Il complesso santuariale di Spinera di Breno fu scoperto fortunosamente nel 1986 a seguito di interventi di scavo per la posa della rete fognaria comunale.
Nel 16 a.C. la Valle Camonica fu conquistata dai Romani: ebbe così inizio una nuova fase della storia dei Camuni, caratterizzata dall’incontro della loro cultura con quella romana.
Il Santuario di Minerva dimostra la bellezza e la straordinarietà dell’esito che ne derivò: un luogo di culto esistente già da alcuni secoli e legato alla presenza di acque ritenute sacre dalla popolazione indigena venne fatto proprio dai nuovi arrivati, che vi edificarono un santuario, poi ingrandito e abbellito verso la fine del I secolo d.C.
La dea Minerva venne a sostituire la divinità indigena venerata in questo luogo e che conosciamo dalla sua raffigurazione in una splendida placchetta votiva in bronzo ritrovata in situ, le modalità di culto romane prevalsero su quelle locali, ma il santuario venne frequentato fino all’epoca della sua distruzione (inizi del V secolo), tanto da persone di origine romana quanto da Camunni romanizzati, ma ancora apportatori della propria tradizione culturale e religiosa.
La visita al Parco Archeologico del Santuario di Minerva consente di comprendere le fasi di questo passaggio, di approfondire le forme di preghiera praticate (offerte di cibi, oggetti, ex voto, libagioni, banchetti rituali, ecc.), di ammirare le caratteristiche architettoniche e decorative di un santuario romano d’età imperiale e il suo profondo legame con l’ambiente, la cui sacralità determina l’esistenza del luogo di culto stesso.
A partire dal VII sec. a.C. il luogo fu sede di un culto all'aperto, a carattere naturalistico, rivolto ad una divinità legata all'acqua e ai poteri benefici di purificazione e fecondità ad essa correlati, adorata attraverso rituali che prevedevano la ripetuta accensione di roghi, l'offerta di animali e prodotti agricoli, libagioni e abluzioni. Fra i materiali rinvenuti una placchetta in bronzo finemente lavorata con figura schematica su barca solare trainata da uccelli acquatici ripropone motivi e significati simbolici diffusi non solo in ambito alpino e italico, ma presenti anche nell'arte rupestre camuna. In età giulio-claudia la conca di Spinera venne monumentalizzata con la costruzione di un grandioso edificio ad ali porticate e cortile centrale, con apparati decorativi di pregio, che fino alla fine del I sec. d. C. convisse accanto al santuario indigeno. Il culto locale venne gradualmente trasferito alla dea Minerva, che certo della divinità indigena ereditò ed interpretò il carattere ctonio e naturalistico e che venne venerata fino alla fine del IV sec. d.C.-inizi del V sec. d.C. quando con la cristianizzazione fu attuata una programmatica distruzione del complesso sacro pagano. I materiali dal complesso di Spinera sono conservati al Museo Nazionale Archeolgico di Cividate Camuno, mentre le strutture romane sono in situ e allestite a Parco Archeologico dal 2007.
La scultura, acefala, in marmo greco, raffigura Minerva stante, avvolta in un ampio manto dal ricco panneggio, con egida a scaglie con Gorgone centrale e serpentelli penduli sul petto. In appoggio sulla gamba destra, la dea ha la sinistra piegata al ginocchio, scostata e leggermente arretrata. Il braccio destro doveva essere proteso verso il basso, mentre il sinistro era sollevato lateralmente probabilmente a reggere l'asta di una lancia.
La statua, datata ad età augustea, rappresenta, con l'Athena Farnese del Museo di Napoli e l'Athena della collezione inglese Hope, una delle tre repliche tuttora esistenti del tipo fidiaco dell'Athena Hygeia o portatrice di salute, realizzato alla fine del V sec. a.C. nell'Atene di Pericle; é uno degli esemplari più eloquenti della scultura colta diffusa nell'Italia settentrionale nei primi secoli dell'Impero.
Alla splendida statua di Minerva venivano donate offerte votive quali arule, stele e monete, secondo le ritualità tipiche del mondo romano.
Le stanze laterali ospitavano invece fontane e vasche, che esaltavano il legame tra l'acqua e il culto della dea.
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