lunedì 6 aprile 2015

GLI ETRUSCHI

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Gli antichi romani li chiamavano tusci , i greci tirrenoi , se stessi rasenna o rasna . Se guardiamo l'appennino tosco emiliano che era abitato da antichi liguri come per esempio dai Friniat , possiamo desumere che il popolo etrusco e quello emiliano dovevano essere molto simili all'inizio e ciò ci è testimoniato anche dal fatto che la civiltà villanoviana era molto simile sia in romagna ed emilia che in toscana . I reperti più antichi sono quelli vicino a Bologna , sulle coste del mar padano , il che esclude al momento che i villanoviani padani derivassero da villanoviani toscani , come sostengono alcuni , ma ciò non esclude che potevano essere civiltà simili e più o meno contemporanee  o che i villanoviani derivassero da quelli padani . Prima del 10000 ac circa un po' tutta l'Italia era simile prima dell arrivo dei fenici e dei greci nel sud.Probabilmente le colonie commerciali fenicie impiantate a nord del Tevere , lungo la costa tirrenica , si sono fuse con questi popoli italici dando vita alla civiltà etrusca . Il rapporto tra civiltà villanoviana ed etrusca ( Toscana ) con la Romagna e l'Emilia secondo me deriva molto dai commerci . La via dell'ambra del Tirreno saliva dal territorio degli etruschi , principalmente risalendo il Tevere , ma non si esclude anche tramite l'Arno , fino in Romagna dove seguendo la costa del mar padano giungeva a Mediolan per poi andare sul Reno . Questi contatti hanno determinato scambi di merci e di cultura tra etruschi e romagnoli e indirettamente anche coi lombardi Insubri e Cenomani . Nel periodo di massima espansione etrusca , gli etruschi toscani si spingono fino all'isola di Mantua . Allora fino al periodo romano Mantua era facilmente raggiungibile con navi dall adriatico tramite il mar padano . Secondo un ipotesi greca prende il nome da Manto , profetessa tebana rifugiatasi in queste paludi . In realtà la zona era già abitata dai terramaricoli e dai celti - liguri , ma probabilmente era un agglomerato di villaggi che poi si sono uniti in un unica città - isola . In seguito gli etruschi saranno scacciati dai celti francesi che attaccheranno i loro territori originali arrivando fino a Roma . Vi è una seconda teoria per cui il nome sia originato da Mantus divinità etrusca , una terza celtica che vede il nome correlato col celtico mantus cioè colui che parla ed una quarta celtica per cui Mantua in celtico vuol dire città del cammino . E ' tutto da scoprire . La cosa che sembra trapelare è l' originalità di popolazioni padane sulle quali si sono sovrapposti popoli celti esteri, etruschi ( se per etruschi non si intendono le popolazioni padane autoctone ) e contatti col mondo greco egeo  .

A partire dall'VIII secolo a.C. gli Etruschi espansero il loro dominio verso il nord Italia, più precisamente in Emilia e in Lombardia, in una regione identificata come Etruria padana.

Dal 540 a.C. circa la presenza etrusca nella pianura padana conobbe una rinnovata espansione in seguito alla Battaglia di Alalia. La battaglia, risoltasi in una progressiva limitazione dei movimenti etruschi nell'Alto Tirreno, diede la spinta verso un'espansione a nord degli Appennini, dettata dalla necessità di individuare e controllare nuove vie commerciali. Con il controllo di Adria e le fondazioni di città come Spina, Marzabotto e del Forcello di Bagnolo gli etruschi stabilirono una rete di traffici che li collegavano sia alla Grecia, attraverso i porti adriatici, e alle terre dei Celti transalpini attraverso l'asse fluviale Po-Mincio, i laghi insubrici e i passi alpini. Il V secolo a.C. segnò così il "periodo d'oro" dell'Etruria padana.

Nell'Etruria padana venne probabilmente istituita una dodecapoli, in analogia alla dodecapoli etrusca, ma non si ha la certezza di quali città ne facessero parte. Appartennero certamente alla dodecapoli padana le città di Felsina (Bologna), Spina e Marzabotto, mentre si possono solo supporre città quali Ravenna, Cesena, Rimini, Modena, Parma, Piacenza, Mantova e forse Milano.

