mercoledì 13 maggio 2015

IL MUSEO DEL DUOMO DI MONZA

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Frutto della perizia di generazioni di artisti e della generosità di devoti committenti, l’inestimabile patrimonio di reliquie e opere d'arte ospitato nel Museo e Tesoro del Duomo di Monza costituisce una raccolta unica al mondo non solo per la rarità e la preziosità dei materiali, ma perché permette di seguire con puntualità le vicende della Basilica di San Giovanni Battista dalla sua fondazione fino ai nostri giorni.

Un percorso lungo più di 1400 anni, durante i quali la storia della chiesa si è spesso intrecciata con quella delle grandi istituzioni politiche e religiose dell’Italia e dell’Europa, in una trama di relazioni di cui le collezioni sono una vivida e spesso spettacolare testimonianza.

A chiarire il legame tra gli oggetti esposti e la storia del duomo contribuiscono gli spazi, i percorsi e gli allestimenti museali, a partire dalla sezione Filippo Serpero, dedicata al Tesoro della scomparsa basilica alto medievale, per arrivare alla sezione Carlo Gaiani, appositamente progettata per esporre le opere che hanno arricchito il patrimonio della chiesa dalla sua ricostruzione nel 1300 fino ad oggi.

Museo e tesoro del duomo di Monza, già Museo capitolare del duomo Filippo Serpero, è stato ampliato e riaperto al pubblico nel 2007. Vi si accede dalla base del campanile del duomo.

Il museo conserva opere celeberrime dell'antichità tardo romana e dell'alto medioevo, a partire dalla dotazione di suppellettili liturgiche donata dalla regina dei Longobardi Teodolinda. Il tesoro è stato successivamente incrementato da Berengario I re d'Italia e dai Visconti.

Tra il 1797 e il 1815, a seguito delle campagne napoleoniche, il tesoro è stato forzosamente trasferito a Parigi nel Cabinet des Médailles della Bibliothèque nationale da cui ha fatto successivamente ritorno a Monza, pur se incompleto, dopo il Congresso di Vienna.

La nuova sede del museo, che amplia la precedente del 1965, è interamente sotterranea e presenta, oltre agli oggetti del Tesoro, una nutrita serie di opere d'arte mai esposte in precedenza, dal Trecento al Novecento. Questa parte è intitolata Museo Gaiani.

Il Museo e Tesoro del Duomo costituisce un’eccezionale raccolta di opere d’arte e testimonia di come la fede abbia saputo ispirare nel corso dei secoli tante generazioni di artisti ed artigiani, sostenuti da non meno importanti atti di sincero mecenatismo.

Il Tesoro ha reso Monza e la sua Basilica, famosa nei secoli. Purtroppo quello che resta oggi è solo parte di un patrimonio importantissimo, il cui primo inventario conosciuto risale all’anno 1275. Le perdite più ingenti si ebbero in epoca napoleonica, quando, per provvedere alle spese di guerra, nel 1796, la Basilica dovette consegnare due terzi dell’oro e metà dell’argento che possedeva, per essere fusi.

Nonostante le perdite, il Museo e Tesoro del Duomo conserva intatto il fascino che gli deriva dalla lunghissima tradizione ma anche dalle capacità di rinnovarsi ed arricchirsi, come avvenuto nel 2007, con l’inaugurazione della nuova ‘Sezione Gaiani’, che amplia notevolmente gli spazi del precedente nucleo ipogeo della ‘Sezione Serpero’, del 1963.

La sezione dedicata alla memoria di Filippo Serpero è dedicata soprattutto alla scomparsa basilica altomedioevale, mentre la sezione dedicata a Carlo Gaiani raccoglie soprattutto testimonianze a partire dal 1300, data d’inizio della ricostruzione dell’attuale basilica.

Per conferire alla Basilica di Monza il ruolo di fondazione regia e di importante centro di culto cattolico, Teodolinda e Agilulfo la dotarono di un prezioso corredo di reliquie e suppellettili, che sono in parte giunte fino a noi e che costituiscono non solo una delle più importanti testimonianze al mondo di oreficerie provenienti da una corte barbarica di fine VI e inizio VII secolo, ma anche un esempio significativo delle diverse spinte culturali che segnarono la produzione artistica in Italia nel passaggio tra l’età tardo antica e il Medioevo.

