La civiltà paleoveneta, secondo Omero, Livio e Virgilio ed accreditata da studi moderni, si sarebbe prodotta dalla fusione di abitanti indigeni della preistorica cultura Villanoviana Padana con gruppi di Eneti (o Enetoi o Heneti o Evetoy secondo Omero) provenienti dalla Paflagonia (Asia Minore - Turchia) tra i secoli XV e XII a.C.
I centri più importanti furono Padova e, soprattutto, Este il centro dominante da cui dipendevano numerosi villaggi sparsi lungo le innumerevoli vie d'acqua. Attività principale per la quale erano famosi fu l'allevamento dei cavalli, oltre all'agricoltura e a forme artigianali di sussistenza.
Migrazioni di tribù di Celti, Reti, Galli Cenomani, Galli Carni, Histri, che ambivano ad insediarsi nelle fertili terre padane, furono una costante per tutto il millennio avanti Cristo e finirono per intrecciarsi con gli antichi indigeni e gli 'immigrati' orientali.
All'incirca tra i secoli VI-III a.C. s'intensificarono i contatti con la vicina civiltà Etrusca, molto evoluta, dalla quale i Veneti trassero i caratteri alfabetici.
Quindi l'influenza militare e culturale romana, dal I secolo a.C., che finì per integrarsi con l'originalità Veneta e farne la regione più ricca ed abitata dell'impero.
I Veneti, a volte indicati anche come Venetici, antichi Veneti o Paleoveneti per distinguerli dagli odierni abitanti del Veneto, erano una popolazione indoeuropea che si stanziò nell'Italia nord-orientale dopo la metà del II millennio a.C. e sviluppò una propria originale civiltà nel corso del millennio successivo.
Caso unico tra i popoli dell'epoca nell'Italia settentrionale, si può stabilire l'identità tra la popolazione e la cultura veneta, ovvero agli antichi Veneti è possibile attribuire una precisa cultura materiale e artistica sviluppatasi nel loro territorio di stanziamento, la Venezia. Questa facies culturale si sviluppò durante un lungo periodo, per tutto il I millennio a.C., anche se nel tempo subì diverse influenze. Di questa popolazione e identità la documentazione archeologica è particolarmente ricca.
I Veneti si stanziarono inizialmente nell'area tra il Lago di Garda ed i Colli Euganei; in seguito si espansero fino a raggiungere confini simili a quelli del Veneto attuale, anche se bisogna considerare che la linea di costa del Mar Adriatico era più arretrata rispetto ad oggi. Secondo i ritrovamenti archeologici (che concordano anche con le fonti scritte), i confini occidentali del loro territorio correvano lungo il Lago di Garda, quelli meridionali seguivano una linea che parte dal fiume Tartaro, segue il Po e raggiunge Adria, lungo il ramo estinto del Po di Adria, mentre quelli orientali giungevano fino al Tagliamento. Oltre tale fiume erano insediate genti di ceppo illirico, anche se fino all'Isonzo la presenza veneta era tanto forte che si può parlare di popolazione veneto-illirica. I confini settentrionali erano invece meno definiti e omogenei; il territorio veneto risaliva soprattutto i fiumi Adige, Brenta e Piave verso le Alpi, che fungevano comunque da confine naturale. La presenza veneta sulle Alpi è attestata soprattutto nelle Dolomiti del Cadore, a Lagole.
La storia dei Veneti si può dividere in due periodi: uno antico, che va dalle origini fino al V secolo a.C., in cui è più evidente l'originalità culturale veneta, e uno più recente che va fino al I secolo d.C., che vede prima un influsso celtico, e poi una lenta assimilazione romana.
