giovedì 2 aprile 2015

IL DUOMO SI SALO'

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Dedicato all'Annunziata, fu ricostruito su un edificio più antico tra il 1453 e il 1502 in forme tardo-gotiche, diviso a tre navate da colonne in pietra grigia. Di tale costruzione rimangono le strutture del campanile e delle finestre con cornici in cotto sul fianco destro e la Sala del Capitolo dove campeggiano affreschi quattrocenteschi. Nello stesso periodo intorno al Duomo fu tutto un susseguirsi di cantieri di palazzi su portici voltati a seguire il tessuto gotico dei vicoli.

Progettista e costruttore del Duomo fu l’architetto Filippo delle Vacche, da Caravaggio, al tempo in cui era provveditore per la Repubblica Veneta Leonardo Calbo (1451-1453) ed arciprete di Salò Giacomo da Pavia.
Il progetto architettonico si attenne al modello della chiesa veronese di Sant’Anastasia, con l’introduzione di elementi fortemente innovativi e tali da fare di Santa Maria Annunziata un importante esempio della fase di transizione tra Gotico e Rinascimentale, secondo il linguaggio architettonico lombardo.
La grande chiesa, sebbene trasformata in epoche successive, presenta ancora oggi un elevato grado di leggibilità delle sue antiche strutture.

La navata maggiore è larga mt. 9,90; il diametro delle colonne è di un metro. Anche il pavimento, a marmi policromi, è quello originale. Lo storico Bongianni Gratarolo, nella “Historia della Riviera di Salò” (Brescia, 1599), ne fa una ammirata descrizione: “Il suolo è lastregato di pietre polite, e piane di varij colori nere,La navata maggiore del Duomo è alta mt. 22, le minori mt. 14. La lunghezza della chiesa, dalla soglia del presbiterio, è di mt. 45; il presbiterio e l’abside (nella struttura attuale) misurano complessivamente mt. 16,80. bianche, bigie, rosse, azzurre e macchiate; le forme sono ancora diverse; non pur come quelle del nobile Geometra del Petrarca, “Di triangoli, e tondi e forme quadre”, ma appresso di mandorlato, di duo triangoli, di sestili, di ottangoli e di altre distinte in opera, a parte et commesse con certi ordini, che fanno bellissimo vedere”.
L’immissione della luce in uno spazio così calibrato era in origine assicurata da un ordine di finestre ogivali aperte sulle pareti delle navate minori. Tali aperture erano sormontate da un secondo ordine di finestre meno ampie, aperte al sommo della navata maggiore.
Questo primitivo dosaggio di luce venne a mancare a causa delle trasformazioni imposte da San Carlo, nel sec. XVI, allorquando vennero aperte le cappelle laterali. Le grandi finestre sul fianco a monte (lato aquilonare) vennero completamente murate, mentre quelle sul fianco verso il lago vennero trasformate.
Nella navata meridionale spiccano le cornici di gusto lombardo di due finestre: una con formelle a fioroni e con una figura di profeta al sommo dell’ogiva; l’altra con due figure maschili (un giovane armato e uno in veste da caccia) inserite in motivi a candelabro.
Dal lato meridionale della chiesa, a lago, risulta ben visibile l’articolazione architettonica dell’edificio, con l’alta navata centrale, finestrata, a muratura mista, contrastante con i perimetrali in laterizio, e la cupola sul tiburio circolare. A proposito di materiale laterizio, narrano le cronache che i costruttori avessero aperto addirittura una fornace in quel di Portese e che una flotta di barche a remi garantisse il rifornimento del grande cantiere.

Il 7 ottobre 1453 venne collocata la prima pietra del Duomo di Salò, sull’angolo della facciata verso il lago. Una lapide, murata successivamente, ricorda l’evento con estrema laconicità: “Anno domini 1453 die 7 Octobris primis lapis huius ecclesie positus fuit in opere”.

Notizie documentarie ed alcuni dati di scavo, secondo la campagna effettuata all’esterno della chiesa in occasione dell’ultimo importante restauro, testimoniano che la nuova costruzione è sorta sul luogo dell’antica pieve; anche se, per la verità, i reperti murari ritrovati attesterebbero un diverso andamento della precedente costruzione e, precisamente, nel senso lago-monte.

Sono parimenti documentabili gli acquisti e le demolizioni di alcune abitazioni che sorgevano a ridosso della vecchia chiesa: precisamente, in corrispondenza dell’attuale piazza sulla quale si apre il monumentale portale di accesso al Duomo.

