martedì 7 aprile 2015

LA PESTE

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La peste è una malattia infettiva di origine batterica tuttora diffusa in molte parti del mondo, anche in alcune regioni dei paesi industrializzati. E’ causata dal batterio Yersinia pestis, che normalmente ha come ospite le pulci parassite dei roditori, ratti, alcune specie di scoiattoli, cani della prateria. In qualche caso le pulci possono infettare anche gli animali domestici come i gatti. Normalmente, Yersinia circola tra queste specie senza causare alti tassi di mortalità, e quindi questi animali sono sostanzialmente delle riserve infettive di lungo termine. Occasionalmente, un’epidemia può uccidere anche grandi quantità di roditori e le pulci, in cerca di nuovi ospiti, si trasmettono anche agli esseri umani, diffondendo la malattia.
L’origine della peste è molto antica, e per la sua forza distruttrice, è diventata nell’immaginario collettivo la ‘morte nera’, la malattia che ha accompagnato l’umanità nei secoli e che per questo è spesso presente nelle grandi opere letterarie e artistiche. La storia della grande peste nell’Europa del 1350, che ha causato la morte di quasi un terzo della popolazione europea e ha letteralmente contagiato tutti i paesi dal Mediterraneo alla Scandinavia e la Russia nel giro di cinque anni, è particolarmente sinistra perché è stata la conseguenza di un atto deliberato di bioterrorismo. Nel 1347, infatti, l’esercito dei tartari stava assediando Caffa, scalo commerciale della città di Genova in Crimea. Le fila dell’esercito orientale erano sconvolte da un’epidemia di peste, diffusa da qualche anno in Asia e così il khan Ganibek decise di utilizzare i corpi dei soldati morti per espugnare la città, catapultandoli oltre le mura. I marinai genovesi scappando da Caffa portarono la peste nei porti del Mediterraneo e da lì la malattia si diffuse in tutta Europa. E in Europa rimase come endemica, tornando a cicli di 10-12 anni, per i successivi tre secoli almeno. Anche oggi, nonostante sia ormai una malattia dalla diffusione molto limitata, la peste ha un potere evocativo notevole e riporta immediatamente a immagini di orrore e di devastazione.
La peste si manifesta principalmente sotto tre forme diverse, che a volte possono anche essere compresenti:
Peste polmonare: il batterio infetta i polmoni. Questa forma della malattia può trasmettersi da persona a persona attraverso l’aria o gli aerosol di persone infette e quindi costituisce una delle forme più pericolose per il potenziale epidemico che la caratterizza. La forma polmonare può derivare anche dalla degenerazione delle altre forme se non sono curate prontamente.
Peste bubbonica: è la forma di peste più comune e si manifesta in seguito alla puntura di pulci infette o per contatto diretto tra materiale infetto e lesioni della pelle di una persona. Manifestazione tipica di questa forma è lo sviluppo di bubboni, ingrossamenti infiammati delle ghiandole linfatiche, seguiti da febbre, mal di testa, brividi e debolezza. In questa forma la peste non si trasmette da persona a persona.
Peste setticemica: deriva dalla moltiplicazione della Y. Pestis nel sangue, e può essere una conseguenza di complicazioni delle due forme precedenti. Viene contratta per le stesse cause di quella bubbonica, e non si trasmette da persona a persona. Causa febbre, brividi, dolori addominali, shock e prostrazione, sanguinamenti della pelle e di altri organi, ma non si manifesta con bubboni.
Il sospetto di peste si dovrebbe avere in seguito alla manifestazione dei primi sintomi, soprattutto in presenza di un bubbone, e di una possibile storia di esposizione a roditori o pulci. I bubboni solitamente si manifestano dopo 2-6 giorni dall’esposizione, e la malattia procede in modo rapido, eventualmente degenerando nelle forme polmonare e setticemica se non è trattata prontamente. L’incubazione della forma polmonare primaria invece dura da uno a tre giorni ed è caratterizzata da una polmonite acuta con tosse e sputo di sangue. Il tasso di morte nei pazienti con peste polmonare è del 50 per cento.
Azioni preventive per ridurre l’incidenza della peste si possono orientare soprattutto al trattamento igienico degli ambienti, con disinfestazione dei ratti e di altri roditori e delle pulci che li accompagnano, e all’educazione sanitaria pubblica. Campagne per la disinfezione anche delle aree rurali, così come già applicato nella maggior parte delle aree urbane, per l’eliminazione di rifiuti e di materiali che possono fungere da attrazione per i roditori e per il controllo costante dello stato di salute dei propri animali domestici, che andrebbero tenuti puliti da pulci e altri parassiti, ha contribuito in molte zone e può contribuire alla riduzione della presenza della peste.
L’ultima grande pandemia di peste iniziò in Cina a fine ‘800 e da lì si diffuse al resto dei continenti, contagiando oltre 30 milioni di persone e uccidendone 12 milioni. Questa nuova diffusione della malattia fu affrontata con uno sforzo multinazionale di ricerca che portò all’identificazione dell’agente della malattia. Nel 1894, Yersin e Kitasato, lavorando separatamente, descrissero un batterio gram negativo, isolato a Hong Kong dai bubboni di persone morte di peste. In seguito alla coerenza e ai risultati raggiunti dal primo dei due ricercatori, il batterio prese il suo nome, Yersinia pestis. Fu chiaro da subito che i portatori della malattia erano i ratti, visto che l’epidemia umana solitamente scoppiava in seguito a una grande moria di roditori. L’osservazione che non fosse necessario il contatto umano per diffondere la malattia, portò alla comprensione del ruolo delle pulci nella sua trasmissione.
Oggi, esistono numerosi studi sulla trasmissione, l’epidemiologia e la patogenesi della peste di cui uno di Gage, apparso su Bacteriological review nel 1998, che analizza il percorso scientifico che ha portato alla diagnosi della malattia da parte dei due ricercatori.
La peste polmonare si manifesta con febbri, mal di testa, debolezza, e un rapido sviluppo di polmonite, con i suoi segnali caratteristici: respiro corto, dolori toracici, tosse. Se il trattamento non è rapido, il paziente può morire nel giro di pochi giorni. Per ridurre le probabilità di morte è essenziale trattare con antibiotici entro le prime 24 ore dalla comparsa dei sintomi, con streptomicina, gentamicina, tetracicline o cloramfenicolo. Il trattamento con antibiotici è raccomandato, secondo i CDC americani, per sette giorni anche nelle persone che entrano potenzialmente a contatto con il malato, per prevenire l’insorgenza della malattia.
I CDC americani hanno pubblicato, nel 1996, una serie di Raccomandazioni sulla prevenzione della peste, sul bollettino settimanale Morbidity and Mortality Weekly Report, con indicazioni messe a punto dal Comitato per le pratiche immunitarie.

