La Xª Flottiglia MAS è stato un corpo militare indipendente, ufficialmente parte della Marina Nazionale Repubblicana della Repubblica Sociale Italiana, attivo dal 1943 al 1945. La Xª Flottiglia MAS al nord, al comando del capitano di fregata Junio Valerio Borghese in seguito all'armistizio di Cassibile strinse accordi di alleanza con il capitano di vascello Berninghaus della Marina da guerra germanica.
Durante i due anni che seguirono operò in coordinazione coi reparti tedeschi, sia per contrastare l'avanzata alleata dopo il cosiddetto sbarco di Anzio e sulla Linea Verde e nel Polesine, sia in operazioni contro la resistenza italiana, attività durante la quale l'unità impiegò metodi di repressione violenti e terroristici e si macchiò di crimini di guerra, e infine nel tentativo di difendere i confini nordorientali dalla controffensiva iugoslava, cercando anche di affermare l'italianità di quelle regioni di fronte alle politiche annessionistiche dell'occupante tedesco sostenuto da elementi collaborazionisti serbi, croati e sloveni. Peraltro questi tentativi velleitari non ottennero risultati ed i reparti inviati in Friuli furono presto fatti trasferire oltre il Piave, a Thiene, dal Gauleiter Rainer, deciso a mantenere il controllo totale della regione.
La Xª Divisione MAS si arrese il 26 aprile 1945 ai rappresentanti del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) nella caserma di piazzale Fiume a Milano dopo la cerimonia dell'ammaina bandiera.
Nella confusione e nello sbandamento delle forze armate causato dalle circostanze dell'armistizio dell'8 settembre, la Xª Flottiglia MAS a differenza di quasi tutti i reparti delle Regie forze armate non si sbandò. La Xª rimasta a sud, costituì una unità denominata Mariassalto che partecipò nel 1944 e nel 1945 ad un paio di azioni, al fianco di omologhe unità britanniche, per mantenere aperto il Porto della Spezia, contro il tentativo dei tedeschi di affondare delle navi alla sua entrata. Alla prima di queste azioni prese parte Luigi Durand de la Penne una volta rimpatriato dalla prigionia.
Al nord, immediatamente dopo l'armistizio dell'8 settembre, molti marò della Xª Flottiglia Mas tornarono a casa o si rifugiano sulle colline in attesa degli eventi, mentre il comando di stanza nella caserma di La Spezia non si sbandò e messo in allarme attese ordini disciplinatamente evitando però di distruggere i piccoli mezzi navali all'ancora fuori della caserma di cui parte poi cadde momentaneamente in mani tedesche. La serata stessa Junio Valerio Borghese raggiunse l'ammiraglio Aimone d'Aosta e inutilmente cercarono insieme di contattare Roma per avere conferma dell'armistizio e ricevere ordini. La Xª MAS, continuando a rimanere priva di ordini, mantenne l'attività nella caserma immutata e per tutto il tempo la bandiera italiana rimase sul pennone. Borghese inoltre dispose di aprire il fuoco contro chiunque avesse tentato di attaccare la caserma riuscendo a respingere alcuni tentativi tedeschi di disarmare i marò. Il 9 settembre gli ufficiali si riunirono per decidere la strada da intraprendere e Borghese ribadì la sua intenzione di continuare la guerra contro gli angloamericani, scegliendo l'alleanza con la Germania. L'11 settembre radunò i marinai di stanza a La Spezia spiegando la situazione e dando il permesso di congedarsi a coloro che non se la fossero sentita di continuare la guerra. La maggioranza si congedò.
Egli avrebbe poi spiegato tale azione dicendo di avere fatto questo «per riscattare l'onore militare dell'Italia, riconquistare la stima della Germania e ricondurre le due nazioni sul piano dell'alleanza» (secondo le sue stesse parole tratte da una intervista concessa nel dopoguerra al giornalista e storico Ruggero Zangrandi). La Decima assunse, almeno ufficialmente, atteggiamento del tutto apolitico ed apartitico, tanto che per essere inquadrati nei marò della Xª MAS occorreva non essere iscritti ad alcun partito politico.
Borghese strinse dunque il 12 settembre direttamente con il Capitano di vascello Berninghaus della Marina da guerra germanica, la Kriegsmarine, una singolare alleanza che permetteva la continuazione dell'attività della Xª MAS con il Terzo Reich, conservando bandiera (a cui era stato tolto l'emblema dei Savoia) e divisa italiane, seppur sotto il controllo operativo tedesco.
Accordo Borghese-Berlinghaus:
La Spezia, 14-9-1943
1) La Xª Flottiglia M.A.S. è un'unità complessa appartenente alla Marina militare italiana, con completa autonomia nel campo logistico, "organico", della giustizia e disciplinare, amministrativo;
2) È alleata delle Forze Armate germaniche con parità di diritti e doveri;
3) Batte bandiera da guerra italiana;
4) È riconosciuto a chi ne fà parte il diritto all'uso di ogni arma;
5) È autorizzata a ricuperare e armare, con bandiera ed equipaggi italiani, le unità italiane trovantisi nei porti italiani; il loro impiego operativo dipende dal comando della Marina germanica;
6) Il Comandante Borghese ne è il capo riconosciuto, con i diritti e i doveri inerenti a tale incarico.
Berninghaus
Capitano di Vascello
J. V. Borghese
Comandante
Al progetto di Borghese alla metà di settembre aderirono circa metà dei duecento ufficiali presenti alla sede della Spezia. Gli altri chiesero regolare licenza, concessa dal comandante. Ben presto si unirono a quello che avrebbe formato il nucleo della futura formazione autonoma della Decima Mas nella Repubblica Sociale i trecentocinquanta marò al comando del capitano di corvetta Umberto Bardelli.