Non sono documentate le notizie relative a precedenti abbattimenti di templi di epoca romana, dedicati a Nettuno e a Cesare Augusto. Qualche studioso afferma che testimoniano tali demolizioni alcuni lacerti lapidei tuttora visibili nella zona inferiore del campanile, realizzata in gran parte con materiali di spoglio. È assodato che i costruttori del Duomo hanno recuperato buona parte dei materiali provenienti dalla demolizione della vecchia pieve. Alcune note del diario del frate Versola (Ursula), conservate nell’archivio parrocchiale, ne danno testimonianza.

Notizie interessanti si ricavano dalla Bolla di Martino V, datata 1 febbraio 1418, con la quale il pontefice, di passaggio da Mantova, incarica l’abate benedettino del monastero di Sant’Eufemia fuori le mura di Brescia di controllare la veridicità di quanto asserito dagli abitanti di Salò: se cioè la vecchia pieve fosse ormai fatiscente. In caso di corrispondenza al vero, sarebbe stato “ipso facto” delegato l’abate stesso ad autorizzare che “la detta chiesa sia ridotta ad uso moderno e riformata: e gli altari quivi esistenti siano mutati e trasferiti in altri posti del luogo”. Martino V autorizzava inoltre “l’alienazione di beni e di legati fino alla somma di cento fiorini d’oro per la riforma della chiesa stessa”. I lavori, in realtà, iniziarono molti anni dopo e, precisamente, nell’autunno del 1452 (1453 secondo il calendario veneziano). Salò era, all’epoca, capitale della Magnifica Patria di Riviera, inclusa nel territorio di giurisdizione della Serenissima Repubblica di Venezia.

Non si trattò di rinnovo della vecchia pieve, ma di un edificio progettato “ex novo”, molto più amplio, incidente drasticamente nel fitto tessuto urbano circostante, parzialmente demolito per ricavare uno spazio sufficiente al corpo di fabbrica e all’antistante piazza.

La semplice facciata in cotto non rivestito si presenta monocuspidale e a frontone triangolare, scandita da quattro contrafforti che riflettono l’articolazione interna secondo un modulo che unifica l’intero perimetro dell’edificio. Nella facciata si apre il portale maggiore, realizzato tra il 1506 da Antonio della Porta, detto il Tamagnino da Porlezza (attivo per lungo tempo in Lombardia assieme al Briosco) e da Gasparo Coirano.

L’opera fu progettata dal Tamagnino sul modello del portale della Certosa di Pavia, del Briosco. Nelle sculture si confrontano la maniera più aggiornata ed elegante del Tamagnino (“Annunciazione” ed “Eterno”) con quella più conservatrice e provinciale di Gasparo Coirano (busti dei Santi Pietro e Giovanni Battista, teste dei profeti Geremia e Zaccaria), opera tuttavia solidissima e incisiva. I manufatti scultorei erano originariamente integrati da intervalli pittorici (finiture policrome e dorature) nonché da un intervento di oreficeria in corrispondenza delle ali dell’Arcangelo.
Nel 1510-11 il salodiano Bartolomeo Otello intagliò il portale in legno di olivo cui venne applicata una finitura in foglia d’oro.

Sul lato nord si erge il campanile, frutto di sopraelevazioni successive.
La parte inferiore è stata realizzata in tre fasi, rispettivamente nei secc. XI, XIII, fine XIV – inizio XV. Alla canna quadrangolare originale si sovrappone la struttura aggiunta dopo la costruzione del Duomo, sormontata da un elegante capolino ottagonale.
Quest’ultima struttura, terminata nel 1555, è ben delimitata in basso da una cornice marcapiano, da un cornicione di coronamento composto da un listello, da una gola dritta e rovescia, da un altro listello, da un toro e da un ultimo listello. Quest’ultima elegante cupoletta, visibile da ogni parte del golfo di Salò, è stata rinforzata internamente mediante una struttura di acciaio nel corso dei lavori di restauro di cui si è fatto cenno. Accanto al campanile si trovano i fabbricati quattrocenteschi della sacrestia e della canonica.
A fianco della chiesa, verso lago, sul sito dell’antico cimitero, si trova il salone delle Congreghe (oggi denominato “Domus”), addossato all’ex cappella di San Cristoforo. Al termine del lungo fabbricato, nel muro absidale della cappella del Sacramento, è murata una statuetta romana mutila. È utile ricordare che la suddetta cappella del Sacramento confinava direttamente con l’antico porto salodiano, denominato “delle Gazzere”, del tutto eliminato all’inizio del secolo scorso, in occasione della costruzione del lungolago.