La Yersinia pestis (della famiglia delle Enterobacteriaceae) è l'agente eziologico della peste. Il batterio infetta i tessuti linfoidi dell'uomo, facendo in modo di annullare la capacità di difesa dei linfociti. Ma per far questo, il batterio deve evitare di essere ingerito dai macrofagi, le cellule del sistema immunitario che distruggono gli agenti esterni: Y. pestis risolve questo problema producendo delle proteine che penetrano nei macrofagi e li disattivano. Alcune di queste proteine provocano danni diretti alla cellula, altre invece (come YopH) fanno in modo di annullare la rete di comunicazioni interne dei macrofagi.

Jack E. Dixon, in uno studio portato avanti alla Università Purdue, ha scoperto che YopH fa parte di una classe di enzimi, le tirosin fosfatasi, che rimuovono i gruppi fosfato aggiunti dai macrofagi ad alcune proteine bersaglio intracellulari, facendo sì che questi ultimi perdano la loro efficienza e che Y. pestis possa prosperare. Alcune specie di Yersinia, inoltre, usano i sistemi di comunicazione dei macrofagi per scopi propri: per esempio si fanno inglobare dai macrofagi per essere trasportate attraverso l'organismo.

Nel 1894 il medico svizzero Alexandre John-Émile Yersin, durante l'epidemia di Hong Kong, isolò il bacillo che da millenni aveva seminato la morte nel mondo. Lo nominò Pasteurella pestis, in onore di Louis Pasteur, l'uomo che con le sue teorie dei microrganismi aveva dato inizio alla medicina infettiva in senso moderno.

Lo stesso anno anche il medico giapponese Shibasaburō Kitasato, che già nel 1889 aveva isolato il bacillo del tetano, ottenne indipendentemente gli stessi risultati del collega svizzero. Ma la Storia ricorda solo Yersin, anche perché in suo onore il bacillo della peste verrà chiamato anziché Pasteurella, Yersinia pestis.

La Yersinia pseudotuberculosis si manifesta con sintomi simili alla tubercolosi.

La Yersinia enterocolitica colpisce principalmente il basso tratto digerente.

Per combattere la peste sono necessari degli antibiotici, di scelta streptomicina o gentamicina. Possono essere usati anche doxiciclina oppure il cloramfenicolo. Importante è l'isolamento dei malati per evitare ulteriori contagi.

Esistono dei vaccini antipestosi, ma a causa della brevità del loro effetto sono somministrati solo in casi di rischio evidente e programmabile di contagio (per esempio per le figure professionali di biologi, ricercatori, ecc.)

La peste è una malattia quarantenaria e per il Regolamento Sanitario Internazionale è assoggettata a denuncia internazionale all'OMS, sia per i casi accertati che per quelli sospetti.

In generale, va rilevato che solo nel XIX secolo si è arrivati a significative scoperte in campo medico e scientifico che hanno permesso di comprendere l'origine e le modalità di diffusione del morbo. Fino ad allora si era quasi sempre perpetuato ovunque l'equivoco di considerare l'aria come l'elemento di principale diffusione della peste. Pertanto tutte le misure di profilassi e di difesa dalla malattia si concentravano su tale elemento, trascurando invece altri fattori decisivi, come l'igiene nelle case e nelle strade e la qualità dell'acqua. Specie nelle città la scarsa attenzione alla pulizia dell'acqua e all'igiene personale, la circolazione spesso a cielo aperto degli scarichi, che andavano a confondersi con acque utilizzate per gli usi domestici, era un pericoloso e rapido canale di diffusione della malattia.

Alcuni testi egizi del secondo millennio a.C. descrivono alcune gravi epidemie di quella che convenzionalmente viene chiamata peste, così come ne parlano gli Ittiti, della Mesopotamia (l'attuale Iraq). Anche nella Bibbia si parla di pestilenze ed epidemie, a testimonianza della frequenza di questi eventi.

Nel Primo libro di Samuele si racconta di come Dio abbia inviato una pestilenza ai Filistei, colpevoli di aver rubato l'Arca dell'Alleanza ebraica. Alcuni studiosi dicono si tratti di peste bubbonica e datano l'evento al 1030 a.C. o, secondo altre fonti, al 1076 a.C. Il pittore Nicolas Poussin immortala questo passo biblico nel suo dipinto La peste di Ashdod o, secondo altre fonti, Peste di Azoth (1630 circa), conservato al Museo del Louvre a Parigi.