Fin dai primissimi giorni dopo l'armistizio iniziarono a giungere giovani volontari, spesso minorenni, attratti dalla leggenda delle gesta eroiche dei "maiali" e dalla fama del comandante Borghese, celebrati dai manifesti di propaganda che tappezzarono le città italiane. I ruolini della Decima giunsero quindi a contare complessivamente 20.000 uomini, l'entità di una divisione di fanteria.
Altri elementi che diedero presso i giovani della Repubblica Sociale popolarità notevole al corpo furono il cameratismo che esisteva tra gli ufficiali e i marinai (istituzione del rancio unico per marinai e ufficiali e dell'uniforme di panno uguale) e il suo non conformismo (saluto meno formale rispetto ai canoni tradizionali della marina) e la promozione guadagnata sul campo e non con l'anzianità o i concorsi. Il regolamento della Decima - rivoluzionario per le Forze Armate italiane dell'epoca - era una derivazione del volontarismo garibaldino e del particolare tipo di cameratismo dei sommergibilisti, dalle cui fila provenivano Borghese, Bardelli ed altri capi del corpo.
L'ideologia fondante del corpo era basata sul nazionalismo e sul combattentismo, in cerca della "bella morte" in battaglia e dell'eroismo «per riscattare l'onore della nazione italiana» (agli occhi dei volontari che si arruolavano, tradito dall'armistizio dell'otto settembre, conclusosi con il crollo dell'Esercito, la consegna delle navi della Marina e la fuga del sovrano e di Badoglio al sud, lasciando il paese nel caos). Ciò trovava espressione nel motto del corpo «Per l'onore e la bandiera d'Italia» e nello scudetto in cui era disegnata una X sormontata da un teschio con una rosa in bocca e nell'Inno della Decima, scritto dalla moglie di Borghese sulle note di una canzone d'operetta. L'immagine del teschio con la rosa in bocca veniva dal capitano di corvetta Salvatore Todaro: poco prima di morire aveva espresso il desiderio di un distintivo per la Xª che rendesse l'idea che la morte in combattimento era una cosa dolce, come il profumo di un fiore.
Nonostante la premessa di voler partecipare solo alla guerra per la "liberazione dell'Italia invasa" ben presto i reparti della Decima furono coinvolti dai tedeschi nelle operazioni di controguerriglia, ma gli ufficiali furono lasciati liberi di congedarsi senza conseguenze qualora avessero rifiutato di sollevare le armi contro altri italiani. L'esasperazione e la ferocia cui giunse la guerra civile condussero alcuni elementi della Decima a macchiarsi di crimini di guerra, come la fucilazione di prigionieri, la cattura di ostaggi fra i civili, la tortura di partigiani (o civili presunti tali) catturati. Venne comunque applicata la convenzione dell'Aja che non permetteva la fucilazione di prigionieri, la cattura di ostaggi fra i civili per diritto di rappresaglia. D'altro canto, vi furono anche diversi episodi di accordi fra i reparti partigiani e quelli della Decima in funzione anti-tedesca e anti-iugoslava, soprattutto (ma non solo) al confine orientale. In molti casi si giunse a regolari scambi di prigionieri, e in un caso un ufficiale traditore della Decima - passato ai partigiani con la cassa del reparto - fu fucilato da un plotone d'esecuzione misto di resistenti e marò.
La Xª MAS di Borghese aumentò rapidamente i suoi numeri, sia con arruolamenti regolari sia accettando nelle proprie file disertori di altri reparti (e perfino ex-partigiani), attratti dalla paga migliore, dal regolamento peculiare della Decima e soprattutto dalla prospettiva di poter colà combattere contro gli angloamericani. Per contro, la Decima fu una delle unità della RSI che soffrì meno per le diserzioni (invece epidemiche nelle altre unità, soprattutto nell'Esercito Nazionale Repubblicano). Borghese aveva sancito la pena di morte per la diserzione e la codardia in faccia al nemico ben prima che tale pena fosse estesa alle altre Armi e Forze Armate della RSI.
Numerosi furono i problemi organizzativi che si erano materializzati per il nuovo corpo, sia per le oggettive condizioni economiche e militari dell'Italia settentrionale, sia a causa delle difficoltà sollevate dalle autorità tedesche e repubblicane.
Borghese negoziò direttamente con la Germania nazista i termini della sua collaborazione con l'Asse. Questo dal punto di vista della legittimità del corpo e del suo successivo inserimento nell'organico della RSI pose non pochi problemi, e caratterizzò i rapporti fra Borghese e RSI, tanto che alcuni autori stentano a considerare la Xª MAS di Borghese un corpo della Repubblica Sociale Italiana, bensì un vero e proprio corpo franco o compagnia di ventura inserita nell'ambito delle forze dell'Asse: in realtà, la Xª e la RSI mantenevano rapporti difficili, perché le autorità politiche della RSI cercavano faticosamente di ricondurre tutte le varie forze armate e di polizia sotto il suo controllo centralizzato (in quanto solo allo Stato è concesso il monopolio dell'uso della forza, secondo il diritto). D'altro canto, Borghese aveva ottenuto legittimazione dai tedeschi, attraverso il capitano di vascello Berlinghaus della Kriegsmarine, con il riconoscimento a combattere sotto bandiera italiana, ottenendo ampia autonomia. Pur rispondendo, in pratica, al comando tedesco e amministrativamente dal Ministero della Difesa repubblicano, la Xª MAS era formalmente equiparata alla Wehrmacht, e in pratica era una corpo franco, ai cui appartenenti tra l'altro era vietata l'iscrizione al Partito Fascista Repubblicano.