Nel periodo antico vi erano rapporti culturali con la Civiltà villanoviana, con l'Egeo e l'Oriente, e successivamente anche con gli Etruschi. Nel periodo più recente i Veneti vennero a contatto prevalentemente ad occidente con i Galli: ad ovest si stanziarono i Galli Cenomani (con cui si sarebbero alleati, insieme ai Romani), a sud i Boi (con cui invece furono sovente in guerra) e a nord-est i Carni, ad est e a sud-est rimasero prevalentemente in contatto con le popolazioni illiriche. Anche all'interno del Veneto vi fu qualche stanziamento di Galli, anche se in minima entità, probabilmente non sempre di tipo pacifico. L'influsso culturale celtico diventò comunque via via importante, e la cultura veneta lentamente mutò e si adeguò ai tempi; sempre importante si mantenne il rapporto con le popolazioni balcaniche di oltre Adriatico come quelle illiriche, con cui i Veneti venivano facilmente confusi dagli storici greci e che furono considerati parenti stretti dei Veneti fino al primo Novecento. Successivamente divenne decisivo il contatto con la civiltà romana, anche per i reiterati rapporti di alleanza che legarono i Veneti ai Romani e per la tradizionale ipotesi di parentela tra Veneti e Latini. La cultura veneta venne assimilata in quella romana già in età tardo repubblicana, anche se alcune specificità venete permasero, presumibilmente, nelle zone marginali anche in tarda età imperiale.
Nell'età del Bronzo fra il 1350 e il 1150 a.C. i villaggi terramaricoli delle basse pianure venete entrano in vasti circuiti commerciali che coinvolgono le coste del Baltico, l'area danubiano-carpatica, l'Egeo e il Mediterraneo orientale. Nelle pianure del Veneto meridionale fra il 1150 e il 900 a.C. sorge il grande centro preurbano di Frattesina, crocevia di traffici fra il Baltico, le Alpi Orientali e Cipro, con sistema socio-economico fortemente gerarchizzato; quindi si sviluppano Villamarzana, e poi Montagnana. Nel corso del X secolo crescono anche Treviso, Oderzo e Concordia. Nell'età del Ferro, intorno all'800 a.C., sono abbandonati alcuni grandi centri del Veneto meridionale; parallelamente sono fondate Este e Padova. Fra l'800 e il 600 a.C. i centri egemoni sono dominati da potenti gruppi dell'aristocrazia. Sorgono le prime grandi necropoli ai margini delle città. Nella media età del Ferro fra il 600 e il 400 a.C. le potenti città-stato venete hanno territori ben definiti; le aree collinari e montane sono invece organizzate in distretti di tipo "cantonale". Le città-stato di pianura hanno sistemi viari ortogonali simili a quelli dell'Etruria padana. Este ha importanti rapporti con il mondo etrusco, Padova con il mare e la frontiera nord-orientale. Ad Altino, nella laguna di Venezia, ad Adria e a Spina i Veneti incontrano mercanti greci ed etruschi. Nella tarda età del Ferro fra il 400 e il 200 a.C. popolazioni celtiche invadono l'Italia settentrionale e parte del litorale adriatico. I Veneti alleati dei Romani partecipano nel 222 a.C. alla battaglia di Clastidium contro Insubri, Boi e Gesati (tribù dei Galli). Poi avviene un pacifico ingresso del mondo veneto nell'orbita politica e culturale di Roma.
Secondo la storiografia romana, i Veneti sarebbero stati una popolazione proveniente dalla Paflagonia, regione dell'Asia Minore sul Mar Nero. Essi furono da lì espulsi, e per questo parteciparono alla Guerra di Troia, dove l'anziano saggio Antenore implorò i troiani stessi di restituire Elena ai Greci. A Troia morì anche Pilemene, il comandante degli Eneti (venivano così chiamati), che, rimasti senza patria e senza guida, si rivolsero ad Antenore che, dopo varie vicende, approdò sulle coste occidentali del Mar Adriatico settentrionale. Qui la popolazione scacciò gli Euganei, una popolazione di cui oggi non rimangono tracce rilevanti.
Nel racconto di Virgilio, Antenore viene addirittura presentato come fondatore di Padova. Ai Veneti viene associato pure Diomede, eroe divinizzato, il quale avrebbe fondato, oltre a Spina, anche l'importante città portuale di Adria, anche se l'abitato, pur avendo in effetti origini venete, è più conosciuta come emporio greco, come centro etrusco e successivamente gallico.
Plinio il Vecchio parla dei Veneti riferendo ciò che aveva scritto Catone:
« Venetos troiana stirpe ortos auctor est Cato »
« Catone attesta che i Veneti discendono dalla stirpe troiana »
(Gaio Plinio Secondo, Naturalis Historia, III, 130)
Strabone invece riporta un'ipotesi diversa, ovvero che i Veneti fossero una popolazione celtica: questo, perché egli era a conoscenza dell'esistenza di una popolazione portante lo stesso nome, i Veneti dell'Armorica (l'odierna Bretagna).