In realtà, come tutte le pestilenze storiche prima del XIX secolo è stata messa in dubbio la coincidenza tra queste pestilenze e la peste "Yersinia pestis": potrebbe in effetti trattarsi di qualsiasi epidemia estremamente contagiosa e con tassi di mortalità elevate, come tifo o febbri emorragiche.

Plutarco racconta che ai tempi di Romolo, il primo re di Roma, vi fu una grave pestilenza che si abbatté sulla città. Questa malattia causava agli uomini una morte repentina, senza che si ammalassero, provocava scarsità di frutti e sterilità negli animali. La stessa cosa accadde a Laurento, e gli abitanti di queste due città credettero che fosse dovuta ad una vendetta divina, in seguito alla morte di Tito Tazio. Sulla base del racconto di Plutarco la pestilenza non era ancora cessata una decina di anni più tardi, come risulta dalla guerra scatenata contro Cameria, sedici anni dopo la fondazione di Roma.

La storia dell'antichità riporta numerose descrizioni di epidemie di peste; tuttavia, dato che il termine veniva usato generalmente per indicare pandemie a letalità elevata non si può parlare con certezza di pandemie pestose prima di quella cosiddetta di Giustiniano (VI secolo d.C.), che devastò il bacino del Mediterraneo. Da alcune descrizioni pare che alcuni focolai fossero già presenti nel Nord Africa intorno al III Secolo dell'era cristiana. Il greco Tucidide è il primo storico a descrivere accuratamente un'epidemia che si suppone di peste anche se alcuni moderni epidemiologi ritengono dalla descrizione che possa essersi trattato anche di vaiolo; Tucidide narra gli eventi di Atene durante la guerra del Peloponneso (431-430 a.C.).

L'epidemia si dice sia arrivata dall'Etiopia, e che abbia imperversato in Persia ed in Egitto prima di raggiungere la Grecia. Arriva in un momento critico per la Grecia, in quanto imperversa la guerra del Peloponneso ed Atene è presa d'assedio, tanto che le proprie condizioni igienico-sanitarie sono molto scarse. Migliaia sono i morti, malgrado l'opera di medici e sacerdoti. Fra le prime vittime vi fu lo stesso Pericle, la cui morte avvenuta nel 429 a.C. privò Atene di una forte guida.

Comunque gli storici moderni, analizzando la descrizione di Tucidide e dopo attenti studi di paleopatologia, sono giunti alla conclusione che l'epidemia descritta non fosse altro che una forma di virus influenzale dall'elevata mortalità per la sovrainfezione polmonare da uno Staphylococcus aureus particolarmente aggressivo.

Nella descrizione della peste di Atene, che colpì gravemente la città nel 430-429 a.C., Tucidide (circa 460 a.C. – dopo il 397 a.C.) mostrò tutta la sua bravura nell'osservazione acuta e nell'attenta analisi degli eventi. Difatti egli enumerò i sintomi e gli effetti sul corpo con grande precisione e scrupolosità, per poi allargarsi alle ripercussioni sull'anima. La solitudine, lo scoraggiamento, la minaccia alle norme della convivenza umana, la sfrenatezza dei costumi, così come le descrisse Tucidide, verranno prese ad esempio da vari altri scrittori di epoche successive. Tucidide non ebbe l'intento di darci quadri generici, ma mirò a presentarci un fenomeno storico in tutta la sua tragica espressione. Descrisse le manifestazioni del male e la penetrazione nella folla ammassata, analizzò i segni clinici sui colpiti e colse gli effetti fisici, le conseguenze morali, lo scardinamento della società e delle tradizioni. Creò un quadro prettamente storico in tutte le sue manifestazioni. Egli riteneva infatti che compito dello storico fosse fornire, a chi partecipa e guida la vita politica della comunità, gli strumenti per interpretare il presente e prevedere gli sviluppi futuri.

Infatti l'epidemia, che si dice sia arrivata dall'Etiopia, e che abbia imperversato in Persia ed in Egitto prima di raggiungere la Grecia (colpendo Lemno alcuni anni prima), arrivò in un momento critico per il Peloponneso, in quanto imperversava la guerra ed Atene fu presa d'assedio, tanto che le proprie condizioni igienico-sanitarie si rivelarono molto scarse. Migliaia furono quindi i morti, malgrado l'opera di medici e sacerdoti.

Per quanto riguarda la veridicità dell'opera di Tucidide si sa che la storia dell'antichità riporta varie descrizioni di epidemie di peste; tuttavia esse non possono sempre essere collegate alle pandemie pestose come ce le immagineremmo noi, poiché questo termine veniva generalmente utilizzato per indicare numerose epidemie contagiose che rivelavano avere un grande tasso di mortalità ed un'elevata diffusione. Così, grazie alla descrizione più che accurata dello storico greco, alcuni studiosi moderni hanno supposto che si potesse trattare anche di vaiolo.

D'altro canto si sa che, qualunque sia stato il genere di morbo di cui si parla nell'opera, grazie a Tucidide esso entrò come Topos nella letteratura latina, nonché in quella delle epoche successive come già illustrato negli evidenti riferimenti, inteso spesso come punizione divina, anche se lo storico greco si attenne strettamente all'ambito storico senza sfiorare quello teologico come invece avvenne in seguito.