La serie inizia con due rarissimi gruppi di reliquiari: il primo costituito da sedici ampolle in lega di piombo e stagno, forgiate in Palestina tra VI e VII secolo, contenenti campioni degli olii delle lampade accese nei santuari della Terrasanta; il secondo da ventisei ampolle di vetro contenenti gocce di olio estratte intorno all’anno 600 dalle lampade che ardevano sulle tombe dei martiri nelle catacombe romane.

Segue la stanza del Tesoro, dove si trova il nucleo superstite delle suppellettili liturgiche donate alla basilica dalla coppia di sovrani longobardi: la Croce di Adaloaldo, un reliquiario della Vera Croce inviato, secondo la tradizione, da papa Gregorio Magno a Teodolinda nel 603 in occasione del battesimo del figlio; la Legatura dell’Evangeliario di Teodolinda, scandita da due grandi croci gemmate, da cornici in smalti alveolati, da cammei romani di riuso e da una scritta che ricorda la fondazione della basilica; la Croce di Agilulfo, rivestita su entrambe le facce da gemme e perle incastonate con perfetta simmetria; la Corona di Teodolinda, l’unica superstite delle corone votive longobarde un tempo presenti nel Tesoro; il gruppo in lamina d’argento dorato della Chioccia con sette pulcini, rinvenuto nel Medioevo nella tomba della Regina e realizzato forse in due tempi, tra il IV e il VII secolo, da orafi milanesi.

All’età romana risale invece la cosiddetta Tazza di Zaffiro, una coppa di vetro blu, rimontata nel XV secolo su un fusto in oro, identificata per tradizione con quella che Teodolinda avrebbe utilizzato per la cerimonia del fidanzamento con Agilulfo. Di datazione incerta (VII o IX secolo) sono infine l’astuccio d’argento dorato per il flabello e il pettine montato in argento e gemme, entrambi riferiti per tradizione al corredo personale della Regina.

All’inizio del X secolo, grazie alla munificenza di Berengario del Friuli, eletto re d’Italia nell’888 e imperatore nel 915, entrarono nel Tesoro altri splendidi manufatti, a partire da due importanti prodotti di oreficeria realizzati tra IX e l’inizio del X secolo: una croce-reliquiario in oro, pietre preziose e perle, detta Croce del Regno per il fatto di venire indossata dai sovrani durante le cerimonie di incoronazione; quindi il Reliquiario del dente di san Giovanni, con il fronte in oro ricoperto da un’esuberante decorazione di gemme, perle e filigrane disposte intorno ad una stella a otto raggi, e il dorso inciso con una scena di Crocifissione.

Tra i doni offerti da Berengario erano compresi anche alcuni codici liturgici, per le cui legature furono usati antichi dittici d’avorio, in modo da farne degli oggetti unici e preziosissimi, degni di un lascito imperiale. Il più noto è il Dittico di Stilicone, così chiamato dal nome del generale vandalo che, nominato tutore dell’imperatore Onorio ed eletto console nel 400, vi è raffigurato in compagnia della moglie Serena e del figlio Eucherio.

Del Tesoro fanno parte anche numerose stoffe antiche, che furono a lungo venerate come reliquie per il fatto di essere appartenute a santi, o per essere state “a contatto” con altre reliquie.

Tra di esse si segnalano due frammenti di tessuto egiziano del VI-VII secolo provenienti dalle vesti di papa Gregorio Magno e tre corporali, cioè piccole tovaglie d’altare, d’analoga epoca e provenienza. Seguono le cosiddette Sporte degli Apostoli, cinque piccole borse realizzate con foglie di palma intrecciate e ornate da fasce a disegni geometrici, riconducibili ad una tipica produzione palestinese documentata dall’età romana al X secolo.
Il percorso dedicato al rapporto tra il Duomo di Monza e i Visconti copre un arco temporale che va dal 1277, quando questa potente famiglia si impossessò di Milano, al 1447, anno della morte del duca Filippo Maria.

Il materiale esposto presenta in modo mirabile questo delicato snodo storico, chiarendo il legame dei Visconti con la Basilica di San Giovanni, nell’intento sia di affermare in modo stabile il loro potere su Monza, sia di sostenere la discendenza del loro casato dai Longobardi, onde ribadire la piena legittimità del potere conquistato.
Ad accogliere il visitatore è un ritratto di Giovanni Visconti, l'arcivescovo e signore di Milano che nel 1345 ottenne la restituzione del Tesoro del Duomo, trasferito nel 1324 presso la corte pontificia ad Avignone. A ricordare l’evento è la pergamena con l’inventario dei preziosi oggetti recuperati, esposta in una teca accanto a una copia della Corona Ferrea e alla Bibbia di Alcuino, un codice realizzato nel IX secolo nello scriptorium di Tour, scelto per alludere ai legami del sacro diadema con la cultura carolingia. Oltre la teca, due ante dell’organo della basilica, dipinte all’inizio del Cinquecento dalla bottega dei De Donati, presentano la scena della Restituzione del Tesoro, che alcuni inservienti dispongono sull’altare maggiore della chiesa, al cospetto di Giovanni Visconti e di san Giovanni Battista.