Le fonti antiche concordano nel parlare dei Veneti come di una popolazione giunta nella sua sede storica da una regione orientale, che raggiunse via mare l'Adriatico settentrionale e sbarcò nella costa occidentale; qui respinsero più a nord la popolazione nativa. Se l'ipotesi che vede nei Veneti una popolazione orientale, frazionata e dispersa dopo un'ampia diaspora, è abbastanza realistica, non lo è affatto l'ubicazione della loro patria originaria in un'area di cultura greca, e nemmeno la narrazione di uno spostamento via mare.
Per lungo tempo, la storiografia moderna ha accettato l'ipotesi, ispirata ad Erodoto, di una filiazione illirica dei Veneti, che sarebbero quindi stati il ramo più occidentale di quell'insieme di popolazioni indoeuropee. Nelle sue Storie, lo storico greco parla degli Ἐνετοί come di una parte del popolo illirico, stanziata presso l'Adriatico. La tesi dell'illiricità dei Veneti, sostenuta principalmente da Carl Pauli a fine XIX secolo, continuò a essere largamente condivisa anche quando, nella prima metà del XX secolo, Vittore Pisani e Hans Krahe dimostrarono che Erodoto si riferiva in realtà a una tribù illirica stanziata nella Penisola balcanica, e non in area italica.
La ricerca più recente, lavorando principalmente su materiale linguistico, è giunta a escludere una filiazione illirica per i Veneti, secondo quanto proposto già negli anni quaranta dallo stesso Krahe. Dopo un'iniziale proposta di legare la lingua venetica alle lingue italiche osco-umbre, ha in seguito trovato maggior credito il riconoscimento del venetico come parte della famiglia latino-falisca, comprendente anche il latino.[16] Su questo punto, tuttavia, l'indagine dell'indoeuropeistica è ancora aperta; più prudente, ad esempio, Francisco Villar.
La ricerca moderna, in questo modo, si è trovata in sostanziale accordo con quanto sostenuto già dalla storiografia latina: i Veneti condividono con i Latini una comune origine protostorica, anche se non attraverso quel comune legame con l'Antica Grecia (e con Troia in particolare) postulato dai Romani mediante il mito di Antenore. L'insieme indoeuropeo veneto-latino si era formato come gruppo a sé in un'area dell'Europa centrale, probabilmente ubicato entro i confini dell'odierna Germania e parte di un vasto continuum indoeuropeo esteso nell'Europa centro-orientale fin dagli inizi del III millennio a.C. Da qui mosse verso sud nel corso del II millennio a.C., probabilmente intorno al XV secolo a.C.; mentre una parte di queste genti proseguì fino all'odierno Lazio (i Latini), il gruppo che avrebbe dato origine ai Veneti si insediò a nord del Golfo di Venezia e lì si attestò definitivamente.
I migranti che giunsero nell'area veneta dalle regioni nord-orientali erano più probabilmente piccoli gruppi di colonizzatori, piuttosto che un'ingente massa di popolazione. Al di là delle questioni sulla loro origine, i Veneti erano di cultura articolata, abili guerrieri e commercianti arrivati. È probabile che i nuovi colonizzatori si siano sovrapposti alle popolazioni nativa (gli Euganei preindoeuropei).
I Veneti crearono una cultura unitaria che ebbe il suo massimo sviluppo tra l'VIII e il II secolo a.C., una cultura nettamente differenziata rispetto alle altre dell'Italia protostorica. Peculiarità di questa popolazione, presenti in tutto il territorio in cui erano stanziati, erano soprattutto le produzioni bronzee e fittili, le forti credenze religiose, le espressioni artistiche, l'agricoltura, armature e vestiti, lo strutturarsi di nuclei prima protourbani e quindi urbani e l'allevamento di bestiame.
La regione cispadana era abitata nel III secolo a.C. da numerose popolazioni bellicose – in particolare, i Galli che a partire dal secolo precedente avevano fatto irruzione nella regione – e i Romani si rivolsero, per ottenere aiuto, ai Veneti, poiché li ritenevano consanguinei per via della leggenda di Antenore. Romani e Veneti stabilirono rapporti di amicizia e di alleanza (già nel 283 a.C. il Senato romano aveva stretto un patto con i Veneti ed i Galli Cenomani per rallentare l'invasione gallica). Probabilmente i contatti avevano avuto inizio più anticamente, già nel 390 a.C.: infatti, quando i Galli Senoni di Brenno occuparono la stessa Roma, fu forse proprio grazie ad un'azione diversiva dei Veneti che potrebbero essere stati costretti a venire a patti con i Romani.