La descrizione della malattia in Tucidide è contemporaneamente precisa e vaga, precisa perché elenca la sintomatologia in maniera dettagliata, vaga perché la terminologia che utilizza è molto differente da quella medica, sia dell'epoca che odierna, creando anche problemi alle traduzioni e utilizzando lemmi greci di difficile interpretazione filologica o tali da generare confusione tra diverse parti anatomiche del corpo (per esempio kardia in Tucidide può indicare il cuore, il petto, la bocca dello stomaco, il ventre, o tutto il corpo sotto il cuore). La malattia era annunciata da un fortissimo colpo di calore alla testa, seguita da un bruciore agli occhi (che si arrossavano), sovente si diventava fotobici e/o si avevano forti problemi di vista, quindi la gola e la lingua iniziavano a subire piccole perdite di sangue (talvolta anche coprendosi con pustole) e ad emettere cattivo odore. Subito dopo cominciavano starnuti e tosse irrefrenabile, associata a sintomi simili a quelli della bronco-polmonite e a dolori al petto, non tutti gli ammalati erano colpiti anche allo stomaco, o se lo erano avveniva solo dopo diversi giorni di malattia. In tal caso (più grave e con speranze di sopravvivenza realmente ridotte) si veniva colpiti da vomito, spasmi e in alcuni casi dal vomito di bile. Dopo un paio di giorni dal manifestarsi della malattia l'ammalato non sembrava né pallido né febbricitante (anche se aveva la febbre), il corpo era invece arrossato e livido, spesso coperto da vesciche e piccole ulcerazioni, differenti però da quelle del vaiolo (che era ben conosciuto dalla medicina di allora, e diffuso, come testimoniano alcuni busti di ritratti di ateniesi illustri di quella generazione e delle precedenti). Contemporaneamente si veniva sopraffatti da un senso di calore mai provato prima, accompagnato da una forte sete: le persone trovavano insopportabili i vestiti, anche di lino, e volevano gettarsi in acqua fredda. Dopo sette-nove giorni di malattia, in cui era difficilissimo dormire, sopraggiungeva il delirio, l'aprirsi di ulcere cutanee, un forte dolore al petto ed ai polmoni, e una fortissima diarrea che accelerava ulteriormente la disidratazione. Entro dieci giorni moltissimi ammalati morivano, i sopravvissuti sovente avevano delle deformità permanenti ai piedi, alle gambe e ai genitali, che iniziavano a gonfiarsi visibilmente a partire dall'ottavo-nono giorno di malattia, alcuni dei sopravvissuti rimanevano storpi o handicappati mentalmente e fisicamente.

Questa malattia è stata collegata, in sede storiografica e medica, con numerose patologie differenti, oltre alla peste polmonare (che però ha una sintomatologia molto differente) anche a tifo, febbre tifoidea, febbre gialla, morbillo, influenza, varicella, scarlattina, febbri emorragiche (tra cui ebola), leptospirosi, idrofobia, tularemia, antrace, ergotismo, o a varianti asintomatiche di queste malattie.

Per Atene questa pestilenza fu, più di ogni altra causa, portatrice di sconfitta nella lunghissima (ed appena cominciata) guerra del Peloponneso. Malgrado la città fosse più ricca e meglio organizzata della sua rivale Sparta e dei suoi alleati, malgrado godesse di una quasi incontrastata talassocrazia, rafforzata dall'alleanza con Corcira (Corfù, all'epoca terza potenza navale dell' Ellade, dopo Atene e Corinto), malgrado le lunghe mura di Pericle rendessero obsolete le tattiche spartane, non si riprese mai completamente dalle perdite subite, che la resero anche culturalmente più debole, spazzando via la classe politica pre-bellica e facendo aumentare il peso sia dei demagoghi democratici, sia dei circoli (ed eterie) aristocratici filo-oligarchici e reazionari. Inoltre la città, che fu, per decenni, in preda a vari movimenti religiosi, dovette cambiare le leggi sulla cittadinanza per rimpinguare la propria popolazione.

La peste aveva ucciso ad Atene circa 4.400 opliti di prima linea su 13.000, cui vanno aggiunti i 1.050 periti contemporaneamente a Potidea (sia di peste, sia nel breve assedio della città, 1050 su un contingente di 4.000). Erano poi morti circa 4.000/5.000 opliti della riserva (forte fino all'anno prima di 16.000 uomini circa), e forse un migliaio dei superstiti di prima linea dovette essere spostato alla riserva per i danni riportati dalla malattia. Dei 1000 cavalieri regolari circa 300 furono colpiti a morte. Circa 6.000-7.000 rematori su 20.000 perirono, perdite simili si verificarono anche tra i marinai, costringendo a terra 30-35 triremi e riducendo gli equipaggi di altre unità. Da questi dati militari si può arguire che la popolazione dell'Attica perse almeno circa 60.000 persone su quasi 300.000 abitanti (altre stime riguardano 20.000-30.000 maschi adulti, 40.000-50.000 donne, bambini e schiavi), forse molti di più, considerando che vecchi e bambini morirono in proporzione maggiore a quella dei ricchi aristocratici (e relativamente giovani) cavalieri (30%), anche se potrebbero esservi stati picchi di mortalità maggiori tra i maschi adulti impegnati nel faticoso servizio militare in tempo di guerra.

Al termine delle campagne militari orientali contro i Parti (nel 166), le armate romane vincitrici portarono nei territori dell'Impero romano un'epidemia di peste che decimò la popolazione di quel tempo. Si stima che almeno un quarto o un terzo della popolazione cadde vittima di quella tremenda pestilenza. Lo stesso imperatore Marco Aurelio potrebbe essere morto di questa malattia nel 180, quattordici anni dopo l'inizio della diffusione del morbo. Anche l'appartenenza di questa "peste" alla "peste" modernamente intesa ("Yersinia pestis") è stata messa in dubbio (si trattava probabilmente di vaiolo), comunque epidemie ricorrenti di questa malattia imperversarono in Europa tra il 166 e il 543 (peste di Giustiniano), causando diffusa insicurezza, declino demografico, regressione dell'urbanizzazione, soprattutto sommate ad altri elementi concomitanti (economici, politici, militari, socio-culturali, ecc.) che contribuirono a facilitare la caduta dell'Impero Romano d'Occidente. Alcune di queste pestilenze colpirono, secondo i contemporanei, con maggior virulenza fasce specifiche della popolazione (donne, uomini, bambini, poveri, ricchi, cittadini, contadini ecc.).

