sabato 18 aprile 2015

PERSONE DI ANGERA : PIETRO MARTIRE D' ANGHIERA



Pietro Martire d'Anghiera è stato uno storico spagnolo di origine italiana.

Nacque ad Arona sul lago Maggiore il 2 febbraio 1457, da famiglia di cognome ignoto, probabilmente cospicua, verosimilmente originaria di Anghiera, ma proprietaria di beni ad Arona. Ebbe almeno due fratelli minori, Giorgio, che fu governatore di Monza, e Giambattista, per il quale ottenne, per raccomandazione dei sovrani di Spagna, l'accesso nell'esercito della Repubblica veneta. Passò alcuni anni alla corte ducale di Milano e fu nutrito di buoni studi umanistici, ma in proposito non si hanno particolari. Dopo l'uccisione di Gian Galeazzo si trasferì a Roma (ve lo troviamo almeno dal 1478), munito di efficaci raccomandazioni, specie di Ascanio Sforza, onde vi ebbe favorevoli accoglienze e fu in rapporti con l'Accademia di Pomponio Leto e del Platina, pure mantenendo intatti i suoi principi cattolici: fu ospite di Bartolomeo Scandiano nella sua villa di Rieti, poi, durante il pontificato di Innocenzo VIII, segretario del governatore di Roma F. Negri, con il quale visitò Perugia e altri luoghi dello Stato pontificio. Nel 1486 Iñigo Lopez de Mendoza, conte di Tendilla, venuto come ambasciatore dei sovrani spagnoli a Roma, dove si trattenne quasi un anno, fu colpito dall'ingegno vivace e dalla vasta cultura del giovane non ancora ventenne e lo indusse a seguirlo in Spagna. L'Anghiera aderì, nonostante il parere contrario del Leto, del cardinale Arcimboldi arcivescovo di Milano e, soprattutto, dello Sforza (creato cardinale nel 1484), che tentò di tutto per distoglierlo; non riuscendo nell'intento, si fece almeno promettere che avrebbe mandato frequenti rapporti su tutto ciò che accadeva alla corte spagnola; promessa che fu mantenuta, poiché abbiamo numerose lettere allo Sforza (e ad altri) ricche di preziose informazioni. In Spagna, dove si fece subito un posto di primo piano a corte,  doveva rimanere ormai per tutto il resto della sua vita, salvo brevi assenze per missioni. Dal 1488  ora a seguito del Tendilla, ora dello stesso Ferdinando prese parte attiva alle ultime campagne di guerra contro gli Arabi, militare e storico al tempo stesso. Fu nel 1489 all'assedio di Baza, espugnata solo nel dicembre, e poi all'assedio di Granata, ultima fortezza tenuta dai Mori. Di questi fatti d'arme, decisivi per la storia di Spagna, egli fu, in molte sue lettere, relatore preciso ed efficace; ad esse ricorsero, come a fonte sicura, molti storici posteriori. A Granata conobbe probabilmente Cristoforo Colombo, intermediario forse il confessore della regina Isabella, Talavera, amico e protettore di ambedue gli italiani. Affascinato dallo splendore della città, vi rimase a fianco del Tendilla, che ne fu primo govematore, e del Talavera, primo vescovo. E durante il soggiorno a Granata, che dovette rappresentare per lui un periodo di riposo, egli maturò il proposito di mutare l'abito militare per quello ecclesiastico: abbracciò gli ordini minori ed ebbe uno stallo di canonico nella cattedrale. Ma solo parecchi anni più tardi divenne prete, e fu anzi protonotario apostolico.
Il rientro a corte avvenne sul finire del 1492, allorché la regina Isabella lo nominò "contino de su casa", ossia gentiluomo di camera, e da allora egli divenne un valido aiuto della regina nel nobile proposito diredimere il popolo spagnolo dalla ignoranza in cui versava. Egli stesso fu maestro e precettore di molti giovani nobili seguendo la corte nei suoi spostamenti di città in città; invitato dalla università di Salamanca, rifiutò la cattedra, ma consentì a tenere una lettura ed ebbe un uditorio di quattromila tra professori e studenti; un vero trionfo, che egli stesso esaltò in una lettera celebre.

A corte ebbe la ventura di seguire da vicino la grande impresa di Colombo e di assistere al suo trionfale ritorno dalla prima navigazione transoceanica. Ne dette notizia subito in lettere, specie allo Sforza, al conte Giovanni Borromeo, poi ad altri conoscenti, anche spagnoli, e le informazioni in esse contenute sono tra i documenti contemporanei più importanti e più significativi della eccezionale impresa. Notevole è che Colombo vi è sempre additato come figure.

Anche negli anni seguenti  dovette seguire con perspicace attenzione,tutti i fatti e gli avvenimenti connessi con la scoperta del Nuovo Mondo e in genere con le navigazioni oceaniche: fu in rapporto con Sébasúano Caboto, con Vasco da Gama, con Amerigo Vespucci, con Fernando Cortés, con Fernando Magellano. Nel 1497 fu designato per una missione diplomatica in Boemia, che peraltro non ebbe poi più luogo. Quattro anni più tardi gli venne invece affidata dal sovrano una-missione molto delicata e, di gran fiducia presso il sultano d'Egitto, che, inasprito dalle persecuzioni contro i Mori in Spagna, minacciava rappresaglie contro i cristiani e specialmente contro i francescani della Custodia di Terrasanta.