Nel 225 a.C. i Romani mandarono ambasciatori presso i Veneti ed i Galli Cenomani per stringere un'alleanza contro i Galli Boi e gli Insubri, che minacciavano le frontiere romane, ed essi rimasero dalla parte romana anche durante la Seconda guerra punica, mentre tutte le altre popolazioni galliche si erano schierate con Cartagine. Al termine della guerra, per poter completare la sottomissione della Gallia cisalpina (Galli e Liguri non accettavano la supremazia romana), Roma cominciò una vera e propria guerra di conquista, sempre sostenuta da Veneti e Cenomani. È probabile che in questo momento storico i Veneti fossero legati ai Romani tramite amicitia, diversamente dai Galli legati a Roma dal foedus: questo legame era utilizzato soprattutto negli Stati ellenistici, e prevedeva la neutralità, che poteva diventare alleanza solo in via eccezionale.
I Veneti non appaiono come un popolo bellicoso, e non furono coinvolti in battaglie o guerre importanti. Tuttavia non furono isolati, anzi intrattennero rapporti commerciali e culturali con la vicina Etruria e mutuarono certe caratteristiche artistico-sociali dai mercanti greci delle colonie. Ebbero con Roma rapporti amichevoli e si giovarono dell'aiuto della città laziale per allontanare la minaccia costituita dall'invasione dei Galli: in cambio di protezione, permisero ai Romani di stabilirsi pacificamente nel loro territorio, e in definitiva di colonizzarlo costruendo strade, ponti e villaggi. Il Veneto non venne quindi conquistato con la forza dai Romani, ma fu inglobato pacificamente e, con il tempo, la cultura veneta si perse e venne sostituita (in parte assimilata) dalle usanze di Roma.
I Veneti si stanziarono dapprima in piccoli villaggi, principalmente tra l'Adige e il Lago di Garda, ma anche nelle zone prealpine della Valbelluna, essendo allora la pianura Padana ricoperta da boschi e zone paludose. Una delle maggiori necropoli venete, perfettamente conservata, si trova infatti a Mel, tra Belluno e Feltre. I centri abitati sorgevano lungo i corsi d'acqua su dossi sabbiosi (dato che la sabbia è molto permeabile e si asciugava velocemente) e sulle colline. I centri abitati erano costituiti di poche capanne rettangolari raggruppate e collegate le une alle altre; quando il villaggio si espandeva, si costruivano abitazioni con più ambienti, e con parti riservate ad attività artigiane.
Le case erano formate da pareti con uno scheletro in legno, che veniva solitamente ricoperto di argilla, mentre la base era in pietra, in modo da ridurre l'umidità. I pavimenti erano di argilla battuta, mentre il tetto era di paglia. Il cuore delle abitazioni era il focolare, realizzato da una base di argilla sulla quale erano stesi frammenti di ceramiche e ciottoli (in modo che trattenessero il calore, agendo da isolante); attorno a esso si raggruppava la famiglia. I centri maggiori erano dotati anche di porti: non solo quelli lungo la costa, ma anche quelli situati lungo fiumi con sufficiente portata d'acqua. In quest'ultimo caso veniva scavata una rete di canali, consentendo così l'attracco di barche.
Sempre attorno ai centri più grossi i Veneti iniziarono il disboscamento delle foreste, e si organizzarono in centri abitati sempre più grossi, soprattutto lungo i fiumi Adige, Brenta e Piave. Le maggiori città furono Este, Altino, Padova, Montebelluna, Oppeano e Gazzo Veronese.
Le abitazioni sorte in aree montagnose erano differenti rispetto a quelle costruite in pianura o collina: si trattava di case seminterrate, con fondamenta in pietra ed elevazione in legno, esposte preferibilmente verso sud, in modo da ricevere la maggior quantità possibile di luce e calore.
