mercoledì 1 luglio 2015

IL MUSEO ARCHEOLOGICO A CIVIDATE CAMUNO

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Il Museo Archeologico di Cividate Camuno, inaugurato nel 1981, raccoglie tutto il materiale di epoca romana ritrovato in Valle Camonica a partire dalla fine del XVII secolo.
Nei primi secoli dell'Impero, subito dopo la conquista, i Romani resero la Valle Camonica uno dei territori più "romanizzati" dell'arco alpino. Il Museo è organizzato in quattro sezioni: il territorio, la città romana, la religione e la necropoli.
Sono esposti rilievi, materiali fittili ed epigrafici provenienti da vari scavi
effettuati a Cividate Camuno, i mosaici policromi relativi alle terme di Cividate, e varie epigrafi funerarie e votive.

La città romana di Cividate Camuno fu fondata nei pressi del fiume Oglio, ai margini di un'ampia zona pianeggiante, in un punto nevralgico del sistema viario dell'area, a controllo del guado del fiume e delle vie di collegamento con la Val di Scalve, la Val Grigna, la Val Sabbia e la Val Trompia e con l'alta valle.

La città aveva un impianto regolare di strade ortogonali fra loro, disposte secondo l'asse indicato dal fiume Oglio, divisione che si prolungava, e ancora oggi si prolunga, nel territorio.

Della città sono stati riportati alla luce il complesso degli edifici da spettacolo con teatro e anfiteatro, gli edifici termali, diversi edifici privati, le necropoli.

Ai piedi dell'altura di S. Stefano, lungo l'Oglio, che doveva costituire il principale perno viario della città, si sviluppava l'area forense, di cui è stato recentemente scavato un ampio settore.

Proprio ai piedi della rupe di S. Stefano sono stati scavati resti di un insediamento preistorico antichissimo: una capanna del Paleolitico Superiore; un livello insediativo del Mesolitico antico; i resti di un abitato del Neolitico Medio-Cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (IV millennio a.C.); tracce di frequentazione della tarda età del Rame; reperti dell'età del Bronzo e del Ferro.

Lungo i percorsi sono collocati pannelli e disegni ricostruttivi che illustrano gli argomenti delle principali sezioni (città, culti e necropoli).

Nel giardino esterno sono collocati elementi architettonici di grandi dimensioni provenienti dall’area del foro.

Nel 2005 si è reso necessario un cambiamento consistente nell'allestimento per esporre la statua virile rinvenuta nel 2004 nell'area del foro di Cividate Camuno.

Nel 2010 è stata realizzata una tensiostruttura che ha dato respiro al Museo, ampliandone il percorso con la creazione di un nuovo spazio per mostre temporanee e per attività didattiche.

Nel 2011 è stata riallestita la sala della città, con l'esposizione di una selezione degli importanti apparati decorativi della domus scavata nell'area del foro.

Nei primi mesi del 2014 è stato ampliato e ristrutturato l'ingresso del Museo, realizzando un nuovo spazio accoglienza per il pubblico; per l'occasione è stato realizzato un nuovo supporto didattico inerente il Tropaeum Alpium.

Il primo allestimento del Museo ha subito nel tempo diversi interventi di ampliamento e risistemazione dei percorsi. Le continue scoperte hanno infatti reso sempre più urgente la necessità di realizzare un museo organico, in grado di porsi rispetto al pubblico come momento di riflessione sulle vicende che nei primi secoli dell'Impero, subito dopo la conquista, interessarono la Valle, nel più ampio contesto della romanizzazione dell'arco alpino.

Tra il 2005 e il 2006 è stata modificata la disposizione del Museo, dando il giusto rilievo a due grandi statue: la statua di culto trovata nel 1986 nel  santuario di Minerva di Breno, replica in marmo pentelico del tipo dell'Athena Hygieia; una statua rinvenuta nell'area forense di Cividate Camuno nel 2004, rappresentante un personaggio maschile ritratto in posa eroica con il busto nudo e i fianchi avvolti in un ricco drappeggio, sullo schema delle immagini degli imperatori o dei personaggi di rango imperiale del I sec. d.C., ritratti secondo un modello iconografico mutuato dalla grande statuaria greca, teso a raffigurare una bellezza ideale, fisica e morale.

