martedì 28 aprile 2015

IL VAIOLO

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Il vaiolo è una malattia contagiosa di origine virale che nel 30% dei casi risulta fatale. L'ultimo caso conosciuto di vaiolo nel mondo è stato diagnosticato nel 1977 in Somalia. L’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato ufficialmente eradicata questa malattia nel 1980.

L'epoca della comparsa del vaiolo non è definita, ma si presume possa essersi evoluto a partire da un virus dei roditori. L'ampia variabilità del periodo è dovuta ai differenti dati utilizzati per calibrare la frequenza molecolare. Un clade è quello del ceppo di Variola maior che si diffuse partendo dall'Asia tra 400 e 1600 anni fa ed è responsabile della forma più grave di vaiolo. Un altro clade include entrambi i ceppi di Variola minor descritti nel continente americano e isolati in Africa occidentale, che si suppone si siano separati dal ceppo ancestrale tra i 1400 e i 6300 anni fa; questo clade si pensa possa essersi distinto in due subclade almeno 800 anni fa.

Una seconda stima è basata sull'ipotesi che il Variola virus si sia separato dal virus del vaiolo del gerbillo circa 3000-4000 anni fa. Questa stima è coerente con le prove storiche e archeologiche che identificano il vaiolo come una malattia umana con un'origine relativamente recente. Tuttavia, supponendo che il tasso di mutazione genetica sia simile a quella dei virus della famiglia degli Herpesviridae, si stima che la separazione tra Variola virus e il virus del vaiolo del gerbillo sia avvenuta circa 50000 anni fa. Questa stima è coerente con le altre stime pubblicate e suggerisce che le prove archeologiche e storiche siano decisamente incomplete. Sono quindi necessarie migliori stime dei tassi di mutazione di questi virus per poter uniformare i dati.

Il vaiolo sembra essere emersa come malattia endemica in India circa 2500-3000 anni fa, mentre il suo trasferimento dall'Africa orientale al Sud America è avvenuto nel XIX secolo.

La prima evidenza clinica attendibile di vaiolo è stata trovata nella mummia del faraone egiziano Ramses V, morto oltre 3000 anni fa, mentre archivi storici asiatici descrivono una malattia simile al vaiolo in India e in Cina nei secoli successivi. Si è ipotizzato che i commercianti egiziani abbiano importato la malattia in India nel I millennio a.C., dove è rimasta endemica per oltre 2000 anni; il vaiolo sembra poi essere stato introdotto in Cina nel I secolo a.C. dai territori a sud-ovest e da qui in Giappone nel VI secolo. In Giappone si stima che l'epidemia del 735-737 abbia ucciso un terzo della popolazione dell'arcipelago. Almeno sette divinità sono state specificatamente associate al vaiolo, tra i quali Sopona della religione del popolo Yoruba e Shitala Devi dell'Induismo.

L'arrivo del vaiolo in Europa e nel Sud-est asiatico è invece meno chiaro. La malattia non è descritta nell'Antico e nel Nuovo Testamento della Bibbia e nemmeno nella letteratura greca e romana e gli studiosi concordano che molto difficilmente una tale malattia possa essere sfuggita a una descrizione da parte di Ippocrate se si fosse manifestata nell'area mediterranea.

Mentre la peste antonina, che dilagò attraverso l'Impero romano tra il 165 e il 180, si pensa possa essere stata causata da un'epidemia di vaiolo, altri storici ipotizzano che siano state le truppe arabe a portare per prime la malattia dall'Africa all'Europa sud-orientale nel VII-VIII secolo. Nel IX secolo il medico persiano Abu Bakr Mohammad Ibn Zakariya al-Razi compì una delle osservazioni più importanti sul vaiolo e fu il primo a distinguerlo dal morbillo e dalla varicella nella sua opera Kitab fi al-jadari wa-al-hasbah, in italiano Il libro del vaiolo e del morbillo.

Durante il Medioevo il vaiolo si presentò con epidemie periodiche, ma non divenne endemico finché la popolazione non crebbe, aiutato anche dai grandi movimenti di persone che caratterizzarono il periodo delle crociate. A partire dal XVI secolo il vaiolo era presente in quasi tutta Europa, infettando soprattutto i bambini e causando la morte di oltre il 30% degli individui infetti. Le successive esplorazioni e colonizzazioni europee favorirono la diffusione della malattia in tutto il mondo conosciuto e il vaiolo divenne una delle più importanti cause di morbilità e mortalità.

Non esistono descrizioni attendibili di casi di vaiolo nel continente americano prima della colonizzazione europea del XV secolo. Nel 1507 fu introdotto sull'isola di Hispaniola e nel 1520 sulla terraferma, quando i coloni spagnoli si spostarono in Messico. Il vaiolo decimò la popolazione nativa amerinda e permise la conquista degli imperi azteco e inca. Nel 1633, alla fondazione delle colonie nella costa orientale del Nord America seguì una devastante epidemia presso le popolazioni native americane e, successivamente, per i coloni nati nel Nuovo Mondo. Le stime parlano di un tasso di mortalità presso i nativi americani dell'80-90%. Il Australia il vaiolo fu introdotto prima nel 1789 e di nuovo nel 1829, diventando la prima causa di morte per gli aborigeni australiani tra il 1780 e il 1870.