Forti erano i contatti commerciali con il mondo greco, sia diretto sia mediato dai popoli dell'Italia meridionale, con l'Etruria e con le realtà vicino-orientali. Raffinati bronzetti giungevano dall'Etruria e dalla Grecia, perle colorate in pasta vitrea dalla zona del Caucaso, i pendenti in faience testimoniano contatti con l'Egitto, i manufatti in ceramica (daunia, ionica, attica a figure nere e rosse) con ricchi apparati figurativi mostrano come le coste dell'alto Adriatico fossero frequentate da naviganti provenienti dai più lontani lidi del Mediterraneo.
Dai reperti archeologici, tra i quali abbondano le rappresentazioni di sacerdoti, capi e notabili, si può inferire che i Veneti portavano grandi mantelli di lana pesante, che venivano appoggiati sulle spalle. Sotto il mantello, donne e uomini portavano una tunica di stoffa (più leggera rispetto al mantello), con maniche che potevano essere lunghe o corte, simili a quelle portate da Romani ed Etruschi. Nelle donne la tunica era spesso trattenuta da un cinturone (il quale veniva utilizzato anche dagli uomini e dai ragazzi), da cui, nella parte inferiore, si formavano delle pieghe. In alcuni casi esse vi sovrapponevano dei grembiuli. Le donne portavano anche, in testa o sulle spalle, uno scialle (o mantellina), simile a quello utilizzato in Veneto (soprattutto a Venezia e nella fascia montana) fino al Novecento. I Veneti portavano anche i cappelli, segni di distinzione e dalla tesa larga e rialzati sui bordi, stivali, utilizzati soprattutto per cavalcare, e calzature a punta. Dalle immagini pervenuteci si può vedere come era usanza maschile radersi il capo.
Sono arrivati sino ad oggi anche numerosi ornamenti del vestiario, come spilloni, pendagli, fibule, collane, braccialetti e orecchini, realizzati anche con materiali preziosi come oro, argento, corallo, ambra e perle.
I guerrieri portavano inizialmente scudi rotondi simili a quelli degli opliti greci, elmi a calotta bassa e con una cresta, e venivano spesso rappresentati con lance a punta larga. Successivamente si diffusero grandi spade, scudi di forma ovoidale ed elmi simili a quelli utilizzati dai Galli.
Non vi sono molte notizie scritte circa la religione veneta, ma sono stati ritrovati numerosi luoghi di culto, necropoli e materiale votivo. I luoghi di culto non erano quasi mai situati in edifici chiusi, ma i riti si svolgevano solitamente in boschi sacri, in luogo libero da vegetazione e circondato da grandi alberi. All'interno si svolgevano processioni con canti e danze sacre, e all'interno di piccole edicole in legno vi erano rappresentazioni sacre. La quantità dei siti fa presumere l'esistenza di una classe sacerdotale, il cui compito era l'accensione dei fuochi sacri e i sacrifici animali, oltre a quello di scrivere (la scrittura era un privilegio di pochi).
Nelle necropoli venete si possono distinguere i doni modesti dei ceti meno abbienti e quelli dei più ricchi, i quali venivano depositati insieme alle spoglie come corredo funebre. Il corpo del defunto veniva cremato e le ceneri erano poste in apposite urne e, durante la sepoltura, si offrivano alle divinità cibo e bevande (si praticava, dunque, il rito del banchetto funebre). Si è a conoscenza della presenza del culto degli elementi naturali, e in particolare dell'acqua medicamentaria (o per lo meno ritenuta tale), mediante la quale la divinità interveniva dando la guarigione: la cerimonia prevedeva la richiesta di guarigione da parte del malato, una processione e quindi vi erano le offerte a qualche idolo.
Ad Este è stata rinvenuta una lamina da cui si può ricavare il nome di una divinità: Reitia, dea guaritrice, della natura, protettrice delle nascite e dea della fertilità. Essa viene rappresentata con i tipici abiti veneti e con in mano la chiave per aprire la porta dell'aldilà.
Nei territori abitati dai Veneti sono state rinvenute molte sortes, tavolette di ossi di animali con iscrizioni, gettati dagli indovini per trarne gli auspici (ad esempio a Magrè di Schio, ad Asolo, sul Monte Summano in provincia di Vicenza).