Il complesso architettonico originale risulta oggi notevolmente modificato a seguito dell’aggiunta delle cappelle laterali, semplicemente squadrate, a muratura liscia contrastante con il parato in laterizio delle navate. Tale intervento fu ordinato dal card. Carlo Borromeo che, in attuazione dei decreti tridentini, emise disposizioni precise, anche di carattere architettonico, per l’adeguamento liturgico-funzionale delle chiese esistenti sul territorio passato in rassegna in veste di Visitatore Apostolico.
Il vescovo milanese impose la rimozione dei numerosi altari addossati alle pareti (soluzione tuttora visibile nella chiesa di Santa Anastasia a Verona) e la loro collocazione in cappelle, delle quali fornì addirittura forma e misure, stabilendo inoltre che dovessero attenersi a criteri di simmetria e uniformità. Il testo delle disposizioni caroline, minuzioso e dettagliato, è conservato nell’archivio del Duomo.

Il culto dei santi, raggruppati talvolta in una sola icona, venne riordinato nelle otto cappelle aperte fra gli archi, in corrispondenza degli intercolumni. I lavori durarono dal 1581 al 1600. Quelle ordinate dal Borromeo furono le prime di numerose modificazioni che si susseguirono nel tempo. Con deliberazione del 3 gennaio 1581, infatti, il Comune decise di ridurre in forma più moderna l’abside e la tribuna. Venne chiamato, nel contempo, il pittore bresciano Tommaso Sandrini (1575-1630) per eseguire l’ornamentazione a fresco, con motivi di racemi e piccole scene di figure a monocromo, che interessano i sottarchi, le ghiere e le innervature delle crociere. Le carte d’archivio attestano che, proprio in occasione della costruzione delle cappelle laterali, vennero tolte le “catene” delle navatelle laterali.

In questo periodo fu aperta anche l’amplia cappella del Santissimo Sacramento, in fondo alla navata di destra. Essa venne affrescata con ardite prospettive a finta architettura barocca (o “quadratura”) ad opera del cremonese Giambat- tista Trotti (1555-1619), detto il Malosso. Il provveditore di Venezia Angelo Gradenigo, a seguito delle discussioni apertesi in sede di attuazione della delibera di rifacimento del coro (1581), fece da intermediario con il grande Jacopo Palma il Giovane, artista ormai principe in Venezia dopo la morte di Paolo Veronese (1588) e di Jacopo Tintoretto (1594). Il Palma, già anziano, accettò l’incarico a condizione di potersi associare con un pittore di fiducia, Antonio Vassilacchi da Milo, detto l’Aliense (1556-1629), già allievo del Veronese e poi collaboratore del Tintoretto. Lo stesso Palma stese un primo progetto per il rifacimento del coro.
L’intervento, tuttavia, sarebbe stato disastroso per le preesistenti strutture. Di conseguenza, grazie anche all’intermediazione dell’Aliense, non fu rimossa l’elegante innervatura della cupola. Con molta lentezza, si provvide a spianare le muraglie dell’abside per ricevere il grande catino entro cui il Palma raffigurò a fresco l’Assunzione della Vergine Maria.
Alle pareti sottostanti vennero collocate tele raffiguranti la natività della Madonna (opera dell’Aliense), l’Annunciazione e la Visitazione (opere del Palma). La scenografica decorazione del coro fu arricchita anche dalle grandi tele collocate sulle ante dell’organo costruito dalla bottega Antenati negli anni 1546-1548. Dette tele sono opera del Palma e dell’Aliense. Per la decorazione a stucco delle nuove cappelle venne chiamata la bottega dei Reti (o Rezi), all’epoca attiva nel bresciano e nel trentino (vedi la Chiesa dell’Incoronazione di Riva del Garda).