A partire dalla metà del XVIII secolo il vaiolo era la maggior malattia endemica in tutto il mondo, con l'eccezione dell'Australia e di altre piccole isole; in Europa rappresentava la prima causa di morte, con 400.000 decessi l'anno.

Il vaiolo rappresentava il 10% delle cause di mortalità infantile in Svezia e il tasso si stima fosse ancora più elevato in Russia. L'uso della variolizzazione in alcuni paesi, come in Cina, nel Regno Unito e nelle sue colonie nordamericane, ridusse l'impatto della malattia nei confronti delle classi agiate durante l'ultimo periodo del XVIII secolo, ma una vera riduzione dell'incidenza si ebbe solo quando la vaccinazione divenne prassi comune alla fine del XIX secolo. I vaccini e la pratica della rivaccinazione portarono a una riduzione dei casi solamente in Europa e in Nord America, mentre il vaiolo rimaneva incontrollato nel resto del mondo. Negli ultimi anni del XIX secolo fu identificata, negli Stati Uniti e in Sudafrica, la variola minor, che nella prima metà del XX secolo si espanse in molte parti del continente africano. Questa malattia, che causa una forma molto più lieve di vaiolo ed è caratterizzata da una minore mortalità, garantisce l'immunità alla variola maior. Pertanto, nel giro di pochi anni, divenne la forma principale di vaiolo, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, in Sud America e nel Regno Unito, riducendo ulteriormente i tassi di mortalità.

Sin dalla dimostrazione di Jenner dell'efficacia della vaccinazione nel 1796, furono fatti numerosi tentativi per eliminare il vaiolo su scala regionale. Nel 1803 il Regno di Spagna organizzò una missione per trasportare il vaccino nelle colonie dell'Impero spagnolo in America e nelle Filippine e vi creò un massiccio programma di vaccinazione, e lo stesso fu fatto dal governo inglese in India. Tuttavia, le campagne di vaccinazione britanniche in India e in Birmania furono ostacolate dalla testarda preferenza indigena per la variolizzazione e la diffidenza nei confronti della vaccinazione, nonostante le dure leggi, il miglioramento dell'efficacia della conservazione locale del vaccino e l'educazione sanitaria. A partire da 1832 il Governo federale degli Stati Uniti d'America introdusse un programma di vaccinazione per i nativi americani. Nel 1842 il Regno Unito bandì la pratica della variolizzazione, introducendo la vaccinazione obbligatoria nel 1853. Lo stesso avvenne negli Stati Uniti tra il 1843 e il 1855, a partire dallo stato del Massachusetts; nonostante l'avversione di alcuni per questa misura, nel 1897 il vaiolo era quasi scomparso dal paese. In molti paesi dell'Europa settentrionale la malattia era stata debellata agli inizi del XIX secolo e, nel 1914, l'incidenza nei paesi industrializzati si era ridotta a valori relativamente bassi. La vaccinazione venne mantenuta fino ai tardi anni settanta per evitare la possibile reintroduzione del vaiolo da paesi ancora endemici. L'Australia e la Nuova Zelanda furono invece un caso a parte, in quanto non introdussero mai un programma di vaccinazione preferendo la quarantena rigorosa, in quanto le grandi distanze e la bassa densità abitativa rendevano difficile il contagio.

Il primo grande sforzo per eradicare il vaiolo dall'emisfero occidentale fu la campagna lanciata nel 1950 dalla Pan American Health Organization ed ebbe successo nell'eliminare la malattia in tutti i paesi americani, con l'eccezione dell'Argentina, del Brasile, della Colombia e dell'Ecuador. Nel 1958 il ministro della sanità dell'Unione Sovietica, Viktor Zhdanov, fece un appello all'Assemblea mondiale della sanità dell'Organizzazione mondiale della sanità per intraprendere un'iniziativa mondiale finalizzata all'eradicazione globale della malattia, proposta che fu accettata, con la risoluzione WHA 11.54, nel 1959, anno in cui ancora due milioni di persone ogni anno morivano per il vaiolo.

Nel complesso, tuttavia, i progressi verso l'eliminazione furono deludenti, soprattutto in Africa e nel subcontinente indiano. Nel 1967 l'OMS intensificò gli sforzi, contribuendo con 2,4 milioni di dollari annui e introducendo il metodo della sorveglianza sanitaria, una metodica epidemiologica che permette il monitoraggio della diffusione della malattia al fine di stabilire i modelli di progressione.