La lingua dei Veneti, detta dai linguisti lingua venetica o semplicemente lingua veneta, è documentata da iscrizioni risalenti a un arco di tempo compreso tra il VI e il I secolo a.C. e redatte prima in un alfabeto etruscoide (dal quale differiva per varie aggiunte, per esempio quella della vocale /o/), poi in alfabeto latino (entrambi derivati da quello greco). Questa lingua è di classificazione incerta; tuttavia, condivide numerosi tratti fonetici e morfologici con il latino, tanto da condurre Giacomo Devoto e diversi altri studiosi a ipotizzare una parentela genetica tra i due idiomi, giunti in Italia nel corso di uno stesso movimento migratorio di elementi indoeuropei dall'Europa centrale o centro-orientale. L'introduzione della scrittura con un alfabeto etrusco settentrionale risale ad un'epoca intorno al 600 a.C.
Era una lingua di ceppo indoeuropeo, lo stesso a cui appartengono alcune lingue dell’India, le lingue germaniche (tedesco, inglese, danese, svedese, norvegese, ecc.), quelle celtiche (gallese, scozzese, irlandese, ecc), quelle slave (russo, bulgaro, polacco, ecc.), l’albanese, il greco, l’ iranico. Dello stesso ceppo è anche il latino, da cui sono derivate le lingue cosiddette neolatine o romanze: il francese, lo spagnolo, il portoghese, il rumeno e naturalmente l’italiano con i suoi dialetti.
Dalle iscrizioni riportate su lamine di bronzo e altri oggetti di metallo, su manufatti di ceramica e, più tardi , da quelle scolpite su pietra (iscrizioni lapidee).
Quelle a nostra disposizione sono ormai varie centinaia e sono custodite, assieme agli altri reperti di origine venetica, in vari musei della regione, di cui Il più importante è quello di Este. Solo nel secolo appena passato esse sono state studiate e decifrate sistematicamente, ad opera soprattutto di studiosi dell’Università di Padova del calibro di G. B. Pellegrini e A. L. Prosdocimi. Le iscrizioni, assieme agli altri reperti archeologici, hanno fatto conoscere molti aspetti della vita e della organizzazione sociale degli antenati Veneti.
La scrittura va da destra a sinistra, non va a caporiga, ma gira verso l’alto continuando da sinistra verso destra senza interruzioni o intervalli fra una parola e un’altra e senza punteggiatura. E’ chiamata “bustrofedica”, perché viene paragonata al percorso che fanno i buoi quando arano.
Noi invece scriviamo da sinistra a destra e andiamo a capo appena finita la riga.
L’alfabeto che i Veneti usavano l’avevano mutuato dagli Etruschi, adattandolo alla loro lingua che non era però quella degli Etruschi. Dovettero aggiungere , ad esempio la lettera “o” che gli Etruschi non avevano.
Abbiamo detto che le scritte più antiche erano su lamine di bronzo o su oggetti di ceramica e che quelle più recenti erano su lapidi, cioè su pietra, e il materiale lapideo ci parla del lento abbandono da parte dei Veneti della loro lingua nativa per adottare il latino, la lingua degli alleati-dominatori romani. Lì scopriamo che le più antiche iscrizioni erano rigorosamente in lingua e caratteri venetici; successivamente cominceranno ad apparire iscrizioni a caratteri latini, ma in lingua venetica. Nelle più vicine a noi, lingua e scrittura sono esclusivamente latine: esse ci indicano che i nostri progenitori, oltre che l’indipendenza politica, avevano ormai perso un altro tesoro importante: la propria lingua.
Molti studiosi ritengono che vi si possa far risalire l’uso dell’interdentale, cioè di quel suono che si ottiene mettendo la lingua fra i denti e che è presente in termini come zhuc (zucca), zhavàta (ciabatta), zhavariàr (vaneggiare), zhiésa (siepe), ecc . Ora esso appare relegato, anche nel Trevigiano, a qualche zona periferica, quasi ovunque sostituito dalla “esse sorda”, perché contrassegnato da una connotazione negativa: mantenerlo dà l’impressione di essere grezzi e retrogradi. Eppure è usato in tutta tranquillità in lingue straniere come l’inglese (thing, think, three, ecc.. ) o in spagnolo (cabeza, corazon, cerbeza,ecc.).
Si fanno risalire al substrato paleoveneto anche i nomi di certe città, che hanno una caratteristica in comune: sono parole proparossitone o sdrucciole, cioè hanno l’accento sulla terzultima sillaba, come ad esempio Asolo, Abano, Enego, Padova.
