venerdì 3 aprile 2015

IL MONTE TOMBEA

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Il Monte Tombea è una montagna delle Prealpi Bresciane e Gardesane alta 1976 m. Fa parte del gruppo montuoso che a sud del lago di Ledro si estende tra il lago d'Idro e il lago di Garda ed è composto da ovest a est dal Cingolo Rosso e monte Cingla, Bocca di Val, Bus del Gat, Cortina, Bocca di Cablone, Dosso delle Saette, Cima Tombea, monte Caplone, Bocche di Lorina, Cima del Fratone, Dosso della Fame, Cima del Levrer, monte Lavino, monte Tremalzo, Cima Tuflungo, monte Nota con passo Nota e monte Carone. Lungo la cresta e compresa la Val Vestino (passata nel 1934 dal Trentino alla Lombardia) corre il confine fra il Trentino e la Lombardia, una volta confine di Stato fra Italia e Austria, superato dai Garibaldini nella campagna del 1866, che si concluse con la battaglia di Bezzecca e il telegramma «Obbedisco». Il confine venne definitivamente passato nel 1915 all'entrata in guerra dell'Italia nel primo conflitto mondiale.

L'origine del nome è completamente sconosciuta e secondo l'etimologia popolare o l'ipotesi avanzata da alcuni ricercatori prenderebbe il nome dagli accumuli di terreno presenti sulla sua sommità, nella Piana degli Stor, che appaiono alla vista appunto come delle tombe, col significato quindi di monte delle tombe. Per altri invece l'etimologia è fuorviante poiché il toponimo sarebbe comune a quello della Valle delle Tombe nel comune di Vigolo e Tomblone siti ambedue nel bergamasco o a quello più diffuso di Tombolo nel Veneto e deriverebbe dal latino "tumulus" o dal greco "tymba" col doppio significato di sepolcro, avello tomba e quello di terreno sopraelevato, tumulo o collina, quindi Tombea significherebbe monte-altura.

Anticamente, secondo il prof. Bartolomeo Venturini di Magasa, era pure chiamato "Gasa", ma non vi è riscontro in nessuna pubblicazione a carattere geografico.

A fine Ottocento il monte Tombea fu acquistato dalla comunità di Magasa dal comune di Storo.

Gli archivi dei Comuni di Storo e di Bondone conservano le pergamene dei primi secoli del secondo millennio che raccontano di liti fra gli storesi e i bondonesi per la contesa dei pascoli dell'Alpo e a queste fa cenno la pagina di storia del Comune di Bondone.

In questo contesto storico sono fiorite anche leggende: una di queste narra di un pastore storese che sorpreso a pascolare sul versante meridionale del monte compì lo spergiuro: «giuro che questa montagna è sempre appartenuta ai miei avi, che questi pascoli spettano di diritto a me e nessun altro può impunemente condurvi le greggi. Chiamo a testimone di quanto asserisco Dio, il Sommo Giudice che sta nei cieli: se non è vero quanto affermo, che Egli mi sprofondi nelle viscere della terra in questo stesso istante». All'improvviso il cielo si oscurò, fulmini e tuoni orribili fecero tremare la terra che si aprì ad inghiottire lo sventurato impostore.

Tornato il sereno altri pastori videro attorno alla voragine ricoperta il terreno disseminato di carcasse delle pecore e dei cani e pietosamente li coprirono con terra e zolle. Quei tumuli restarono a perenne memoria del tremendo giudizio di Dio e da allora la gente chiamò quella montagna "Tombea" ossia «luogo delle tombe». «Sul versante meridionale della Tombea – quello di Val Vestino l'avvallamento a pascolo tra la cima in questione e, altro toponimo significativo, il Dosso delle Saette è disseminato di piccoli cumuli di pietrisco e terra ricoperti da cuscini di erbe che danno l'idea, a chi guarda da lontano, di greggi di pecore coricate o di piccoli cimiteri con fitti tumuli tombali e, tra queste greggi, nel bel mezzo del pascolo, si vede una depressione di tipo carsico.

In una pergamena del 27 dicembre del 1301 si parla di un accordo per l'uso di una sorgente nei pascoli dell'Alpo. Nel contesto di questa lite un'altra leggenda narra di un pastore storese che inventò uno stratagemma per allargare i suoi confini a scapito dei bondonesi: si riempì le calzature con terra della sua proprietà, poi una volta messo piede, anzi le scarpe, sul pascolo di Bondone poteva giurare che egli teneva i piedi sul suo terreno e che la terra che calpestava era proprio sua e, se giurava il falso, Dio lo sprofondasse immediatamente all'inferno. A forza di dimenarsi, gesticolare e pestare i piedi durante il giuramento, però, successe che la terra uscì tutta dalle sue calzature sgangherate tanto che sotto i suoi piedi non era rimasto proprio nulla di suo, e così spergiurando sprofondò all'inferno. A ricordo dell'evento ora rimane il Büs de Scongiüré (letteralmente come nel toponimo italiano «pozzo degli Scongiurati», in realtà da intendersi come «spergiuri»). Trattasi di un fenomeno di carsismo presente in quest'area. La cavità è tuttora inesplorata con l'imbocco parzialmente ostruito, ma secondo testimonianze del luogo sembrerebbe molto profonda.