Si racconta che una nuova forma di peste scoppiò durante il regno di Treboniano Gallo (attorno al 251/253):
« Poiché Treboniano Gallo amministrava malamente il potere, gli Sciti cominciarono ad invadere le province vicine, ed avanzavano saccheggiando anche i territori bagnati dal mare, e così nessuna provincia dei Romani fu risparmiata dalle loro devastazioni. Furono prese tutte le città prive di fortificazioni e la maggior parte di quelle fornite di mura. E non meno della guerra scoppiò ovunque anche un'epidemia di peste, nei villaggi e nelle città, eliminando i barbari superstiti e procurando così tante morti come mai prima d'ora era accaduto. »
Una nuova pestilenza è inoltre da attribuirsi al 260, quando colpì inizialmente le armate romane orientali di Valeriano e dopo la sconfitta di Edessa (260) si propagò fino a Roma ed all'Acaia due anni più tardi, tanto che in un solo giorno morivano anche 5.000 persone per la malattia.
Infine, nel 270, l'Imperatore romano Claudio II era stato costretto ad intervenire con grande prontezza, affidando il comando balcanico ad Aureliano, mentre egli stesso si dirigeva a Sirmio, suo quartier generale, da dove poteva meglio controllare ed operare contro i barbari. Poco dopo tuttavia morì, in seguito ad una nuova epidemia di peste scoppiata tra le file del suo esercito (agosto).
L'epidemia arriva in Europa dall'Est, attraverso le rotte commerciali, nascendo probabilmente nel Deserto del Gobi negli anni venti del XIV secolo, colpendo gravemente la Cina, infuriando nelle pianure del Volga e del Don. Nel 1338 le comunità nestoriane di Ysykköl vengono decimate dal morbo. Nel 1347, durante l'assedio di Caffa (l'odierna Feodosia), importante colonia e scalo commerciale genovese in Crimea, il khan tartaro Ganī Bek, come ha scritto Michel Balard, fa lanciare dei cadaveri infetti all'interno delle mura cittadine, come antesignano della guerra batteriologica. Le galere genovesi trasportano così la peste prima a Pera, nel porto di Costantinopoli, poi a Messina. Genova rifiuta di accogliere le proprie navi infette, così che queste devono ripiegare sul porto di Marsiglia, ma ormai il contagio è sparso per tutti i porti del Mar Mediterraneo.

Le cause della tremenda diffusione della peste in Europa vanno però anche ricercate in una serie di avvenimenti precedenti il 1347. L'Europa del XIII secolo era stata caratterizzata da un notevole incremento demografico. Ma una mutazione climatica nel XIV secolo comportò un abbassamento della temperatura sia in occidente sia in oriente (questo periodo viene chiamato la "piccola era glaciale"). Conseguenze di ciò furono l'abbandono della coltivazione di cereali in Islanda e della coltivazione dell'uva in Inghilterra e, più in generale, una diminuzione della produzione agricola in tutta Europa. Ci furono numerose carestie e la malnutrizione comportò un indebolimento delle persone, motivo per cui, anche a causa delle scarse condizioni igieniche, si verificò la diffusione di malattie come la peste.

Nel 1348 la mortalità fu altissima: dato che in Europa la peste non compariva dal VII secolo, epoca in cui terminò la cosiddetta "peste di Giustiniano" descritta da Procopio di Cesarea e iniziata nel 542-543, non esisteva più una "memoria immunitaria" per questa malattia e quindi la forma più frequente di manifestazione fu quella polmonare, a contagio inter-umano (cioè non mediata dalla pulce), e con una mortalità prossima al 100%. In un secondo tempo e specialmente nelle epidemie degli anni seguenti la peste si propagò nella forma bubbonica, sensibilmente meno letale.

Agli inizi del 1348 la peste raggiunge l'entroterra. Il 20 agosto raggiunge Parigi, il 29 settembre Londra. Dopo una pausa durante l'inverno, il 1349 vede la peste imperversare in tutta Europa. Fu questo l'anno di maggior contagio, tanto che in Scandinavia questo periodo (1348 - 1350) viene ricordato come "la peste nera". Nel 1350 muore di peste Alfonso XI il Giustiziere di Castiglia e nello stesso anno la peste raggiunge la Groenlandia dando la spallata definitiva agli insediamenti del territorio ed inducendo i coloni ad abbandonarli. Nel 1351 la peste raggiunge la Russia uccidendone il Granduca ed il patriarca della Chiesa ortodossa.

Fra alti e bassi, la peste si presenta ogni 10-12 anni, mietendo innumerevoli vittime e slabbrando il tessuto sociale. Come Giovanni Boccaccio scrive nel suo Decameron, la peste rende nulle le leggi umane, come rende vano ogni ordine sociale e civile. « altri  affermavano il bere assai e il godere e l'andar cantando a torno e sollazzando e il soddisfare d'ogni cosa all'appetito che si potesse e di ciò che avveniva ridersi e beffarsi esser medicina certissima a tanto male ».

Anche una volta cessata l'epidemia, le istituzioni civili rimangono profondamente colpite, e le usanze dei sopravvissuti alle epidemie si fanno meno rigide. Un cronista dell'epoca, Matteo Villani, nella sua Nova Cronica riporta che « trovandosi pochi, e abbondanti per l'eredità e successioni dei beni terreni, dimenticando le cose passate come se state non fossero, si diedero alla più sconcia e disonesta vita che prima non viene usata ».