Raggiunta per terra Venezia, dove fece un breve ma delizioso soggiomo, si imbarcò per Rosetta, vide Alessandria, della quale descrisse a vivi colori, lo squallore, raggiunse il Cairo, visitò, con grande curiosità, la multiforme città e i suoi dintorni; ricevuto benevolmente dal sultano e compiuta con successo la sua missione, si rimbarcò per Venezia, che stava allora per schierarsi coi Francesi contro la Spagna. Qualche passo fatto per comporre la vertenza, senza essere a ciò autorizzato, lo mise in difficoltà. Trasferitosi da Venezia in Lombardia, rivide con grande emozione Arona, suo paese natale, e poté tornare in Spagna per via di terra, con un salvacondotto ottenuto per mezzo del card. d'Amboise.

Dei viaggio in Egitto scrisse una breve, ma diligentissima relazione (Legatio Babylonica), che, ricca di osservazioni de visu, fu assai apprezzata dai contemporanei e contribuì a dissipare molte idee errate che ancora a quel tempo circolavano sull'Egitto.

In questo periodo  ricevette gli ordini religiosi maggiori e fu nominato priore del capitolo di Granata, ma continuò ad occuparsi in modo particolare delle relazioni coi diplomatici che frequentavano la corte. Morta la sua grande protettrice, la regina Isabella (26 nov. 1504), trascorse alcuni mesi appartato a Granata, ma poi raggiunse il re Ferdinando e lo assisté con consigli nel burrascoso periodo che seguì la morte della regina; e di tutti gli avvenimenti, così di quelli familiari, come dei politici, tenne sempre diligente nota. Dopo la morte di Ferdinando, nel 1516, i fatti che accompagnarono gli inizi del regno di colui che doveva divenire poi uno dei più grandi sovrani del mondo, hanno un'eco nella sua corrispondenza.

Da qualche anno si era accinto alla stesura della grande opera cui deve soprattutto la sua,fama, le Decades de Orbe novo, delle quali la prima fu pubblicata, insieme con altri suoi scritti, a Siviglia già nel 1511, e a sua insaputa, come egli stesso ha occasione di farci sapere con vivo e ripetuto rammarico; le prime tre erano tutte composte nel 1515 e l'autore ne mandava copia a Leone X, che gradì moltissimo il dono e nell'anno seguente ne autorizzò la stampa. L'opera dovette essere molto apprezzata, perché nel 1520 fu nominato storiografo ufficiale, con lauto stipendio, e già due anni prima era stato addetto al Consiglio delle Indie, e qualche tempo dopo ebbe addirittura l'alto ufficio di consigliere dell'importante istituzione, allora riordinata. Nell'esercizio di questa sua funzione, in anni ricchi di tante vicende per le terre nuovamente scoperte, impegnò tutta l'autorità che gli veniva dalla lunga pratica di affari diplomatici e dalla larga conoscenza che egli aveva di uomini, di paesi, di avvenimenti recenti.

Le ambizioni  non furono mai eccessive: nel 1518 declinò, allegando la sua età avanzata, la designazione ad ambasciatore presso il sultano di Costantinopoli; invece nel 1521, forse per un ritorno di nostalgia, rinnovò il tentativo già fatto dieci anni prima di ottenere l'abbazia di San Graziano in Arona, sua città natale, e rimase deluso di non aver potuto soddisfare questo desiderio. Nel 1524 il re lo fece nominare da Clemente VII abate mitrato di Santiago nell'isola di Giamaica; non poté prendere possesso di persona di questo uffìcio, ma ne devolvé le rendite per costruire la chiesa di Sevilla del Oro in quell'isola.

Sofferente di fegato da più anni, era malato nel giugno 1526 allorché la corte fissò la residenza a Granata; la città dove l'A. aveva iniziato la sua carriera doveva vederne la fine. Il 23 settembre fece testamento, lasciando la maggior parte dei suoi beni ai parenti in Lombardia e morì pochi giorni dopo. Il suo corpo venne sepolto nel duomo di Granata.

Può definirsi, per cultura e per spirito, un umanista, anche se la sua conoscenza del latino letterario non fu perfetta; dell'umanista ebbe l'interesse per tutte le cose nuove anche nel campo scientifico, onde la continua penetrante attenzione portata a tutti gli avvenimenti connessi con la scoperta del Nuovo Mondo; dell'umanista ebbe l'ingegno vivace, l'abito mentale. Fu scrittore e descrittore diligente, ed abilmente sfruttò informazioni attinte a conoscenze personali o a documenti e materiali che ebbe sotto mano per ragioni di ufficio. Come fonte storica è giudicato molto autorevole, anche se da usarsi con qualche cautela, per tutto il periodo (34 anni) che le Decadi abbracciano; fonte di prim'ordine per Colombo, della cui scoperta fu il primo ad intuire l'importanza, e anche per Vespucci, Caboto, Vasco da Gama, Balboa, ecc.