Nell'abbigliamento etrusco, i principali tessuti erano la lana, generalmente molto colorata, e il lino, usato nel suo colore naturale. Gli Etruschi usavano abiti adatti per entrambi i sessi, accanto ad altri tagliati espressamente per uomo o per donna.

Un indumento solamente maschile era il perizoma, simile a dei calzoncini, mentre sia uomini che donne, specialmente se avanti negli anni, indossavano indifferentemente lunghe tuniche, talvolta abbinate ad un cappello. Gli etruschi inoltre mostravano particolare interesse per le calzature, realizzate in cuoio o in stoffa ricamata. Molto eleganti erano dei sandali con la punta all'insù dall'aspetto orientale. Il sandalo con base in legno aveva una snodatura al centro che permetteva di piegare il piede. L'eleganza degli etruschi era proverbiale, il motto "vestire all'etrusca" fu in voga fra i romani per indicare grande raffinatezza. Dai rinvenimenti si sa che ricamassero tessuti a filo d'oro.

Le donne, ma anche gli uomini, impreziosivano l'acconciatura e l'abito con gioielli di raffinata fattura (diademi, orecchini, braccialetti, anelli e fibule). I gioielli erano di bronzo, d'argento, d'elettro e d'oro. L'elettro era una lega molto usata d'argento e oro.

L'ingrediente base per l'alimentazione etrusca fu per molto tempo la farina di farro, un tipo di grano facilmente coltivabile. Prima di essere usati come cibo, i chicchi di farro dovevano essere torrefatti, per togliere loro la gluma (una specie di pellicina che li ricopre) ed eliminare l'umidità.

Con la farina di farro venivano preparate pappe e farinate, bollite con acqua e latte. L'alimentazione degli Etruschi prevedeva, oltre ai cereali, anche varie specie di legumi, come lenticchie, ceci e fave.

Nonostante l'alimentazione basata su cereali e legumi fornisse tutte le principali sostanze nutritive, essa veniva integrata con la carne di maiale, la selvaggina, il cinghiale, la carne di pecora e tutti i prodotti derivati dal latte. Molto apprezzato era anche il pesce, in particolar modo presso Populonia e Porto Ercole.

Gli etruschi conoscevano inoltre la forchetta: ne sono state rinvenute identiche a quelle odierne, cioè con i quattro rebbi incurvati, ma con un fusto sottile cilindrico e una pallina in cima. Si suppone però che l'uso non fosse individuale ma servisse a fermare la carne per tagliarla nel piatto di portata.

Gli Etruschi possedevano una buona conoscenza della medicina, esemplificata dalle nozioni di anatomia e fisiologia, dalla pratica della trapanazione cranica e delle protesi dentarie in oro, evidenziate dai resti umani e dalle terrecotte. Era praticata la circoncisione, e le sezioni anatomiche mettono in risalto molti organi interni, come il cuore e i polmoni. Sorprendenti sono gli uteri contenenti all'interno una pallina, che potrebbero risultare la più antica raffigurazione di vita intrauterina della storia.

Diversi sono i giochi e i passatempi etruschi di cui si è tramandata testimonianza, anche grazie alle pitture rinvenute nelle tombe, come il cottabo (gioco d'abilità con anche valenze erotiche), una sorta di corrida (attestata nella Tomba degli Auguri a Tarquinia), il gioco della pertica (paragonabile all'albero della cuccagna).

Politeisti, gli Etruschi eressero templi sia in contesti urbani (sulle acropoli), sia in punti di frequente transito (porti, valichi). Le preghiere e le offerte di sacrifici (alimenti, bevande, ex voto), eseguite nei templi, miravano a ottenere la benevolenza degli dei.

La centralità della religione nella vita quotidiana emergeva soprattutto dal punto di vista ritualistico: si credeva che attraverso l'interpretazione di "segni"divini fosse possibile determinare la volontà degli dei. Tale interpretazione era compito delle figure sacerdotali, distinte in:

àuguri: sacerdoti che interpretavano la volontà divina attraverso lo studio del volo degli uccelli (pratica più comunemente diffusa fra i romani);
aruspici: sacerdoti che sapevano leggere le viscere (fegato e intestino) degli animali;
fulguratores: sacerdoti abilissimi (e per questo rinomati) nell'interpretazione dei fulmini.
L'insieme delle dottrine del complesso mondo religioso etrusco era racchiuso in quella che i romani definirono Etrusca Disciplina, una raccolta codificata di riti e pratiche dei rapporti con il divino e non solo.