La frazione Pescarzo di Capo di Ponte si trova nella media Valle Camonica, su un terrazzo naturale a circa 650 m di altitudine. Nel 1995-96 è stata riportata alla luce un'abitazione in uso fra la fine del II e l'inizio del I sec. a.C., conservatasi in maniera straordinaria grazie ad un violento incendio che ne aveva distrutto in antico l'alzato, ma che allo stesso tempo ne aveva sigillato e preservato l'interno sotto uno spesso strato di crollo, restituendoci uno straordinario spaccato della vita quotidiana di una famiglia vissuta 2000 anni fa. La casetta ripropone il modello insediativo tipico dell'area alpina centro-orientale della seconda età del Ferro, con uno zoccolo di base in pietra, realizzato entro uno scasso più o meno profondo nel terreno, e un alzato in legno. L'abitazione di Pescarzo, con una pianta quadrangolare di circa 23 mq, era stata realizzata addossata al pendio entro uno scasso di oltre 1,80 m.  Lungo le pareti del vano-dispensa sono stati recuperati numerosi contenitori da cucina e da mensa in terracotta e un paiolo in bronzo, ascrivibili a tipologie di produzione locale e centro alpina. La presenza di alcuni frammenti di recipienti in ceramica più fine, a pareti sottili, di produzione tipicamente romana, è importante segno dell'incipiente romanizzazione culturale della valle. In un angolo della casa sono stati ritrovati gli scheletri degli abitanti della casa, adagiati sopra un giaciglio di paglia, un uomo adulto, un infante di pochi mesi e un bambino di circa dieci anni, già morti di causa naturale al momento dell'incendio delle strutture. Accanto ad essi erano alcuni monili e oggetti d'ornamento personale in ferro, bronzo e pasta vitrea, costituiti da armille, pendagli e fibule. In un altro settore della casa erano raccolti gli attrezzi da lavoro: due asce e alcuni coltelli in ferro, una cote in pietra, un attizzatoio in ferro. Non lontano, alcuni rocchetti in pietra, un ago in osso e numerosi contrappesi litici forati sembrano suggerire l'esistenza di un telaio ligneo verticale.Resti ossei animali pertinenti a ovicaprini, un suino e un cucciolo di cane, completano il quadro di vita ruotante intorno all'abitazione.  Il materiale, databile fra II e I sec. a. C., arricchisce il quadro di conoscenza sulla vita quotidiana camuna tra tarda età del Ferro e romanizzazione.

Due cippi funerari recano entrambi su una faccia un bassorilievo raffigurante un supplice togato: la specularità delle figure, insieme all'analogia di stile e dimensioni, induce a ritenere che i cippi fossero pertinenti ad uno stesso recinto funerario, dallo schema di evidente tradizione ellenistica.

Ubicata lungo un'importante via di collegamento fra la Valle Camonica e la Val di Scalve, Borno era verosimilmente un centro attivo e vivace, al centro di traffici commerciali legati prevalentemente alle risorse minerarie locali. Dal punto di vista archeologico l'area più ricca è non a caso localizzata lungo l'attuale via Don Moreschi, nella località Calanno, dove in diverse occasioni sono venute alla luce evidenze riferibili ad una necropoli organizzata a recinti murari e i resti di un santuario dedicato a Minerva. La via costituiva anche in età romana la più importante arteria stradale di collegamento tra Borno e Malegno-Cividate e Malegno.

Importanti informazioni sulla necropoli furono acquisite nel 1984-85 quando venne scavato un recinto funerario contenente 11 sepolture a cremazione e la relativa zona di combustione (ustrinum). Il recinto era in muratura di ciottoli e sfaldature litiche legati da malta, con probabile monumentalizzazione del lato principale, come suggerito da numerosi elementi architettonici in pietra rinvenuti in corso di scavo.

