Il Monumento naturale regionale di Preia Buia si trova nel territorio comunale di Sesto Calende in provincia di Varese.
Il "Sass da Preja Buia" è un masso erratico di grosse dimensioni sul quale sono iscritti dei petroglifi simbolici che suggeriscono si trattasse di un altare sacrificale di epoca preistorica. La formazione litologica è di serpentino. Accanto ad esso vi sono altri due massi erratici anch'essi riportanti incisioni preistoriche. Avvicinandosi o salendo sui massi a causa di una forza magnetica la bussola impazzisce.
Un angolo di verde, ai nostri occhi moderni luogo rilassante e forse proprio per questo ancora un po' magico. Invece un luogo con un certa sacralità all'epoca dei nostri antenati più lontani. Una strada in terra battuta ci porta all'interno della boscaglia, e lì un gigante ci attende, imponente nella sua staticità. È il Sass da la Preja Büja.
Dalla notte dei tempi l'uomo ha l'abitudine di crearsi storie per spiegare la realtà e anche il masso di Sesto è protagonista di una di queste. Tanto tempo fa qui viveva un pescatore con moglie e bambini; un pescatore un po' speciale, un po' privilegiato, perché era diventato l'amante di Venere, la dea della bellezza. Come a tutti i mortali che si innamorano di una divinità, così anche al pescatore la sorte non si rivelò benigna. Giove, il capo degli dei, venne a sapere la cosa e geloso punì il pescatore trasformandolo in drago. La famiglia cercò il pescatore invano, temendo che fosse morto in mare.
Una sera, la dea Venere andò a trovare l'antico amante e soffrì nel vederlo così cambiato: per questo lo invitò a bruciare tutta la città e gli offrì addirittura un'erba infernale che avrebbe reso il suo potere ancora maggiore, causando esalazioni velenose. Divampò così un grandissimo incendio, che arrivò a lambire la casa della moglie del pescatore, Vinicia. Questa prese i figlioletti e scappò via, inseguita dalle fiamme e dalle esalazioni. Ma durante la fuga il figlio più grande si fermò per la stanchezza e implorò la madre di lasciarlo e continuare la fuga. Ma Vinicia non volle lasciarlo e si fermò a sua volta con il bimbo più piccolo. Pochi attimi più tardi, entrambi i figli erano morti. La donna, disperata, decise di rimanere e li coprì con il suo corpo come una chioccia con i pulcini, per proteggerli. Fu così, in questa posizione, privi di vita, che gli abitanti del villaggio li trovarono tre giorni più tardi, al ritorno in paese dopo avere sconfitto il drago. Commossi da questo amore materno, decisero di dare solenne sepoltura ai corpi e ne disposero i funerali. Ma il giorno seguente, tornati nel luogo in cui i tre sventurati giacevano, trovarono una grande chioccia d'oro, con le ali aperte, mentre difende la covata: ovvero il masso della preja buja, il cui colore bronzeo ricorda i riflessi di una statua in metallo e la forma quella di una gallina accovacciata.
E il drago? Nessuna notizia, invece, relativa al drago... ma dove finisce la leggenda, è la toponomastica ad aiutarci. Ancora oggi sulle rive del lago si trova una fossa definita "La fossa del drago": forse dove si nascose il drago sconfitto dai Sestesi? e un drago, ucciso da S. Giorgio, compare anche negli affreschi del limitrofo oratorio di S.Vincenzo.
Storie antiche, tradizioni attuali - Questa leggenda ancora risiede nei cuori dei Sestesi: fino a pochi decenni fa le giovani spose si recavano al masso, simbolo di maternità, a chiedere di poter presto avere un figlio e, a Sesto, i bambini prima di nascere non stavano sotto i cavoli, ma sotto il masso!
Tralasciata la leggenda, la realtà si fa meno fantasiosa, ma comunque interessante. Il Sass da la Preja Buja è uno masso erratico in serpentinite, ovvero un grande blocco che è stato trascinato e depositato dal ghiacciaio della val d'Ossola, quando questo è arretrato durante la fine del Quaternario. Proprio per le sue dimensioni megalitiche, il sasso ha sempre rivestito un particolare ruolo cultuale e sacrale nel territorio. È difficile stabilire, a distanza di secoli, considerando la natura sfaldabile della pietra, se mano umana sia mai intervenuta a determinare la forma del masso. Certa però è la suggestione che, dalla valle, si ha: un lato rimanda al profilo di un ariete che guarda al lago, l'altro all'altero profilo dell'aquila.
Interpretazione a parte, la natura sacra del masso è confermata dalla presenza di coppelle. Si tratta cioè di incisioni di forma circolare, poste su una seconda pietra di dimensioni inferiori, collocata ai piedi del masso vero e proprio, che è stata identificata come una sorta di altare, dove si praticavano riti in onore delle divinità. Forse proprio la presenza delle coppelle ha determinato il nome büja, nel senso di "bucata"; non può tuttavia essere trascurato il significato di "pietra scura".
Recenti scavi hanno evidenziato la presenza di un insediamento di epoca golasecchiana a circa 300 metri dal sasso: di sicuro esisteva una relazione fra l'area abitativa e questa sacrale. Confronti stretti provengono da Golasecca e Castelletto Ticino, a occidente e in area comasca, a oriente.
Mito e storia si fondono in un unico racconto, in un'unica emozione.
Riporta alla ritualità magica, spiegata dalla Paleoastronomia, disciplina che si riferisce alla pratica dell’astronomia tra le civiltà del mondo antico.
L’ariete è infatti simbolo di fecondità e virilità, è il primo segno dello zodiaco e corrisponde all’equinozio di primavera. Il muso dell’ariete nel megalite sestese è infatti rivolto verso Ovest , e il 21 marzo il sole ne illumina l’occhio, inciso proprio a forma di sole con i raggi.
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