Il comportamento apertamente autonomistico contro le autorità repubblicane (fino alla strafottenza) - alle quali formalmente la Decima avrebbe dovuto appartenere e da cui amministrativamente dipendeva, avendo i suoi uomini giurato secondo la formula prevista dal governo repubblicano - causò molti attriti con altri organismi della Repubblica Sociale e perfino la ventilata possibilità che Borghese tentasse un colpo di Stato contro Mussolini. In seguito alle voci circolanti su questa eventualità, Borghese, convocato a Gargnano, fu posto agli arresti il 14 gennaio 1944. La voce dell'arresto di Borghese, attraverso circostanze fortuite, arrivò al comando della Decima, che valutò addirittura l'ipotesi di marciare su Salò. Probabilmente l'incidente fu risolto anche con la mediazione dei tedeschi, che non volevano una lotta intestina tra i loro alleati. Tutto venne risolto in tempi brevi con il rilascio di Borghese e il seguente licenziamento del sottosegretario alla Marina, Ferruccio Ferrini, da parte di Mussolini, che lo sostituì con il contrammiraglio Giuseppe Sparzani. Borghese divenne sottocapo di Stato Maggiore ed ebbe ai suoi ordini tutte le attività operative di Marina.
All'origine di questi rapporti tesi stavano anche leggere divergenze ideologiche rispetto al fascismo mussoliniano: infatti Borghese non si iscrisse mai al Partito Fascista Repubblicano, e fra i requisiti essenziali per l'arruolamento alla Decima vi era la rinuncia all'appartenenza a qualsiasi partito, ivi compreso quello Fascista Repubblicano. Borghese, d'altronde, aveva sempre ostentato disprezzo nei confronti dei partiti e aveva la propensione per un modello di società organicista e militarista secondo il modello che realizzò con la Decima. Nella Xª MAS di Borghese non venne mai fatto il "saluto al Duce", ma solo il saluto "Decima marinai! Decima Comandante!" (di questo lo stesso Borghese venne accusato da parte di chi lo voleva esautorare dal comando della Decima).
Dopo l'alleanza coi tedeschi, il nuovo corpo si dedico all'organizzazione militare al fine di poter recarsi al fronte a combattere gli anglo-americani. La sera del 3 marzo 1944 il battaglione "Barbarigo" (il primo reparto di fanteria della marina, guidato da Bardelli) entrò in linea nell'odierna Nettuno, dove venne impiegato contro gli Alleati sul fronte di Nettunia (Anzio e Nettuno odierne), alle dipendenze della 175ª divisione tedesca.
Dopo la rotta seguita allo sfondamento di Cassino, i reparti della Decima furono impiegati in maniera disorganica anche in operazioni di polizia e di controguerriglia in Italia settentrionale contro i partigiani, mentre sul fronte della Linea Verde venivano inviati nel 1945 il "Lupo", il "Nuotatori Paracadutisti" o "NP" (Polesine), e il gruppo d'artiglieria "Colleoni" (sul fiume Senio). Questi reparti ebbero pesanti perdite in combattimento durante l'ultima offensiva nemica, e ricevettero numerose decorazioni dai tedeschi; il "Lupo" e l'"NP", dopo il crollo della linea Verde, riuscirono a ripiegare su Venezia, dove rimasero fino all'arrivo degli alleati, a cui si arresero con l'onore delle armi.
Nel 1945 Borghese riorganizzò la Divisione Decima nel Veneto su due Gruppi di Combattimento (di cui uno a ranghi incompleti, perché, come abbiamo visto, due battaglioni e un gruppo d'artiglieria erano aggregati alle divisioni tedesche sulla Linea Verde). L'obbiettivo era quello di costituire una grossa massa di manovra da spostare a Trieste e Fiume per evitare alle città la prevedibile occupazione titina, mentre si intensificavano i contatti con i servizi segreti regi, americani ed inglesi per favorire uno sbarco italo-inglese in Istria. Tuttavia il precipitare degli eventi e il completo controllo del cielo da parte alleato impedì alla Divisione Decima di raggiungere le posizioni previste (né d'altro canto vi fu il promesso sbarco italo-inglese). I reparti così rimasti immobilizzati si arresero alle truppe alleate con l'onore delle armi fra il 29 aprile ed il 2 maggio 1945.
Reparti di naviglio sottile della Decima furono impiegati contro le forze di sbarco e di rifornimento angloamericane. Impiegati quasi esclusivamente MAS e motoscafi veloci modificati in siluranti, gli MTM. I reparti navali erano di stanza a Genova (Comando Tirreno) insieme agli "uomini Gamma" (sommozzatori), mentre la 1ª e 2ª squadriglia MAS erano di stanza a La Spezia.
È accreditato l'affondamento di un incrociatore, un trasporto, una cannoniera e numeroso naviglio, soprattutto nella zona di Nettunia.
Il "Comando Tirreno" alla fine della guerra prese contatti con il locale CLN, prendendo efficaci contromisure a contrasto dell'opera dei guastatori tedeschi che intendevano far saltare in aria le installazioni portuali. I sommozzatori del reparto disarmarono le 80 cariche di demolizione predisposte dai germanici e autoaffondarono le loro unità MAS e VAS e si consegnarono ai partigiani.