Il rapporto tra l'uomo etrusco e il divino era un rapporto di totale sottomissione e di annullamento dell'individuo di fronte alla volontà degli dèi. Erano quest'ultimi, infatti, a stabilire il corso del destino degli uomini (e anche quello degli Stati). Di fronte alle decisioni divine, l'uomo non si poteva opporre, ma solo sottostare. Poteva però prevedere il proprio destino attraverso un attento studio dei segni che gli dèi mandavano periodicamente sulla terra, per poi necessariamente adeguarsi ad esso, osservando inoltre rigide regole comportamentali per non recare offesa agli dèi. Gli era inoltre concesso di fare sacrifici e riti propiziatori per chiedere, magari, di mutare un destino rivelatosi sfavorevole.

Gli dèi etruschi alle origini della civiltà erano semplici entità, spiriti privi di forma che si manifestavano occasionalmente. È solo con la fase orientalizzante che, sotto l'influsso culturale dei greci, le divinità etrusche assumono l'aspetto antropomorfo. I tre dèi più importanti sono: Tinia (che corrisponde a Zeus), la sua sposa Uni (Era) e loro figlia Menrva (Atena). Altri dèi importanti sono: Turms (Ermes), Fufluns (Dioniso) e Voltumna. Oltre agli dèi esistevano anche i demoni, che secondo la credenza etrusca si incontravano dopo la morte. I principali sono: Charun (che corrisponde pienamente al Caronte dei greci), un demone che accompagnava le anime nell'aldilà ed è raffigurato alato, con una bocca simile a quella degli uccelli, con orecchie aguzze e armato di un martello. Un altro demone ostile è Tuchulcha: anch'esso è raffigurato con un becco, due ali e coperto di serpenti sulla testa. Una dea amichevole è invece Vanth.

Nella cultura etrusca la divinazione occupava un ruolo fondamentale. Essa si basava sul concetto di predestinazione, secondo il quale la vita di ogni essere vivente sarebbe già stata scritta dagli dèi fin dalla nascita. L'arte divinatoria permetteva all'uomo etrusco di prevedere, attraverso lo studio di segni specifici, la volontà divina - e quindi il proprio destino - solo per adeguarvisi.

La divinazione etrusca si divide in due branche principali: l'aruspicina, ovvero l'interpretazione della volontà divina attraverso lo studio delle viscere animali - e, più precisamente, fegato (epatoscopia) ed intestino (estispicio) - e la dottrina dei fulmini, ovvero l'interpretazione dei fulmini. Contrariamente a quanto si è soliti pensare, l'arte divinatoria augurale (ovvero lo studio del volo degli uccelli), pratica tipica dei sacerdoti romani, non era tenuta molto in considerazione presso gli etruschi.

L'arte divinatoria si basava sulla determinazione del templum, ossia uno spazio sacro che rifletteva la suddivisione del cielo. Secondo gli etruschi la volta celeste è attraversata idealmente da due rette perpendicolari: cardo (nord-sud) e decumano (est-ovest). Queste due rette dividono la volta celeste in quattro principali settori: partendo dall'asse orizzontale (decumano) e dirigendosi verso sud si delimita la pars àntica (parte anteriore), mentre verso nord la pars postica (parte posteriore). Allo stesso modo, prendendo l'asse verticale (cardo) si delimita a ovest la pars hostilis o pars occidentalis o pars dextare, mentre ad est la pars familiaris o pars orientalis o pars sinistrae. Ogni quadrante (formato dall'intersezione delle due rette) veniva diviso in altri quattro settori, per un totale di 16 settori, ognuno dei quali costituiva la sede di una divinità diversa: nel quadrante nord-est dimoravano le divinità più favorevoli (fra cui Tinia e Uni), mentre i settori del quadrante nord-ovest erano i più infausti, ed erano dedicati ai demoni dell'oltretomba; infine, i quadranti sud-ovest e sud-est erano le dimore delle divinità terrestri e della natura. A seconda del settore del cielo in cui apparivano fulmini, meteore o altri prodigi, il sacerdote risaliva alla divinità che governava quel settore e che, quindi, aveva scatenato il segno (stabilendo in questo modo se era di buon auspicio o meno), per poi cercare di dare un'interpretazione più concreta della volontà divina in base alla descrizione del prodigio e alle circostanze in cui si era verificato. La suddivisione della volta celeste si proiettava, poi, sugli elementi della terra, grazie alla stretta correlazione tra macrocosmo e microcosmo, punto cardine della religione etrusca. Quindi anche il fegato degli animali sacrificati rifletteva lo schema celeste e veniva idealmente suddiviso in settori dedicati alle varie divinità, le cui volontà venivano interpretate per mezzo delle particolarità osservate, come anomalie, cicatrici o altri segni particolari.