Delle tombe, 5 erano in nuda terra, una aveva protezione laterale in ciottoli e copertura in lastra di pietra, una era a fossa con copertura costituita da un tegolone e 4 erano a cassetta litica. Le tombe in cassa litica avevano un corredo decisamente più ricco rispetto alle altre. I materiali, databili fra I e II sec. d. C., sono costituiti da abbondante ceramica, anche di tradizione preromana e metallo, anche prezioso, fra cui si distinguono numerosi strumenti ( tra cui alcuni attrezzi, quali gravine e scalpelli, connessi alla lavorazione della pietra), stili, coltelli, laminette votive, nonchè pendagli e amuleti di tradizione protostorica carichi di significati simbolici. E' stato ipotizzato che i defunti fossero membri di un particolare gruppo sociale, forse di una casta sacerdotale.
Tra i reperti ci sono:
Una tomba a cassetta in occhialino scolpito, con coperchio a spioventi, contenente un'olla ovoidale in vetro verde, coperta in origine da un piatto in vetro saldato ad essa con gesso; all'interno, oltre alle ossa del defunto, sono stati trovati tre balsamari; intorno erano deposte quattro ampolle monoansate ed una lucerna a volute con maschera tragica sul disco.

Un gruppo di intonaci dipinti provenienti da una domus di età giulio-claudia, scavata in via Palazzo, nell'area del foro di Cividate Camuno. Si tratta di ingenti quantità di raffinati frammenti pittorici pertinenti a diverse fasi di vita di un edificio residenziale antecedente un edificio monumentale a probabile destinazione pubblica.

Nel 1956 a Braone, nella media Valle Camonica, fu trovata una tomba a inumazione contenente una piccola teca cilindrica in piombo, a due elementi ad incastro, contenente un gruppo di monete d'oro. La teca venne aperta e le monete disperse. Del gruzzolo originario furono poi recuperati 9 solidi aurei, emessi dagli imperatori Leone, Zenone, Anastasio.

Un mosaico composto da tessere bianche e nere, con tocchi di arancione e di marrone, posato su uno strato di cocciopesto a sua volta giacente su un livello di preparazione in malta su vespaio in ciottoli. Nel disegno predominano le linee curve con rosoni a due cerchi concentrici neri, con all’interno nodi di Salomone, delimitano ottagoni a segmenti ricurvi, incorniciati da motivi a tortiglioni.

Un piede maschile destro nudo in bronzo. Il frammento rimanda ad una statua ritratto in posa eroica.

Un pilastrino con figura di Dioniso fanciullo, posto su una base ornata da motivi naturalistici a rilievo, con tralci di vite e animaletti sulle facce laterali.

Una placchetta votiva in lamina di bronzo, raffigurante una figura umana schematica con le braccia levate verso l'alto e sormontante una barca solare  trainata da uccelli acquatici. Finemente decorata con puntinato e motivi triangolari e con cerchi concentrici a occhi di dado. Databile alla seconda metà del V sec. a.C., proviene dal santuario protostorico di Spinera di Breno, dai resti del rogo intorno ad un altare in pietra. In essa è verosimilmente da riconoscere la raffigurazione della divinità femminile indigena connessa all'acqua e venerata nel luogo, un contesto paesaggistico suggestivo, vicino all'Oglio e a una rupe rocciosa percorsa da grotte e cavità naturali.

Una statua di culto raffigurante Minerva. Si tratta di una copia romana di un originale greco di V sec. a.C. raffigurante la dea Athena/Minerva, opera di Pyrros, seguace di Fidia. La divinità è stante, appoggiata sulla gamba destra e con la sinistra piegata al ginocchio. Indossa chitone e hymation ed è avvolta in un ricco drappeggio, con l'egida a grosse scaglie su cui domina l'effigie della Gorgone, tra spire di serpentelli. La testa, della quale manca tutta la parte anteriore con il volto, è sormontata da un elmo attico con figura di sfige accovacciata sormontata da un alto lophos che ricade dietro le spalle, tra due paragnatidi ad alette laterali.

Una stele funeraria di incerta provenienza, recuperata ad Ossimo Inferiore. Nel registro superiore vi è una pseudo-edicola, sormontata da due leoni acroteriali e con Medusa stilizzata nel timpano, contenente due ritratti, uno maschile e uno femminile. Nella parte inferiore vi è una lunga dedica che cita un liberto che dedica un recinto funerario.