Subito prima della costituzione della Repubblica Sociale, i tedeschi avviarono una politica di annessione delle Tre Venezie, riunendo le province di Bolzano, Trento, Belluno, al Gau dell'Alto Tirolo, dietro il pretesto della costituzione di una zona d'operazioni nota con il nome di Alpenvorland, e quelle di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana (già aggregata come Provincia Autonoma alla Venezia Giulia) al Gau della Carinzia nell'ambito della zona d'operazioni chiamata Adriatisches Küstenland (rimase Zara, pur sotto occupazione militare tedesca, sotto il controllo delle autorità della RSI).
Soprattutto le terre orientali, già minacciate di annessione dagli ustascia croati alleati dei nazisti, furono teatro di aspri scontri coi partigiani di Tito, che - organizzati in formazioni di notevoli dimensioni e potenziale bellico - cercavano di sconfinare nella Venezia Giulia per poter reclamare, giusta il principio dell'uti possidetis, l'annessione di questa alla Jugoslavia.
Perciò la Decima Mas ebbe un notevole impiego sul fronte dell'Istria e del Carso e nelle retrovie dell'esercito tedesco soprattutto nel 1944, collaborando con i tedeschi nello scontro contro i partigiani titini (insieme agli altri cinque reggimenti italiani inquadrati nelle Forze Armate germaniche come Milizia Difesa Territoriale e ai reparti e batterie di difesa costiera). Gli scontri con i titini assumevano spesso l'aspetto tipico della guerriglia, con azioni crudeli ed atrocità alle quali seguivano altrettanto crudeli rastrellamenti da parte nazifascista, mentre solitamente le truppe titine rifiutavano la battaglia in campo aperto, dove ancora non potevano avere ragione dei tedeschi e dei loro alleati.
Sulla frontiera orientale i battaglioni Sagittario, Barbarigo, Lupo, appoggiati dai gruppi d'artiglieria San Giorgio ed Alberto da Giussano e da parte dei battaglioni Nuotatori Paracadutisti, guastatori Valanga e genio Freccia furono coinvolti nell'Operazione Aquila (Adler Aktion) per la distruzione delle forze del IX Korpus iugoslavo, e quindi il Fulmine fu impiegato per arginare i tentativi di invasione iugoslava della Venezia Giulia, rimanendo coinvolto in un aspro scontro con gli slavi nella Battaglia di Tarnova, dove fu quasi distrutto, riuscendo tuttavia a sbarrare il passo alle forze nemiche.
In seguito le autorità tedesche pretesero da Mussolini che i reparti della Decima fossero ritirati dalla Venezia Giulia, dove si erano verificati scontri anche sanguinosi con i collaborazionisti slavi e con lo stesso gauleiter Rainer. Rimasero solo alcune unità minori che presidiavano le isole del Quarnaro e Trieste.
In Istria perciò rimasero solo alcune centinaia di uomini della Decima dislocati in vari presidi a fianco dei reparti tedeschi, perlopiù catturati dai titini durante l'occupazione della Venezia Giulia insieme ai tedeschi e altri soldati della RSI e massacrati nelle tristemente note foibe, o deportati nei campi di prigionia iugoslavi.
Gli altri morirono a fianco degli ultimi nuclei di resistenza tedeschi nei combattimenti che divampavano contemporaneamente all'avanzata dei titini verso il Friuli e la Venezia Giulia. Essi, insieme a questi resti dell'esercito tedesco, dovevano resistere per coprire la ritirata del grosso delle truppe tedesche acquartierate nell'Istria e nella Slovenia verso l'Austria. Il caos che sconvolse le truppe tedesche prive di ordini univoci e divise nel tentare di resistere oppure ritirarsi trascinò anche i reparti repubblicani, e fra questi ovviamente quelli della Decima.
Gli ultimi focolai di resistenza che proseguirono fino agli inizi di maggio vennero tutti schiacciati dai titini, combattendo oppure - più spesso - promettendo salva la vita in caso di resa. Tra questi ultimi combattimenti, degno di nota quello che si svolse a Pola. Qui, dopo la firma della resa delle ultime truppe tedesche affiancate da alcuni reparti della Decima decimati dalla battaglia alle forze iugoslave l'8 maggio 1945, l’ammiraglio tedesco che aveva firmato la capitolazione venne subito dopo fucilato insieme ad un gruppo di suoi ufficiali, insieme a una decina di ufficiali italiani della Decima Mas.
Poco prima dell'occupazione dell'Istria da parte iugoslava, Borghese cercò un'improbabile alleanza con gli Alleati per fronteggiare l'esercito iugoslavo di Tito, che stava rapidamente avanzando: in quei tempi, era viva in molti gerarchi nazisti e fascisti la speranza di arrivare a un armistizio con gli alleati occidentali per poter continuare la guerra contro l'Unione Sovietica e il bolscevismo in generale.
Analogamente, fra il settembre ed il dicembre del 1944 furono presi approfonditi contatti con la brigata partigiana Osoppo, al fine di costituire un corpo misto che potesse organizzare una difesa comune di quel fronte, ma il comando inglese a cui faceva riferimento la Osoppo, seppur con qualche tentennamento, rifiutò l'offerta. Poco tempo dopo a Porzûs tutti i principali esponenti della brigata partigiana furono uccisi in quanto accusati di tradimento e per aver dato ospitalità ad una giovane, Elda Turchetti, denunciata come spia da Radio Londra su segnalazione di agenti inglesi, e il tentativo di collaborazione non ebbe séguito.
