mercoledì 1 aprile 2015

BARTOLOMEO BORTOLAZZI

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Bartolomeo Bortolazzi nacque a Toscolano (oggi comune di Toscolano Maderno in provincia di Brescia) ridente borgata della sponda occidentale del Lago di Garda il 3 marzo del 1772, da Domenico di Giacomo e Apollonia Lombardi. Al momento della nascita del piccolo Bartolomeo, Toscolano faceva parte, come quasi tutta la provincia, della Repubblica di Venezia e godeva di un fiorente artigianato che, particolarmente nel settore della lavorazione della carta, divenne vera e propria industria, soprattutto per merito delle famiglie Agnelli di Toscolano e Monselice di Maderno. Le cartiere del Lago di Garda fornivano, a quel tempo, i due quinti del prodotto cartario della Lombardia ed erano tenute in grande considerazione dal governo Veneto.
Giovanetto, Bartolomeo dovette, seppure a malincuore, seguire le orme del padre Domenico per apprendere il mestiere del cartaio. Era un mestiere poco gradito dal piccolo Bartolomeo che aveva un carattere inquieto più propenso a sognare che a lavorare la carta e con una prepotente passione per la musica, tanto da diventare in brevissimo tempo, un ottimo suonatore di mandolino, stimato e ammirato dai suoi compaesani e dagli amici delle borgate vicine.
Esaltato dai successi ottenuti, Bartolomeo divenne sempre più ansioso e inquieto. La sua famiglia, il suo paese, il suo lago, gli erano troppo angusti; egli voleva trovare nuovi spazi, conoscere altri paesi, altra gente, e portare la sua musica altrove.
Questo sogno si avverò nel 1790 quando, in compagnia dei suoi amici Bazzani e Lena, suonatori di chitarra e Pietro Ferrari, cantore di arie buffe, abbandonò il tetto natio: aveva 18 anni.
L’avventura era cominciata percorrendo paesi e città dell’Italia del Nord, tenendo concerti nelle piazze,nelle osterie e nei teatri.
Il successo fu immediato, applausi e denaro consentirono all’allegra brigata di condurre una vita lieta e spensierata. Non soddisfatti del felice inizio dell’avventura, vollero andare oltre e decisero di varcare i confini per trasferirsi in Francia. Anche in terra francese gli allegri musicisti ebbero successi e denaro; ma ben presto il fuoco della Rivoluzione, che aveva sconvolto la Francia e l’Europa, incominciò a scaldare l’aria e pose frettolosamente fine alla vita lieta e spensierata di Bartolomeo e dei suoi amici, costringendoli in gran fretta a lasciare la Francia e cercare lidi più sicuri e tranquilli. Ritornati a Toscolano, dopo breve tempo furono ripresi dalla febbre dell’avventura e partirono alla volta del Tirolo, da dove passarono in Austria visitando le città più importanti dell’Impero fino a raggiungere Vienna.
Anche qui non mancarono successi e riconoscimenti che permisero loro di condurre una vita senza preoccupazioni economiche.
Fu a Vienna che Bortolazzi ebbe la fortuna di incontrare il “celebre pianista Colò di Riva di Trento che, favorevolmente impressionato dal talento di Bartolomeo, lo avviò a seri studi musicali e letterari”.
Tali studi furono affrontati dal Bortolazzi con amore e intelligenza pronta e vivace. Verso il 1794 Bortolazzi si sposò Margherita Leonardi, nato presumibilmente in un paese del Trentino. Nel 1795 tornò a Toscolano dove risiedeva la moglie che era in attesa di un bambino (come apprendiamo dal “libro dei battezzati dal 1775 al 1813” e tuttora in possesso della Parrocchia di Toscolano). Il figlio nacque il 29 marzo 1796 e gli fu imposto il nome di Giacomo Giuseppe. La nascita del figlio e gli studi compiuti con il generoso maestro Colò favoriscono in modo positivo l’inizio della carriera di Bortolazzi.
A Vienna – scrive  Valentini - : “andavano a gare nel prodigare al nostro Bortolazzi inviti, nel offrirgli impieghi e protezioni, nel regalargli denaro e onoreficienze, tutti rapiti dalla bella arte del suo strumento, dalla facilità, eleganza e melodia delle sue composizioni che improvvisava a bizzeffe”. Nel 1799 Bortolazzi si trasferì a Londra, forse invitato da una loggia massonica. Difatti, presso il British Museum, si trovano alcune composizioni vocali dedicate ai “fratelli della Loggia dei Pellegrini”. Ed è a Londra che egli incontrò, nel 1799, il giovane compositore slovacco Johann Nepomuk Hummel (1778-1837), che gli dedicò il famoso concerto per mandolino e orchestra (ora reperibile presso il British Museum). Evidentemente il giovane Hummel rimase affascinato dal virtuosismo di Bortolazzi, tanto da dedicargli il concerto, che nella stesura, risente dei consigli che gli vennero suggeriti dal Bortolazzi, soprattutto per quanto riguarda il modo di trattare la scrittura dello strumento.
Il mandolino era abbastanza conosciuto a Londra, in quanto Giovanni Battista Gervasio aveva tenuto un concerto nel 1768 e Pietro Leone aveva fatto pubblicare in quegli anni il metodo per mandolino. Inoltre lo strumento era stato impiegato da Haendel (1748), da Arne (1764) e da altri compositori. È’ probabile che Bortolazzi, durante la sua permanenza a Londra, che durò dal 1799 al 1802. Abbia avuto l’occasione di conoscere alcuni musicisti che si trovavano in quella città in quegli anni. Fra questi il celebre Giovanni Battista Viotti (1755-1824), il celebre tenore e compositore Luigi Asioli e la celebre cantante Giuseppina Grassini ed altri.