La romanizzazione della Valle Camonica fu attuata attraverso un graduale processo di acculturazione che non determinò rotture e cambiamenti radicali, bensì piuttosto l'incontro, l'integrazione e una lenta interpretatio e sovrapposizione. Gli aspetti caratterizzanti la realtà camuna nella seconda età del Ferro, modalità insediative e cultuali, forme della cultura materiale, sopravvissero a lungo alla romanizzazione e continuarono, pur con esiti e soluzioni differenti fino alla tarda età romana.

Le terme di Cividate romana vennero alla luce in una zona centrale della città negli anni Settanta del secolo scorso, a seguito di lavori edilizi: l’edificio scoperto presentava un calidarium (ambiente con una o più vasche contenenti acqua calda) absidato, con due vasche opposte, una per i bagni in acqua calda e una per quelli in acqua fredda e la natatio (piscina), con un pavimento in lastre e due scale d’accesso.

Era presente inoltre il caratteristico sistema di riscaldamento con sopraelevazione del pavimento tramite colonnine in terracotta (suspensurae) e pilastrini di pietra.

Le strutture sono state ricoperte. La dettagliata documentazione di scavo è in parte illustrata tramite pannelli al Museo (sala 1). Fra i materiali recuperati figurano monete di II e III sec. d.C., frammenti laterizi con bollo e due arule votive dedicate alla Fortuna e a Iside.

Ad una decina di metri a sud dalle Terme sono stati rinvenuti due ampi vani, probabilmente pertinenti alla vicina struttura termale, con una pregevole pavimentazione a mosaico. I mosaici, databili al I-II sec. d.C., sono stati in parte recuperati e sono oggi al centro della prima sala del Museo di Cividate.

Per ricostruire il quadro della cultura materiale della Valle Camonica in età romana, in mancanza di dati esaurienti e significativi recuperabili in scavi di abitato, particolare importanza rivestono gli oggetti provenienti da corredi tombali.

Tra le popolazioni antiche infatti era costume ricorrente la prassi di accompagnare i defunti con gli oggetti peculiari della vita quotidiana, in alcuni casi, quando il ceto di appartenenza era elevato o notevoli le risorse finanziarie, associandoli a materiali di pregio, come armi o monili. Ne deriva quindi di riflesso per chi esamina tali contesti una esplicita allusione alle caratteristiche socio-economiche oltre che culturali della vita del tempo.

Numerosi sono i rinvenimenti funerari rinvenuti in tutta la valle. Mentre diffuse un po' in tutto il territorio sono tombe isolate, vere e proprie necropoli sono state finora rinvenute a Lovere, Rogno, Borno, Breno e Cividate Camuno.

Il museo ha un'apposita sezione dedicata alle necropoli e alla ritualità funeraria, con pannelli e disegni ricostruttivi e dove trovano spazio i corredi delle tombe di Cividate Camuno e Breno, Borno, nonchè diverse epigrafi, are e monumenti funerari da diversi paesi della valle.

La necropoli di Borno, situata lungo la strada proveniente da Malegno, alla periferia dell'attuale abitato, si presenta come un caso particolare nel panorama complessivo del territorio camuno, sia per la qualità dei materiali in essa rinvenuti, sia per le tracce cospicue di recinti che delimitavano le sepolture.

Dal 1927 a più riprese sono emersi strutture, materiali ed elementi epigrafici riferibili ad una vasta necropoli a recinti in uso nei primi secoli dell'età imperiale, non molto lontana dall'area occupata da un santuario romano impostato su un precedente indigeno. La zona è caratterizzata dalla presenza ancora in situ di un muro in opus quadratum, scoperto nel 1958, restaurato e ricomposto con un'ara proveniente dal terreno soprastante. Il muro rappresentava in origine la fronte di un recinto con muri perimetrali in pietre e malta, con zoccolo rivestito da lastre lavorate in arenaria azzurra. Insieme alle strutture murarie furono scoperte alcune tombe ed evidenziate tracce di altri due recinti.

Importanti informazioni sulla necropoli furono acquisite nel 1984-85 quando venne scavato un recinto funerario contenente 11 sepolture a cremazione e la relativa zona di combustione (ustrinum). Il recinto era in muratura di ciottoli e sfaldature litiche legati da malta, con probabile monumentalizzazione del lato principale, come suggerito da numerosi elementi architettonici in pietra rinvenuti in corso di scavo.