La più lunga delle liti riguarda l'intera area a pascolo della val Lorina sul versante settentrionale del monte Tombea. La vicenda è raccontata nelle pagine di storia del comune di Storo. Nel 762 Desiderio fonda a Brescia il monastero di San Salvatore, detto poi di Santa Giulia, di cui fu prima badessa sua figlia Ansberga e fra l'altro assegna in dote una «grande e ricca selva sulle Alpi». Dal 1300 le monache del convento ritengono che la ricca selva sia da localizzare all'Alpo e in Val Lorina e così si susseguono liti e ricorsi che si compongono nel 1747 con un decreto dell'aulico imperiale consiglio di Vienna. La questione è durata 985 anni e a testimonianza storica esiste ora il comune catastale di Bondone-Storo amministrativamente compreso nel territorio del comune di Bondone contenente quattro particelle fondiarie di cui due di proprietà del comune di Storo e due di proprietà del comune di Bondone.

L'Impero austriaco nella seconda metà dell'Ottocento progettò e finanziò nell'ambito del Geologische Reichanstalt studi e ricerche geologiche nel Tirolo meridionale e nel Trentino parallelamente con i rilievi topografici e le prime carte catastali. Il Beneke negli anni sessanta percorse la Valle di Ledro e i monti ad ovest del lago di Garda descrivendo accuratamente i caratteri paleontologici delle dolomie triassiche della zona. Tra il 1875 e il 1878 Karl Richard Lepsius svolse accurate ricerche stratografiche dedicando alcune pagine del suo libro alla geologia delle Alpi di Ledro e dei monti a sud dell'Ampola con studi di dettaglio della dolomia superiore dell'Alpo di Bondone, della Valle Lorina e del monte Caplone. E infine il responsabile del progetto austriaco Alexander Bittner pubblicò nel 1881 due fondamentali contributi sull'annuario del reale istituto di geologia.

Dopo la prima guerra mondiale il territorio trentino è divenuto territorio italiano. Ci sono gli studi di Cozzaglio degli anni 20 e di Mario Cadrobbi degli anni 50. Quest'ultimo ha continuato ad esplorare la natura delle intense deformazioni degli strati rocciosi. Solo negli anni settanta Alberto Castellarin dell'Università di Bologna e Alfredo Boni e Giuseppe Cassinis dell'Università di Pavia gettano le basi dell'attuale visione geologica del territorio. Distinguono le svariate formazioni rocciose individuando le successioni sedimentarie tipiche, chiariscono la complessa storia deformativa della regione geologica e individuano con precisione le grandi zone di frattura e deformazione della Linea delle Giudicarie, del Dosso del Vento-Val Trompia, e di Tremosine-Tignale, ricostruendone i movimenti nel corso del tempo geologico. Da questi studi è interessate notare come il monte Tombea e la zona circostante costituiscono una frazione particolare ed isolata di formazioni rocciose compresa fra le varie linee di movimento e deformazione.

Durante le glaciazioni le Alpi venivano sommerse dai ghiacciai con spessore anche superiore ai 2000 metri ed emergevano soltanto le vette e le creste più elevate. Con l'ultima glaciazione denominata di Würm da 80.000 a 13.000 anni fa numerosi ghiacciai vallivi si diramavano dalla calotta alpina e si insinuavano nelle valli periferiche con lingue di ghiaccio che arrivavano a lambire la pianura. L'area del monte Tombea si trovava fra due principali vie di scorrimento dei ghiacciai quaternari: a oriente la valle del Sarca ospitava la lingua principale del ghiacciaio atesino che scendeva a formare quello che ora è Il lago di Garda arrivando fino ai luoghi ove ora sorgono Peschiera del Garda e Desenzano. (Una ramificazione del ghiacciaio del Garda occupava la valle di Ledro e formava il lago omonimo.); e a occidente la valle del Chiese ospitava un ghiacciaio che scivolava dalla zona dell'Adamello. «Le aree non raggiunte dai ghiacciai perché troppo elevate nunatak costituivano spesso oasi di rifugio per molte specie vegetali. Alcune di esse diverrano specie endemiche, cioè specie la cui area di distribuzione è circoscritta a una zona ben definita. Il monte Tombea, assieme a molte altre cime del Trentino meridionale, era proprio una di queste zone rifugio e questo spiega la ricchezza di endemismi che lo caratterizzano»

Kaspar Maria von Sternberg, originario di Praga e vissuto a Ratisbona, fu il primo botanico a riconoscere l'interesse floristico della zona del monte Tombea. Egli compì in questa zona un viaggio tra il 6 maggio e il 20 luglio 1804, passando l'8 giugno in Val di Ledro e in Val d'Ampola ove raccolse sotto le rupi due piante prima sconosciute. Una era Saxifraga aracnoidea, da lui descritta nell'opera pubblicata nel 1810 Revisio Saxifragarum iconibus illustrata, l'altra divenne poi nota come Aquilegia thalictrifolia.