Alla fine del 1802 Bortolazzi ritornò a Vienna e si preparò a partire per la Germania per una serie di concerti in compagnia del figlio Giacomo Giuseppe.
Il 2 settembre 1803 il giornale “Leipziger Allgemeine Musikalische Zeitung” ci informa di un concerto di Bortolazzi a Dresda “…di Bortolazzi, il musicista di mandolino, dico soltanto che fa davvero molto. Che razza di povero arnese è mai questo strumento che può emettere soltanto una specie di frinire di grilli, nessun tono mantenuto, niente di cantabile”. A questo proposito Konrad Wölki osserva che “la tecnica mandolinistica del tempo non faceva uso del tremolo, e conseguentemente, trattava lo strumento solo con lo staccato. Questa rinuncia al tremolo non va comunque intesa come una limitazione espressiva, come d’altronde l’antica musica per liuto aveva già dimostrato attraverso i secoli”. A distanza di un mese un altro giornale, l’”Allgemeine Musikalische Zeitung” così descrisse un altro concerto di Bortolazzi: “… il Sig. Bortolazzi virtuoso di mandolino … di mandolino? Ripetono increduli scuotendo la testa molti lettori. Proprio così. E’ vero che in Germania il mandolino ha poco credito se suonato da mani poco abili, ma il signor Bortolazzi dimostra pienamente come spirito, sentimento, gusto e solerzia instancabili possano far parlare anche uno strumento insignificante in mani esperte. I suoi concerti con accompagnamento dell’orchestra non sono molto interessanti, ma le sue variazioni e simili piccoli pezzi (accompagnati, e bene, sulla chitarra dal figlioletto di sette anni) così come le sue improvvisazioni, sono degni di ascolto e molto gradevoli. Solo un italiano può essere capace di rendersi interessante con così poco: il signor Bortolazzi ha composto dei pezzi per il suo strumento ed altri ne compariranno presto”.
E’ interessante osservare che, mentre nella recensione del concerto di Dresda, il mandolino era descritto come un “… povero arnese” solo capace di “emettere una specie di frinire di grilli”, il giornalista di Lipsia sottolinea che il mandolino è uno strumento insignificante soltanto nelle mani di suonatori incapaci. Grazie al virtuosismo e alla tenacia di Bortolazzi, lentamente i musicisti abbandonarono i propri pregiudizi nei confronti del mandolino. La sua fortunata e intensa attività concertistica influì notevolmente a fare apprezzare il mandolino e il suo repertorio.
Il giornale “Musikalische Allgemaine” di Branschweig scriveva: “Il 15 novembre il mandolinista Bortolazzi ci ha riservato un semplice ma intenso piacere. La sua mirabile capacità esce esaltata dopo questo concerto”.
Nel 1804, a Berlino. Suonò accompagnato con la chitarra del figlio Giacomo Giuseppe di 8 anni, le variazioni tratte da un tema dell’opera “La bella molinara” di Giovanni Paisiello. Tre settimane dopo egli si esibì a Lipsia e anche in questa occasione scrive il giornale “… intratteneva piacevolmente i suoi ascoltatori riscuotendo un caloroso ed entusiastico successo”. Bortolazzi non era l’unico esecutore nei suoi concerti, ma divideva il programma con altri musicisti.
Nel concerto eseguito a Berlino nel 1804, veniva “presentato per la prima volta un quartetto per archi di Dussek”.
Nel 1805 la famiglia di Bortolazzi ritornò a Vienna dove tenne molti concerti e lavorò come insegnate di mandolino e chitarra e come compositore. L’ultimo resoconto sulla vita di Bortolazzi a Vienna risale all’8 aprile 1805.
A Vienna il mandolino era ormai di casa, basti pensare che Beethoven, che vi si era trasferito nel 1782, aveva scritto nel 1796 le sue composizioni per mandolino e clavicembalo. I giornali si occuparono con assiduità delle esecuzioni del “celebre mandolinista Bortolazzi” che dimostrava sempre “molta abilità, leggerezza e delicatezza”.
La stima dei viennesi fu un incoraggiamento a Bortolazzi per stabilire a Vienna la sua residenza definitiva.
La sua attività di concertista, di insegnante e compositore, gli consentivano una vita tranquilla e serena con la sua famiglia.
Konrad Wölki, che è stato il più tenace e appassionato studioso della vita e dell’opera di Bortolazzi, ci informa che dopo il 1814 non si trovano più notizie di lui.
Qualcuno ha sollevato l’ipotesi che sia ritornato in Italia, ma questa notizia non trova alcuna conferma. L’unica notizia relativa alla sua scomparsa la riscontriamo nel libro del Valentini che racconta: “ …Non sazio mai di onori, di luci e di avventure, volle traversare l’oceano per amore, dicesi, di una bella peccatrice coronata, di cui aveva sprezzato l’amore nei giorni degli splendidi trionfi di Dresda e che a lui tendeva pur sempre le sue braccia desiose. Per naufragio, con la moglie e con l’unico figlio, miseramente periva nel 1820, cinquantenne appena”.
Tutte le ricerche di ulteriori notizie sulla sua scomparsa non hanno avuto fino ad oggi, alcun esito positivo. Particolarmente importante è il contributo dato da Bortolazzi alla letteratura del mandolino e della chitarra.
Le sue composizioni testimoniano uno stile elegante e scorrevole, che però non sa mai andare in profondità. Nei lavori per mandolino è posta in risalto la melodia, mentre l’armonia è semplicissima e scolastica. Le sue composizioni hanno però un grande significato storico, perché ci informano sul modo di suonare il mandolino nei primi anni del XIX secolo.


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