mercoledì 15 aprile 2015

PERSONE DI PORTO VALTRAVAGLIA : ARTURO GALLI

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Arturo Galli è stato un pittore (1895-1963).

 «I dimenticati pittori del sacro». Così un acuto storico dell’arte come Giorgio Mascherpa già trent’anni fa aveva definito quel folto e variegato gruppo di artisti italiani che nella prima metà del ventesimo secolo si era dedicato prevalentemente a tematiche religiose, dentro e fuori le chiese del nostro Paese, e che anche solo per questo, al di là dei meriti personali, per modestia propria o per snobbismo altrui, era stato confinato in una sorta di impenetrabile cono d’ombra. Dimenticati, sì. Emarginati, perfino, dal gran mondo dell’arte, come artigiani di seconda classe, come decoratori di basso livello...
Oltre cinquanta sacri edifici in tutta la diocesi portano il segno dell’arte del Galli, dal cuore di Milano al varesotto, dal lecchese alla cintura metropolitana: chi interi e vasti cicli di affreschi, chi vetrate multicolori, chi ancora pale d’altare o semplici quadri con figure di santi, quasi una sorta di moderni ex voto. Eppure pochi, probabilmente, ricordano il nome del loro autore, e ancor meno ne conoscono la figura e il suo intenso operato.
Arturo Galli era nato a Milano, nell’ultimo scorcio del diciannovesimo secolo. I primi rudimenti della pittura li ebbe in famiglia, per poi frequentare l’allora prestigiosa Scuola d’arte del Castello Sforzesco e i corsi dell’Accademia di Brera. Un talento naturale per il disegno dal vero, per il ritratto, per la figura. Tanto da conseguire rapidamente l’abilitazione all’insegnamento. E tentare, a neppure vent’anni, la dura competizione dei concorsi e dei premi. Ma le sue opere, pur assai lodate, non ottennero i riconoscimenti sperati, provocando forse in lui quella delusione e quell’amarezza che lo portarono ben presto ad abbandonare il pubblico dei saloni e delle mostre, per concentrarsi su una pittura più intima e meditata.
Di carattere schivo e riservato, animato da una fede sincera, Galli dovette intuire allora quale fosse la sua vera strada al servizio dell’arte sacra, stimolato e confortato anche dal sostegno di alcune significative personalità religiose come, ad esempio, monsignor Buttafava, all’epoca canonico del Duomo di Milano.
La prima commissione di rilievo l’ebbe nel 1926, per la parrocchiale di Paderno Dugnano, oggi purtroppo distrutta. Con quel grandioso lavoro, Arturo Galli dimostrò una tale padronanza dell’antica tecnica dell’affresco e una tale abilità interpretativa e compositiva da assicurarsi l’ammirazione di molti in campo ecclesiastico, e non solo, tanto da iniziare, dopo di allora, un’attività pluridecennale a dir poco frenetica, con richieste da ogni parte in terra di Lombardia.
Proprio le continue richieste, del resto, che a volte andarono accavallandosi in diversi cantieri aperti contemporaneamente, possono spiegare talora una pittura un po’ manierata e ripetitiva. Pittura, tuttavia, che là dove è riuscita a dare il meglio di sé si dimostra ariosa e solenne, michelangiolesca nell’ispirazione e neorinascimentale nell’impostazione, quasi nella ripresa di quelle stesse indicazioni accademiche suggerite agli inizi del Seicento dal cardinale Federico Borromeo per un’arte veramente pia. E che gli valsero il plauso dello stesso cardinal Schuster.
Che poi quella di Arturo Galli fosse una scelta ragionata e non una carenza di aggiornamento culturale, lo rivelano i molti bozzetti e schizzi del maestro giunti fino a noi, dove il segno vivace e il tocco brioso dimostrano la consapevolezza di appartenere al proprio tempo e la conoscenza della modernità. Che Galli non volle ripudiare, ma in qualche modo trasfigurare nelle sue opere in una ricerca di eternità.
A Palazzolo affrescò (anni ’40) la prepositurale di S. Martino Vescovo. Affreschi sono conservati nel Cimitero di Cassina Amata (Cappella pubblica e Cappella Rebosio).

Arturo Galli si formò alla Scuola Professionale Cattolica, alla Scuola Superiore d’Arte del Castello e all’Accademia di Brera e preferì dedicarsi all’affresco mettendo le sue capacità al servizio della fede. Con dedizione impressionante per la vastità delle realizzazioni, dipinse con uno stile classico, con riferimenti ai grandi del ‘500 e ‘600, attento, tuttavia, ai fermenti del Novecento.
Una profonda sensibilità religiosa, unita a una vasta conoscenza biblica, gli consentì di perseguire il fine dell’arte sacra: raccontare, dire Dio ed essere precisa catechesi.
A Carnate, Maggianico, Rancio di Lecco, Calò, Fagnano Olona, Palazzolo Milanese, Bresso, si dedicò (oltre agli affreschi, alle tele, alle vetrate) anche alle decorazioni.

Una ricca raccolta di studi, cartoni e tele di soggetto sacro e profano (conservata dagli eredi), documenta l’impegno e le grandi doti di disegnatore.

Morì il 3 febbraio 1963 mentre stava completando le vetrate in Santa Maria Nascente, luogo del suo primo importante incarico.


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