Si stima che i casi di vaiolo annui fossero, nei primi anni cinquanta, oltre 50 milioni. Per sradicare il vaiolo, si doveva impedire a ogni focolaio di diffondersi, attraverso l'isolamento dei malati e la vaccinazione di tutti coloro che vivevano nelle vicinanze. La chiave strategica è stata il monitoraggio di tutti casi di una comunità e il contenimento. Il problema iniziale che l'OMS si trovò di fronte era l'inadeguata segnalazione dei casi di vaiolo, in quanto molti casi non venivano denunciati alle autorità sanitarie, pertanto fu creata una rete di consulenti che aiutassero i paesi nella creazione di strutture di sorveglianza e di contenimento. Il fatto che gli esseri umani fossero l'unico serbatoio del virus e che non esistessero portatori sani, giocò un ruolo fondamentale nell'eradicazione del vaiolo. All'inizio le dosi di vaccino furono fornite principalmente da Unione Sovietica e Stati Uniti, ma, nel 1973, oltre l'80% della produzione avveniva nei paesi in via di sviluppo.

L'ultimo focolaio importante di vaiolo in Europa avvenne il Jugoslavia nel 1972, a causa di un pellegrino del Kosovo ritornato dal Medio Oriente, dove aveva contratto il virus, e causò l'infezione di 175 persone, delle quali 35 morirono. Le autorità decisero di instaurare la legge marziale, forzando la quarantena, intraprendendo una massiccia campagna di rivaccinazione e richiedendo l'aiuto dell'OMS. In due mesi l'epidemia terminò. Precedentemente a questa ci fu un focolaio a Stoccolma, tra il maggio e il luglio del 1963, causato da un marinaio svedese di ritorno dall'Estremo Oriente. Anche in questo caso l'epidemia fu tenuta sotto controllo da misure di quarantena e vaccinazione della popolazione locale.

Alla fine del 1975 il vaiolo resisteva solo nel Corno d'Africa, in Etiopia e Somalia. Le condizioni erano difficili per via della guerra civile, della carestia, dei profughi e della carenza di strade e altre vie di comunicazione. Un programma di sorveglianza intensiva, di contenimento e di vaccinazione venne avviata in questi paesi nella prima metà del 1977. L'ultimo caso di contagio naturale con il virus, nella variante variola minor, fu diagnosticato in Somalia il 26 ottobre 1977. L'ultimo caso di variola maior contratta naturalmente risale invece all'ottobre del 1975, in una bambina bengalese di due anni.

L'eradicazione mondiale del vaiolo fu certificata da una commissione di eminenti scienziati, dopo intense attività di verifica nei vari paesi, il 9 dicembre 1979 e successivamente approvata con una risoluzione dell'Assemblea mondiale della sanità dell'OMS l'8 maggio 1980. Le prime due frasi della risoluzione riportano:

« Having considered the development and results of the global program on smallpox eradication initiated by WHO in 1958 and intensified since 1967 … Declares solemnly that the world and its peoples have won freedom from smallpox, which was a most devastating disease sweeping in epidemic form through many countries since earliest time, leaving death, blindness and disfigurement in its wake and which only a decade ago was rampant in Africa, Asia and South America. »

« Dopo aver considerato lo sviluppo e i risultati del programma globale di eradicazione del vaiolo avviato dall'OMS nel 1958 e intensificato a partire dal 1967 ... dichiara solennemente che il mondo e i suoi popoli hanno ottenuto la libertà dal vaiolo, una delle malattie più devastanti a manifestarsi con epidemie in molti paesi sin dai tempi più remoti, lasciando morte, cecità e deturpazione nella sua scia e che solo un decennio fa era dilagante in Africa, Asia e Sud America. »
(World Health Organization, Risoluzione WHA 33.3)

Gli ultimi due casi di vaiolo al mondo si sono verificati a Birmingham, nel Regno Unito, nel 1978, quando due dipendenti della Facoltà di Medicina dell'Università di Birmingham contrassero il virus e uno dei due morì, l'11 settembre 1978. Dopo questo fatto Henry Bedson, responsabile scientifico dell'Università per la ricerca contro il vaiolo, si suicidò. Alla luce di questo incidente, tutte le riserve conosciute di vaiolo furono distrutte o trasferite in uno dei due laboratori di riferimento dell'OMS dotati di un livello di sicurezza adeguato: il CDC di Atlanta e il Centro di ricerca statale di virologia e biotecnologia VECTOR di Koltsovo, in Russia.

È del 1986 la prima raccomandazione dell'OMS riguardo alla distruzione del virus, con data fissata il 30 dicembre 1993 e poi posposta al 30 giugno 1999. A causa della resistenza da parte degli Stati Uniti e Russia, nel 2002 l'Assemblea mondiale della sanità dell'OMS ha deciso di consentire il mantenimento temporaneo degli stock di virus a scopo di ricerca. La distruzione delle scorte esistenti potrebbe ridurre il rischio che comporta la ricerca in corso sul vaiolo e le scorte non sono necessarie per rispondere a un'eventuale epidemia di vaiolo, tuttavia alcuni scienziati sostengono che le scorte possano essere utili nello sviluppo di nuovi vaccini, farmaci antivirali e test diagnostici. Una pubblicazione del 2010 di una squadra di esperti di salute pubblica, nominati dall'OMS, ha concluso che non vi sia alcuna essenziale questione di sanità pubblica che giustifichi Stati Uniti e Russia a mantenere riserve di virus e questa opinione è generalmente condivisa dalla comunità scientifica, in particolare tra gli ex responsabili del programma dell'OMS per l'eradicazione del vaiolo.