Il Duomo di Salò custodisce molte opere d’arte, sia lignee che pittoriche. A fungere da pala plastica, ben a ridosso dell’altare maggiore, è stata ricollocata, nel 1905, l’antica ancona intagliata, rimossa dall’abside nel 1600 al tempo dei lavori di ampliamento del coro e collocata, nel 1618, sopra la porta maggiore, in controfacciata, integra seppur mutilata degli aerei pinnacoli.
Val la pena di ricordare che l’Aliense, allorquando discusse con i reggenti della comunità il suo piano di trasformazione del coro, avanzò la proposta di smembrare l’ancona e di conservarne soltanto le statue dei santi, da collocare eventualmente “un per collona, nel mezzo della chiesa, cioè sopra alli capitelli delle colonne che così si darà anco satisfactione a quelli che hanno qualche devotion particolare”. A parere del pittore, sarebbe stato del tutto sconveniente spendere una cifra considerevole per ricollocare nel coro rinnovato “un’anticaglia”. Tale infatti appariva all’aggiornato seguace del Palma la splendida ancona ostentante una fastosa architettura assolutamente gotica e di quel gotico fiorito e sovrabbondante che da noi ebbe scarso impiego nonostante sia stata eseguita nell’ultimo quarto del secolo XV.
L’ancona, opera di varie mani, nella sua parte architettonica si compone di un basamento a due registri dal quale sorgono le lesene che compartiscono dieci nicchie, disposte su due ordini di cinque ciascuno, entro le quali sono collocate dieci statue a tutto tondo. Nel registro superiore del basamento, entro piccole nicchie ad arco polilobato, sono collocate undici tavolette con figure a mezzo busto di santi, dipinte ad olio. È importante ricordare che le sculture collocate nell’ancona rappresentano i santi titolari di altrettante chiese facenti capo alla pieve di Salò. L’anno in cui l’ancona fu posta contro la parete della primitiva abside era il 1476 (vedi Ordinamenti, volume 14, carta 48, dell’archivio del Comune di Salò). L’ostensione è documentata da una carta d’archivio datata 28 luglio 1476. Lo storico Anton Maria Mucchi studiò l’ancona e ne diede l’attribuzione al maestro Pietro Bussolo e all’indoratore e dipintore Francesco da Padova (con il genero Michele Bertelli). L’ancona di Salò, straordinaria per le trine, gli intagli lavorati a giorno e la complessa castellatura di guglie e pinnacoli, costituisce una presenza piuttosto unica fra i lavori d’intaglio ancora conservati nel territorio bresciano.