L'Etrusco fu una lingua parlata e scritta in diverse zone d'Italia e precisamente nell'antica regione dell'Etruria (odierne Toscana, Umbria occidentale e Lazio settentrionale), nella pianura padana - attuali Lombardia ed Emilia-Romagna, dove gli Etruschi furono espulsi successivamente dai Galli e nella pianura campana, dove furono poi assorbiti dai Sanniti. Tuttavia, il latino sostituì completamente l'Etrusco, lasciando solo alcuni documenti e molti prestiti linguistici nel Latino (per esempio, persona dall'Etrusco fersu), e numerosi toponimi, come Tarquinia, Volterra, Perugia, Mantova, (forse) Parma, e un po' tutti quelli che finiscono in "-ena" (Cesena, Bolsena, ecc.). Altri esempi di termini di probabile origine etrusca sono: atrium, fullo, histrio, lanista, miles, mundus, populus, radius, subulo. La lingua etrusca risulta attestata tra il IX e il III secolo a.C.

Era una lingua, secondo i più, non indoeuropea, ma alcuni linguisti, ad esempio Adrados, recentemente hanno proposto una (controversa) filiazione da una fase molto antica delle lingue indoeuropee di tipo Anatolico, particolarmente il luvio. La lingua etrusca, inizialmente diffusa nell'Etruria propria (Alto Lazio - Toscana, tra Tevere e Arno), si affermò successivamente in un'area più vasta, in parte della pianura padana e della Campania, in seguito alla notevole espansione della cultura etrusca intorno al VI secolo a.C. In particolare il dialetto di Comacchio, che presenta una particolare fonetica differente da tutti i dialetti confinanti, sarebbe, secondo un'ipotesi la lingua parlata attualmente più simile all'antico etrusco, mantenutasi grazie all'isolamento territoriale in cui è rimasto il territorio comacchiese fino all'epoca moderna.

Giacomo Devoto propose e più volte sostenne la definizione della Lingua etrusca come Peri-indoeuropea. Altri studiosi (Helmut Rix) collegano l'etrusco anche alla lingua retica, parlata dai Reti nell'area alpina fino al III secolo d.C.

Esistono due tipi di alfabeto etrusco:
arcaico: usato tra il VII e il V secolo a.C., è di stretta derivazione dall'alfabeto greco, appena modificato per adattarlo alla lingua etrusca;
recente, usato tra il IV e il I secolo a.C., deriva dall'alfabeto arcaico ed è l'alfabeto definitivo usato dagli etruschi fino al loro completo assorbimento nella civiltà romana.
Il verso della scrittura è bustrofedico nelle più antiche iscrizioni, mentre quelle classiche hanno l'andamento verso sinistra come nel punico. Poche iscrizioni seguono l'andamento da sinistra a destra, e in tal caso i caratteri etruschi sono riflessi. All'inizio le parole venivano scritte l'una di seguito all'altra senza punteggiatura o caratteri di separazione, poi si iniziò ad inserire da uno a quattro punti sovrapposti per separare le parole. Non esisteva il carattere maiuscolo o minuscolo.