La parete di fronte è dedicata a Matteo da Campione, l'architetto e scultore che tra il 1360 circa e il 1396 progettò e realizzò la facciata del nuovo edificio, lo scomparso fonte battesimale e il pulpito che ancora troneggia nella navata centrale. A testimoniare questi interventi sono presentate diverse lastre con figure di santi, simboli religiosi e profani, e alcune testine che decoravano in origine la sommità dei gugliotti della facciata.

Non manca, anche qui, un richiamo a Teodolinda e alla devozione tributatale dalla popolazione di Monza, ricordata da una teca contenente i resti ritrovati nel 1941 nel sarcofago in cui le spoglie della Regina erano state traslate nel 1308 e, più avanti, da un grande affresco raffigurante la Messa di San Michele, dove appare, tra i personaggi effigiati, anche la sovrana longobarda. Accanto a questo dipinto sono collocati un frammento di affresco raffigurante la Crocifissione, attribuito a Michelino da Besozzo, lo stocco di Estorre Visconti, ritrovato con la sua mummia in una tomba nel chiostrino, e alcune oreficerie tardo gotiche e rinascimentali, tra le quali svetta un capolavoro come il Calice di Gian Galeazzo Visconti.

La seconda parte del percorso è dedicata al periodo della signoria sforzesca, che va dal 1450, anno dell’elezione di Francesco Sforza a duca di Milano, al 1535, quando, con l’estinguersi della sua discendenza diretta, lo stato passò sotto il controllo della monarchia spagnola.

Testimonianze di quest’epoca sono uno splendido polittico di gusto tardo-gotico realizzato attorno al 1450 e forse destinato alla Cappella di Teodolinda, e alcuni pannelli di gusto rinascimentale pertinenti a due pale d’altare per le cappelle laterali della basilica, dipinte nel 1478-80 dal milanese Stefano de’ Fedeli, autore anche dei cartoni preparatori per il rosone della facciata, messo in opera alla fine del Quattrocento e ora sistemato al centro del Museo, su una parete alta circa 12 metri, appositamente approntata per ospitarlo.

Ai primi decenni del Cinquecento risalgono invece due arazzi copri leggio di fattura lombarda, raffiguranti san Giovanni Battista, e altri tre rari arazzi fiamminghi “Millefleurs” sistemati nella sala inferiore. Coeve sono le statue lignee policrome pertinenti a una Crocifissione sistemate all’uscita della sala, accanto a un’altra anta dell’organo con la raffigurazione di San Giovanni al Limbo, che condivide con le statue un’attribuzione alla bottega dei De Donati.

Della seconda metà del secolo sono invece i magnifici arazzi dedicati alle Storie di san Giovanni Battista che venivano annualmente esposti in duomo nel giorno della festa del santo (24 giugno). Furono realizzati su cartone di Giuseppe Arcimboldi, autore con Giuseppe Meda dell’affresco con l’Albero di Jesse sulla testata del transetto meridionale (1556-1562 circa).

Numerose erano in età sforzesca le chiese che costellavano la città: alcune di antica origine, altre più recenti, sono oggi in buona parte distrutte, ma sono testimoniate in museo da dipinti e sculture, tra cui un bel polittico in terracotta del 1540-1460 circa proveniente dalla chiesa di San Pietro Martire.

La terza parte della sezione Gaiani riguarda i manufatti giunti in Duomo durante il lungo periodo delle dominazioni spagnola e austriaca sulla Lombardia, quando l’edificio assunse il suo aspetto definitivo.

Primo promotore delle nuove trasformazioni fu l’arcivescovo Carlo Borromeo (1563-84), che istituì il culto del Sacro Chiodo contenuto nella Corona Ferrea e ordinò al Capitolo di adeguare la fabbrica e la sua decorazione alle norme liturgiche stabilite dal Concilio di Trento. Avviati con gli affreschi delle testate del transetto (1556-80), gli interventi decorativi proseguirono tra il Sei e il Settecento nelle navate e nelle cappelle. Affidati ad alcuni tra i maggiori pittori lombardi dell’epoca e conclusi nel 1753, essi trasformarono il duomo in uno dei più fastosi monumenti della pittura barocca lombarda. Ne sono testimonianza i dipinti della quadreria esposti in museo, con opere, tra gli altri, di Moncalvo, Procaccini, Nuvolone e Sant’Agostino, cui si affiancano alcuni bozzetti relativi agli affreschi realizzati da Legnanino e Borroni.