Gli inglesi considerarono di utilizzare il vaiolo come arma biologica nell'assedio di Fort Pill durante la guerra franco-indiana (1754-1763) contro i francesi e i loro alleati nativi americani, mentre è stato ipotizzato che lo stesso agente patogeno sia stato utilizzato come arma durante la guerra di indipendenza americana (1775-1783).

Durante la seconda guerra mondiale gli scienziati del Regno Unito, degli Stati Uniti e del Giappone sono stati coinvolti nella ricerca per produrre un'arma biologica dal vaiolo. Tuttavia non furono mai attuati piani per una produzione in larga scala, poiché si ritenne che, in presenza di un vaccino efficace, l'arma non avrebbe avuto l'efficacia sperata.

Nel 1947 l'Unione Sovietica costruì una fabbrica per la creazione di armi biologiche basate sul vaiolo nella città di Zagorsk, 75 km a nord di Mosca e si suppone si sia verificata un'epidemia causata da alcuni test negli anni settanta. In seguito a pressioni internazionali, il governo sovietico autorizzò nel 1991 un'ispezione da parte di un team anglo-americano di quattro dei più importanti impianti bellici. Gli ispettori ricevettero risposte evasive e smentite da parte dagli scienziati sovietici e alla fine furono allontanati dalla struttura. Nel 1992, Ken Alibek, un disertore russo, sostenne che il programma sovietico di armi biologiche a Zagorsk abbia prodotto una scorta di venti tonnellate di virus da usare eventualmente come arma e testate refrigerate per il loro trasporto. Nel 1997, il governo russo annunciò che tutti i suoi campioni di vaiolo rimanenti sarebbero stati trasferiti al Centro di ricerca statale di virologia e biotecnologia VECTOR di Koltsovo. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica e la disoccupazione di molti degli scienziati responsabili del programma bellico, i funzionari del governo degli Stati Uniti hanno espresso la preoccupazione di come il vaiolo e la competenza per ottenerne un'arma possa permettere ad altri governi o a gruppi terroristici di utilizzare il virus come mezzo di guerra biologica. Accuse specifiche mosse contro l'Iraq a tale proposito, tuttavia, si sono rivelate false. Alcuni hanno espresso la preoccupazione che la sintesi genetica artificiale possa essere utilizzata per ricreare il virus a partire da genomi già esistenti per utilizzarlo come arma biologica, dal momento che è teoricamente fattibile l'inserimento del DNA del virus del vaiolo all'interno di strutture virali simili, come altri Orthopoxvirus.

Dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001, il governo degli Stati Uniti si allertò contro il rischio di un attacco bioterroristico. Fu prodotto un gran numero di dosi di vaccino per essere in grado di immunizzare la popolazione americana nel caso di una nuova epidemia di vaiolo e, nel dicembre 2002, un programma speciale del governo ha offerto la possibilità, a qualunque cittadino lo desiderasse, di vaccinarsi contro il virus del vaiolo. Tra il dicembre 2002 e il marzo 2003 sono stati vaccinati oltre 25.000 civili e oltre 325.000 militari americani.

L'Italia possiede cinque milioni di dosi di vaccino che, in caso di necessità, possono essere diluite con la possibilità di vaccinare 25 milioni di persone.

Il vaiolo è causato dall'infezione da Variola virus che appartiene al genere Orthopoxvirus della famiglia dei Poxviridae. Il virus è largo, a forma di mattone e misura approssimativamente 302-350 nm per 244-270 nm con un DNA singolo lineare a doppio filamento e un genoma di 186 kbp caratterizzato da un terminatore stem-loop a ciascuna estremità. Esiste in due forme: Variola maior e Variola minor.

I quattro orthopoxvirus che possono causare infezioni negli esseri umani sono, oltre al Variola virus, il Vaccinia virus il virus del vaiolo bovino e quello del vaiolo delle scimmie. Il Variola virus infetta in natura solamente l'uomo, sebbene primati e altri animali siano stati infettati in laboratorio.

La comprensione del ciclo vitale dei poxvirus è complicata dal fatto che esistono numerose forme infettive con diversi meccanismi di accesso alla cellula. Il virus replica nel citoplasma della cellula, a differenza degli altri virus a DNA che normalmente replicano nel nucleo. Esso produce inoltre numerose proteine specifiche, la più importante delle quali è una RNA polimerasi DNA-dipendente. Sono infettivi sia i virioni dotati di envelope, sia quelli privi; questo è sintetizzato a livello dell'apparato di Golgi della cellula e include diversi polipeptidi virali specifici, tra cui un'emoagglutinina. L'infezione con uno dei due Variola virus conferisce un'immunità nei confronti dell'altro.
Il virus si trasmette per via aerea, mediante l'inalazione di goccioline contenti i virioni prodotte dalla mucosa orale, nasale o faringea di un individuo infetto. Si trasmette da una persona all'altra soprattutto per contatto diretto, solitamente entro una distanza pari a due metri, ma anche tramite oggetti contaminati. Raramente si trasmette portato dall'aria all'interno di luoghi chiusi. Il virus può passare attraverso la placenta, ma l'incidenza di vaiolo congenito è relativamente bassa.

