sabato 18 aprile 2015

ISOLINO PARTEGORA

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L'isola offre un patrimonio naturalistico di forte interesse e variegato, dove nidificano specie protette come folaghe, cigni, anatre, germani reali, in un ambiente caratterizzato dalla presenza di canneti e ninfee bianche.L'Isolino Partegora è un piccolo scoglio del Lago Maggiore, al centro del golfo di Angera, unica isola del Lago Maggiore situata in territorio lombardo.

Si trova a poche decine di metri dalla riva e il suo nome "parte-gora" deriva forse dal fatto che si trova al centro di una "gora" del lago. È quasi completamente circondato da canneti che lasciano libera la sola riva meridionale, dove si va a formare una discreta spiaggia sabbiosa. A poche decine di metri verso ovest, sommerso dalle acque, si trova un masso erratico detto "sass margunin" o "margunée".

Sull'Isolino, secondo tradizione, si sono fermati i santi fratelli Giulio e Giuliano: oramai stanchi del loro girovagare per l'Italia a edificare chiese, volevano costruirvi una casa ed attendere la chiamata di Dio. Un mattino, Giulio, pervaso da spirito profetico, chiama Giuliano e gli dice: " Un lupo ed una volpe qui faranno strazio di carni innocenti. Allontaniamoci!" Abbandonarono Angera per portarsi sul lago d'Orta.

Nel 1066 un "lupo" (il vescovo Guido da Velate) e la "volpe" (Oliva de Vavassori, sua concubina) vi faranno barbaramente trucidare il chierico (e martire) Arialdo da Cucciago, uno dei fondatori del movimento chiamato "Pataria".

Il Partegora è però meglio noto per un'importante scoperta scientifica del 1776. Qui, il 4 novembre di quell'anno, Alessandro Volta, ospite della famiglia Castiglioni, rovistando con un bastone nella palude che circonda la parte nord dell'isola, notò la fuoriuscita di bolle di gas dal fondo della melma: le raccolse in alcune bottiglie, e, nei giorni seguenti, durante alcuni esperimenti, riuscì a provocare la combustione del loro contenuto. Chiamò "aria infiammabile" quel gas, che in seguito venne classificato come metano.

A pochi metri dal muretto di contenimento, fra i canneti, un cippo con le lettere " P.C. " sta ad indicare che era " proprietà Crivelli". Il conte Giuseppe Crivelli Serbelloni era imparentato con i duchi Serbelloni di Taino; la proprietà passò poi alla famiglia Brovelli e nel 1945 fu ceduta al comune di Angera a ricordo dei due figli marinai morti nella seconda guerra mondiale.
Una leggenda narra che nel castello che sorge sul colle della Rocca, viveva, tanti anni fa, un nobile signore che aveva una figlia, la bellissima Radegonda. Il padrone del castello e gli abitanti del borgo sarebbero vissuti in pace se non fosse stato per le scorrerie del marchese Margolfo che chiedeva sempre nuove tasse e, quando i poveri angeresi non riuscivano a pagarle in tempo, arrivava a cavallo coi suoi armati e devastava ed incendiava i campi, i prati, le case. Quando dal torrione della Rocca si vedeva in lontananza la nuvola di polvere che preannunciava l'arrivo di Margolfo, la bella Radegonda scendeva in paese e si rifugiava nel suo padiglione, fra gli alti pioppi dell'isolino Partegora. Ma un brutto giorno c'era una nebbia che non si vedevano nemmeno le mura del castello il marchese arrivò inaspettatamente e Redegonda non fece in tempo ad andarsene. Quando Margolfo la vide, decise immediatamente di sposarla ed il castellano, anche se a malincuore, dovette concedergli in moglie la sua amatissima figlia, perchè il marchese era un uomo molto potente e non si poteva contraddirlo. Gli disse quindi di ritornare dopo due mesi, giusto il tempo di preparare i festeggiamenti.

La povera Radegonda era disperata: non mangiava più, non dormiva più e piangeva piangeva da far compassione anche alle pietre. Poco prima della data stabilita per le nozze, decise di andare al padiglione dell'isolino per dare un addio ai suoi cari pioppi, alla famiglia dei cigni che aveva fatto il nido nel canneto, all'usignolo che la rallegrava con le sue serenate. Ma quella sera l'usignolo non cantava. Radegonda alzò lo sguardo per cercarlo, ma vide soltanto le nuvole che correvano veloci al di sopra dei rami. Ad un tratto notò che una di queste nuvole, bianca, luminosissima, scendeva sull'isolino. Chiuse gli occhi, abbagliata da tanto splendore e, quando li riaprì accanto a lei c'era un giovane bellissimo: era il principe delle nuvole che, impietosito dalle sue lacrime, cercava di portarle conforto. Da quella sera Radegonda passò le sue giornate all'isolino e la compagnia del giovane principe quasi le faceva dimenticare che si avvicinava il momento delle nozze. Ma il giorno tanto temuto arrivò. Giunto il marchese Margolfo con la sua scorta, non trovò Radegonda e nessuno gli volle dire dove fosse nascosta. Nessuno eccetto una vecchia malvagia che viveva in una casetta sulla riva del lago: la vecchia si era accorta che mancava la barchetta di Radegonda, ormeggiata di solito sulla riva. Fu così che Margolfo venne a conoscenza del nascondiglio della promessa sposa e, sceso alla riva del lago di fronte all'isolino, cominciò a chiamarla, ordinandole di tornare subito a riva altrimenti sarebbe andato a prenderla lui stesso. Radegonda continuò a tacere anche quando un tonfo ed un forte sciacquio le fecero capire che Margolfo si era buttato in acqua e stava nuotando verso di lei. Allora il principe delle nuvole si rivolse alle sue sorelle, le nuvole nere, perchè accorressero in aiuto della bella Radegonda.

Dal cielo, improvvisamente coperto di nubi temporalesche, un fulmine si abbatté sul marchese che, trasformato in un macigno, si inabissò nel lago. Tutti si rallegrarono per la fine del tiranno, pensando che con lui fossero finiti anche i loro guai. Ma non fu così. Pochi anni dopo la zona fu colpita da una grande siccità. Le acque del lago si erano molto abbassate, ed un giorno un pescatore che stava attraversando con la sua barca il braccio di lago che separa la riva di Angera con l'isolino Partegora fece appena in tempo ad evitare uno scoglio di cui non si era mai accorto. Si fermò, gli girò intorno, e vide incise sulla roccia queste parole:

"Quando mi vedrete piangerete"

E piansero davvero quell'anno gli abitanti di Angera, perchè nei campi, a causa della siccità, non crebbe nemmeno un filo d'erba. Ancora oggi quando quel sasso affiora dall'acqua del lago, l'erba cresce a stento nei prati, gialli e riarsi come dopo le scorrerie del terribile Margolfo.



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