Negli ultimi mesi del conflitto, al fine di difendere l'italianità dell'Istria, Borghese avviò contatti con la Regia Marina al sud (ammiraglio De Courten) per favorire uno sbarco italo-alleato in Istria e salvare le terre orientali dall'avanzata delle forze iugoslave. Lo sbarco studiato dalla marina italiana del Sud si sarebbe avvalso dell'appoggio delle formazioni fasciste e della Decima, con o senza l'intervento Alleato. L'opposizione inglese fece fallire questo piano, non volendosi inimicare Stalin dopo l'accordo di Yalta e favorendo così l'avanzata degli iugoslavi, che ebbero peraltro anche l'attivo sostegno della Royal Navy britannica.
Le truppe coinvolte nelle operazioni di "grande polizia" o controguerriglia contro le forze partigiane italiane sono state oggetto di numerose critiche. La Xª MAS fu attiva in operazioni di grande polizia nel Monferrato, nelle Langhe, nel Canavese, in Carnia, in Val di Susa e in Val d'Ossola. Gli uomini della Decima si macchiarono di crimini di guerra, come torture, rappresaglie, fucilazioni sommarie.
Le operazioni di rastrellamento contro i civili causarono malcontento tra alcuni soldati che si erano arruolati per combattere gli Alleati e si registrarono numerose diserzioni e perfino ammutinamenti tra i marò dei reparti impiegati contro i partigiani, anziché contro gli Alleati.
Alcuni appartenenti alla Decima Mas si distinsero anche in azioni di saccheggio e furto a danno della popolazione civile, perseverando nell'abuso della loro autorità tanto da far preoccupare le autorità legittime e non militari:
« Continuano con costante preoccupazione le azioni illegali commesse dagli appartenenti alla Xª Mas. Furti, rapine, provocazioni gravi, fermi, perquisizioni, contegni scorretti in pubblico, rappresentano quasi la caratteristica speciale di questi militari. Anche il 12 novembre 1944, tra l'altro, verso le ore 20 quattro di essi si sono presentati in un magazzino di stoffe: dopo aver immobilizzato il custode ne hanno asportato quattro colli per un ingente valore. La cittadinanza, oltre ad essere allarmata per queste continue vessazioni, si domanda come costoro, che dovrebbero essere sottoposti ad una rigida disciplina militare, possano agire impunemente e senza alcuna possibilità di punizione. Sarebbe consigliabile pertanto, che tutto il reparto, comando compreso, sia fatto allontanare da Milano. »
(Appunto per il Duce di Mario Bassi, prefetto di Milano)
Nella sentenza di rinvio a giudizio del processo contro Junio Valerio Borghese, le accuse erano di aver effettuato, tra le altre cose:
« continue e feroci azioni di rastrellamento di partigiani e di elementi antifascisti in genere, talvolta in stretta collaborazione con le forze armate germaniche, azioni che di solito si concludevano con la cattura, le sevizie particolarmente efferate, la deportazione e la uccisione degli arrestati, e tutto ciò sempre allo scopo di contribuire a rendere tranquille le retrovie del nemico, in modo che questi più agevolmente potesse contrastare il passo agli eserciti liberatori ingiustificate azioni di saccheggio ed asportazione violenta ed arbitraria di averi di ogni genere, ciò che il più delle volte si risolveva in un ingiusto profitto personale di chi partecipava a queste operazioni »
(Dalla sentenza di rinvio a giudizio del processo contro Borghese, articolo del sito dell'ANPI)
Sergio Nesi, ex ufficiale della Xª, sostiene che Borghese e la Decima tennero un comportamento coraggioso ed intrepido di fronte al nemico (ne parla al riguardo delle battaglie sul fronte di Nettunia, sulla Linea Verde, durante l'Operazione Aquila e nella Battaglia di Tarnova) e asserisce che nel complesso le diserzioni della Decima sarebbero state sensibilmente inferiori a quelle registrate in altre forze armate e reparti della RSI. Molte azioni di furto e saccheggio attribuite a reparti della RSI o tedeschi sarebbero, secondo lui, invece da attribuirsi alle numerose bande di criminali comuni che infestavano il territorio, i quali mascherati dietro uniformi della Decima che sarebbero riusciti ad ottenere durante lo sbandamento dell'8 settembre 1943, taglieggiavano la popolazione civile con relativa impunità. Sempre secondo quanto riportato da Nesi, operazioni dello stesso genere - a scopo di propaganda antifascista - sarebbero state condotte, sempre con uniformi della Decima in qualche modo trafugate, da nuclei partigiani (secondo Nesi, nella zona della Liguria e del Cuneense).
Nesi sostiene poi che taluni rapporti di polizia proverrebbero da uffici e comandi repubblicani ostili alla Decima, i quali avrebbero perseguito non lo scopo di riparare i numerosi torti subiti dai civili, ma quello di metterla in cattiva luce presso gli alti comandi nonché lo stesso Mussolini nell'ambito delle feroci lotte per il potere che caratterizzarono la Repubblica Sociale. Questi rapporti sarebbero stati comunque ingigantiti ed esagerati. Infatti, per finanziare la guerra contro gli angloamericani, fu anche impiegato il mercato nero, acquistando armi in Svizzera tramite contrabbando di beni calmierati. Lo stesso prefetto di Milano espresse preoccupazione per le numerose azioni illegali commesse dai marò.
Sempre secondo l'ex ufficiale, nei confronti dei tedeschi la Decima non è stata, come sostenuto da altri, servile e collaborazionista, ma avrebbe invece seguito sempre un atteggiamento di furbesco doppiogioco, cercando di sottrarre all'alleato ogni tipo di rifornimento e materiale con ogni mezzo (compresa la corruzione, il furto, l'ubriacatura e l'inganno). Secondo l'ex ufficiale è da inquadrare in quest'ottica anche il pestaggio l'arresto del gauleiter Reiner, episodio che portò all'espulsione quasi totale delle forze di Borghese dalla Venezia Giulia, sottoposte a "zona d'operazione".