La peste, paradossalmente, crea una forte ricchezza nella gente sopravvissuta: sia perché la crisi del mercato del lavoro ha fatto aumentare enormemente i salari sia per la questione dei testamenti: in quanto pochi muoiono lasciando delle volontà testamentarie, anche perché difficilmente i notai si recano in casa dei moribondi. Dopo la peste, i tribunali vengono intasati da centinaia di cause legate a dispute ereditarie.

La morte di massa colpisce fortemente le industrie inducendo le corporazioni a modificare i propri regolamenti (ad esempio permettendo l'arruolamento extra-familiare). La peste porta anche all'abbandono dei territori anticamente coltivati a cereali con metodo intensivo lasciando spazio a nuove attività produttive come l'allevamento, la pastorizia e lo sfruttamento boschivo causando quindi una notevole discesa nei prezzi su prodotti quali la carne, il cuoio ed il legname. Inoltre la fuga di molti fittavoli verso le città provoca il crollo in molti paesi del sistema feudale e rende necessaria l'applicazione di grandi innovazioni in grado di mantenere accettabili i livelli di produttività.

La peste nera rimane in Europa per i successivi 200 anni, ma fino al '600 colpì per lo più in forma attenuata e senza coinvolgere tutto il continente in un'unica epidemia.
Notevoli furono però, in Italia e nelle regioni limitrofe, le epidemie del 1360 (peste dei bambini, morirono quasi esclusivamente minori), 1404, 1527-1529 (favorita dalla guerra, colpì duramente soprattutto Lazio e Lombardia), 1575-1577 (peste di San Carlo Borromeo, colpì con due versioni diverse del morbo, da Sud, penetrando da Sciacca, una malattia importata da corsari italiani che avevano saccheggiato la zona di Orano, da Nord, diffusa da mendicanti e girovaghi fiamminghi giunti a Trento, l'epidemia settentrionale fu più acuta e particolarmente dannosa per le città del Veneto, della Lombardia e dell'Emilia, meno duramente fu colpita la Toscana; Napoli riuscì ad evitare questa pestilenza isolandosi dal mondo), 1589 (peste d'Ivrea, si limitò ad alcune zone del Piemonte orientale e delle alpi che erano state risparmiate dalla peste del 1577), 1598 (peste francese, raggiunse l'Italia orientale, decimando la popolazione del Piemonte occidentale e della Liguria, risparmiate dalle pesti precedenti e transitò in alcune aree dell'Italia centrale). Alcuni aspetti di queste pestilenze medioevali e rinascimentali, così come (anche se in maniera diversa) secentesche si differenziano dalla normale eziologia della "Yersinia pestis" contemporanea. In particolare chi si ammalava di peste, se era così fortunato da sopravvivere, sviluppava poi un'immunità totale, cosa che con la Yersina non funziona, poiché l'immunità è solo temporanea e limitata a pochi anni.

Inoltre la malattia si diffuse in maniera molto rapida in tutti questi casi, mentre le epidemie di "Yersinia pestis" note sono piuttosto lente, poiché la malattia deve transitare dal topo all'uomo. Molti elementi di queste epidemie lasciano invece supporre che la malattia passasse sempre da persona a persona. Anche la sintomatologia presenta, accanto a notevoli somiglianze, alcune differenze, in particolar modo sul numero, localizzazione e dimensione dei bubboni, molto più notevoli nelle epidemie del '300 e del '600 rispetto a quelle odierne e anche, ma in maniera meno accentuata, a quelle del '400 e del '500.

Quindi risulta notevolmente credibile che la peste medioevale e rinascimentale fosse una malattia diversa, o leggermente diversa dalla Yersinia pestis, è stato ipotizzato che fosse una variante, più infettiva, della stessa Yersinia, oppure non appartenga a questo ceppo e sia solo vagamente simile in alcuni sintomi.

Le pestilenze del '300 e del '400 colpirono tutte le classi sociali. Viceversa tra il 1529 e il 1629 la peste divenne una tipica malattia dei poveri: ogni epidemia ovviamente chiedeva un certo numero di vittime tra le persone più benestanti, ma erano i mendicanti e il sottoproletariato urbano ad essere più colpiti e ad avere meno possibilità di sopravvivenza. Dopo il 1629 invece, per circa un trentennio, le pestilenze tornarono ad essere molto virulente verso tutte le fasce sociali, coinvolgendo anche le persone meglio nutrite, vestite ed alloggiate.

Gli anni 1628 e 1629 vedono una terribile carestia imperversare per il nord Italia. Le città vengono prese d'assalto da vagabondi e mendicanti, in cerca di condizioni di vita migliori rispetto alle campagne, scoppiano tumulti ed agitazioni. Per ultimo arriva la peste, portata dalla discesa dei Lanzichenecchi in Italia. L'esercito si era ammassato a Chiavenna e nelle sue valli; da qui, cominciò il contagio in direzione di Milano.

Per evitare che il contagio dilaghi, le autorità sanitarie impongono l'isolamento dei paesi dove si hanno i primi casi di peste, mediante la chiusura della strada. Fra alti e bassi la peste imperversa per tutto il Nord Italia. A fine maggio 1630 sembra che l'epidemia si sia dissipata, ma a giugno il morbo si ripresenta, mietendo innumerevoli vittime. La diffusione non è comunque, omogenea: ad esempio, mentre la Romagna ne è, nel suo complesso, devastata, la città di Forlì, pur situata al centro della regione, ne esce pressoché indenne, tanto che gli abitanti attribuiscono il fatto a miracolosa protezione della Madonna del Fuoco, patrona cittadina.