Alcuni decenni dopo visitarono più volte il monte Tombea e le zone circostanti altri due botanici, Francesco Facchini e Friedrich Leybold.

Facchini nel 1842 trovò proprio sul monte Tombea una nuova Scabiosa, di cui inviò campioni al botanico tedesco Wilhelm Koch. Quest'ultimo la pubblicò come nuova specie l'anno successivo nella seconda edizione della sua Synopsis florae germanicae et helveticae, chiamandola Scabiosa vestina. Nel 1846 Facchini tornò sul monte Tombea e a Bocca di Valle raccolse una Daphne assolutamente nuova. Dopo molti studi e titubanze decise di chiamarla Daphne rupestris, ma nel 1852 morì prima di pubblicare i risultati del suo lavoro.

Friedrich Leybold, bavarese ma allora residente a Bolzano, visitò due volte il Trentino meridionale, percorrendo anche la catena Tremalzo-Tombea. Qui raccolse la Daphne vista dal Facchini che in una pubblicazione del 1853 chiamò Daphne petrea, divenendo questo il nome valido.

Leybold rinvenne nella zona altre nuove piante tra cui un nuovo ranuncolo, che verrà descritto cinque anni dopo da Antonio Bertoloni come Ranunculus bilobus. Nella zona del monte Tombea rinvenne una Saxifraga che ritenne essere Saxifraga diapensioides, non notando che era una nuova entità. Con la pubblicazione nel 1854 del lavoro di Leybold e della Flora Tiroliae Cisalpinae di Facchini pubblicata postuma da Franz Hausmann di Bolzano il monte Tombea divenne una delle mete classiche degli itinerari dei botanici nelle Prealpi.

Nel 1856 salì sul monte Tombea Pierre Edmond Boissier, raccogliendo quella Saxifraga già rinvenuta tre anni prima da Leybold. Boisser conosceva la vera Saxifraga diapensioides per cui si accorse subito che era differente. Inviò la sua scoperta al massimo specialista di allora del genere Saxifraga, Adolf Engler, che, dopo ulteriori studi, pubblicò la descrizione della nuova specie nel 1869 con il nome di Saxifraga tombeanensis. Proseguirono le esplorazioni botaniche John Ball, Henry Correvon e Andreas Sprecher von Bernegg che descrissero nei loro scritti le bellezze naturali incontrate.

Fra i botanici che si occuparono della flora del monte Tombea vanno ricordati anche Vinzenz Maria Gredler che vi salì nel 1886, Friedrich Morton che descrisse la sua esplorazione effettuata nel maggio-giugno del 1961 in "Osservazioni botaniche in Val Vestino" e i malacologi Joseph Gobanz e Napoleone Pini. Tra i locali si ricordano don Pietro Porta originario della Valvestino, Giuseppe Zeni e Michele Stefani di Magasa, il maestro Silvestro Cimarolli (1854 - 1924) insegnante elementare a Baitoni di Bondone e don Filiberto Luzzani che ha lasciato una pubblicazione sulla flora della bassa Valle del Chiese con interessanti riferimenti alla catena del monte Tombea e un consistente erbario custodito presso il seminario arcivescovile di Trento.

Si dicono endemiche quelle specie che si rinvengono solo su un'area geografica ristretta al di fuori della quale esse mancano completamente. Nelle Alpi, la presenza di specie ad areale particolarmente limitato può essere conseguenza del glacialismo quaternario, del substrato litologico difforme rispetto a catene limitrofe, della particolarità climatica di un'area. Il museo civico di Rovereto ha elaborato un progetto di cartografia floristica dividendo il Trentino in aree di rilevamento standard chiamati quadranti e per ciascuno di essi è stata rilevata la flora. Conteggiando per quadrante il numero di specie endemiche ad areale particolarmente limitato (al massimo un settore di Prealpi), è emerso che queste specie sono diffuse soprattutto nella parte meridionale del Trentino.

L'area di massimo addensamento è costituita però dalla parte Sud-occidentale della provincia, ed in particolare dalla catena del M.Tremalzo-M.Tombea, con picco massimo di 21 entità nella medesima area di rilevamento. Quest'area comprende in particolare la catena Bocca Cablone, attraverso il Monte Tombea, il Monte Caplone, la Bocca di Lorina fino a Cima Avez; sono altresì inclusi Cima Spessa, (o Rocca sull'Alpo), tutta la Val Lorina e la bassa Val d'Ampola fino alle porte di Storo.



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