La Decima, nata per proseguire la guerra contro gli angloamericani, fu inizialmente risparmiata dalle azioni partigiane e gappiste, fino al 23 gennaio 1944, quando un attacco dinamitardo fece saltare alla Spezia il tram che collegava il centro cittadino colla sede della Decima nella Caserma San Bartolomeo, provocando la morte di tre marò e due cittadini.
In seguito a questo episodio, la Decima inviò dei reparti in supporto ai tedeschi per un rastrellamento nelle montagne prospicienti La Spezia, durante il quale non si ebbero scontri a fuoco, ma solo sequestri d'armi.
La prima rappresaglia compiuta dalla Decima risale invece al marzo 1944, quando il treno Parma-La Spezia fu bloccato dai partigiani e tutti i suoi occupanti militari (fra cui tre marò della Decima) furono passati per le armi sebbene disarmati. La Decima ordinò un rastrellamento, durante il quale 13 partigiani furono sorpresi: quattro morirono nello scontro a fuoco e altri nove furono portati alla Spezia. Di questi, un minorenne fu rilasciato, e gli altri otto furono fucilati.
Spostate le unità in Piemonte alla Decima fu sempre più spesso richiesta la partecipazione alle operazioni di grande polizia, richieste alle quali la formazione aderì sempre con riluttanza e mettendo a disposizioni nuclei di entità inferiore alla compagnia.
Per fronteggiare le sempre più frequenti azioni dei partigiani, viene costituita una speciale "Compagnia O" (operativa), composta da 120 uomini al comando del tenente Umberto Bertozzi. Non è chiaro invece il suo rapporto con Borghese e coi comandi della Decima: pare piuttosto plausibile che detta compagnia "O" sia stata maltollerata quanto necessario per venire incontro alle urgenze della primavera-estate 1944, e appena possibile sciolta e i suoi elementi inviati nel Distaccamento "Milano".
Tuttavia, il 4 luglio 1944 l'episodio dell'uccisione del comandante Umberto Bardelli spinse Borghese a tornare sulla sua decisione di non impiegare i suoi uomini nella controguerriglia. Così dall'autunno 1944 anche la Decima fu massicciamente coinvolta nella guerra civile contro i partigiani italiani, dispiegando una forza ed una violenza impressionante.
« Mentre le altre formazioni operavano in funzione antipartigiana, la Decima attese che i partigiani attaccassero per poi procedere, con riluttanza, alla guerra antipartigiana. La differenza è tuttavia assai sottile, vista la guerra civile. In ogni caso, almeno nei vertici e nelle intenzioni, la Decima non voleva combattere contro altri italiani, bensì portare a termine l’impegno d’onore verso la nazione concludendo la guerra anche con una sconfitta. Ciò determinò, in qualche caso, momenti di cavalleria e di rispetto fra le due parti in lotta e persino qualche momentaneo accordo politico »
(Prefazione di Giuseppe Parlato al volume di Sergio Nesi, "Junio Valerio Borghese".)
L'8 luglio 1944 Bardelli si recò personalmente alla ricerca del guardiamarina Gaetano Oneto, disertore del "Sagittario" che, unitamente ad altri marò, era fuggito con la cassa del battaglione. Giunto nel borgo di Ozegna con una scorta, si trovò faccia a faccia coi guerriglieri della formazione "Matteotti" al comando del partigiano Piero Urati, detto Piero Piero. Per evitare uno scontro fratricida, Bardelli depose le armi e ordinò ai suoi di fare lo stesso. Iniziarono così a parlamentare coi partigiani per ottenere la consegna del disertore, in un clima di crescente tensione. Dopo aver concordato lo scambio del disertore Oneto con dei prigionieri partigiani, Bardelli lasciò il convegno con Piero Piero, ma si trovò circondato da uomini della "Matteotti". Piero Piero intimò la resa al comandante repubblicano, il quale rifiutò urlando«Barbarigo non si arrende! Fuoco!». Nel rapido scontro a fuoco che ne seguì Bardelli e 10 marò furono uccisi. Le salme furono ricomposte nell'attuale oratorio del paese e i feriti curati da alcune religiose del posto. I marò prigionieri, invece, furono catturati dai partigiani e portati "in montagna", dove sarebbero stati sottoposti a varie pressioni (fra cui la "falsa fucilazione") per indurli a disertare e passare con la "Matteotti". Furono poi rilasciati una settimana dopo, a seguito di uno scambio con prigionieri partigiani.
Caddero anche sette partigiani ed un civile.Secondo l'ufficio propaganda della Decima il corpo di Bardelli fu rinvenuto privo di due denti d'oro, mentre due caduti furono rinvenuti dai paesani ammassati contro un muro e imbrattati di sterco e con della paglia in bocca (secondo alcuni a causa del trasporto con un carretto sporco, ma tale versione risulta respinta da altra storiografia).
In seguito a questo evento Borghese radunò lo stato maggiore della Decima comunicando la sua decisione e ribadendo il carattere volontario della Decima. Chiunque non avesse voluto rimanere nella Decima, che era nata per combattere al fronte gli anglo-americani, e che da quel momento si trovava coinvolta nella guerra civile, avrebbe ottenuto il congedo illimitato: quindici ufficiali su duecento chiesero ed ottennero d'essere messi in congedo per non dover partecipare alla guerra civile.