La peste di questi anni è descritta anche dal Manzoni nel celebre romanzo I promessi sposi e nel suo saggio storico Storia della colonna infame.

Alcuni demografi, come Guido Alfani, hanno visto in questa pestilenza una sorta di spartiacque economico nella storia d'Italia, infatti questa peste, dopo molte epidemie che avevano sostanzialmente risparmiato le campagne e "ripulito" le città dai più poveri, imperversò in maniera indiscriminata in tutta la società. Colpite furono così sia le piccole comunità rurali, sia le città, poiché morirono molti artigiani specializzati, mercanti, tecnici, imprenditori, e persone dotate di competenze elevate. La ripresa fu lenta e difficoltosa. Infatti nella tipica peste "dei poveri" del '500 le perdite umane si concentravano nei lavoratori non specializzati di recente urbanizzazione e nei salariati poveri urbani, facilmente rimpiazzabili con un'emigrazione dalla campagna. Questa pestilenza, come la successiva, colpì invece anche gli artigiani specializzati ed i datori di lavoro, scardinando il sistema produttivo e impedendo che si riformasse in tempi brevi, aumentando in maniera artificiale il costo di alcuni lavori rispetto ad altri, privando le campagne di braccia in eccesso che sarebbero accorse nelle città per ripianare i buchi.

L'intera economia manifatturiera italiana ne risultò danneggiata, ed impiegò molti anni per rigenerarsi, proprio in un momento cruciale di competizione con l'Olanda e l'Europa settentrionale che ne uscì avvantaggiata.

Oltre al sacrificio di vite umane, ogni epidemia contribuiva a stravolgere e a sovvertire sia il sistema economico sia quello sociale-familiare, basti pensare nel primo caso alla evidente difficoltà all'approvvigionamento che aggravava ulteriormente la condizione della città colpita, e nel secondo caso allo stato di trascuratezza e di abbandono con il quale venivano trattati i parenti ammalati e persino i deceduti, per i quali, spesso, si svolgevano frettolosi e incompleti riti funebri.

In molte città italiane, tra le quali Genova, già nel Quattrocento, era stato istituito un Magistrato di Sanità, il cui compito era quello di gestire l'emergenza.

Durante l'epidemia gli usi, i costumi e le abitudini consuete subivano pesanti alterazioni, dato che le autorità vietavano assembramenti, balli, feste, viaggi; per limitare il contagio si erigeva, attorno alla città, il cordone sanitario che consentiva l'ingresso nei centri solo ai possessori del certificato di sanità, si formavano ronde nei punti di accesso alla località sia stradali sia marini, si attrezzavano appositi ospedali di cura solitamente lontani dalla città, si organizzavano pulizie straordinarie per le strade e nei pozzi neri, era prevista la quarantena o addirittura il rogo per le navi arrivate da luoghi sospetti.

Alcune città venivano suddivise in quartieri affidati a commissari, medici, chirurghi e speziali. Tra le misure precauzionali vigeva l'allontanamento dei mendicanti forestieri e il controllo delle case insalubri, sporche e dei poveri, considerati possibili veicoli di contagio. I medici segnalavano ai commissari i nuovi casi sospetti e la casa di questi ultimi veniva immediatamente sprangata con gli abitanti dentro; l'isolamento era interrotto solamente da personale autorizzato che prima di toccare oggetti appartenenti agli infetti, lo immergevano nell'aceto per disinfettarlo. I medici, durante le loro visite ai malati, indossavano una specie di toga lunga e incerata, una maschera dotata di occhiali e di un lungo becco con spezie all'interno che rendeva più difficile il contagio.

Ai ricchi era concesso di farsi curare a casa, risparmiandosi così il trasferimento e le cure gratuite nel lazzaretto. Peraltro le famiglie del malato rimaste isolate, se erano povere, ricevevano gratuitamente il vitto. Dopo la morte del malato, tutta la sua biancheria veniva bruciata e si punivano severamente gli atti di sciacallaggio. Inutile dire che a quei tempi abbondavano i ciarlatani convinti di aver inventato gli antidoti, quali macerazioni nel vino di varie sostanze naturali (aglio, salvia, ruta, pepe, noce, ecc.), profumi, unguenti, e fumi di mirra, incenso. I medici dell'epoca consigliavano di consumare pasti leggeri a base di carni magre, verdure, pane ben cotto, certamente preferibili ai fritti, ai dolci; di dormire in una camera profumata e con le finestre chiuse e di mantenere pulite le lenzuola, di sottoporsi al salasso e più raramente a interventi chirurgici.

La peste del 1656 ebbe conseguenze e sviluppi molto simili a quella del 1629, anche se colpì il Sud Italia, mentre la precedente aveva martoriato il Nord (ed in particolare Genova). La città più colpita fu Napoli, seguita da Roma, focolai di infezione si verificarono in varie località del regno di Napoli, risalendo velocemente la penisola ma senza attecchire, al di là di casi sporadici e di alcune eccezioni, nelle località colpite un ventennio prima. Ancora una volta si verificò un'epidemia "complementare", la parte d'Italia più colpita dalla precedente grande pestilenza risultò la meno colpita, mentre quella risparmiata in precedenza subì i più duri danni da parte del morbo. Comunque dal regno di Napoli e dagli stati della Chiesa traboccarono alcuni casi, che colpirono soprattutto i giovani. Questo dato fa riflettere, perché è in controtendenza con la moderna Yersinia pestis; infatti i malati di Yersinia, se riescono a guarire, non sono immunizzati dalla malattia, che, dopo un ventennio, potrebbe ripresentarsi con la medesima virulenza. Evidentemente il ceppo di pestilenza del 1656 era di tipo differente da quello odierno, oppure la malattia stessa era un'altra, simile. Anche in questo caso l'epidemia fu veloce, e quasi sempre fu possibile identificare in un uomo, un caso zero, il veicolo di infezione da una località ad un'altra. Questo fa ritenere che questa pestilenza, ed in generale la peste in età moderna, era contagiosa e trasmissibile direttamente tra uomo e uomo, senza la mediazione delle pulci, umane e men che meno dei roditori.