Oltre alla decorazione pittorica e ad alcuni importanti interventi architettonici (nuovo presbiterio, torre campanaria, cripta, battistero), il rinnovamento della chiesa comportò anche quello dell’arredo liturgico. Nuovi manufatti confluirono perciò nel Tesoro, che tra il Sei e il Settecento si arricchì di uno splendido assortimento di reliquiari e suppellettili barocche, realizzate dai più rinomati orafi milanesi. Buona parte di questo materiale è inserito nel percorso museale grazie a un allestimento appositamente progettato per permetterne una fruizione ravvicinata e realmente immersiva.

Con la fine del XVIII secolo ebbe inizio un’altra fase della storia del duomo, illustrata nella quarta parte del percorso. Tra il 1792 e il 1798 Andrea Appiani provvide a realizzare il nuovo altare maggiore, testimoniato in Museo dai gessi delle sue magnifiche sculture modellati da Angelo Pizzi su disegno dello stesso Appiani.

Dal 1796, data d’inizio dell’occupazione napoleonica, per la basilica cominciarono però tempi duri. La metà degli oggetti d’argento e due terzi di quelli d’oro del Tesoro vennero infatti requisiti e destinati alla Zecca di Milano per essere trasformati in moneta, oppure inviati ai musei di Parigi, dove alcuni di essi furono rubati e distrutti nel 1804, mentre quelli superstiti furono restituiti nel 1816.

Alle razzie seguì però una nuova stagione di donazioni, durante la quale pervennero alla chiesa alcune raccolte di opere antiche, come gli intagli lignei provenienti dal Monte Athos donati nel 1809 dall’architetto Carlo Amati o gli antichi avori italiani e francesi ceduti nel 1825 dalla contessa Carolina Durini Trotti. Esposti alla fine del percorso, tali manufatti si affiancano a delle eleganti suppellettili liturgiche neoclassiche e a vari oggetti utilizzati nelle ultime incoronazioni, il cui fascino rimane immutato, a cominciare da quello che promana dai due pani votivi in argento realizzati per la messa dell’incoronazione di Napoleone nel 1805 e dal cofanetto in velluto e perle utilizzato per trasportare a Vienna la Corona Ferrea in occasione dell’incoronazione di Ferdinando d’Austria nel 1838.

Trasferito in Austria dopo l’unità d’Italia, il sacro diadema fu restituito al Duomo di Monza nel 1866 per interessamento di re Vittorio Emanuele II. Dopo averne decretato nel 1883 il carattere di reliquia nazionale e di insegna del regno, re Umberto I ordinò invece di sistemarla in un nuovo altare, che fu appositamente eretto nel 1895-96 da Luca Beltrami nella Cappella di Teodolinda, dove fu sistemato anche il sarcofago della regina. Nello stesso periodo, Beltrami provvide anche al restauro della basilica, che si concluse nel 1908 con il rifacimento del rivestimento lapideo della facciata e la ricostruzione delle guglie precedentemente abbattute, con le relative statue.
Tra di esse anche quella di Teodolinda, colta nell’atto di donare il Duomo, il cui gesso preparatorio è esposto nel percorso, a simboleggiare il perenne ruolo di protagonista che la regina longobarda ha avuto in questa straordinaria storia di arte, cultura e spiritualità.

Un breve ma intenso fuori programma è costituito dalle acquisizioni, commissioni e donazioni che negli ultimissimi anni hanno continuato ad arricchire il patrimonio della chiesa e che forniscono una vivida testimonianza dei caratteri dell’arte sacra contemporanea. Tra i pezzi esposti si segnalano due piccole sculture: una Crocifissione in ceramica policroma realizzata verso il 1953 da Lucio Fontana, padre dello Spazialismo, e un Cristo risorto fuso in bronzo nel 1974 da Luciano Minguzzi, autore della celebre Porta del bene e del male per la Basilica di San Pietro in Vaticano. Ad esse si affiancano due grandi cartoni preparatori per le vetrate del presbiterio, con Sant’Ambrogio e San Carlo Borromeo, dipinti nel 1995 da Sandro Chia.


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