Il vaiolo non è particolarmente contagioso durante la fase prodromica e la trasmissione avviene di solito dopo l'inizio delle manifestazioni cutanee, spesso accompagnate da lesioni del cavo orale e della faringe. Il virus può essere trasmesso per tutta la durata della malattia, soprattutto durante la prima settimana di rash, quando la maggior parte delle lesioni cutanee è intatta. La fase infettiva termina 7-10 giorni dopo la formazione delle croste, ma il malato rimane infettivo fintanto che l'ultima crosta non si stacca.

La malattia è estremamente contagiosa, ma generalmente si diffonde più lentamente e meno largamente rispetto ad altre malattie virali, forse perché la trasmissione richiede uno stretto contatto ed è possibile solo dopo l'insorgenza del rash. Il tasso di infezione è inoltre ridotto dalla breve durata dello stadio infettivo. Nelle aree temperate l'infezione si manifesta soprattutto durante l'inverno e la primavera, mentre nelle aree tropicali la differenza stagionale è più sfumata e la malattia è presente per tutto l'anno. La distribuzione per età dipende dallo stato dell'immunità acquisita: l'immunità dovuta alla vaccinazione si è ridotta nel tempo ed è probabilmente scomparsa nella maggior parte della popolazione vaccinata. Non risulta invece che il vaiolo possa essere trasmesso da insetti o altri animali.
Esistono due forme cliniche di vaiolo. La Variola maior è la forma più comune e più grave, caratterizzata da rash esteso e febbre più alta. La Variola minor è meno comune e meno grave, con una mortalità inferiore all'1%. Infezioni asintomatiche sono state osservate, ma sono alquanto rare. Inoltre, una forma denominata variola sine eruptione può essere osservata nelle persone vaccinate; questa forma è caratterizzata da febbre che insorge successivamente al normale periodo di incubazione del virus e può essere confermata solo con la rilevazione di anticorpi diretti contro il virus mediante tecniche sierologiche oppure, raramente, tramite isolamento del virus stesso.

Il periodo di incubazione che intercorre tra l'entrata in contatto con il virus e l'insorgenza delle prime manifestazioni cliniche è di circa 12 giorni. Una volta inalato il virus invade la mucosa dell'orofaringe o dell'apparato respiratorio, migra nei linfonodi loco-regionali e inizia a moltiplicarsi. Nella fase iniziale di crescita il virus sembra muoversi da una cellula all'altra ma, dopo il 12º giorno, inizia la lisi delle cellule infettate e il virus riesce a entrare nel torrente circolatorio, in una fase di viremia, e inizia una nuova moltiplicazione a livello della milza, del midollo osseo e dei linfonodi. I sintomi iniziali sono simili ad altre malattie virali quali l'influenza e il raffreddore: febbre superiore ai 38.5 °C, dolore muscolare, malessere generale, cefalea e decubito prosternato. L'apparato gastrointestinale è spesso coinvolto e comuni sono nausea, vomito e mal di schiena. Lo stadio pre-eruttivo dura normalmente 2-4 giorni, mentre a partire dal 12º-15º giorno compaiono le prime lesioni enantematiche a livello della mucosa di bocca, lingua, palato e faringe e la temperatura corporea si normalizza. Le lesioni vanno incontro a un rapido allargamento e alla rottura, con rilascio di una grande quantità di virioni nella saliva.

Il virus del vaiolo attacca preferenzialmente le cellule della cute, causando le classiche lesioni associate alla malattia. Il rash si sviluppa 24-48 ore dopo la comparsa delle lesioni della mucosa, tipicamente in primo luogo alla fronte, per poi rapidamente localizzarsi a tutto il viso, alle aree prossimali degli arti, al tronco e infine a mani e piedi. L'intero processo dura non più di 24-36 ore, dopodiché nessuna nuova lesione appare. A questo punto la Variola maior può svilupparsi secondo diverse modalità, originando quattro diversi tipi di vaiolo secondo la classificazione di Rao: ordinario, modificato, maligno ed emorragico. Il vaiolo è caratterizzato da una mortalità del 30%, tuttavia le forme maligne ed emorragiche sono normalmente fatali.

Il 90% dei casi di vaiolo nelle persone non vaccinate sono di tipo ordinario. In questo caso a partire dal 2º giorno di rash le lesioni cutanee si sollevano in papule; a partire dal 3º-4º giorno si riempiono di un liquido opalescente trasformandosi in vescicole. Entro 24-48 ore questo fluido diventa opaco e torbido, dando alle lesioni l'aspetto di pustole che, a differenza delle pustole vere e proprie, non contengono pus ma residui tissutali; dopo il 6º-7º giorno tutte le lesioni hanno questo aspetto, raggiungendo la loro massima dimensione in una decina di giorni. Queste pustole sono sollevate, rotonde, tese e dure al tatto. Sono localizzate profondamente nel derma, dando l'impressione come di piccole biglie. Il fluido fuoriesce lentamente dalle lesioni e, dopo due settimane dall'inizio del rash, si sgonfiano e si seccano, formando delle croste. Entro la terza settimana le croste si formano sopra tutte le lesioni, che iniziano a sfaldarsi lasciando cicatrici depigmentate.