La peste del 1656 causò anche abbondanti danni economici. Da circa un secolo (ma con maggior rigore nel XVII secolo) si sterilizzavano tutte le proprietà dei malati di peste bruciandole o affumicandole. Interi magazzini, anche di seta, navi mercantili, botteghe, letti, sedie, mobilio delle osterie, utensili da cucina ed altre "robbe" furono dati alle fiamme o danneggiati, mentre il sistema dei cordoni sanitari, sperimentato tra il '400 e il '500 in Nord Italia, si diffuse in tutta l'Europa, portando sia un rallentamento dell'epidemia, sia una totale paralisi economica nelle zone colpite.
Alcuni attribuiscono questa scomparsa al prevalere del ratto delle chiaviche (Rattus norvegicus) sul ratto nero (Rattus rattus) portatore della pulce che trasmette la peste all'uomo. Inoltre migliorò la capacità ad isolare i focolai epidemici, come quello durissimo dell'epidemia di Messina del 1743. Un impatto lo ebbe sicuramente la costruzione di case in pietra al posto di quelle in legno; una tendenza iniziata a Londra dopo il grande incendio. Questo costringeva i topi a uscire dai nascondigli e la luce, così come le condizioni di vita mutate, uccise la maggior parte delle pulci portatrici del morbo

L'avvento della Rivoluzione industriale a partire dalla fine del XVIII secolo mise fine nel giro di pochi decenni alle epidemie in Europa. Un notevolissimo miglioramento delle condizioni socio-economiche e igienico-sanitarie di gran parte della popolazione dei paesi occidentali contribuirono al debellamento della malattia, assicurando inoltre una più regolare produzione agricola che scongiurò le periodiche carestie sempre presenti nei secoli precedenti. Tali fattori hanno quindi determinato a partire dal XIX secolo la scomparsa pressoché totale delle epidemie di peste dallo scenario europeo.

Come si può vedere dall'elenco sotto riportato, infatti, gli ultimi episodi verificatisi fra l'Ottocento e il Novecento furono limitati a pochi casi, molto localizzati e tempestivamente isolati dai cordoni sanitari.

1665 - Ultima epidemia di peste in Inghilterra (La Grande peste di Londra)
1720 - Ultima epidemia di peste in Francia; si estese principalmente a Marsiglia ma non raggiunse Parigi, colpì anche Messina e Tunisi
1743 - Ultima epidemia di peste nel Nord Italia (di scarsa entità, gravissima invece nel medesimo periodo quella di Messina, anche a causa della durezza del cordone sanitario, che impedì alla malattia di diffondersi al resto della Sicilia, ma causò una carestia durissima in città)
1779 - Ultima epidemia di peste nell'Europa centrale (Peste di Vienna)
1816 - Ultima epidemia di peste nel Sud Italia (a Noicattaro in provincia di Bari)
1820 - Ultima epidemia di peste (eccetto casi isolati successivi) in Spagna, l'epidemia si concentra a Maiorca, che viene efficacemente messa in isolamento.
1844 - Ultima epidemia di peste in Egitto, che pone fine al ciclo sette-ottocentesco delle epidemie mediterranee, caratterizzate per lo più da epidemie concentrate in località portuali ed efficacemente contenute da tempestivi cordoni sanitari.
1889 - Ultima epidemia di peste in Russia, principalmente a Mosca
1894-1906 - Terza grande pandemia: coinvolge India, Canton, Hong Kong, Taiwan e Giappone. Solo a Canton le vittime furono tra 40.000 e 100.000 con un tasso di mortalità stimato dell'80%. In India le vittime furono 11.000.000. Durante l'epidemia a Taiwan, Alexandre Yersin isola il batterio e crea un siero che si dimostra efficace nel rallentare in modo decisivo la progressione del morbo.
Anni 1920 - Epidemia nel Madagascar. Si verificarono circa 40.000 casi
Anni 1960 - Epidemia in Vietnam. Nel solo 1967 si verificarono nel paese asiatico quasi 6.000 casi.
Le epidemie più recenti si sono avute in India (ottobre 1994), Uganda (novembre 1998), in Namibia (maggio 1999) e nel Malawi (luglio 1999).
2009 - Il 18 giugno almeno 13 casi di peste bubbonica sono registrati nella Libia orientale. L'epicentro del fenomeno è un villaggio a 30 chilometri da Tobruk, vicino al confine con l'Egitto.
2014-2015 - Una certa preoccupazione ha destato presso l'OMS l'epidemia sviluppatasi nel 2014-2015 in Madagascar, che ha raggiunto la capitale Antananarivo e minaccia di espandersi ulteriormente. A tutto il 24 novembre 2014 erano stati registrati 138 casi, tra cui 47 decessi.
Nei primi anni del XXI secolo si sono registrati tra i 1.000 e i 3.000 casi annuali di peste nel mondo, specialmente in Africa e in Asia ed alcuni focolai vengono saltuariamente segnalati in alcune aree caucasiche e nordamericane (Canada sudoccidentale, Stati Uniti occidentali e meridionali, Messico settentrionale).


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