Bisogna sapere che i nomi di luogo (topònimi) sono quelli che meglio resistono alla prova del tempo e di rado vengono sostituiti radicalmente: al massimo possono subire qualche modificazione in correlazione con l’evolversi delle abitudini linguistiche dei parlanti.
Alla scuola elementare ci avevano insegnato che l’alfabeto italiano era composto di 21 lettere, dalla “a” alla “zeta”. Ora se ne aggiungono normalmente altre tre: la “J”, La “X” e la “Y”, che servono di solito per la trascrizione di parole straniere, anche se la “j” veniva già usata un tempo per indicare la i consonantica in parole come jeri, vassoio/ vassoj, frantojo/frantoj, gioja ecc.
Nelle parlate venete ci sono dei suoni o fonemi che non hanno riscontro nella lingua italiana. Chi ha il gusto di scrivere in dialetto o di trascrivere, sempre in dialetto, antichi detti, racconti o altro si trova in difficoltà di fronte a questo scoglio. La Giunta regionale del Veneto, nell’intento di metter ordine rispetto a questo problema, ha nominato nel 1994 una commissione scientifica coordinata dal prof. Manlio Cortelazzo. Il risultato fu la realizzazione e la pubblicazione nel 1995 del manuale “Grafia Veneta Unitaria”, che esamina tutte le modalità usate per rappresentare i vari fonemi o suoni da parte di chi scrive in veneto e inoltre consiglia la versione da preferire. Uno dei criteri seguiti dalla commissione era quello di “allontanarsi il meno possibile dalle consuetudini grafiche dell’italiano”.
Peculiaria dei Veneti era la cosiddetta "arte delle situle". Queste situle venivano create tramite la lavorazione del bronzo in lamine, che venivano modellate e ricongiunte a formare non solo situle, ma anche più in generale vasi, coperchi, cinture e foderi di pugnali e spade. Le lamine venivano lavorate a sbalzo, ovvero l'artista batteva la lamina dal rovescio, facendo così sollevare al diritto le forme volute, creando un bassorilievo.
Con i Veneti si passò per la prima volta dalla raffigurazione geometrica a quella di figure naturali e umane, come si può vedere nell'importante Situla Benvenuti. Questa situla, della quale manca la parte inferiore (che terminava in un basso piede svasato), era parte del corredo funebre di una tomba femminile, scoperta nella necropoli Benvenuti. Essa è il primo e più importante esempio di situla con raffigurazioni umane. Sono visibili tre fasce in cui sono rappresentate uomini, attività umane (guerra, gare, commercio) e figure mitologiche. Situle, cinturoni, elmi, laminette presentano sulle superfici motivi decorativi legati alla realtà quotidiana, ai commerci, alle attività agricole, alla ritualità, alla guerra insieme con animali fantastici di derivazione orientale.
Gli unici precedenti – soltanto per ciò che riguarda la forma – delle situle venetiche sono manufatti orientali e centro-europei. Per quanto riguarda, invece, i soggetti raffigurati, l'unico precedente è il tintinnabulo della Tomba degli ori di Bologna, del VII secolo a.C. Quest'arte nacque probabilmente in ambito veneto, dove si sviluppò per secoli passando da forme più naturali a forme più artificiose, in un certo senso "barocche". Gli ultimi esempi ad oggi conosciuti di questa arte sono le laminette dei donari.
Il cavallo, chiamato Ekvo dai Veneti antichi, animale-totem della protostoria dell'Europa, giocò nella loro cultura un ruolo di prim'ordine. Questi animali erano allevati per la loro valenza economica e come simbolo di predominio aristocratico e militare. I cavalli dei Veneti erano noti per la loro abilità nella corsa ed erano spesso riprodotti negli ex voto, nelle aree più sacre. Centinaia di bronzetti a forma di cavallo o di cavaliere su cavallo provengono dai luoghi di culto dei Veneti. Al cavallo erano riservati appositi spazi di sepoltura nelle necropoli. Il cavallo compare in vari manufatti come immagine simbolica o elemento decorativo nonché in alcune sepolture (come quella del Piovego, VI-V sec. a. Cr.) insieme all'uomo che di lui si era preso cura in vita.
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