La forma ordinaria di vaiolo produce generalmente un rash discreto con pustole non confluenti. Il rash è localizzato soprattutto al volto, è meno denso al tronco rispetto alle estremità e più denso alle parti anatomiche distali rispetto a quelle prossimali. Il palmo delle mani e le piante dei piedi sono coinvolte nella maggior parte dei casi. Talvolta le vescicole diventano confluenti, staccando gli strati esterni della pelle dal tessuto sottostante; in questo caso il tasso di mortalità osservato è stato del 62%.

La forma modificata si manifesta soprattutto negli individui precedentemente vaccinati ed è chiamata così per le caratteristiche dell'eruzione cutanea e la rapidità del suo sviluppo. In questo caso i sintomi prodromici possono presentarsi ma sono generalmente meno gravi rispetto alla forma ordinaria. Non vi è normalmente febbre e le lesioni sono in minor numero e si risolvono rapidamente, sono più superficiali e non uniformi come nella forma ordinaria. Questo tipo di vaiolo è raramente fatale e può essere facilmente confusa con la varicella.

Nella forma maligna, anche chiamata forma piatta, le lesioni sono localizzate a filo con la pelle nello stesso periodo in cui, nella forma ordinaria, si manifestano le vescicole in rilievo. Il motivo per cui certi individui sviluppano questa forma è sconosciuta e rappresenta il 5-10% dei casi di vaiolo, manifestandosi soprattutto nei bambini (72% dei casi). Si suppone che si manifesti in relazione a disordini immunologici dell'individuo di tipo carenziale. È caratterizzata da una sindrome prodromica molto importante della durata di 3-4 giorni, febbre elevata e di lunga durata e sintomi classici della setticemia. Il rash alla lingua e al palato è esteso e le lesioni cutanee maturano lentamente, rimanendo profonde nella cute e rimanendo piatte a partire dal settimo-ottavo giorno. A differenza della forma ordinaria le vescicole contengono poco fluido, sono soffici e vellutate al tatto e possono contenere sangue. Questa forma è quasi sempre fatale.

Il vaiolo emorragico è una forma grave, caratterizzata da estese emorragie della cute, delle mucose, delle membrane e del tratto gastrointestinale. Si sviluppa in circa il 2% dei casi, soprattutto negli adulti. In questa forma non si sviluppano vescicole e la cute rimane liscia; l'emorragia si sviluppa nel derma profondo, facendo apparire la cute nera quasi fosse carbonizzata. Si suppone che la forma sia dovuta a particolari condizioni dell'individuo, quali l'immunodepressione, piuttosto che a un particolare ceppo del virus; i dati relativi sono tuttavia carenti.

All'inizio, durante il 2º-3º giorno, si presenta con emorragia sottocongiuntivale. Il vaiolo emorragico presenta anche eritema, petecchie, emorragia della milza, del rene, del peritoneo, dei muscoli e, più raramente, dell'epicardio, del fegato, dei testicoli, delle ovaie e della colecisti. Nella forma precoce il decesso avviene rapidamente intorno al 5º-7º giorno di malattia, quando solo un minimo numero di lesioni cutanee è presente, mentre la forma tardiva conduce a morte il paziente in 8-10 giorni. Le emorragie si manifestano precocemente e il rash cutaneo rimane piatto, senza raggiungere la fase vescicolare.

I pazienti con la forma precoce mostrano una rapida riduzione dei fattori della coagulazione, delle piastrine, delle globuline e della protrombina e un innalzamento dell'antitrombina circolante. La forma tardiva mostra una minor carenza dei fattori della coagulazione, una piastrinopenia marcata e un innalzamento dell'antitrombina. Questa forma, normalmente mortale, rappresenta dal 3 al 25% dei casi fatali di vaiolo in relazione alla virulenza del ceppo virale.

Nella sua definizione clinica il vaiolo è considerato una malattia caratterizzata da esordio acuto di febbre superiore ai 38.3 °C, seguito da un rash con vescicole o pustole profonde e solide allo stesso stadio di sviluppo, in assenza di altre cause apparenti. La conferma è data dalla diagnosi di laboratorio.

Al microscopio si possono osservare le classiche inclusioni citoplasmatiche dei poxvirus, le più importanti delle quali sono denominate corpi di Guarnieri, che rappresentano dei siti di replicazione virale. Queste inclusioni possono essere facilmente identificate in biopsie cutanee colorate con ematossilina eosina come bolle rosa e sono presenti in tutte le infezioni da poxvirus; tuttavia, la loro assenza non può escludere la diagnosi di malattia. La diagnosi infezione da orthopoxvirus può essere anche ottenuta rapidamente tramite microscopia elettronica del fluido contenuto nelle pustole o delle croste, ma i virioni sono identici tra tutti gli orthopoxvirus.

