Nel 1915 il Comando locale italiano, per cercare di rimediare in qualche modo all'inferiorità tattica italiana sul Tonale, progettò un attacco contro le posizioni austriache nella conca di Presena, nell'intento di scacciare gli austriaci da tale zona e riprendere così il controllo dei Monticelli e della sottostante piana del Tonale. L'attacco, che ebbe luogo il 9 giugno 1915, dimostrò l'impreparazione dei nostri strateghi. Si improvvisò un piano d'attacco senza prendere accordi con le artiglierie, il cui appoggio venne erroneamente ritenuto inutile. Quando gli Alpini si presentarono all'imboccatura del Passo Maroccaro, nell'intento di prendere alle spalle le posizioni austriache di Conca Presena e di Passo Paradiso, si imbatterono in un'accanita resistenza da parte di queste truppe, le quali non soltanto tennero validamente testa agli attaccanti ma, con l'appoggio delle artigliere del forte Saccarana di Vermiglio, li costrinsero a ritirarsi.
Le perdite italiane furono assai gravi: 52 caduti fra cui 4 ufficiali, e 87 feriti di cui 3 ufficiali.
Sino a quel momento i combattimenti erano stati abbastanza marginali e circoscritti in direzione del Tonale, ma il 15 luglio 1915 si ebbe un improvviso attacco austriaco, attraverso la vedretta del Mandrone, in direzione del Rifugio Garibaldi, che apri una nuova ed imprevedibile fase di lotta sul ghiacciaio.
Il 12 aprile 1916 venne conquistata la dorsale rocciosa Monte Fumo-Dosson di Genova-Cresta Croce-Lobbia Alta. Il 29 aprile 1916 ebbe inizio la seconda fase della nostra offensiva che portò gli Alpini ad aggredire la ben più munita linea di resistenza austriaca sul margine orientale del ghiacciaio. In alcuni punti gli obiettivi furono raggiunti e consolidati, ma al centro dello schieramento, nei punti maggiormente difesi, gli austriaci si difesero strenuamente e respinsero ogni nostro attacco. La battaglia divenne in breve una tragica e inutile carneficina per i nostri reparti sciatori in tuta mimetica e per le due compagnie del battaglione "Val d'Intelvi" che furono lanciate all'assalto, in divisa grigioverde, sull'immacolato candore del ghiacciaio.
Il 1917 fu un anno di relativa calma sul fronte dell'Adamello, ad eccezione del periodo in cui si svolsero le operazioni che portarono gli alpini alla conquista del Corno di Cavento (m. 3402), l'importante caposaldo avanzato austriaco che costituiva una seria minaccia per l'ala destra del nostro schieramento. Da queste posizioni, esattamente un anno dopo, reparti d'assalto austriaci ripartirono alla riconquista del Corno di Cavento, che effettuarono mediante lo scavo di una galleria nel ghiacciaio e un violento assalto contro la compagnia alpina che difendeva l'avamposto sulla vetta e il "trincerone" sul lato del ghiacciaio.
Il 1918 fu un anno di prove durissime e di combattimenti sanguinosi per le truppe dell'Adamello: in maggio venne finalmente portato a termine un attacco combinato in direzione della Conca di Presena e dei Monticelli per rafforzare le nostre linee sul Passo del Tonale. In questa azione, la più impegnativa e complessa di tutta la "guerra bianca", vennero impegnati numerosi battaglioni nonché compagnie di mitraglieri e bombardieri, batterie d'artiglieria d'ogni calibro, reparti del genio e servizi d'ogni genere. Dopo accaniti combattimenti, il successo arrise alle truppe italiane, anche se non riuscirono del tutto a scacciare gli Austriaci dalle ultime propaggini dei Monticelli.
Il 1° novembre 1918, quando ormai si era già delineata la nostra vittoria sul Monte Grappa e sul Piave, gli alpini dell'Adamello sferrarono l'assalto decisivo contro le ancora temibili fortificazioni del Tonale, aprendo la via verso il Passo della Mendola in modo da tagliare le vie di ritirata all'esercito sconfitto. Sulle tormentate distese di roccia e di ghiaccio, dopo tre anni e mezzo di durissima guerra, tornavano il silenzio e la pace.
Il ricordo di queste vicende resta memorabile nella storia militare per il fatto che gli alpini e i loro avversari, costituiti per la prima volta in grandi unità organiche di sciatori e di rocciatori, affrontarono le incognite del ghiacciaio, combattendo ad altezze inaudite e in condizioni climatiche spaventose.
I problemi più gravi che dovettero affrontare gli eserciti impegnati nella Guerra Bianca furono quelli legati all'impervietà del terreno ed alle condizioni climatiche estreme. Le montagne dei tre gruppi montuosi sono infatti assai elevate (con quote mediamente superiori ai 2000 metri, fino ai 3.905 metri s.l.m. della vetta dell'Ortles) e difficili da percorrere: tanto più ci si allontanava dai fondo valle tanto più per i trasporti fu necessario ricorrere agli animali da soma ed alle spalle degli uomini, anche per i pesantissimi carichi dei materiali d'artiglieria. Solo col procedere del conflitto negli anni si realizzò una fitta rete di strade, mulattiere e sentieri, tale da raggiungere gli avamposti nei luoghi più impervi; negli ultimi due anni di guerra fu infine sistematizzato l'uso delle teleferiche, ma la stessa realizzazione di queste infrastrutture, strade e teleferiche, fu forse l'impresa della Guerra Bianca che richiese più energie e sacrifici. In alta montagna le escursioni termiche sono notevoli e, al di sopra dei 2500 metri sono normali anche d'estate temperature al di sotto dello zero. D'inverno poi il termometro scende anche diverse decine di gradi, e, negli anni del conflitto si registrarono spesso temperature inferiori ai 35 °C sotto lo zero. Il clima muta in tempi rapidi e le tormente sono all'ordine del giorno, non solo nei mesi più freddi. Infine gli inverni del 1916 e del 1917 furono fra i più nevosi del secolo, con precipitazioni totali registrate superiori ai 16 metri. Questo rese oltremodo difficile la permanenza delle truppe in alta quota obbligando gli uomini a continui lavori di scavo e di sgombero della neve; ma soprattutto la grande quantità di neve caduta aumentò spaventosamente il rischio di valanghe, falcidiando pesantemente le corvèe di entrambi gli schieramenti.
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