L'artigianato artistico etrusco si sviluppa a partire dalla produzione villanoviana e si evolve a seguito degli influssi che giungono dall'esterno grazie agli scambi commerciali in area mediterranea. La produzione interna eccelle soprattutto nell'ambito della metallurgia: vasi, candelabri e statuette. La committenza è costituita dal ceto aristocratico e dalle esigenze della collettività in seguito ai fenomeni di urbanizzazione tra VII e VI secolo a.C. Gran parte della migliore produzione e delle importazioni è destinata ai corredi funerari, dove si depongono oggetti di lusso: gioielli, specchi e ciste.
Rilevanti informazioni sull'architettura etrusca sono offerte dal De Architectura di Vitruvio, che li classificava (in particolare le colonne) sotto un nuovo ordine, quello di "Tuscanicae dispositiones", esemplificando l'elementare metodo di tracciamento dell'impianto tipico e i caratteri essenziali della struttura architettonica. Il tempio era accessibile non tramite un crepidoma perimetrale, ma attraverso una scalinata frontale, orientata a mezzogiorno, cioè verso la parte favorevole del cielo. L'area del tempio era divisa in due zone: una antecedente o pronao con otto colonne disposte in due file da quattro, una posteriore costituita da tre celle uguali e coperte, ognuna dedicata ad una particolare divinità. A differenza dei templi greci ed egizi, che si evolvevano assieme alla civiltà e alla società, i templi etruschi sono rimasti sostanzialmente uguali nei secoli, forse a causa del fatto che nella mentalità etrusca essi non erano la dimora terrena della divinità, bensì un luogo in cui recarsi per pregare gli dei (e sperare di essere ascoltati). Elementi decorativi del tempio etrusco sono perlopiù applicazioni fittili, in buona parte realizzate serialmente a stampo. Fra queste, in particolare, acroteri ed antefisse in terracotta dipinta.

Le tombe etrusche si sono conservate, poiché costruite in pietra. Per la religione etrusca l'uomo necessita, nell'aldilà, di un ambiente familiare in cui trascorrere la vita dopo la morte, assieme agli oggetti personali che possedeva in vita: ciò spiega la cura con cui venivano costruite le necropoli. Le necropoli ("città dei morti") generalmente erano poste al di fuori della cinta muraria delle città. Erano composte principalmente da sepolture ipogee, ambienti sotterranei sovrastati da un tumulo che riproducevano la disposizione delle abitazioni, con arredi, vasi, stoviglie, armi, gioielli, ecc. Ognuna di queste tombe si articolava in diverse camere sepolcrali di dimensioni proporzionali alla ricchezza e alla notorietà del defunto o della famiglia del defunto. Anche gli affreschi alle pareti riproducevano scene quotidiane e costituiscono, assieme ai corredi funerari, una delle principali fonti di informazione sulla vita degli Etruschi, che concepivano l'aldilà come una prosecuzione della vita terrena. Altre tipologie tombali venivano ricavate all'interno di cavità naturali preesistenti (grotte, caverne, ecc.). Le tombe a edicola erano costruite completamente al livello della strada, a camera unica e a forma di tempio in miniatura nelle intenzioni, ma in pratica molto simili alle abitazioni con tetto a doppio spiovente dei primi insediamenti etruschi. Nella simbologia etrusca era molto significativa la forma a tempietto: essa rappresentava il punto intermedio del viaggio che il defunto doveva compiere dalla vita alla morte, una sorta di ultima tappa della vita terrena.

La scultura in pietra di ambito funerario era presente in rilievi su lastre, sul tamburo esterno delle tombe a tumulo o scolpita nella roccia all'interno delle stanze sepolcrali; era presente a tutto tondo in opere di statuaria destinate alle aree esterne nei pressi delle tombe o nella figura del defunto giacente sui sarcofagi; notevole tra gli altri il sarcofago calcareo della tomba dei Partunu, opera di pregevole fattura, databile a età ellenistica. Nella lavorazione della terracotta particolare importanza riveste la decorazione fittile di ambito architettonico.

La pittura etrusca rappresenta una delle manifestazioni più elevate dell'arte e della civilizzazione etrusca. Si sviluppa nel corso di diversi secoli dall'VIII sino al II secolo a.C. in contemporanea con la più evoluta pittura greca da cui è influenzata in molti aspetti, pur sviluppando una propria autonomia. La pittura etrusca ci è pervenuta da diverse fonti: gli affreschi funerari in diverse necropoli dell'Etruria, la pittura vascolare, alcuni frammenti di pittura in edifici pubblici. La gran parte delle testimonianze superstiti di pittura etrusca proviene tuttavia dalle tombe, che erano affrescate con scene di vita quotidiana (cacce, banchetti) ad affresco, con colori vivaci e predominanza della figura umana. I colori erano ottenuti attraverso la polverizzazione di sostanze minerali e i pennelli erano in setola animale. Le pareti delle tombe erano dipinte a colori vivaci (imitando, in taluni casi, la volta celeste, o scene di vita vissuta) per contrastare l'oscurità, simbolo della morte spirituale. Decorate a fresco su un leggero strato di intonaco, presentavano scene di carattere magico-religioso raffiguranti banchetti funebri, danzatori, suonatori di aulós, giochi, paesaggi. Dopo il V secolo a.C. figure di demoni e divinità si affiancano agli episodi di commiato, nell'accentuarsi del mostruoso e del patetico.