Dopo altri due mesi di imboscate e rastrellamenti si giunse ad un nuovo abboccamento fra i reparti della Decima e della formazione di Piero Piero che portò alla costituzione, caso più unico che raro, di un plotone d'esecuzione misto per l'esecuzione del disertore Oneto. Oneto dopo essere stato degradato viene fucilato nei pressi di Configlietto Val Soana da un picchetto comandato dal tenente di vascello Montanari formato da sei marò del battaglione Barbarigo e sei partigiani della Brigata De Franchi il 4 settembre 1944. All'esecuzione assistette un picchetto di venti marò della Decima e di venti partigiani.
Nonostante questo episodio (che ebbe come strascico l'arresto di Piero Piero per ordine di altri capi partigiani, anche in seguito alle esazioni compiute dal gruppo in Valchiusella. Il malcontento della popolazione sfociò in un'inchiesta da parte dei partigiani dell'area che fecero cessare le requisizioni e i furti di cibo e bestiame.), la Decima si trovò coinvolta sempre più profondamente nella guerra civile. Subendo - in quanto forza militare alleata dei tedeschi e al pari delle forze militari di questi - attacchi, catture ed imboscate in numero crescente, i suoi uomini reagirono sempre più violentemente, fino a perpetrare veri e propri crimini di guerra contro le popolazioni civili.
Fra gli episodi più significativi si inquadra l'esecuzione sommaria del partigiano garibaldino Ferruccio Nazionale, detto "Carmela", il cui corpo, immortalato in una macabra foto, è divenuto uno dei simboli della ferocia cui si giunse durante la guerra civile. Ad Ivrea il partigiano Nazionale decise di attentare alla vita del cappellano militare della Decima, don Augusto Bianco. Bloccato con una bomba a mano in pugno, proprio un istante prima che potesse scagliarla, fu sommariamente giustiziato il 29 luglio tramite impiccagione nella piazza del municipio. Il corpo, lasciato appeso con cartello al collo divenuto tristemente famoso per una foto scattata da un marò, sarebbe dovuto rimanere appeso quale monito per la popolazione, che venne raggruppata e fatta sfilare davanti al suo cadavere. Secondo le testimonianze di alcuni partigiani (raccolte però successivamente ai fatti), al momento dell'impiccagione Nazionale era praticamente già morto a causa delle torture subìte da parte dei marò della compagnia "O", generalmente ritenuta la più violenta della Decima, e, sempre secondo queste testimonianze, nell'ambito delle torture gli sarebbe anche stata mozzata la lingua. Tuttavia, dopo poche ore, un ufficiale del battaglione "Fulmine", non ritenendo compatibile un simile spettacolo di ferocia con l'onore del proprio reparto, ordinò che il corpo fosse deposto, e cristianamente sepolto nel cimitero cittadino, alla presenza di un picchetto di marò.
La particolare crudezza che caratterizzò le azioni della Decima durante le operazioni antipartigiane è stata spiegata così dallo storico Renzo De Felice:
« Tipici in questo senso sono i tre stadi che spesso sono riscontrabili nel loro atteggiamento primo, la Decima combatte per l’onore della patria; la sua guerra è contro il nemico invasore dell’Italia e non ideologica e di partito, che divide gli italiani invece di unirli nel nome della patria, e, dunque, la Decima non combatte contro i partigiani; secondo, se però i partigiani si accaniscono contro di essa, vendichi i suoi morti; terzo, ogni forma di clemenza verso i partigiani dettata dal governo o dal PFR da considerazioni di ordine politico non può essere accettata e non riguarda la Decima, i nemici attivi della patria, coloro che uccidono chi ne difende l’onore e il territorio non possono trovare clemenza. »
(Renzo de Felice, Mussolini l'alleato, Einaudi)
I crimini di guerra e contro l'umanità della Xª MAS si svolsero essenzialmente in paesi e frazioni, dove era concentrata l'attività partigiana. Sono stati citati i seguenti episodi a carico della Decima durante il processo al suo comandante nel dopoguerra:
Valmozzola (PR): 17 marzo 1944 fucilazione di otto partigiani presi prigionieri dopo l'uccisione di due ufficiali del battaglione Lupo della Xª Flottiglia MAS Carlotti e Pieropan.
Forno (frazione di Massa), 13 giugno 1944: 68 persone (tra le quali il maresciallo dei carabinieri Ciro Siciliano, che cercò di impedire il rastrellamento), per lo più civili e qualche partigiano, vennero uccise da un reparto di SS e da uomini della Compagnia "O" della Decima al comando di Umberto Bertozzi (che secondo alcune fonti fu colui che selezionò chi tra i prigionieri sarebbe stato fucilato) in quella che vine ricordata come la Strage di Forno.
Borgo Ticino (NO), 13 agosto 1944: in collaborazione con le SS, fucilazione di 12 civili, saccheggio e incendio del paese. Per la prima volta viene applicato il bando Kesselring di rappresaglia per il ferimento di quattro soldati tedeschi (al paese venne chiesto un risarcimento di 300.000 lire a compensazione del fatto e per evitare l'esecuzione, ma dopo aver riscosso la cifra, come ammesso anche al processo dal Capitano Krumhar che guidava il gruppo delle SS, la fucilazione e le successive violenze avvennero ugualmente).
Guadine (fraz. di Massa), 24 agosto 1944: rappresaglia sulla popolazione civile, ritenuta fiancheggiatrice dei partigiani, con alcune decine di civili uccisi. Il paese e le sue frazioni furono quasi completamente bruciati e distrutti. L'operazione probabilmente aveva anche lo scopo di bloccare eventuali fuggitivi dalla contemporanea azione della 16. SS-Freiwilligen-Panzergrenadier-Division Reichsführer SS, agli ordini del maggiore Walter Reder e degli uomini della Brigata Nera di Massa, che si stava svolgendo a Vinca (comune di Fivizzano).
