inclinata che le incisioni ricoprono quasi completamente, abbracciando l’intero ciclo artistico camuno: dalla grande sagoma di animale databile a circa 10.000 anni fa, ai guerrieri di età del Ferro del I millennio a.C.
Quasi tutto il repertorio camuno si concentra su questa roccia, considerata fra le più belle della Valle Camonica. Nella parte alta si leggono le grandi sagome di guerrieri a corpo quadrato (alte quasi un metro) risalenti alla fine dell’età del Ferro; sotto, si trovano grandi reticoli affiancati da figure di duellanti più piccole. Si leggono chiaramente figure più enigmatiche: un meandro, un labirinto e una rosa camuna, mentre un mammellone sporgente ospita una composizione di armi di età del Bronzo. Nelle limpide giornate invernali, la vista dal basso di questa roccia emoziona e toglie il respiro.
Sempre a Luine è documentata un’importante fase neolitica, ma soprattutto una quantità eccezionale di raffigurazioni di armi e composizioni geometriche di età del Rame e del Bronzo. Fra queste ultime spiccano senza dubbio le non comuni rappresentazioni di alabarde, oggetti di prestigio rimasti in uso non oltre l’antica età del Bronzo (inizi del II millennio a.C.).
L’area del masso dei Corni Freschi, sulla riva destra dell’Oglio alla base della collina del Monticolo, fa parte del complesso di siti di culto che nel corso dell’età del Rame (III millennio a.C.) caratterizzano diverse località della Valle Camonica.
Il masso, segnalato nel 1961 da Emmanuel Anati, è un grande blocco di arenaria precipitato dal versante roccioso alle sue spalle: al centro della parete verticale è stata incisa una composizione di nove alabarde, dalla quale deriva l’altro nome con il quale viene indicato: “Roccia delle alabarde”. Le armi sono state incise a grandezza pressoché naturale, con lame che vanno da 25 a 30 cm di lunghezza circa.
Simili contesti, nei quali grandi massi staccatisi da pareti sono stati incisi e sono divenuti parte integrante di aree sacre, sono noti anche in altre località della Valle Camonica: a Cemmo di Capo di Ponte e presso la roccia 30 di Foppe di Nadro, nel comune di Ceto. I confronti tipologici ed iconografici, sia con analoghe armi rinvenute in contesti di scavo (Villafranca – VR) sia con raffigurazioni simili incise su altri massi della Valle Camonica (la stele Cemmo 3), hanno permesso di datare le istoriazioni dei Corni Freschi alla fine dell’età del Rame (seconda metà del III millennio a.C.).
Nel 2002, prima di iniziare i lavori di restauro conservativo, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia ha effettuato un saggio di scavo alla base del masso, per verificare l’esistenza di un eventuale piano di calpestio coevo alle incisioni e ottenere informazioni sulle caratteristiche del sito.
Il sondaggio, scavato in corrispondenza della porzione incisa, non ha permesso di rinvenire indizi legati alla frequentazione del sito poiché l’area, prossima al corso del fiume, era lambita dall’acqua che ha irrimediabilmente asportato qualsiasi traccia. Tuttavia è stato effettuato un importante ritrovamento. A circa 30 cm di profondità dall’attuale piano di campagna, all’interno di un gradino naturale della roccia che definisce una sorta di cornice ovale, è stata scoperta una seconda composizione di figure incise: quindici pugnali affrontati (lunghi da 20 a 25 cm), con le lame rivolte verso il basso, disposti in modo da riprendere lo schema della soprastante composizione di alabarde. I pugnali, con pomolo tondo e lama triangolare a lati rettilinei con spalle oblique, sono cronologicamente coevi alle alabarde e quindi anch’essi riferibili alla tarda età del Rame.
Uno scavo più esteso condotto davanti al masso, preventivo all’allestimento del sito, ha mostrato residue presenze archeologiche (un focolare ed un buco di palo) ed ha permesso di notare che le due composizioni di armi sono state incise in posizione centrale rispetto alla superficie del masso, quasi a volerne sottolineare l’importanza. Oltre allo scavo archeologico sono state effettuate anche analisi dei resti pollinici, che hanno consentito di ipotizzare la presenza, di fronte al masso, di una sorta di piccolo bacino con piante lacustri.
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