Delle tombe, 5 erano in nuda terra, una aveva protezione laterale in ciottoli e copertura in lastra di pietra, una era a fossa con copertura costituita da un tegolone e 4 erano a cassetta litica. I materiali, databili fra I e II sec. d. C., sono costituiti da abbondante ceramica, anche di tradizione preromana e metallo, anche prezioso, fra cui si distinguono numerosi strumenti (attrezzi, quali gravine e scalpelli, connessi alla lavorazione della pietra), stili, coltelli, laminette votive, nonchè pendagli e amuleti di tradizione protostorica.

Particolarmente ricchi si presentavano i corredi delle tombe 3, 7, 9, 11, entro cassette litiche. Nel corredo della tomba 11 va segnalato, oltre ai numerosi oggetti in vetro, alle lucerne e alle fibule, anche un nucleo costituito da numerosi strumenti in ferro e bronzo, fusi insieme dal calore del rogo e significativo come riferimento all'attività svolta in vita del personaggio defunto. Le altre tombe menzionate contenevano oggetti di particolare pregio: una testina di toro in bronzo e una grossa armilla d'argento (tomba 7); un anello d'oro, fibule a globetti e a balestra; un'orecchino d'argento (tomba 9); un rasoio a lama triangolare (tomba 3). In genere le urne contenevano gli oggetti più preziosi (monili, vetri, lucerne) oltre alle ossa del defunto. All'esterno venivano invece deposti gli oggetti in metallo. Significativa la presenza di pendagli e amuleti di tradizione protostorica, carichi di significati simbolici e rituali, e di numerosi oggetti legati alla scrittura.

La necropoli di Breno, posta lungo via Garibaldi, venne scoperta casualmente nel corso dei lavori stradali che purtroppo distrussero parzialmente le tombe e resero impossibile il recupero dei corredi nella originaria associazione.

Le strutture erano a cassa di tegoloni o, in un caso, di lastre di pietra.

Fra i numerosi materiali recuperati risultano particolarmente significativi due vasi in ceramica invetriata. Uno di essi, una coppa, presenta una decorazione costituita da medaglioni circolari applicati su due fasce, racchiusi superiormente e inferiormente da file orizzontali di punti a rilievo, con motivi floreali e teste femminili. La coppa sembra appartenere alla produzione di officine di Smirne ed è databile alla prima metà del I sec. d.C. L'altro esemplare, invetriato, un cratere, assai simile alla coppa e riferibile allo stesso contesto cronologico e stilistico, presenta una decorazione a medaglioni, uniti da festoni, con motivi floreali a rosette e teste di eroti.

Dalla stessa necropoli provengono pure parte di una coppetta a pareti sottili, frammenti di piatti e coppe in terra sigillata nord-italica, un grande boccale di tradizione alpina, varie urne, fittili o in pietra ollare, una fibula d'argento derivata dal tipo Aucissa, una a disco in bronzo

A Cividate sono state finora individuate due zone sepolcrali: una nell'area di via Piana, lungo la strada per Berzo Inferiore, l'altra in località Androne, lungo l'attuale via Marconi.

Della prima furono recuperate circa dieci tombe, sia ad inumazione sia ad incinerazione, con corredi abbastanza modesti e purtroppo in parte non integralmente ricostruibili come contesto: il materiale si data fra I e III sec. d.C. La tipologia delle sepolture comprende tombe a inumazione, con pareti e copertura in lastre di pietra e fondo di tegole e tombe ad incinerazione, deposte in nuda terra o in cassetta di tegoloni con copertura in lastre di pietra.

La necropoli in via Marconi comprendeva per lo più tombe ad incinerazione, databili fra I e III sec. d.C., alcune delle quali comprese entro recinti rettangolari costituiti da muretti in ciottoli e malta. L'urna era deposta in nuda terra o in cassetta di tegole, con il corredo sia interno che esterno.

Fra gli oggetti più notevoli vi sono urne-cinerario in pietra ollare, un pendaglietto in oro, due pissidi in osso.

Ancora a Cividate, in località Broli, nel 1955 è stata ritrovata una tomba in cassa litica, con coperchio a spioventi, contenente un'olla cineraria in vetro, balsamari e una lucerna.




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