Tra i sepolcri più interessanti si annoverano le tombe che vengono denominate del Guerriero, della Caccia e della Pesca, delle Leonesse, degli Auguri, dei Giocolieri, dei Leopardi, dei Festoni, del Barone, dell'Orco e degli Scudi. Parte dei dipinti, staccati da alcune tombe allo scopo di preservarli (tomba delle Bighe, del Triclinio, del Letto Funebre e della Nave), sono custoditi nel Museo nazionale Tarquiniese.

Gli artigiani etruschi furono in grado di praticare le più sofisticate tecniche di lavorazione dei metalli preziosi: repoussé, incisione, filigrana e granulazione.

In particolare, la granulazione è una raffinata tecnica di lavorazione dell'oro grazie alla quale gli Etruschi venivano considerati dei veri e propri maestri dell'arte orafa. Questa tecnica consisteva nell'applicare piccolissime sfere (granuli) d'oro in particolari decorazioni sui gioielli. Si partiva da sottilissimi fili d'oro (di pochi decimi di millimetro di diametro) tagliati in minuscole parti fino ad ottenere una sottile "paglia". Questa, mescolata a carbone in polvere, veniva compressa in un crogiolo (sigillato con argilla) e sottoposta ad elevate temperature fino a raggiungere la fusione. La reazione chimica provocata dal carbone impediva all'oro fuso, durante il successivo processo di raffreddamento, di ricomporsi in maniera uniforme, costringendolo - invece - a "stracciarsi" formando una serie di minuscoli granellini. Una volta raffreddato completamente l'oro veniva lavato. A quel punto, per applicare i granelli sul gioiello veniva utilizzata una speciale colla (composta principalmente da carbonato di rame, acqua e colla di pesce) spalmata direttamente sulla superficie del monile. I granuli potevano, così, essere applicati in modo da formare una particolare decorazione o disegno. Per saldare le sfere d'oro permanentemente al gioiello si sottoponeva lo stesso al calore, all'interno di una muffola chiusa. In questo modo il rame della colla si fondeva, legandosi all'oro. L'ultima fase della lavorazione consisteva nel lasciare il gioiello all'aria, in modo che le sfere d'oro acquistassero lucentezza, perdendo quella caratteristica patina scura formatasi durante la fusione con il carbone del primo processo di lavorazione.

Già in uso presso gli antichi Egizi, la tecnica fu introdotta in Etruria in epoca orientalizzante, dove raggiunse un elevato grado di raffinatezza.

Presso gli Etruschi la musica non accompagnava solo la danza ma anche la caccia, le gare sportive, i banchetti e le funzioni religiose. Un brano della "Storia degli Animali", scritta da Claudio Eliano nel II secolo riporta che gli Etruschi, quando andavano a caccia di cinghiali e di cervi, non si servivano solo dei cani e delle reti, ma anche della musica: essi dispiegavano tutt'intorno le reti per tendere le trappole alle fiere, poi interveniva un esperto suonatore di flauto per produrre con il suo strumento, una melodia, la più dolce e armoniosa possibile. Questa, diffondendosi nella silenziosa pace delle valli e dei boschi arrivava fino alle cime dei monti, entrando nelle tane e nei giacigli delle fiere.

Quando la melodia giungeva alle orecchie degli animali, questi erano inizialmente presi dal timore, poi la musica li affascinava fino a farli uscire per andare incontro a quella voce al cui richiamo non sanno resistere. In questo modo le belve dell'Etruria erano trascinate nelle reti dei cacciatori dalla suggestione della musica.

Poco ci resta del computo del tempo degli etruschi.
Non avevano le nostre settimane e quindi neppure il nome dei giorni. Probabilmente il giorno iniziava all'alba. L'anno invece poteva iniziare come nella Roma arcaica il primo giorno di marzo (cioè il nostro 15 febbraio), o qualche giorno prima, il 7 febbraio.



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