La musica nella liturgia è sempre stata un elemento necessario per esprimere con pienezza e autenticità la voce dell’uomo che s’innalza a lode del Signore. È il linguaggio espressivo per eccellenza, quello delle manifestazioni profonde che, fin dai primi secoli del Cristianesimo, elevavano l’anima fino a condurla alle soglie dell’eternità. Ed è dal bisogno di dare ad ogni momento liturgico una specifica espressione musicale che l’arte organara entra nelle chiese, prima opera dei monaci nelle pievi di epoca medioevale poi, con sempre maggiore frequenza, in ogni chiesa, sia essa parrocchia o curazia, modulata sulla suggestione del gregoriano.
Il primo organo del Duomo di Salò risale agli anni dell’antica pieve e, precisamente, al 5 giugno 1489, giorno del marcatum factum … cum magistero Baldesari Teutonico de organis conficiendis per ipsum in ecclesia Sancte Marie de Salodio, et quod est de ducatis centum sexaginta, uno plaustro vini, duabus saumis frumenti cum una domo et lecto uso suo protempore quo laborabit in dictis organis, sit valium et firmum ponant balotam suam in busula alba et qui non, i busula rubea; et datis balotis reperte fuerint omnes balotte in bussola alba et nullae in bussola rubea et sic optentum fuit mercatum suprascriptum. (contratto stipulato con il maestro organaro Baldassare Teutonico per costruire un organo nella chiesa di Santa Maria di Salò, al costo di centosessanta ducati, un carro di vino, due some di frumento ed una casa ed un letto per il tempo necessario ai lavori). Il documento – poco coerente nell’uso dei vocaboli – precisa che il contratto fu approvato a votazione segreta dai responsabili della Fabbrica del Duomo col sistema dell’introduzione di palline nell’urna (balotte in busola). L’esito fu unanime poiché tutte le palline furono messe nell’urna bianca (busola alba) e nessuna nell’urna rossa (busola rubea).
A collaudare il prezioso strumento, originariamente collocato nella navata sinistra, intervenne Alessandro dagli Organi, organista del marchese di Mantova. Una cinquantina d’anni più tardi, gli Ellecti ad Fabricam Organi Terre Sallody decisero di mettere mano al vecchio organo, con l’ambizione di farlo simile a quello del Duomo di Brescia, chiamando a Salò Giovanni Antegnati. Ma i primi contatti con l’illustre organaro non ebbero molto successo. Infatti Alessandro Bonvicino, pictor (ovvero il Moretto, che faceva da tramite con l’allora parroco Donato Savallo) il 23 dicembre 1530 risponse che: “se i Salodiani sono de voler di fare una impresa onorevole, et rifarlo tutto lui si è molto contento de venir ad ogni avviso, et se voleno ripezar (metterci una pezza) detto in strumento lui dice non volersene impazar (non volersene occupare)”. Passeranno altri 16 anni prima di raggiungere un accordo su un’opera attesa e desiderata dalla città; tuttavia non sarà la Fabbriceria a commissionare l’incarico, bensì il Comune. Il 21 maggio 1546, alla presenza del notaio Antonio, figlio di Simone Scolari di Manerba, del reverendo presbitero Ludovico Rinaldo da Salò, del console del comune Giovanni Antonio Tacone da Salò “… si conviene che il maestro Giovanni Giacomo Antegnati da Brescia costruisca un nuovo organo nella chiesa della pieve di Salò … con l’obbligo che il suono (il tono) dell’organo sia adeguato e degno dell’importanza e della grandezza della chiesa e del coro, che sia bello, pregevole come quello fatto dal maestro Giovanni Giacomo nel duomo di Brescia … tutto al prezzo di trecentosei scudi d’oro oltre alla cessione del vecchio strumento”. L’opera, che doveva essere completata entro la festa di Pentecoste dell’anno 1547, fu ultimata invece l’anno successivo.
Per tale ragione, e contestando altri difetti, il Comune si rifiutò di pagare l’Antegnati il quale manifestò sdegno ed irritazione con una lettera del 21 ottobre 1548. L’Antegnati sarà completamente pagato soltanto dieci anni più tardi. Nel 1581 l’organo venne spostato sulla parete sinistra del coro, ove è ancora oggi. In seguito vennero apportate numerose modifiche da parte di organari come Tonio Megliarini da Brescia nel 1626, Graziadio Antegnati nel 1642, Giovanni Andrea Fedrigotti nel 1653, Giovanni Maria Cargnoni nel 1727. Col passare degli anni le condizioni dell’organo peggiorarono ed il 12 ottobre 1861 Pietro Bossi, maestro ed organista della parrocchiale, si sentì in dovere di far presente a “codesta lodevole fabbriceria come egli, avendo visitato l’organo della medesima, lo ha trovato più che mai difettoso e danneggiato”. Il predetto Pietro Bossi era il padre di Marco Enrico, maestro dell’arte organara nonché compositore ed impareggiabile esecutore. Lo stesso anno venne stipulato un nuovo contratto con i fratelli Serassi di Bergamo, altra prestigiosa famiglia di organari che tenne il primato in Italia per 150 anni. La convenzione prevedeva la costruzione di uno strumento a 1382 canne e la conservazione delle 24 di facciata e delle 5 del tremolo, antegnatiane. Tuttavia, durante i lavori, venne presa la decisione di sostituire anche le canne di facciata essendo gravemente deteriorate ed inadatte al restauro.
L’organo conserva ancora oggi il prospetto ligneo dell’Antegnati, la cantoria realizzata da Bartolomeo Otello nel 1548, le ante opera di Palma il Giovane e di Antonio Vassillacchi, del 1603. Nel 1957, a riconoscimento del suo pregio storico artistico, lo strumento venne sottoposto al vincolo di tutela da parte della Soprintendenza ai Beni artistici.

In clima gotico ci riporta anche lo stupendo crocifisso ligneo, opera firmata con la sigla JH (Johannes Teutoni- chus), erroneamente identificato col pittore Giovanni da Ulma, che fu invece autore di discreti affreschi a Salò nel 1475 e a Muscoline nel 1497.

L’erronea identificazione è del Mucchi stesso che aveva malamente interpretato la delibera di allocazione conservata nell’archivio del Comune di Salò. L’assegnazione definitiva arrivò in occasione del restauro del Crocifisso, iniziato nel 1979, a seguito di uno studio puntuale di Allia Englen.

Il grande crocifisso, commissionato dal Comune in data 6 luglio 1449, venne collocato sopra l’arco trionfale, come ci ricorda Bongianni Gratarolo in una nota riportante le lodi che ne fece Andrea Mantegna, che lo mise “in credito di uno de’ più be’ crocifissi d’Italia”. All’epoca del restauro, il Comune curò una pubblicazione riportante anche un interessante testo di Giovanni Testori.


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