Come si è già accennato, quando si decise a lasciare l'Italia, lo Sforza si fece da lui promettere una continuata corrispondenza su tutto ciò che di notevole fosse man mano da segnalare in Spagna. E la promessa fu largamente mantenuta: l'Opus epistolarum, dedicato proprio allo Sforza, contiene 813 lettere che vanno dal 1488, poco dopo la sua partenza da Roma, al 1525. Esse naturalmente non sono tutte dirette allo Sforza, ma a molti altri personaggi, sia spagnoli come in prima linea il conte di Tendilla, sia italiani, come Giovanni Borromeo, Pomponio Leto, Bartolomeo Scandiano, Pietro Ranzano e altri.

In alcune lettere sono state rilevate contraddizioni, incertezze, elementi di sospetto valore; ma si deve tener presente che la edizione che ne possediamo è assai imperfetta e forse in alquante lettere furono introdotte interpolazìoni. E può darsi anche che talune lettere possano essere dirette a destinatari fittizi, come esercitazioni letterarie, secondo un uso non infrequente nel secolo XVI; ma a nessuna lettera potrebbe negarsi autenticità di contenuto. Celeberrime sono le tre lettere del 1493 dirette rispettivamente a Giovanni Borromeo (14 maggio), al conte di Tendilla (13 settembre) e ad Ascanio Sforza (stessa data), nelle quali si accenna al felice ritorno di Colombo dalla prima traversata atlantica; ma dei viaggi colombiani successivi si parla in numerose altre lettere, dalle quali si possono anche seguire tutte le vicende delle successive spedizioni spagnole e portoghesi e rilevare le conseguenze delle inattese scoperte, delle quali  fu testimone, alla corte di Spagna, per tutto il periodo che può dirsi eroico, chiuso dalla circumnavigazione di Magellano. In conclusione le lettere  hanno il valore di fonte storica di prim'ordine.

Di quello stesso periodo le Decades de Orbe novo costituiscono in sostanza una narrazione continuativa. Le iniziò nel 1493 e ancora una volta sotto forma di lettere (dieci) dedicate ad Ascanio Sforza, al card. Ludovico d'Aragona ed (una) al conte di Tendilla. Esse furono, come sappiamo dallo stesso autore, raccolte in opuscolo e pubblicate senza il suo consenso a Siviglia nel 1511. Più tardi, continuando la sua esposizione, dette ad essa la forma di Decadi, forse ad immagine di Tito Livio.

L'opuscolo su menzionato, ampliato e riveduto, costituì la prima Deca, pubblicata con la seconda e la terza ad Alcalá (Compluti) nel 1516. Queste tre decadi sono dedicate a papa Leone X; la quarta, che reca la data 1519, è pure dedicata allo stesso pontefice; della quinta i primi capitoli sono dedicati ad Adriano VI in data 30 ott. 1520, i successivi a Clemente VII senza data (ma non prima dei settembre 1522 perché vi si parla del ritorno della nave superstite di Magellano). La sesta decade, presentata a Giovanni Ruffo arcivescovo di Cosenza, è del 1522 o 1523, la settima, dedicata a Francesco Maria Sforza duca di Milano, è del 1525, l'ottava dedicata a Clemente VII, è della fine dello stesso anno. La prima edizione completa fu pubblicata, come si è già detto, nel 1530.

Per giudicare a pieno il valore delle Decades come fonte storica bisogna anche qui distinguere anzitutto fra le notizie che l'autore ci dà in base a rapporti personali con viaggiatori, navigatori, conquistatori che conobbe, interrogò, o dai quali ebbe narrazioni e relazioni di prima mano, e le informazioni che arrivarono a lui per via indiretta e che non sempre poté controllare. Inoltre in quanto egli scrive si intravede talvolta l'influenza dell'ambiente di corte e degli alti personaggi coi quali fu in relazione. Ma un giudizio definitivo non può darsi, mancando un'edizione critica delle Decades e, in base ad essa, un esame critico e comparativo con altre fonti contemporanee. Certo l'opera fu presto e largamente utilizzata dagli storici, a cominciare dall'Oviedo il cui Sumario de las Indias occidentales (1526) è scritto sulla falsariga, anzi può considerarsi addirittura come un riassunto delle Decades.


LEGGI ANCHE : http://asiamicky.blogspot.it/2015/04/le-citta-del-lago-maggiore-angera.html


.

FAI VOLARE LA FANTASIA 
NON FARTI RUBARE IL TEMPO
 I TUOI SOGNI DIVENTANO REALTA'
 OGNI DESIDERIO SARA' REALIZZATO 
IL TUO FUTURO E' ADESSO .
 MUNDIMAGO
http://www.mundimago.org/
.
 GUARDA ANCHE


LA NOSTRA APP



http://mundimago.org/le_imago.html



Nessun commento:

Posta un commento


Eseguiamo Siti e Blog a prezzi modici visita: www.cipiri.com

Post più popolari

Elenco blog AMICI