E' il monumento più antico di Varese. Fu eretto tra il XII e XIII secolo, sulla base di un edificio altomedievale a pianta presumibilmente ottogonale. È in stile romanico con numerose soluzioni gotiche la facciata, infatti, è a capanna, coronata da una serie di archetti pensili, con un'edicola gotica per la statua trecentesca di San Giovanni Battista. Al centro si apre il portale, chiuso da un arco a tutto sesto; ancora più in alto vi è il grande oculo centrale, che illumina l'interno. L'interno, articolato in aula e presbiterio dotato di tribuna, rivela le testimonianze dell'edificio preesistente nelle murature e nel pavimento lasciato a vista dai restauri del 1948-50. Durante gli scavi fu anche scoperto, incassato nel pavimento altomedievale, il primitivo fonte ottagonale a immersione, del VII-VIII secolo.
Edificio dalla vicenda architettonica particolarmente complessa e dibattuta, nel suo aspetto attuale il battistero di S. Giovanni si presenta all'esterno come un alto e stretto parallelepipedo con fronte a capanna, stretta fra due lesene con semicapitelli a decorazione vegetale; una cornice ad archetti pensili ne sottolinea i salienti, proseguendo lungo i fianchi. A fianco dell'unico portale, leggermente strombato, si aprono due monofore e al centro un oculo; al colmo della facciata una nicchia accoglie una statua raffigurante San Giovanni Battista. L'edificio è costituito da due aule a pianta quadrangolare accostate per il lato minore e disposte sull'asse est-ovest: quella a occidente era destinata al rito battesimale mentre quella orientale, di dimensioni più piccole, forma il presbiterio, scandito in due vani sovrapposti di sezione quadrangolare, entrambi coperti da ampie volte a crociera con sottili costoloni in laterizio, a sesto acuto. Le ricerche condotte nell'ambito dei restauri degli anni 1948-50 hanno dimostrato l'esistenza di un edificio precedente, altomedievale che, in linea con la tradizionale tipologia del battistero, aveva impianto esagonale e funzioni anche di chiesa (Dell'Acqua 1952). Se per la Romanini (1964) il Battistero varesino, che ha valore emblematico nella storia del primo gotico lombardo per la fusione di suggestioni provenienti dall'architettura cistercense - la sobrietà e la regolarità dell'impianto - e comunale - la robusta compattezza, il gusto per la squadratura volumetrica -, può essere datato alla prima metà del Duecento, gli studi più recenti tendono a spostare in avanti tale collocazione cronologica fino agli inizi del XIV secolo (Colombo 1982; Cassanelli 1993).
Al centro dell'aula principale è una grande vasca battesimale a pianta ottagonale che insiste probabilmente su quella originale, altomedievale; le otto facce presentano rilievi raffiguranti il Battesimo di Cristo e gli Apostoli. Realizzata in un unico blocco di pietra, l'opera è incompiuta e consente di cogliere le diverse fasi della lavorazione; è stata ultimamente avvicinata alla produzione monzese della bottega di Matteo da Campione e datata alla seconda metà del Trecento.
Nella zona del presbiterio si concentra una serie di affreschi (più di una trentina) assai eterogenei per stile, qualità e cronologia, frutto di un'accumulazione progressiva - spesso una vera e propria sovrapposizione - e privi di un progetto unitario, che coprono nel loro insieme i decenni che vanno dal 1320 circa all'inizio del Quattrocento. Tra i dipinti più antichi è una Madonna del latte sulla parete sinistra del presbiterio, databile al 1320 circa.
Allo stesso maestro appartengono probabilmente il San Leonardo sulla stessa parete, alcune figure di Santi ed una sciupata Madonna in trono affiorati alla fine degli anni Quaranta del Novecento nella tribuna.
Un successivo, cospicuo nucleo di affreschi fa capo al cosiddetto Maestro della Tomba Fissiraga, legato al celebre dipinto votivo del S. Francesco di Lodi. In parte già assegnati all'anonimo frescante di Lodi dal Toesca (1912), in parte invece ricuperati durante i restauri degli anni 1948-50 gli affreschi, collocabili intorno al 1325, manifestano la corposa e aneddotica parlata lombarda del maestro, fatta di attente notazioni di costume e acuta resa dei dettagli ma anche di figure di robusta plasticità ed espressività. Nella drammatica Crocifissione dell'arcone trionfale la critica ha creduto inoltre di scorgere, per l'esasperata caratterizzazione dei volti e dei gesti e per l'insistita trattazione chiaroscurale delle forme, qualche suggestione del giottismo bolognese, peraltro non nuova nella coeva pittura lombarda (S. Eustorgio a Milano, volta della cappella Visconti; monastero Matris Domini a Bergamo).
Il grosso degli affreschi rimanenti, di cronologia molto diversa, può essere collocato nel filone di una tradizione locale che ripropone stancamente formule e modelli di ampia circolazione.
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