La diagnosi definitiva avviene sottoponendo il virus a crescita nella membrana corio-allantoidea, una parte dell'embrione di pulcino ed esaminando le lesioni a definite condizioni di temperatura. I ceppi batterici possono essere distinti mediante la reazione a catena della polimerasi (PCR) e l'analisi del polimorfismo da lunghezza dei frammenti di restrizione (RFLP). I test sierologici e il test ELISA, che misurano le immunoglobuline specifiche dirette verso antigeni del Variola virus, possono risultare utili nella diagnosi.

La varicella era facilmente confondibile con il vaiolo prima della sua eradicazione ed entrava quindi in diagnosi differenziale. Le due malattie possono essere distinte con vari metodi. A differenza del vaiolo, la varicella normalmente non si localizza al palmo delle mani e alla pianta dei piedi; inoltre, la pustole varicellose hanno una dimensione variabile a seconda del momento in cui vengono a crearsi, mentre le pustole vaiolose sono tutte all'incirca della stessa dimensione. Oltre alla clinica sono disponibili numerosi esami di laboratorio per determinare se si tratta di varicella nella valutazione di casi sospetti di vaiolo.

La prima procedura utilizzata nella prevenzione del vaiolo è stata la variolizzazione. Praticata in India nel I millennio a.C., questa consisteva nell'inoculazione, tramite insufflazione nasale, di croste vaiolose polverizzate o di materiale ottenuto dal grattamento delle lesioni cutanee di malati lievi.

Tuttavia, il fatto che la variolizzazione sia nata in India è stato messo in discussione dal fatto che solo alcuni degli antichi testi di medicina scritti in sanscrito descrivono il processo. Questa tecnica di prevenzione era utilizzata in Cina già negli ultimi anni del X secolo ed era ampiamente diffusa e praticata nel XVI secolo, durante la dinastia Ming. Se ha successo, la variolizzazione genera un'immunità al vaiolo, tuttavia, dal momento che la persona viene infettata con il virus, questo può andare incontro a una grave infezione e può trasmettere la malattia ad altri. La variolizzazione ha un tasso di mortalità dello 0,5-2%, sensibilmente inferiore al 20-30% della malattia stessa.

Durante il suo soggiorno nell'Impero ottomano, Lady Mary Wortley Montagu osservò il processo di variolizzazione, descrivendone in modo particolareggiato la tecnica e promuovendone entusiasticamente l'introduzione nel Regno Unito al suo ritorno nel 1718. Nel 1721 Cotton Mather e i suoi colleghi provocarono aspre polemiche inoculando centinaia di persone a Boston. Nel 1796, Edward Jenner scoprì che l'immunità al vaiolo poteva essere ottenuta anche inoculando al paziente materiale ricavato da lesioni di vaiolo bovino, malattia animale causata da un virus della stessa famiglia di quello del vaiolo. Jenner chiamò il materiale utilizzato "vaccino", da vacca, termine in lingua latina per mucca. La procedura era di gran lunga più sicura della variolizzazione e non comportava il rischio di trasmissione della malattia, pertanto si diffuse rapidamente in tutto il mondo. Durante il XIX secolo il virus del vaiolo bovino venne sostituito con il Vaccinia virus, sempre della stessa famiglia del Variola virus ma geneticamente diverso. La sua origine e il motivo per cui iniziò a essere utilizzato nella vaccinazione sono sconosciuti.

L'attuale formulazione del vaccino antivaioloso è data da un preparato di Vaccinia virus vivo e infettivo. Viene somministrato con un ago biforcato, che viene prima immerso nella soluzione vaccina e poi utilizzato per pungere la cute, solitamente del braccio, un diverso numero di volte in pochi secondi. Qualora la vaccinazione sia efficace, si sviluppa nel sito di iniezione un rigonfiamento rosso e pruriginoso nel giro di 3-4 giorni. Nella prima settimana questo diventa un'ampia vescica che si riempie di pus e comincia a essiccarsi. La seconda settimana si inizia a formare una crosta, che cade durante la terza, lasciando una piccola cicatrice.

Gli anticorpi prodotti in seguito alla vaccinazione sono protettivi nei confronti di tutti gli orthopoxvirus e sono ancora rilevabili dieci anni dopo la prima vaccinazione e sette giorni dopo la rivaccinazione. Secondo i dati statistici conferiscono una protezione efficace nel 95% dei soggetti vaccinati. La copertura è elevata nei primi 3-5 anni e decresce in quelli successivi, mentre nel caso di rivaccinazione la copertura è ancora più duratura. In Europa, durante gli anni cinquanta e sessanta, la mortalità nei soggetti vaccinati da meno di dieci anni al momento dell'esposizione al virus era dell'1,3%, mentre era del 7% nei soggetti vaccinati da oltre 10 anni e dell'11% in quelli vaccinati da oltre vent'anni. Di contrasto la mortalità nei non vaccinati era del 52%. La vaccinazione entro i primi tre giorni dall'esposizione al virus previene o diminuisce sensibilmente la gravità della malattia nella grande maggioranza della popolazione; la vaccinazione eseguita tra il 4º e il 7º giorno dall'esposizione può garantire una protezione parziale e può modificare la gravità della malattia.