Castelletto sopra Ticino (NO), 2 novembre 1944, dopo l'uccisione da parte dei partigiani del sottotenente di vascello Leonardi, pubblica esecuzione esemplare: un ufficiale della Xª MAS fa fucilare in pubblico cinque partigiani "garibaldini" detenuti ad Arona, dopo aver raccolto una folla obbligata ad assistere.
Crocetta del Montello (TV): tortura su partigiani catturati tramite fustigazione e ustioni con stracci imbevuti di benzina e accesi, nonché sei esecuzioni sommarie.
Nel processo che Borghese subì dopo la guerra, una testimonianza suggerì anche che in alcune delle rappresaglie di cui furono protagonisti, gli uomini della Decima indossassero uniformi tedesche, probabilmente per farle attribuire esclusivamente all'esercito nazista. Tuttavia nel dispositivo della sentenza, Borghese fu condannato a 12 anni di carcere ed esclusione dai pubblici uffici solo per "collaborazione militare" coi tedeschi, escludendo il suo coinvolgimento nei crimini di guerra come la sua partecipazione ai reati di omicidio e saccheggio.
Durante gli anni sessanta seicentonovantacinque fascicoli riguardanti le stragi nazifasciste in Italia vennero "archiviati provvisoriamente" dal procuratore generale militare, principalmente per ragioni di convenienza politica, e i vari procedimenti furono bloccati, garantendo quindi l'impunità per i responsabili ancora in vita. Successivamente, nel 1994, durante la ricerca di prove a carico di Erich Priebke per la strage delle Fosse Ardeatine, venne scoperta l'esistenza di questi fascicoli (trovati in quello che giornalisticamente è stato definito l'Armadio della Vergogna): tra di questi ve ne erano diversi riferiti a fatti compiuti da personale della Decima Mas di Borghese.
Verso la fine della guerra, la Xª MAS di Borghese spostò il suo quartier generale in Piemonte. Il 26 aprile, primo dei tre giorni di insurrezione che portarono alla Liberazione, Borghese sciolse la Decima presso la caserma di piazzale Fiume (odierna piazza della Repubblica) a Milano.
I vari reparti della Decima seguirono invece diversi destini, a seconda del luogo e del nemico a cui si arresero.
I battaglioni "Barbarigo", "Lupo", "NP" e "Freccia" e il gruppo artiglieria "Colleoni", impiegati a difesa della Linea Verde dopo aver subito perdite esiziali nella battaglia contro le forze inglesi e del Commonwealth si ritirarono in piccoli nuclei oltre l'Adige verso Padova ad Albignasego ("Lupo" e "Barbarigo") dove si arresero quando furono raggiunte dal nemico, ottenendo da questo l'onore delle armi. Il "Freccia" e il "Colleoni" furono totalmente distrutti nella battaglia, e cessarono di agire come unità organiche già dagli ultimi giorni di aprile 1945, ripiegando disordinatamente.
I reparti indivisionati nella Divisione Decima in territorio vicentino ("Sagittario", "Fulmine", "Valanga", "Castagnacci", "san Giorgio", "Alberto da Giussano", "Pegaso", "Vega") attesero l'arrivo del nemico arma-al-piede, dopo un iniziale tentativo di raggiungere la Venezia Giulia per arginare l'invasione iugoslava, frustrato dal totale controllo dell'aria da parte delle aviazioni alleate. Anche questi reparti si arresero con l'onore delle armi. I reparti concentrati a Bassano del Grappa invece si confrontarono coi partigiani, a volte combattendo a volte arrendendosi: in quest'ultimo caso gli uomini che si consegnarono furono spesso oggetto di feroci vendette.
I reparti di Fanteria di Marina a Venezia (btg. "Serenissima" e Nuotatori Paracadutisti -NP- ed altri) si arresero con l'onore delle armi agli Alleati il 30 aprile 1945, presso l'ex collegio navale della GIL a Sant'Elena.
I reparti territoriali a Torino e Milano seguirono la sorte delle altre unità repubblicane ivi presenti. Quelli di Torino non riuscirono a ripiegare verso la "zona franca" di Ivrea per arrendersi agli americani il 5 maggio successivo, e seguitarono a combattere nella caserma assediata dai partigiani. Dopo aver finito le munizioni si arresero, e oltre 60 dei superstiti furono fucilati sommariamente. Quelli di Milano subirono l'urto dell'insurrezione partigiana il 26 aprile.
I reparti nel novarese (btg. "Scirè") furono coinvolti in scontri a fuoco coi partigiani. Quelli che si arresero dietro promessa d'aver salva la vita furono in gran parte passati per le armi.
I reparti in Istria, a Fiume e sulle isole del Carnaro furono sistematicamente annientati dagli iugoslavi. Il battaglione "San Giusto" di Trieste invece riuscì a raggiungere via mare Venezia dove si arrese agli Alleati il 30 aprile.
I reparti di marina a Sanremo uscirono il 26 aprile per un'ultima missione contro i franco-americani, dopodiché affondarono i propri mezzi e dispersero gli uomini. Quelli che furono catturati dai partigiani furono sommariamente uccisi.
I caduti accertati in operazioni belliche e di controguerriglia della Decima assommano a oltre 600. A questi vanno aggiunti gli uomini uccisi sommariamente al termine delle ostilità dopo aver ceduto le armi, in numero non precisato (si ricorda, ad esempio, l'eccidio di Valdobbiadene dei Nuotatori Paracadutisti della Decima, NP, nel maggio del 1945, ove furono trucidati 50 prigionieri di guerra).
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