Ci sono effetti collaterali e rischi associati alla vaccinazione antivaiolosa. Nel passato circa lo 0,1% dei vaccinati per la prima volta mostrava effetti seri ma non pericolosi per la vita, tra cui reazioni allergiche nel sito di iniezione con eritema multiforme e dispersione del Vaccinia virus nella altre parti del corpo. Effetti potenzialmente letali si manifestavano in 14-500 persone ogni milione di vaccinati e si stima che 1-2 persone ogni milione siano morte, in conseguenza soprattutto di encefalite post-vaccinica o necrosi progressiva del sito di vaccinazione.

Una volta eradicato il vaiolo, i casi di malattia secondaria a vaccinazione superarono quelli di contagio naturale e la vaccinazione dei bambini venne interrotta nel 1972 negli Stati Uniti e nei primi anni settanta nella maggior parte dei paesi europei. A partire dal 1986 la vaccinazione antivaiolosa è cessata in tutti i paesi ed è raccomandata solo per chi, lavorando in laboratori biologici, è a rischio di esposizione professionale.

All'infuori della vaccinazione, il trattamento del vaiolo è solamente di supporto e si basa sull'idratazione, il monitoraggio dell'infezione ed eventualmente sulla ventilazione artificiale. Le forme emorragiche e maligne sono trattate con le terapie per lo shock settico e, in caso di pustole confluenti, il trattamento è simile a quello instaurato per pazienti con ustioni estese.

Nessun farmaco è approvato per il trattamento del vaiolo, soprattutto dal momento che i farmaci antivirali sono stati sviluppati solo successivamente all'eradicazione della malattia. Gli studi suggeriscono che il cidofovir somministrato per via endovenosa possa essere efficace nella terapia, sebbene sia caratterizzato da un'importante tossicità renale.

La mortalità per la forma ordinaria di vaiolo è circa del 30%, ma varia a seconda delle lesioni cutanee: se confluenti la mortalità è del 50-75%, mentre se sono semi-confluenti scende al 25-50%, per passare a meno del 10% nel caso di un rash discreto. La mortalità nei bambini di età inferiore a un anno è invece del 40%–50%. Le forme maligne ed emorragiche hanno il tasso di mortalità più alto, rispettivamente del 90% e del 100%. La Variola minor è invece caratterizzata da una mortalità inferiore all'1%. Non ci sono prove che la malattia possa cronicizzare o recidivare.

Nei casi mortali di vaiolo, il decesso avviene generalmente tra il 10º e il 16º giorno di malattia. La causa della morte da vaiolo non è nota, ma è risaputo che la malattia coinvolge numerosi organi; la formazione di immunocomplessi circolanti, la massiccia viremia e la risposta immune incontrollata vi possono contribuire. Nella forma emorragica precoce la morte sopraggiunge circa sei giorni dopo l'inizio della febbre, generalmente per scompenso cardiaco associato a edema polmonare, mentre nella forma emorragica tardiva la causa è da attribuire alla grave piastrinopenia, all'importante viremia e alla scarsa risposta immunitaria. Nella forma maligna la morte è da imputarsi alla disidratazione, con perdita di proteine ed elettroliti, e alla sepsi, come avviene generalmente nelle ustioni gravi.

Il vaiolo può complicarsi a livello del sistema respiratorio, con manifestazioni che vanno dalla bronchite semplice alla polmonite fatale. Le complicanze respiratorie si manifestano di solito intorno all'8º giorno di malattia e possono derivare anche da infezioni opportunistiche virali o batteriche. Le infezioni batteriche secondarie della cute sono relativamente rare, ma quando si presentano la febbre tende a rimanere elevata per tutta la durata della malattia.

Altre complicanze includono l'encefalite, che si manifesta in un paziente ogni 500 ed è più comune negli adulti, malattie oculari, nel 2% dei casi, e cicatrici permanenti, localizzate soprattutto al volto. Le pustole si possono formare sulla palpebra, sulla congiuntiva e sulla cornea, complicandosi con congiuntivite, cheratite, ulcera corneale, irite, iridociclite e atrofia ottica. La cecità sopraggiunge in circa il 35-40% dei pazienti con cheratite e ulcera corneale. Il vaiolo emorragico può provocare anche emorragia della congiuntiva e della retina. Nel 2-5% dei bambini malati, il virus può raggiungere le articolazioni e le ossa, causando una osteomielite. Le lesioni ossee sono simmetriche e coinvolgono soprattutto gomito, tibia e perone, causando una separazione dell'epifisi e una importante reazione periostale. Le lesioni articolari limitano i movimenti e l'artrite può portare a deformità degli arti, anchilosi e dita tozze.



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